Elon Musk e Donald Trump, una volta amiconi, ora si scannano a suon di tweet al vetriolo. Cosa è successo tra i due? Come hanno reagito i mercati?
Che succede tra Elon Musk e Donald Trump? In questo articolo ricostruiremo gli eventi degli ultimi giorni che hanno portato il Tony Stark sudafricano e il 47esimo Presidente degli Stati Uniti dall’essere inseparabili come pizza e birra a scontrarsi senza esclusione di colpi. Ci occuperemo anche della reazione dei mercati, influenzati da questa rottura. Partiamo!
Una rottura (quasi) improvvisa
Ciò che sta succedendo nelle ultime ore tra Elon Musk e Donald Trump, un botta e risposta via social dal sapore neanche troppo velatamente trash, sta catalizzando l’attenzione dei media di tutto il mondo a causa del suo carattere tanto violento quanto inaspettato. Per molti questo dissing è un fulmine a ciel sereno, un colpo di scena tale da tenerti incollato coi popcorn su X ad aggiornare in attesa di nuovi tweet. E non senza ragione: il ricordo di un Elon Musk con gli occhi a cuore per Donald Trump, sia in campagna elettorale che nei primi cinque mesi di mandato, è ancora vivo nella nostra mente.
Il patron di Tesla infatti, nei mesi precedenti alle elezioni presidenziali, ha supportato il candidato repubblicano a botte di donazioni – circa 300 milioni di dollari secondo le stime – e di endorsement divisi fra interviste e post su X. Anche durante i primi mesi di mandato, Musk ha partecipato attivamente all’amministrazione Trump istituendo il DOGE (Department of Government Efficiency), un apparato finalizzato alla riduzione degli sprechi pubblici e all’efficientamento della macchina governativa. Il 7 febbraio, poi, il Tony Stark dei tempi nostri pubblicava questo tweet: “Amo @realDonaldTrump tanto quanto un uomo etero può amare un altro uomo”. Insomma, non proprio la cronaca di una morte annunciata, per citare García Márquez. Tuttavia, in questo rapporto idilliaco già emergevano le prime ostilità.
I primi scricchiolii: Elon Musk non è troppo d’accordo sui dazi trumpiani
Il 2 aprile, nel giorno trionfalmente definito “Liberation Day”, Donald Trump annuncia al mondo i dazi doganali. Ma Elon Musk è un tecno-capitalista, avverso alla burocrazia e forte sostenitore del libero mercato: già il 5 aprile, in occasione del Congresso della Lega a Firenze, in collegamento video con un Matteo Salvini visibilmente emozionato, aveva affermato di sperare in una partnership commerciale molto stretta fra Stati Uniti ed Europa, fondata su una “situazione di zero dazi nel futuro, verso una zona di libero scambio”.
Qualche giorno dopo, l’8 aprile, aveva attaccato frontalmente Peter Navarro, principale consulente commerciale di Donald Trump nonché mente strategica dietro i dazi globali e la guerra commerciale con la Cina: “Navarro è davvero un idiota. Quello che dice qui è dimostrabilmente falso”, in riferimento ad alcune sue dichiarazioni relative a Tesla. Che poi, per fare una piccola parentesi, il dottor Musk potrebbe non avere tutti i torti, dal momento che Navarro ha giustificato la necessità di una trade war contro la Cina citando Ron Vara, un economista che non esiste. Come lo sappiamo? Perché Ron Vara è l’anagramma di Navarro, si auto-citava. Ma torniamo a noi. Il 22 aprile, in occasione della conferenza per le trimestrali di Tesla, Elon Musk ha dichiarato che, secondo lui, tariffe doganali più basse, così come il libero scambio delle merci, “sono generalmente una buona idea”. Nello stesso intervento, poi, ha comunicato agli investitori che avrebbe lasciato il DOGE a maggio.
L’inizio dello scontro: il One Big Beautiful Bill Act
Il casus belli, la goccia che ha fatto traboccare il vaso, sarebbe legato al giudizio di Elon Musk – cioè “disgustoso abominio” – nei confronti del One Big Beautiful Bill Act (OBBBA), un’imponente legge che mira a estendere i tagli fiscali del primo mandato Trump e che aggiungerebbe, in dieci anni, circa 3.000 miliardi (3 trilioni) di dollari al debito pubblico americano, già spaventosamente alto (circa 36,4 trilioni di dollari). Questa incredibile quantità di denaro verrebbe recuperata tagliando i finanziamenti al welfare, all’istruzione e ai programmi di protezione ambientale contenuti nell’Inflaction Reduction Act di Joe Biden. Quest’ultimo punto è interessante, dato che andrebbe a penalizzare in primis Tesla eliminando i sussidi ai veicoli elettrici – circa 7.500$ a macchina – che Musk, però, sembra trascurare.
