Berachain: una nuova era per la DeFi?

Berachain: una nuova era per la DeFi?

Berachain è una blockchain che implementa un meccanismo di consenso che potrebbe rivoluzionare il mondo della DeFi: il Proof-of-Liquidity (PoL). Cos’è?

Berachain è una blockchain Layer 1 che ha attirato l’attenzione di molti investitori, istituzionali e non, soprattutto grazie al meccanismo di consenso su cui si fonda, inventato dalla rete stessa: il Proof-of-Liquidity. L’idea alla base semplificata all’osso? Trasformare la liquidità da risorsa passiva a motore attivo della sicurezza di rete, riallineando sicurezza e interessi degli utenti finali.

Inoltre, Berachain si distingue dagli altri per la sua estrema flessibilità, dal momento che è in grado di ospitare anche le dapp sviluppate su Ethereum. Ma adesso ci arriviamo. 

Berachain: tra Proof-of-Liquidity e EVM Identical

Per avventurarci nel nostro viaggio alla scoperta del meccanismo di consenso Proof-of-Liquidity (PoL) possiamo iniziare a definirlo come un’evoluzione del più noto Proof-of-Stake (PoS).

Una rete che utilizza il meccanismo di consenso Proof-of-Stake, la sicurezza e la tenuta della rete sono garantite dai validatori, o nodi. Questi bloccano i token – li mettono in staking – e ricevono ricompense in cambio nel momento in cui validano i blocchi. I premi, pertanto, costituiscono un forte incentivo allo staking e contribuiscono a creare un circolo virtuoso che rende la rete sicura. Questo meccanismo, però, possiede un “difetto”: isola i validatori – e il loro potere economico – dall’ecosistema, dunque dalle dapp e dagli user. 

Volendo semplificare, potremmo paragonare (con un po’ di fantasia) una blockchain PoS a un treno a carbone: così come i validatori mettono al sicuro la rete bloccando in staking i propri token, i macchinisti garantiscono il movimento del treno buttando carbone nella fornace. Tuttavia, l’energia sprigionata serve “solo” a far correre il treno. 

Il meccanismo di consenso Proof-of-Liquidity, invece, getta le basi per un sistema in cui l’energia generata dal carbone che brucia muove il treno ma, allo stesso tempo, illumina le carrozze, scalda l’acqua dei bagni, aziona il movimento dei finestrini e via dicendo. 

Come? Grazie a un modello a due token che coinvolge validatori, dapp e community: $BERA, per la sicurezza della chain e per i costi di transazione (gas fee), e $BGT, un token di governance utilizzato anche per le ricompense. Quest’ultimo ha una particolarità: è soulbound – come in World of Warcraft – e non può essere acquistato, venduto o scambiato.

Il ciclo virtuoso del PoL

Da un lato, i validatori mettono in stake $BERA per garantire la sicurezza della chain e ricevono in compenso $BGT; dall’altro gli utenti, tramite dapp come i DEX, forniscono liquidità alle pool e guadagnano in cambio dei LP-token (Liquidity Provider Token), cioè dei “token-ricevuta” che certificano proprio questa azione e consentono il riscatto futuro della liquidità. Questi LP-token hanno un’utilità: possono essere messi in stake nelle Reward Vault, cioè smart contract che, con lo staking, premiano l’utente con $BGT

Ma da dove arrivano questi token $BGT? 

Dai validatori che, come abbiamo spiegato poco fa, li ricevono come ricompensa per lo staking di $BERA e grazie alla PoL hanno il dovere di retrocederne la gran parte agli utenti che hanno messo in staking gli LP token nelle reward vault. I validatori, poi, sono motivati a indirizzare $BGT alle Reward Vault dalle dapp stesse grazie ad un mercato di  incentivi sotto forma di altri token, stablecoin o altro offerti da parte dei protocolli per incrementare la porzione di $BGT per i propri utenti finali (liquidity providers).  

Quindi, gli utenti delegano ai validatori i token $BGT, ottenuti bloccando i LP-token nelle Reward Vault, e li “boostano”, ricevendo una parte degli incentivi che abbiamo menzionato sopra – un validatore viene boostato quando, ricevendo più $BGT dagli utenti, aumenta la quantità di $BGT che può indirizzare alle Reward Vault. Nonostante l’utilità che genera valore implicito, un $BGT può sempre essere scambiato per un $BERA con un ratio 1:1.

Il cerchio è chiuso: validatori, dapp e utenti collaborano in un ecosistema che si autoalimenta e premia ogni componente per il suo lavoro. Naturalmente, si tratta della punta dell’iceberg: se vuoi approfondire, abbiamo scritto un articolo di Academy specifico su Berachain e sul Proof-of-Liquidity. 

EVM Identical 

EVM sta per Ethereum Virtual Machine e, se paragonassimo Ethereum a un mega computer globale, sarebbe il suo sistema operativo, cioè l’architettura tecnologica decentralizzata necessaria all’esecuzione di smart contract e transazioni. 

Berachain, col suo EVM Identical, ha riprodotto una copia esatta dell’EVM sulla sua chain. Detto in un altro modo, significa che Berachain è una blockchain compatibile al 100% con l’EVM di Ethereum. Le conseguenze si possono intuire: l’enorme numero di sviluppatori che lavorano su Ethereum potrebbe agilmente “spostarsi” su Berachain senza notare differenze. 

La strategia è interessante: Berachain costruisce un meccanismo di consenso potenzialmente rivoluzionario e dice ai programmatori di tutto il mondo: “Eilà, programmate su Ethereum ma vi incuriosisce il nostro PoL? No problem, abbiamo creato un ambiente di esecuzione totalmente identico a quello a cui siete abituati, che si aggiorna in contemporanea con Ethereum”. Infatti, a marzo 2025 (a un mese dal lancio), Berachain aveva già raccolto quasi 3 miliardi di dollari in TVL.  

Berachain: team e fundraising 

Sul team non si sa molto, perché i suoi componenti hanno deciso di rimanere anonimi. I 3 co-fondatori si sono, da sempre, presentati al grande pubblico sotto i pseudonimi di Smokey the Bear, Homme the Bear e Papa Bear

Questa scelta, però, è limitata al pubblico mentre la situazione è completamente diversa se analizzata attraverso una lente più istituzionale. 

Tuttavia, questo anonimato pubblico contrasta nettamente con la solida fiducia che questo progetto ha guadagnato nel mondo istituzionale, come dimostrano i 100 milioni di dollari raccolti ad aprile 2024 durante un founding round di Serie B.

A questa stagione di foundrising hanno partecipato alcuni dei fondi di investimento più importanti al mondo, attivi anche nel contesto della finanza tradizionale. I nomi più altisonanti sono sicuramente Brevan Howard Digital, il braccio crypto di un colosso da più di 20 miliardi di dollari di asset in gestione. A questi si affiancano Venture Capital specializzati nel Web3 come Framework Ventures, che vanta un portafoglio in cui figurano progetti come Aave (AAVE) e Chainlink (LINK) e Polychain Capital.

C’è un po’ di Italia in Berachain

Chiudiamo condividendo con voi un’informazione che ci rende piuttosto orgogliosi: c’è un (bel) po’ d’Italia all’interno di Berachain! Il suo headquarter europeo è a Milano, ed ha un team che collabora nelle operazioni di ricerca e sviluppo.  
E magari è stata proprio questa ad agevolare la recente partnership col Napoli,  sì, la SSC Napoli allenata da Antonio Conte. La collaborazione, in realtà, non è direttamente con Berachain ma con KDA3, una piattaforma che, per usare le loro parole, “sviluppa soluzioni digitali sportive innovative”, costruita su Berachain, la quale ha investito direttamente in KDA3 nel 2025”. Inoltre, KDA3 è in partnership anche con la Federazione canadese di basket e lancerà altre partnership nei prossimi mesi con altri club internazionali.

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Vitalik Buterin: il manifesto della società futura

Vitalik Buterin: il manifesto della società futura

Vitalik Buterin ha pubblicato un articolo in cui spiega l’importanza di un futuro fondato su una tecnologia aperta e verificabile. Vediamo i dettagli

Vitalik Buterin, il fondatore di Ethereum, ha pubblicato un articolo molto interessante in cui argomenta la seguente tesi: la società del futuro, affinchè sia utopica e non distopica, dovrà fondarsi su una tecnologia aperta e verificabile. Nel testo, con fonti a supporto, l’autore dimostra l’importanza di questi valori nei principali ambiti della vita quotidiana e conclude con una risposta pragmatica. Vediamo insieme di che si tratta.  