Il giorno caldo è giovedì 5 giugno. Donald Trump ospita il cancelliere tedesco Friedrich Mertz nello Studio Ovale della Casa Bianca e si definisce “molto deluso” da Elon Musk, aggiungendo che avevano “un bel rapporto” che non si sa se continuerà. Inizia la pioggia di tweet.
Musk risponde “Pazienza” e fa notare che senza di lui non avrebbe vinto le elezioni, “quanta ingratitudine”, commenta. Trump risponde affermando di averlo cacciato dall’incarico amministrativo e conclude il post con “è IMPAZZITO!”. Minaccia poi di cancellare i contratti governativi a Musk, fondamentali per aziende come SpaceX, come risposta alle critiche. Musk risponde in modo altrettanto duro e chiede l’impeachment– un’accusa formale a un alto funzionario pubblico, in questo caso Trump, finalizzata alla sua rimozione – e posta un altro tweet devastante: “È il momento di sganciare la vera bomba: @realDonaldTrump è nei file su Epstein. Questa è la vera ragione per cui non sono stati resi pubblici”.
Adesso, il “peggio” sembra passato e, apparentemente, i due sembrano intenzionati a seppellire l’ascia di guerra. Nella mattinata italiana di venerdì 6 giugno, dalla Casa Bianca hanno fatto sapere che Mimì e Cocò avrebbero organizzato una telefonata di riconciliazione per chiarire quanto accaduto. Inoltre Bill Ackman, noto gestore di hedge fund americano, in un tweet ha suggerito ai due di “fare pace per il bene del Paese”. Elon Musk ha risposto con un secco “Non hai torto”.
Come hanno reagito i mercati allo scontro tra Elon Musk e Donald Trump?
La grande osservata è naturalmente Tesla, sia perché ormai viene considerata l’estensione di Elon Musk sia perché, come abbiamo visto prima, il suo futuro è direttamente collegato alle politiche anti-ambientaliste di Donald Trump. Nella giornata di giovedì 5 giugno, infatti, il colosso americano delle auto elettriche è arrivato a perdere più del 15% in una sola seduta, passando dai 322,7$ ad azione ai 272,4$, per poi recuperare leggermente e attestarsi – al momento in cui scriviamo – sui 292,5$. Allo stesso modo l’S&P500, che contiene Tesla all’interno del paniere, lo stesso giorno è sceso di circa 1,3 punti percentuali, ma già nella giornata di venerdì 6 ha assorbito la perdita finendo addirittura in territorio positivo (+0,3% rispetto al bottom toccato giovedì). Lo stesso pattern si ripete un po’ per tutti i principali indici americani.
Nel mercato delle criptovalute la situazione è un po’ più complessa, dato che Elon Musk e Donald Trump insieme erano considerati un po’ i crypto brothers o comunque celebrità crypto-friendly, come testimoniato dall’accordo tra Fidelity e World Liberty Finance e dall’associazione sempre più solida Musk-Dogecoin – ricordiamoci che nel governo USA esiste un apparato che si chiama letteralmente DOGE. In ogni caso, durante la scaramuccia social, Bitcoin ha perso più del 4% ma ha subito colmato il gap una volta toccato il supporto dei 100k, ritornando sulla soglia dei 104.500$. Discorso diverso per Ethereum che, dopo aver perso l’8,4% circa nella giornata di giovedì, è riuscita a riprendere solo metà di quanto perso, fermandosi intorno ai 2.500$. Invece, Solana ha replicato i movimenti di BTC poiché è scesa dai 153,2$ ai 141$, per poi tornare alla quota attuale di 151,7$. In ultimo, bella botta per il token del POTUS, TRUMP, che ha messo a segno un -13,7% giovedì, tentando il recupero disperato il giorno successivo, senza successo – poco più del 2%. Per concludere, gli eventi di giovedì 6 hanno fatto uscire circa 20 miliardi dal mercato, con la Total Market Cap che scende dai 3,24 trilioni di dollari ai 3,22 toccando, però, la cifra di 3,1 trilioni.
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