Vitalik Buterin: “L’importanza dell’apertura e della verificabilità a ogni livello della tecnologia”

È il titolo dell’articolo e, allo stesso tempo, la sua tesi – originale: “The importance of full-stack openness and verifiability”. Il testo comincia con una frase ad effetto che rappresenta anche il punto di partenza del discorso: “the internet has become real life”. 

Sostanzialmente, con questa affermazione, Vitalik riassume tutto il processo di digitalizzazione che sta rivoluzionando le nostre vite: conversazioni private, finanza e sanità, una volta dipendenti da carta, penna e calcolatrici, adesso sono totalmente digitalizzate. Per estensione, continua Vitalik, è ragionevole pensare che un’evoluzione simile colpirà tutti gli ambiti della nostra esistenza

È un trend che non può essere bloccato perché i benefici sono troppo grandi

Questo è il secondo punto: la rivoluzione sta avvenendo ed è impossibile fermarla e, in un mondo così competitivo, le “civiltà” che restano indietro rischiano di essere dominate da quelle che, al contrario, si adattano e governano il cambiamento. Infatti, chi ha tratto i maggiori benefici da questi trent’anni di rivoluzione tecnologica è chi produce le tecnologie, non chi le utilizza”.   

Il tema, qui, è relativo anche alla proprietà della tecnologia, nel senso che il dominio esclusivo su un software consente al proprietario di fare il bello e il cattivo tempo. Un esempio calzante e attuale possiamo identificarlo in Starlink, la società di Elon Musk che fornisce la copertura internet su scala globale tramite i satelliti.

In particolare, nella guerra tra Russia e Ucraina, Musk ha messo a disposizione la sua flotta di satelliti all’esercito di Kyiv per potersi difendere dagli attacchi russi che, in precedenza, avevano messo KO le infrastrutture ucraine. Allo stesso tempo, però, ha rifiutato di estendere la disponibilità di Starlink ai territori dell’Ucraina occupati dalla Russia, come la Crimea, annullando la possibilità di contrattacchi in quelle aree e influenzando le sorti del conflitto.  

Questa società del futuro dovrebbe basarsi sulla trustlessness

È il terzo punto. Vitalik, in questo modo, intende porre l’attenzione su un argomento spinoso. Infatti, le soluzioni per i problemi che abbiamo appena esposto – e qui torniamo alla tesi dell’autore – le fornirebbe una tecnologia fondata su due caratteristiche interconnesse: l’apertura “sincera, cioè priva di tornaconti personali, e la verificabilità. Ciò dovrebbe riguardare tutti i livelli: hardware, software e bio (nel caso di interfacce cervello-macchina come Neuralink).

Con questa dichiarazione, Vitalik fa riferimento al fatto che la tecnologia debba essere controllabileverifiable – da parte di ogni singola entità, dagli user singoli alle istituzioni, in quanto trasparente e open source al 100% openness. Solo in questo modo è possibile creare una società veramente democratica, spinta verso il benessere dall’interesse collettivo.

Senza le pressioni dei proprietari che, legittimamente, ricercano il profitto e proteggono i loro interessi col segreto industriale, l’openness può essere un driver di innovazione: un codice totalmente pubblico e replicabilelicense free – stimola la partecipazione e la collaborazione, favorendo il raggiungimento del bene comune, cioè il perfezionamento del prodotto o la creazione di qualcosa di nuovo, partendo da ciò che già esiste. La storia è piena di esempi a conferma: dal sistema operativo Linux alla finanza decentralizzata.  

Inoltre, continua Vitalik, la tecnologia dovrebbe essere così aperta e verificabile da non richiedere la supervisione di entità terze: il valore risiede nella trustlessness, cioè nell’assenza del bisogno di fiducia. Qui arriva la parte “spinosa”: nel momento in cui si verificasse un problema, come un bug, la trustlessness verrebbe minata per sempre e si tornerebbe al vecchio “questo l’ha creato lui, quindi mi fido”. Per quale motivo?

Facciamo un esempio: Bitcoin possiede un capitale di fiducia altissimo perché, riassumendo, il meccanismo di consenso Proof-of-Work e la sua infrastruttura, aperta e verificabile, lo rendono immutabile e trustless: gli user non hanno bisogno di terze parti che vigilino perché conoscono il funzionamento del protocollo. Il valore, dunque, è giustificato da questi sottostanti, oltre che dalla legge della domanda e dell’offerta

Però, se si scoprisse un bug critico nel codice o un attacco di alto livello (come il 51%), crollerebbe tutto: verrebbe meno la fiducia di cui parlavamo prima e, molto probabilmente, il suo valore scenderebbe a zero. Certo, orde di programmatori potrebbero mettersi all’opera per risolvere e anche rinforzare il protocollo, ma la sua reputazione verrebbe compromessa per sempre. 

Come si applica questo paradigma nella vita quotidiana?

L’importanza dell’apertura e della verificabilità nella sanità

Vitalik comincia la sua analisi utilizzando come esempio la recente pandemia da Covid-19. Sostanzialmente, riprende il punto precedente relativo alla differenza di posizione tra chi produce le tecnologie e chi invece le utilizza. Tale disparità si è manifestata appieno nel caso dei vaccini: le nazioni più ricche, con più strumenti a disposizione per produrre il farmaco, hanno dato avvio alle campagne di vaccinazione con due anni di anticipo rispetto alle nazioni più povere. 

Tocca anche la questione della fiducia, spiegando come la strategia comunicativa adottata dalle istituzioni, molto opaca e fondata sulla narrazione del “vaccino completamente sicuro”, abbia generato l’effetto opposto: gli effetti collaterali esistevano – come esistono per ogni farmaco – e la gente se n’è accorta. La fiducia è stata tradita e il tradimento ha dato avvio a una diffidenza diffusa che “si è trasformata in qualcosa che sembra un rifiuto di mezzo secolo di scienza”. 

Infine, approfondisce il discorso sulla medicina del futuro, che sarà sempre più personalizzata e basata sui dati: se le infrastrutture che raccolgono e processano i big data sono private, i proprietari hanno il dominio totale delle informazioni e, in sintesi, possono farci ciò che vogliono. Così il potere e il beneficio economico, spiega Vitalik, si concentrerebbero nelle mani di pochissimi soggetti. 

Le soluzioni

L’autore dell’articolo menziona PopVax, un’azienda che sviluppa vaccini e terapie finanziata dallo stesso Buterin tramite il fondo Balvi. Questi sieri sono prodotti con processi fondati, appunto, sull’openness: i costi si riducono e, con essi, la disuguaglianza di accesso tra le varie nazioni, mentre la trasparenza – senza brevetti – rende più semplice verificarne la sicurezza e l’efficacia.

Sul tema della raccolta dati, invece immagina un mondo in cui ognuno indossa un’attrezzatura per il monitoraggio della salute personale attiva 24 ore su 24, 7 giorni su 7, che sia ovviamente open-source e ispezionabile solo dal singolo individuo. 

L’importanza dell’apertura e della verificabilità nella tecnologia digitale personale e commerciale

In questa sezione, Vitalik elenca un paio di situazioni tipiche della vita quotidiana in cui ci troviamo a dover utilizzare la nostra identità per confermare operazioni di varia natura: firma di documenti e pagamenti. Affinchè queste operazioni possano essere eseguite, prosegue, c’è bisogno di software e hardware che conservino e possano processare i dati personali. E se venissero hackerati? 

Le soluzioni 

Anche qui, apertura e verificabilità avrebbero un ruolo importante nella riduzione dei rischi: un sistema totalmente aperto e verificabile consentirebbe un’ispezione completa volta a individuare e risolvere le vulnerabilità a monte: bug, backdoor ma anche firmware obsoleti e difetti nei componenti fisici. Naturalmente, non mancano i riferimenti a Ethereum e alla blockchain in generale. 

L’importanza dell’apertura e della verificabilità nella tecnologia civica digitale

Forse la parte più interessante dell’articolo. Qui, Vitalik parla della vita civica dei cittadini, dunque della loro appartenenza al sistema democratico, e delle alternative che alcuni intellettuali stanno studiando per migliorarla. Citando alcuni studi, tra cui quello di Audrey Tang sul potenziamento delle comunità open-source, Vitalik evidenzia un tratto comune: tutte le ipotesi proposte prevedono una forte partecipazione popolare. È quindi necessario implementare delle soluzioni digitali attraverso cui gestire una tale quantità di informazioni. 

Prima di tutto, però, è necessario risolvere dei problemi. Prendiamo ad esempio il voto elettronico: lo scetticismo, giustamente, è motivato dal fatto che il software deputato al conteggio dei voti è una “scatola nera”, nel senso che il pubblico non ha modo di esaminare la correttezza degli scrutini – come abbiamo ricordato sopra, le aziende hanno tutto l’interesse del mondo nel proteggere i propri prodotti col segreto industriale. Inoltre, chi garantisce che il risultato finale non venga manipolato? 

Le soluzioni  

L’apertura e la verificabilità, argomenta Vitalik, rendono i meccanismi di voto totalmente trasparenti e ispezionabili da parte dei cittadini e delle autorità: non c’è nessuna scatola nera perché non c’è nessun interesse commerciale in ballo. È la pura esecuzione delle funzioni democratiche, libera da scopi particolari finalizzati al profitto personale. Le DAO, ad esempio, ne hanno già dimostrato la fattibilità.  

Il fondatore di Ethereum, in questo caso, aggiunge un’altra variabile all’equazione: la conoscenza condivisa della sicurezza. In breve, questa caratteristica fa riferimento al fatto che tutti devono essere consapevoli dell’affidabilità di quel dato sistema. Per comprendere bene questo punto, immagina cosa potrebbe succedere se i cittadini di Roma, al termine del conteggio dei voti, non si fidassero del software utilizzato dai cittadini di Milano.

Il risultato: una società retro-futuristica 

Non poteva mancare lo spunto sognatore e sci-fi tipico di Vitalik Buterin. L’articolo, appunto, si conclude con un “what if”, cioè con l’immaginazione di uno scenario in cui la tesi dell’autore si realizza: “Se riuscissimo a raggiungere questa visione”, scrive Vitalik, “un modo per capire il mondo che otterremmo è che si tratterebbe di una sorta di retro-futurismo: da un lato, godremmo dei benefici di tecnologie molto più potenti che ci permetterebbero di migliorare la nostra salute, organizzarci in modi molto più efficienti e resilienti e proteggerci dalle minacce. Dall’altro lato, avremmo un mondo che riporterebbe in vita proprietà che erano una seconda natura per tutti nel 1900”. Cosa intende con quest’ultima frase?

Vitalik si sta riferendo al concetto filosofico di Seconda Natura, che rappresenta l’insieme di abitudini, pratiche, costumi e oggetti artificiali – cioè gli elementi culturali – che si acquisiscono attraverso l’esperienza o l’educazione e di cui si ha padronanza assoluta. In parole semplici, è un modo complesso per riassumere tutte quelle attività che impariamo vivendo e che diventano parte integrante di noi stessi
Respirare, mangiare, bere e dormire sono attività innate, quindi della Prima Natura, che sapremmo eseguire anche se nessuno ce lo insegnasse; parlare in italiano, scrivere e andare in bicicletta, dall’altro lato, sono pratiche che rientrano nel concetto di Seconda Natura perché le apprendiamo, con l’educazione o con l’esperienza, e le facciamo completamente nostre. 

E cosa c’entra col discorso? È presto detto: nel 1900 la tecnologia – motori, macchine da scrivere e via dicendo – era quasi interamente meccanica e non era previsto alcun software o “componente invisibile” all’occhio nudo. Quindi, nel caso di difetti o malfunzionamenti, era possibile aprire e ispezionare – suona familiare? – i meccanismi per individuare i problemi. 

Le conseguenze? In primo luogo, la comunità era molto più coinvolta nei processi di sviluppo dal momento che chiunque, con un minimo di competenza, poteva smontare, modificare e migliorare. In secondo luogo, la fiducia in un oggetto derivava dalla possibilità di verificare direttamente la sua funzione – nessun codice segreto. 

Per concludere, è questo quello a cui Vitalik Buterin, nel suo articolo (e con la creazione dell’ecosistema di Ethereum), aspira: un mondo in cui si recupera questo senso di piena comprensione e controllo della tecnologia, che è alleata dell’umanità, verificabile da tutti e proprietà di nessuno. È un futuro plausibile? O è solo tanta fantascienza? 

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Riunione FED settembre 2025: cos’è successo?

Riunione FED settembre 2025: cos’è successo?

Riunione FED settembre 2025: il FOMC taglia i tassi di interesse di 25 punti base (pbs). Quali sono le motivazioni? Come hanno reagito i mercati?

Si è appena conclusa la riunione della FED del 17 settembre 2025 in cui il Presidente Jerome Powell ha comunicato la decisione del FOMC sui tassi di interesse. Come previsto, il Comitato ha scelto di tagliare i tassi di 25 pbs, nel range tra il 4% e il 4,25%.

Riunione FED settembre 2025: come da previsione, il FOMC taglia i tassi

Al termine della sua riunione del 17 settembre 2025, il Federal Open Market Committee (FOMC) ha annunciato la sua attesa decisione sulla politica monetaria statunitense. Il comitato guidato da Jerome Powell ha optato per tagliare i tassi di interesse di 25 pbs, nel range tra il 4% e il 4,25%, come previsto.

Le motivazioni

Nel comunicato ufficiale, la Federal Reserve ha dipinto il quadro della situazione attuale affermando che, in un contesto in cui sia l’inflazione che la disoccupazione crescono, contenere la seconda è diventato la priorità – rimarcando, sostanzialmente, quanto detto a Jackson Hole.  

Di conseguenza, continua Powell, il FOMC ha optato per il taglio dei tassi di interesse, per stimolare l’economia e favorire il mercato del lavoro. Nonostante questo cambio di rotta, conclude, la FED rimane concentrata su entrambi gli obiettivi: massima occupazione e inflazione contenuta intorno al 2%.

Nella conferenza stampa, Jerome Powell ha sostanzialmente rimarcato i punti toccati nel comunicato ufficiale: “con l’aumento dei rischi al ribasso per l’occupazione, l’equilibrio dei rischi si è spostato. Di conseguenza, abbiamo ritenuto appropriato, in questa riunione, compiere un ulteriore passo verso una posizione di politica più neutrale”. 

Il Presidente Powell, nel suo discorso, ha poi parlato dell’effetto inflattivo dei dazi doganali, suggerendo che il rialzo dei prezzi potrebbe essere uno shock di breve termine, anche se è possibile che ciò si traduca in un rincaro permanente. Qualora si verificasse il secondo scenario, continua,”il nostro compito è garantire che un aumento una tantum del livello dei prezzi non si trasformi in un problema di inflazione persistente”.

Sarà, quindi, importante monitorare l’andamento dell’inflazione e dell’occupazione per cercare di anticipare l’esito delle prossime due riunioni, previste per ottobre e dicembre – in molti danno per certo un ulteriore taglio, ma c’è anche chi ne prevede due su due. 

Come si sono mossi i mercati

L’esito di questa riunione, come è noto, era ampiamente previsto e i mercati hanno reagito in modo disordinato e confuso – ma non troppo – all’annuncio ufficiale del 17 settembre: un taglio di 50 punti base avrebbe realmente agitato i mercati. Entriamo un po’ più nel dettaglio.

Partendo dalle borse americane, il Nasdaq 100 ha chiuso in negativo dello 0,2%, recuperando dopo una perdita dell’1,28% iniziata con l’annuncio del taglio. L’S&P500, invece, ha chiuso sostanzialmente invariato, mettendo a segno un +0,1%. Montagne russe per l’indice che rappresenta l’andamento dei 30 titoli più importanti del mercato USA, il Dow Jones: dopo aver guadagnato più dell’1% nelle cinque ore successive al FOMC, registrando l’All Time High, l’indice ha perso l’1,20% circa in un’ora, per poi assestarsi a metà, concludendo la seduta con un +0,57%.

Passando ai mercati europei, la situazione, al momento della scrittura, è abbastanza positiva: Londra guadagna lo 0,2%, mentre Milano è su dello 0,7%. Il secondo posto se lo prende Parigi, con un +1,15%, mentre sul primo gradino del podio, per il momento, si parla tedesco, con Francoforte che mette a segno un importante +1,3%. Va detto, però, che i listini appena menzionati, più che guadagnare, stanno recuperando dalle forti perdite di inizio settimana: il DAX di Francoforte, ad esempio, tra lunedì e martedì aveva perso più del 2,3%.

Comportamento molto confuso anche per il DXY, che misura l’andamento del dollaro USA contro le sei principali valute del mondo: dopo aver perso lo 0,65% nelle ore immediatamente successive alla conferenza di Powell, rimbalza come una molla, assorbe la perdita e guadagna lo 0,5% durante la notte, per poi scendere nuovamente e tornare, al momento in cui scriviamo, al livello pre-FOMC – 1€ = 1,183$.     

Come ha reagito il mercato crypto?

Bene, ma niente di eccezionale: come abbiamo più volte sottolineato, l’esito era abbastanza scontato e, probabilmente, già prezzato nei giorni scorsi, dal momento che Bitcoin, da inizio settembre, è cresciuto dell’8,5% – dai 107.200$ 116.400$. Ad ogni modo, nel momento immediatamente successivo all’annuncio, BTC ha reagito malino, perdendo l’1,2%, per poi recuperare: a meno di 24 ore dal FOMC, viaggia sui 117.300$ (+0,7%). 

Stesso comportamento per Ethereum, che in un primo momento cala di prezzo per poi rimbalzare e avventurarsi in territorio positivo: inizialmente perde quasi il 3%, toccando i 4,370$, ma poi ETH torna a spingere verso l’alto, compensando il calo e lanciandosi verso 4.600$. In definitiva, al momento in cui scriviamo, si trova a +1,5% rispetto al pre-FOMC.

Prossime riunioni della FED: taglio dei tassi all’orizzonte?

L’opinione condivisa è quella che vede almeno un taglio dei tassi di interesse nelle prossime riunioni di ottobre e dicembre, anche a causa delle pressioni del presidente degli Stati Uniti. In passato, infatti, Donald Trump ha criticato più volte il Presidente della FED per la sua resistenza al taglio dei tassi, arrivando a soprannominarlo Jerome Too Late Powell
Inoltre, il trumpianissimo Stephen Miran, nuovo membro del Board della FED subentrato a causa delle dimissioni dell’ex governatrice democratica Adriana Kugler, è stato ufficialmente confermato dal Senato – Trump, infatti, l’aveva nominato ma la procedura vuole che l’ultima parola spetti, appunto, al Senato. Miran, oltre ad essere un forte sostenitore di Bitcoin, è anche convinto della necessità di abbassare il costo del denaro: è stato l’unico tra i membri del FOMC, a votare per il taglio di 50 punti base.

Il FedWatch Tool, a 41 giorni dalla prossima riunione, stima un taglio di 25 pbs all’89,8%, mentre il No Change è dato al 10,2%.

L’appuntamento è fra un mese abbondante, per il FOMC del 28-29 ottobre: entra nel nostro gruppo Telegram o iscriviti a Young Platform e tieniti informato sulle notizie rilevanti che muovono i mercati!

Oracle, azioni su del 43%: cos’è successo?

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Oracle, azioni impazzite: salgono del 43% arrivando a toccare i 346$, il prezzo più alto di sempre. Cosa ha innescato il rialzo?

Le azioni Oracle, nella seduta di mercoledì 10 settembre, hanno lasciato tutto il mondo a bocca aperta a causa di un rialzo definito “storico”: in poche ore, il prezzo per azione è passato da 241$ a quasi 346$, con un guadagno superiore al 40%. I motivi dietro questa impennata sono da ricercare soprattutto nel nuovo contratto fra Oracle stessa e OpenAI, la nota azienda leader nell’intelligenza artificiale. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta. 

Oracle, azioni e il contratto da 300 miliardi di dollari con OpenAI (ma non solo)

Andiamo subito al punto: alla base della crescita improvvisa delle azioni Oracle c’è un contratto di dimensioni enormi stipulato con OpenAI, l’azienda proprietaria di ChatGPT  guidata da Sam Altman. Secondo il Wall Street Journal, testata autrice dello scoop, OpenAI avrebbe firmato un contratto con Oracle per l’acquisto di 300 miliardi di potenza di calcolo in cinque anni – la bellezza di 60 miliardi all’anno – a partire dal 2027.

In altre parole, questo significa che OpenAI e Oracle si sono messe d’accordo affinché la prima società possa avere accesso al computing power fornito dalla seconda: ciò equivale a circa 4,5 gigawatt di energia elettrica necessaria a far lavorare i data center per addestrare l’IA e per portare avanti il processo innovativo – cioè ricerca e sviluppo. Oracle, inoltre, avrebbe chiuso altri contratti multimiliardari con xAI, proprietaria di Grok, e Meta Platforms

In ogni caso, questa serie di notizie ha messo gli investitori in FOMO totale e le azioni di Oracle sono schizzate alle stelle: come abbiamo anticipato, in poco più di due ore l’azienda fondata da Larry Ellison ha guadagnato il 43%, la sua market cap è cresciuta di 270 miliardi raggiungendo i 943 miliardi, e il valore delle sue azioni è salito di più di 100$, passando da 241$ a 346$. In tutto questo caos, il patrimonio di Ellison, che detiene ancora più del 40% della società che ha fondato, è aumentato di oltre 100 miliardi: improvvisamente si gioca il primo posto nella classifica dell’uomo più ricco del mondo con Elon Musk.

Poco più tardi, come è naturale quando si verificano rialzi simili, c’è stato un ritracciamento che ha portato il valore delle azioni a quota 328$ – una crescita finale del 36%. Al momento in cui scriviamo, Oracle si aggira sui 319$.  

Concludiamo con qualche dubbio 

L’operazione tra Oracle e OpenAI, secondo il Wall Street Journal, è una scommessa rischiosa per almeno tre motivi. 

In primo luogo, viene da chiedersi come farà l’azienda madre di ChatGPT a pagare la mostruosa cifra di 60 miliardi di dollari all’anno, dal momento che a giugno ha dichiarato di aver guadagnato “solo” 10 miliardi nei precedenti dodici mesi – in gergo, l’annual recurring revenue (ARR). 

In secondo luogo, Oracle deve costruire il data center e, molto probabilmente, si indebiterà chiedendo prestiti per produrre i chip e l’infrastruttura necessari. Dunque Oracle sta legando una grandissima parte dei suoi guadagni futuri ad un solo cliente, ovvero OpenAI – tradendo una delle regole fondamentali degli investimenti, la diversificazione. Per comprendere il peso di questo fattore, tornare alla prima domanda. 

Infine, si parla spesso della AI Bubble. Ci sono pareri contrastanti in merito, tra chi pensa che il mercato collasserà, come nel caso della bolla delle DotCom, e chi invece dice che la bolla non esiste – questo contratto da 300 miliardi sembrerebbe dar ragione ai secondi. Ma se questa fantomatica bolla esistesse e, a un certo punto, esplodesse


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Inflazione USA: il dato del CPI oggi

Inflazione USA: il dato del CPI di oggi

È appena uscito il Consumer Price Index (CPI), il dato utilizzato per stimare l’inflazione negli Stati Uniti d’America.

È appena uscito il Consumer Price Index (CPI), il dato utilizzato per stimare l’inflazione negli Stati Uniti d’America. Il destino dei mercati passa dall’inflazione USA e, quindi, dal dato del Consumer Price Index (CPI) pubblicato oggi. In questo articolo, scopriremo cos’è il CPI, perché è importante e analizzeremo gli ultimi dati disponibili.

CPI significato

Tecnicamente, il CPI (Consumer Price Index), o Indice dei Prezzi al Consumo, è un indicatore economico fondamentale che misura quanto sono cambiati i prezzi di beni e servizi che compriamo quotidianamente. In altre parole, il CPI ci dice quanto costa oggi vivere rispetto al passato. 

Il CPI si calcola raccogliendo i dati sui prezzi di un “paniere” rappresentativo di beni e servizi che i consumatori solitamente acquistano. Questo paniere include una varietà di prodotti, come cibo, abbigliamento, alloggio, trasporti, istruzione, assistenza sanitaria e altri beni e servizi comuni. Il Bureau of Labor Statistics (BLS) degli Stati Uniti raccoglie ogni mese i prezzi in 75 aree urbane e li confronta con quelli del periodo precedente.

Perché è importante?

Il CPI è utilizzato per misurare l’inflazione, cioè quanto aumenta il costo della vita. Se il CPI sale, significa che i prezzi stanno aumentando e che, in media, si deve spendere di più per vivere come si faceva prima.

Bitcoin e CPI: come sono legati?

Quando più di un mese fa (30-31 luglio) la FED ha comunicato il mantenimento dei tassi ai livelli di giugno, il prezzo di Bitcoin non ha reagito in modo così netto, perché la decisione era ampiamente prevista. Infatti, il Presidente Jerome Powell ci ha ormai abituato all’atteggiamento cauto definito “wait and see”: “la FED continuerà a monitorare i dati nel rispetto del perseguimento del doppio mandato, cioè occupazione alta e bassa inflazione”. 

Nelle ultime due settimane, però, qualcosa è cambiato: nel suo discorso a Jackson Hole, Jerome Powell ha lasciato intendere che la FED, nelle valutazioni relative alla politica monetaria, darà priorità al contenimento del tasso di disoccupazione piuttosto che al mantenimento della stabilità dei prezzi. 

In questo contesto, l’Indice dei Prezzi al Consumo (CPI) diventa uno strumento essenziale per comprendere l’andamento dell’inflazione e cercare di prevedere il comportamento della banca centrale americana: un CPI stabile o in diminuzione, infatti, potrebbe alzare notevolmente le probabilità – già elevate – di un taglio dei tassi al FOMC del 16-17 settembre. 

L’ultima volta che è successo

L’ultimo CPI di agosto era più basso delle previsioni e invariato rispetto al CPI di luglio, ma i mercati stavano già scontando un Producer Price Index (PPI) mensile particolarmente negativo: i dati mostravano un rialzo dello 0,7% dei prezzi di produzione contro una previsione – sensibilmente più bassa – dello 0,2%. Ciò avrebbe provocato un sell-off che ha portato Bitcoin a perdere più del 10% in una settimana, scendendo a quota 111.000$. 

Nell’ultima settimana, però, Bitcoin ha recuperato terreno (+5% e oltre), passando dai 108.200$ agli attuali 114.000$, sotto la spinta di alcuni eventi positivi. Il più importante, che potrebbe essere la causa del pump del 10 settembre (+2,8% in un giorno), è proprio l’uscita dei dati relativi PPI mensile: -0,1% contro il +0,7% previsto. 

Il motivo dietro queste correlazioni è semplice: il PPI è spesso un indicatore che anticipa il CPI – quindi l’inflazione – poiché i rincari sulla produzione, spesso, vengono trasferiti sul prezzo finale di vendita, dunque sul consumatore. Per converso, un PPI come quello del 10 settembre potrebbe preannunciare un calo dell’inflazione e, di conseguenza, contribuire ad alzare le probabilità del taglio dei tassi da parte del FOMC. E i mercati reagiscono positivamente. Come è andata col CPI di settembre?

Analisi dei dati CPI di settembre 2025

L’11 settembre 2025, il BLS ha pubblicato i dati CPI di agosto a 2025. Secondo il rapporto, il CPI mensile (MoM) è aumentato dello 0,4% rispetto al mese precedente, così come il CPI anno su anno (YoY), in crescita del 2,9%. Questo dato è abbastanza negativo, poiché l’inflazione anno su anno non accenna a diminuire e si allontana sempre di più al target imposto dalla FED, cioè il 2%. Naturalmente, più il target è vicino, più è probabile un futuro taglio dei tassi di interesse.

Cosa significano questi numeri?

Il fatto che il CPI sia aumentato dello 0,4% mese su mese e del 2,9% anno su anno, significa che l’inflazione è in crescita. Tuttavia, quanto accaduto è in linea con le aspettative e conferma le stime: gli analisti si aspettavano un CPI MoM più basso dello 0,1%, mentre avevano previsto un CPI YoY proprio al 2,9% . Resta ancora da capire cosa deciderà la FED riguardo ai tassi di interesse durante la riunione del prossimo FOMC (17-18 settembre).

Dati storici del CPI nel 2025

Ecco com’è andato il CPI nei primi mesi del 2025:

Settembre 2025: 2,9% (previsto 2,9%)
Agosto 2025: 2,7% (previsto 2,7%)
Luglio 2025: 2,7% (previsto 2,7%)
Giugno 2025: 2,4% (previsto 2,5%)
Maggio 2025: 2,3% (previsto 2,4%)
Aprile 2025: 2,4% (previsto 2,5%)
Marzo 2025: 2,8% (previsto 2,9%)
Febbraio 2025: 3% (previsto 2,9%)
Gennaio 2025: 2,9% (previsto 2,9%)

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Riunione BCE settembre 2025: i risultati

Riunione BCE settembre 2025: i risultati

La BCE si è riunita l’11 settembre per decidere le politiche monetarie dell’Eurozona: cosa è successo ai tassi di interesse? Qui i risultati

La riunione della Banca Centrale Europea di giovedì 11 settembre 2025 ha visto i membri del Consiglio Direttivo riunirsi per discutere, tra le altre cose, in merito alle politiche monetarie dell’Eurozona. Sul tavolo, le decisioni relative al taglio dei tassi di interesse, complicate dai recenti annunci di Donald Trump sui dazi. Quali sono i risultati?

Riunione della BCE: qual è il contesto economico?

La sesta riunione della BCE nel 2025 è avvenuta in uno scenario economico profondamente delicato e complicato dai recenti negoziati sui dazi annunciati da Donald Trump nei confronti dell’Unione Europea: i mercati sono in una fase abbastanza stabile ma condizionata dall’incertezza economica. I temi principali hanno riguardato soprattutto la crescita economica, fortemente condizionata dalle tariffe doganali, e l’inflazione, al 2% secondo l’ultima rilevazione. Vediamo nel dettaglio cosa si è deciso.

La BCE mantiene invariati i tassi di interesse

Giovedì 11 settembre, Francoforte. Il Consiglio Direttivo della Banca Centrale Europea ha comunicato la sua decisione in materia di politica monetaria per l’area euro. Come atteso dalla maggioranza degli analisti, la BCE ha deciso di mantenere invariati i suoi tre tassi di interesse chiave. Di conseguenza, il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali resta stabile al 2.15%, così come il tasso sulla marginal lending facility al 2.40% e il tasso sui depositi presso la banca centrale al 2%.

Le motivazioni dietro la scelta

La BCE ha spiegato che la decisione è stata guidata dal fatto che il processo di disinflazione è in linea con le aspettative: come abbiamo anticipato, l’ultima rilevazione ha mostrato un’inflazione nell’area euro attestarsi al 2%, in linea con gli obiettivi fissati dal Consiglio direttivo. L’economia dell’Eurozona ha mostrato resilienza nei confronti dei recenti shock che hanno colpito il mercato globale, anche se l’outlook futuro è ovviamente peggiorato proprio a causa della guerra commerciale e dei dazi

Prospettive Future:

Mantenere i tassi di interesse a un livello basso è una misura di politica economica espansiva che ha l’obiettivo di sostenere la crescita riducendo il costo del denaro: le imprese possono chiedere prestiti più facilmente, producono più ricchezza e l’economia ne beneficia. Quando il denaro costa meno anche i mercati azionari ne traggono vantaggio, dal momento che i tassi bassi stimolano la circolazione del capitale: da un lato le imprese chiedono più facilmente i soldi in prestito, hanno più margine per operazioni finanziarie, acquisizioni ed espansioni. Così incrementano i potenziali guadagni e con essi la probabilità che il prezzo delle azioni salga.

Dall’altro gli investitori si spostano da titoli più stabili ma meno profittevoli, come le obbligazioni, ad asset finanziari più rischiosi con ritorni potenziali più alti. In questa seconda seconda categoria rientrano le azioni e i relativi indici, ma anche le criptovalute.

Con questa riunione, la BCE conferma la traiettoria

La riunione della BCE di settembre 2025 ha decretato il mantenimento dei tassi di interesse ai livelli di luglio. Nonostante il contesto globale fortemente confuso, l’inflazione continua a reggere botta e la Banca Centrale segnala un cauto ottimismo: con questa decisione conferma la sua traiettoria futura. Le settimane che verranno saranno fondamentali per capire se i dati confermeranno lo scenario attuale e quale sarà la prossima mossa dell’Eurotower: la settima riunione di politica monetaria è prevista per il 30 ottobre 2025, presso la Banca d’Italia a Firenze. 

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Occupazione USA: i dati e le reazioni dei mercati

Occupazione USA: i dati e le reazioni dei mercati

Sono usciti i dati sull’occupazione negli Stati Uniti: Non Farm Payrolls e disoccupazione. Come hanno reagito i mercati?

Nella giornata di venerdì 5 settembre il Bureau of Labour Statistics americano ha comunicato i dati relativi all’occupazione. Nello specifico, sono uscite le rilevazioni sui Non Farm Payrolls, cioè i nuovi posti di lavoro creati al netto del settore agricolo, e sul tasso di disoccupazione. Qual è la situazione? Come si sono comportati i mercati e perchè? 

I dati: Non Farm Payrolls e tasso di disoccupazione 

Andiamo subito al sodo: i Non Farm Payrolls sono cresciuti di 22.000 unità, un dato di molto inferiore rispetto alle aspettative che stimavano 75.000 nuovi posti di lavoro, mentre il tasso di disoccupazione sale al 4,3% come previsto. 

Le implicazioni 

Come è noto, il mondo della finanza fremeva dalla voglia di conoscere queste rilevazioni, a causa di ciò che ha detto il Presidente della FED nel suo discorso a Jackson Hole. Sulla base di queste dichiarazioni, la catena logica che guida il comportamento di chi opera in borsa è la seguente: se i dati sui nuovi posti di lavoro creati sono negativi significa che il mercato del lavoro è in difficoltà, quindi il prossimo FOMC del 16-17 settembre deciderà di abbassare i tassi di interesse

Questa opinione era la più popolare fino a qualche ora fa, tanto tra gli addetti ai lavori quanto tra i commentatori e gli osservatori esterni. Adesso, cioè dall’uscita dei dati sul lavoro, sembra praticamente l’unica possibile.

Il FedWatch del CME Group, uno strumento che calcola le probabilità del taglio dei tassi da parte del FOMC sulla base dei prezzi dei futures sui Fed Funds, attualmente dà il No Change allo 0%. Ciò significa che, secondo questo tool, il FOMC nella prossima riunione non dovrà scegliere fra taglio e No Change, ma fra taglio di 25 punti base e taglio di 50 punti base. Per il FedWatch, queste ultime opzioni sono probabili rispettivamente all’88% e al 12%

Anche su Polymarket gli scommettitori si aspettano un esito simile: la probabilità di No Change è data al 2%, il taglio di 25 punti base all’88%, mentre il taglio di 50 punti base al 10%

Come hanno reagito i mercati?

Bene all’inizio, per poi peggiorare nelle ore successive. Proprio per la catena logica menzionata poco fa, era lecito aspettarsi un rialzo: abbassare i tassi di interesse, solitamente, spinge gli investitori verso asset più rischiosi, tra cui azioni e criptovalute. Tuttavia, i timori nei confronti dell’inflazione dirottano i capitali anche verso i beni rifugio, come l’oro e Bitcoin

A proposito, nella giornata odierna – al momento in cui scriviamo – Bitcoin sta mettendo a segno un +0,3% e si aggira nella fascia compresa fra i 111.000$ e i 113.000$, così come Ethereum, che fa leggermente meglio guadagnando lo 0,7%: attualmente oscilla fra i 4.300$ e i 4.500$. Solana segue e sale dell’1,3% fermandosi fra i 205$ e i 209$. Chiudiamo questa sezione con la Total Market Cap, che prima cresce del 2% toccando i 3,85 trilioni di dollari, poi scende a 3,75 T, restando sostanzialmente invariata.  

Passiamo ora al mercato tradizionale, che invece sta attraversando dei momenti un po’ più confusi, probabilmente per paura di una recessione imminente. C’è un po’ di rosso sparso per i principali indici azionari: Il Dow Jones attualmente sta perdendo lo 0,5%, così come il Nasdaq, giù dello 0,3%. Anche l’S&P500 e il Russell 2000 soffrono, in calo rispettivamente dello 0,5% e dello 0,4%

Il DXY, che misura l’andamento del dollaro contro le principali sei valute mondiali, perde lo 0,64% mentre l’oro registra l’ennesimo All Time High: +1,04% e 3.600$ sfiorati

What’s next?

Nei prossimi giorni, con ogni probabilità, assisteremo a un ulteriore attacco di Donald Trump nei confronti di Jerome Powell: il Presidente degli Stati Uniti attribuirà tutte le colpe del caso alla FED, accusando la banca centrale degli USA di essere troppo lenta nell’abbassare il costo del denaro. 
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Mercosur: dall’UE via libera all’Accordo

Mercosur: dall'UE via libera all'Accordo

Mercosur e Unione Europea sono sempre più vicini a stipulare un partenariato strategico dopo 25 anni di trattative. Cosa significa tutto ciò?

Mercosur e Unione Europea potrebbero essere a un passo dal firmare un accordo commerciale definito dalla stessa Commissione europea come “la maggiore intesa di libero commercio mai siglata”. L’accordo UE-Mercosur, infatti, coinvolge paesi che rappresentano circa 20 trilioni di dollari di PIL e 700 milioni di consumatori. Di cosa si tratta? 

Mercosur: cos’é? 

Il MercosurMercado Común del Sur – è un’organizzazione istituita nel 1991 col Trattato di Asunciòn, che ha lo scopo di “promuovere uno spazio comune che generi opportunità di business e investimento attraverso l’integrazione competitiva delle economie nazionali nel mercato internazionale”. I membri a pieno titolo sono il Brasile, l’Argentina, il Paraguay, l’Uruguay e il Venezuela – quest’ultimo sospeso nel 2016 per pratiche antidemocratiche – mentre la Bolivia è in fase di adesione come quinto membro a pieno titolo. Ci sono poi i membri associati, privilegiati ma esterni al blocco, come il Cile, la Colombia, l’Ecuador e il Perù. 

Il Mercosur è quindi un mercato comune che ha l’obiettivo di aumentare gli scambi commerciali di beni e servizi e il libero movimento delle persone sia a livello regionale, cioè fra i vari paesi del Sud America, sia a livello internazionale, attraverso accordi con altri blocchi – come quello con l’Unione Europea. Affinché ciò si realizzi, col Mercosur i paesi membri lavorano per ridurre reciprocamente le barriere doganali favorendo, in questo modo, l’integrazione economica. 

Per dare un paio di dati al volo, il blocco del Mercosur, nel 2023, ha generato un volume di 447 miliardi di dollari per l’export e di 357 miliardi per l’import, equivalente al 10,9% del commercio internazionale – con questi numeri si fa riferimento sia agli scambi interni, quindi tra membri del blocco, sia esteri. 

Accordo UE-Mercosur: cosa prevede?

I negoziati tra UE e Mercosur vanno avanti da circa 25 anni, con un susseguirsi di momenti di tensione e distensione. Finalmente, il 6 dicembre 2024 a Montevideo, in Uruguay, i vertici dell’Unione Europea riescono a trovare un’intesa coi paesi del blocco sudamericano: questo mercoledì la Commissione europea ha presentato i trattati che definiranno l’accordo commerciale raggiunto, compiendo un ulteriore passo avanti verso l’ufficializzazione.

L’accordo è frutto della volontà di abbattere gli ostacoli commerciali, assicurare un accesso responsabile ed eco-compatibile a materie prime – con un occhio di riguardo alla deforestazione dell’Amazzonia – e lanciare un chiaro messaggio a favore del commercio internazionale regolamentato e contro ogni forma di protezionismo

Nello specifico, l’intesa si basa su un principio di reciprocità: l’industria europea con auto, macchinari, alcolici in primis, guadagnerà un maggiore accesso al mercato del Mercosur, che a sua volta potrà esportare più facilmente in Europa i suoi prodotti agroalimentari, tra cui carne, zucchero, caffè e soia. Quest’ultimo punto, in particolare, ha causato qualche malumore tra le imprese della filiera agroalimentare francesi, polacche e, in parte, anche italiane. 

Il timore principale, infatti, è relativo alla concorrenza sleale: i paesi sudamericani dispongono di normative ambientali e alimentari più permissive rispetto a quelle previste dall’UE, che permettono l’uso di antibiotici, pesticidi e ormoni vietati nel Vecchio Continente.  

In ogni caso, si parla di un graduale allentamento delle tariffe doganali sul 90% dei beni scambiati tra i due blocchi, di canali preferenziali per le imprese europee e sudamericane, le quali avrebbero un maggiore accesso agli appalti e alla possibilità di investire. Il risultato finale, in base a quanto dichiarato dalla Commissione Europea, determinerà un incremento dell’export dell’Unione Europea verso il Mercosur pari al 39% con un aumento occupazionale stimato di 440.000 posti di lavoro

Ma non c’è ancora nulla di ufficiale

L’accordo UE-Mercosur, come anticipato, non è ancora ufficiale ma rappresenta una fase fondamentale nel processo di avvicinamento tra i due blocchi commerciali, che devono tutelarsi dai costosi dazi trumpiani

Si tratta di un accordo commerciale ad interim, cioè provvisorio, che non necessita dell’approvazione dei 27 stati membri ma solamente della ratifica della maggioranza qualificata del Consiglio UE – quindi di almeno 15 paesi su 27 (il 55%) i quali devono rappresentare almeno il 65% della popolazione. 

È l’inizio di una fruttuosa collaborazione fra due continenti? Oppure questo accordo si tradurrà in un nulla di fatto? Noi, naturalmente, seguiremo l’evoluzione della situazione. Tu, nel mentre, iscriviti al nostro canale Telegram per non perdere gli aggiornamenti o a Young Platform cliccando qui sotto!

Cosa ha detto Jerome Powell a Jackson Hole?

Cosa ha detto Jerome Powell a Jackson Hole?

Questa settimana nel Wyoming, USA, avrà luogo una delle conferenze più Perché il discorso del Presidente della FED è stato interpretato positivamente dai mercati? Che significa che ha “aperto a un taglio dei tassi”?

Il discorso di venerdì 22 del Presidente della FED Jerome Powell ha riportato euforia tra gli investitori, generando forti rialzi un po’ ovunque. In questo articolo vedremo brevemente il perché di questo entusiasmo e daremo un’occhiata alle reazioni dei mercati.

Il discorso di Powell in breve

Al Jackson Hole Economic Symposium, tenutosi dal 21 al 23 agosto nello stato del Wyoming, USA, il Presidente della FED Jerome Powell, nel suo intervento di circa venti minuti, ha toccato tre temi principali.

In primo luogo, ha descritto lo stato attuale dell’economia americana, definendola resiliente nonostante il rallentamento di PIL e occupazione, con un’inflazione elevata ma in progressivo calo. Ha, inoltre, evidenziato una dinamica “curiosa che sta caratterizzando il mercato del lavoro: questo rimarrebbe stabile nonostante i recenti dati, con una disoccupazione al 4,2%, perché sarebbe in atto un rallentamento tanto dell’offerta quanto della domanda. In parole semplici, ci sarebbero meno assunzioni sia perché le imprese offrono meno posti, sia perché diminuisce il numero di persone in cerca di lavoro – a causa, soprattutto, di un brusco calo dell’immigrazione. 

In secondo luogo, ha illustrato le modifiche al quadro di politica monetaria della Fed, pensate per renderlo più flessibile e adatto a diversi scenari economici. Ciò ha segnato un distacco dall’impostazione precedente, centrata soprattutto sui rischi legati ai tassi prossimi allo zero. Questo significa che, secondo Powell, è necessario un cambio netto rispetto al paradigma vigente dal periodo successivo alla crisi del 2008: se prima la preoccupazione era relativa ai tassi di interesse troppo bassi – ai tempi della crisi, negli USA, l’inflazione era molto bassa e i tassi di interesse vicini allo zero – adesso il mondo è cambiato. È quindi fondamentale essere reattivi e adattarsi agli eventi che, come ha dimostrato la pandemia del 2020, possono causare cambiamenti repentini.

Terzo, ha ribadito che la banca centrale manterrà un approccio equilibrato nel perseguire il duplice obiettivo di piena occupazione e stabilità dei prezzi, in particolare quando questi due traguardi risultano in tensione. In chiusura, Powell ha sottolineato che la politica monetaria non seguirà un percorso prestabilito, ma sarà guidata dai dati e dalla valutazione complessiva dei rischi – il classico wait and see.

Il passaggio chiave

Un punto in particolare del discorso ha catturato l’attenzione degli analisti e degli investitori: “nel breve termine”, dice Powell, “i rischi per l’inflazione sono orientati al rialzo e i rischi per l’occupazione al ribasso: una situazione difficile. Quando i nostri obiettivi sono in tensione come in questo caso, il nostro quadro di riferimento ci chiede di bilanciare entrambi i lati del nostro doppio mandato”. 

Il numero uno della FED ha poi riferito che “il nostro tasso di riferimento è ora 100 punti base più vicino al livello neutro – il tasso d’interesse teorico che non stimola né rallenta l’economia – rispetto a un anno fa e la stabilità del tasso di disoccupazione e di altre misure del mercato del lavoro ci consente di procedere con cautela mentre consideriamo i cambiamenti alla nostra posizione di politica monetaria”. 

Poi la frase cruciale: “Ciononostante, con una politica in territorio restrittivo, le prospettive di base e il mutato equilibrio dei rischi potrebbero giustificare un aggiustamento della nostra posizione di politica”. 

Cosa vogliono dire, nel concreto, queste dichiarazioni? Molto semplicemente che, attualmente, l’inflazione potrebbe aumentare e, al contrario, l’occupazione diminuire. Il punto fondamentale, stando alle parole di Powell, risiede nell’espressione “mutato equilibrio dei rischi”: se, un anno fa, la preoccupazione principale era un’inflazione fuori controllo, oggi mantenere un tasso di disoccupazione a livelli bassi diventa la priorità.  

Dunque, potrebbe essere necessario concentrarsi sul mercato del lavoro piuttosto che sul rialzo dei prezzi: mantenere i tassi ai livelli odierni, infatti, potrebbe soffocare ancora di più un’economia già in forte rallentamento. È, perciò, di vitale importanza scongiurare i rischi di una recessione. Come? Abbassando i tassi di interesse. Boom, mercati in estasi. 

Le reazioni dei mercati

Come anticipato, i mercati hanno reagito in modo marcatamente positivo alle parole di Powell: per quanto già ci si aspettasse almeno un taglio nell’ultimo trimestre del 2025, le dichiarazioni al Jackson Hole Economic Symposium hanno dato qualche sicurezza in più.

Vediamo nel dettaglio come ha reagito la Borsa nella giornata di venerdì 22 agosto: il Dow Jones e il Nasdaq hanno guadagnato l’1,7%, mentre l’S&P500 è cresciuto dell’1,5%. Altra storia se parliamo del Russell 2000 – indice che raggruppa le 2.000 aziende statunitensi a minore capitalizzazione — che ha registrato un aumento di quasi il 3,5%. Se invece guardiamo le singole azioni, Tesla ha messo a segno un interessante +5,8%, Nvidia il 3% e Amazon il 2,7%

Per concludere, il dollaro USA: a causa delle future pressioni inflazionistiche, la valuta statunitense ha perso terreno contro le principali valute mondiali. Il DXY, che misura il valore del dollaro statunitense rispetto a un paniere di sei valute principali (euro, yen, sterlina, dollaro canadese, corona svedese e franco svizzero), ha perso lo 0,9% in una sola seduta. 

Mercato Crypto

Dopo le dichiarazioni di Jackson Hole, Bitcoin ha guadagnato il 4% arrivando a toccare i 117.000$– anche se ad oggi è tornato sui 111.000$. Ethereum, invece, continua a macinare record: dopo aver guadagnato più del 15% in un solo giorno, ETH ha sfruttato la spinta per attaccare la resistenza dei 5.000$ e mettere a segno l’All Time High a 4.950$ nella giornata di domenica, per poi ritracciare leggermente – al momento in cui scriviamo viaggia sui 4.620$. Grandi performance anche per Solana, che da venerdì a domenica passa dai 180$ ai 212$, registrando un +17,7%.

What’s next?

Moltissimi esperti ritengono iper probabile almeno un taglio dei tassi prima della fine del 2025, proprio perché l’interpretazione che abbiamo dato qui sopra è quella più accreditata. Anche gli utenti di Polymarket sembrano condividere: il 78% degli scommettitori ha puntato sul taglio di 25 punti base a settembre, contro il 17% che ha votato “no change”. Aspettiamo la prossima riunione prevista per il 16-17 settembre prossimi. 
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Perché il prezzo del pane aumenta?

Perché il prezzo del pane aumenta?

Il prezzo del pane è lievitato negli ultimi anni: un chilo, in Italia, costa mediamente il 33% in più rispetto al 2021. Per quale motivo?

Il pane comune, essendo un bene di prima necessità, in Italia è sottoposto a una tassazione super-ridotta, con l’IVA al 4%. Nonostante ciò, negli ultimi anni abbiamo assistito a un rialzo sul prezzo euro/chilo che ha avuto effetti netti sulla spesa media delle famiglie italiane. Quali sono le ragioni dietro questo aumento? 

Il prezzo del pane in Italia: la differenza fra Nord, Centro, Sud e Isole

Il prezzo del pane, come quello di molti beni di consumo, cambia di in base alla parte della Penisola in cui ci troviamo, a causa delle differenze relative al costo della vita: nel Nord Italia vivere costa mediamente di più rispetto al Sud, anche se poi esistono variazioni di carattere regionale e persino cittadino. 

Per capire quanto effettivamente sia cresciuto il prezzo di un chilo di pane, abbiamo analizzato i cambiamenti dal 2021 al 2025 – forniti dall’Osservatorio Prezzi del Ministero delle Imprese e del Made in Italy – prendendo in considerazione le due città più rilevanti dell’area geografica in questione: Milano e Torino per il Nord, Roma e Firenze per il Centro, Napoli e Bari per il Sud e Palermo e Cagliari per le Isole. 

Nord Italia

Nel giugno del 2021, a Torino e a Milano un chilo di pane costava rispettivamente 3,03€ e 4,20€, mentre nel giugno del 2025 erano necessari 3,98€ e 4,93€. Ciò equivale a un aumento del prezzo medio del 31,35% a Torino e del 17,38% a Milano. Nel complesso, se volessimo utilizzare queste due città per fotografare i cambiamenti nel Nord Italia, il prezzo del pane in questa area è salito del 23,24%

Centro Italia 

Per il Centro, come anticipato, abbiamo preso in considerazione le città di Firenze e Roma: nel giugno del 2021, un chilo di pane costava 2,22€ nel capoluogo toscano e 2,65€ nella Capitale. Cinque anni dopo, la stessa quantità viene esposta, nell’ordine, al prezzo di 3,33€ e 3,41€. La città di Dante ha visto un rialzo mostruoso, pari al 50%, mentre l’Urbe se l’è cavata un po’ meglio, con aumenti del 28,68%. Complessivamente, nel Centro Italia un chilo di pane costa il 38,40% in più rispetto al 2021. 

Sud Italia

Nel Sud il costo della vita è tendenzialmente più basso: un’indagine del 2024 del Codacons ha classificato Napoli come la città più economica d’Italia (e Bari la più costosa del Sud). In ogni caso, nel giugno del 2021 a Napoli il pane costava 1,88€/kg contro i 2,90€ di Bari. Nel 2025, invece, si parla di 2,42€ e 4€. Siamo dunque di fronte ad aumenti pari al 28,72% nel primo caso e 37,93% nel secondo, mentre a livello globale il rincaro ammonta al 34,31%

Isole

Nonostante finora abbiamo utilizzato le due città più popolose dell’area geografica in questione per descrivere i cambiamenti di prezzo, per le Isole abbiamo fatto un’eccezione: Cagliari infatti possiede meno abitanti di altre città siciliane, come Catania o Messina, ma era necessario rappresentare la Sardegna. Ma andiamo avanti.

A Palermo nel 2021 un chilo di pane veniva venduto a un prezzo medio di 2,96€, mentre a Cagliari la cifra si attestava sui 3,12€. Nel giugno del 2025, per la stessa quantità i siciliani dovevano spendere 4,4€ e i sardi 4,11€. Si tratta di rialzi del 48,65% e del 31,73%. In generale, nelle Isole si spende il 39,97% in più rispetto a quattro anni fa.  

Quali sono le cause?

Come è ovvio, non esiste un’unica causa dietro a un rincaro così importante. Si tratta di una serie di fattori interconnessi che vanno a impattare, in modo diretto e indiretto, la produzione del grano duro, fondamentale per la panificazione.

Cambiamento climatico tra siccità e alluvioni

Per esempio, il cambiamento climatico agisce direttamente sulla produzione del cereale, dal momento che i raccolti dipendono soprattutto dalla qualità del clima: siccità o, al contrario, alluvioni più frequenti e devastanti, hanno un impatto notevole sulla quantità di grano che la terra può produrre. Meno grano a disposizione si traduce in un rialzo dei prezzi, come vuole la legge della domanda e dell’offerta

Guerra in Ucraina: impatto diretto e indiretto

Anche la guerra in Ucraina, iniziata nel 2022 in seguito all’invasione russa, ha un ruolo di primo piano nell’aumento dei prezzi, per motivi diretti e indiretti.

L’Ucraina, infatti, è chiamata il “granaio d’Europa” proprio grazie al suo ruolo storico di esportatrice di prodotti agricoli, in particolare cereali. Allo stesso modo, la Russia produce grandissime quantità di cereali, che poi vende al resto del mondo. È chiaro, perciò, come un conflitto così totalizzante e prolungato nel tempo abbia una responsabilità diretta sulla riduzione delle tonnellate di grano raccolto. 

Questa guerra, però, ha influenzato il costo del grano anche in modo indiretto, colpendo il settore energetico, elemento chiave nella produzione agricola. Con l’inizio degli scontri e l’affrancamento dell’Unione Europea dal gas russo, il prezzo dell’energia è salito in modo quasi incontrollato. Quando l’energia costa di più, crescono di conseguenza i costi di trasporto, marittimo e su gomma, e di produzione, fra macchine agricole e forni. Chi paga questi incrementi di prezzo? Il consumatore finale.

Ma alla fine si parla sempre di inflazione 

Eh si, si torna sempre alla nemica numero uno dei nostri risparmi: se il consumatore spende di più per comprare la stessa quantità di un bene, significa che il denaro vale di meno rispetto al passato  – nel caso che abbiamo appena analizzato, il 33% in meno. 

Purtroppo non finisce qui, perché l’inflazione, oltre ad agire in modo diretto sui prezzi, presenta anche degli effetti collaterali. Cosa significa? Molto semplicemente potremmo parafrasare il famoso detto “vincere aiuta a vincere” con la nostra originale versione l’inflazione aiuta l’inflazione: se il costo di un bene aumenta a causa di fattori come quelli precedentemente descritti, è molto probabile che produca delle conseguenze anche su beni che, in realtà, non avrebbero ragione di crescere di prezzo.   

Banalmente, quanto detto vuol dire che, da una parte c’è un fornaio obbligato ad alzare il prezzo del pane, poiché a monte paga di più il grano stesso e l’energia per mandare avanti l’azienda. Ma dall’altra, potrebbe esserci un dentista – esempio casuale, amiamo i dentisti – che aumenta di un tot% la fattura perché ha bisogno di più soldi per vivere (tutto costa di più) o perché… tanto lo fanno tutti. Si instaura un circolo vizioso che, nel tempo, è destinato a diventare la normalità: una tazzina di caffè al bar, che prima costava 1€, adesso vale 1,20€. Pensi che torneremo al prezzo di qualche anno fa? No, non ci torneremo mai. Anzi, l’obiettivo sarà evitare che arrivi a 1,50€ troppo in fretta.

Una soluzione necessaria

Dobbiamo proteggerci e trovare una soluzione per impedire che l’inflazione eroda lentamente e inesorabilmente il nostro denaro. Come? A noi, per esempio, piace molto Bitcoin. Siamo talmente convinti di questa scelta che ci abbiamo costruito sopra una campagna dal titolo “Bitcoin Protegge”. Magari ci hai visto nelle principali spiagge italiane, dalla costiera amalfitana alla riviera romagnola. 
Siamo arrivati alla fine di questo mini viaggio alla scoperta dell’economia del pane: ti eri accorta/o di questa situazione? O hai preso consapevolezza della realtà leggendoci? In ogni caso, seguici sul nostro canale Telegram per restare aggiornata/o sulle notizie che contano, dall’economia alla geopolitica, con un occhio sempre attento sui mercati.