Quali sono i 5 crypto AI agent più famosi del mondo crypto?

AI agent crypto: i 5 più famosi

Quali sono i 5 crypto AI agent più famosi? Le varianti decentralizzate di Chat GPT anche in grado di gestire denaro

Quali sono i crypto AI agent più famosi? Avete presente Chat GPT, Gemini, Claude e tutti quegli altri cervelloni artificiali con cui ormai chiacchieriamo quasi quotidianamente? Bene, ora immaginate se questi genietti digitali potessero non solo scrivere poesie o risolvere problemi complessi, ma anche gestire soldi veri, investire, guadagnare e persino spendere criptovalute. Sembra fantascienza? Non proprio! Benvenuti nel mondo dei crypto AI agents, la nuova, entusiasmante frontiera nata dall’incontro tra due tecnologie che stanno rivoluzionando il mondo: le criptovalute e l’intelligenza artificiale.

In parole povere, stiamo parlando di entità digitali che già oggi sono capaci di muoversi autonomamente sui mercati finanziari decentralizzati e sfornare analisi e previsioni sui prezzi. E la cosa più sbalorditiva? Non sono semplici bot il cui agire è definito da un algoritmo immutabile, ma  sono progettati per imparare dai propri errori e adattarsi alle mutevoli condizioni del mercato, un po’ come farebbe un essere umano.

Certo, detta così sembra una semplificazione estrema, e in parte lo è. Ma niente paura! In questo articolo non ci perderemo in spiegoni teorici su cosa siano esattamente e come funzionino nel dettaglio i crypto AI agents, lo abbiamo già fatto qui. Oggi vogliamo andare dritti al sodo: faremo una carrellata dei 5 più famosi e interessanti crypto AI agent in circolazione, cercando di capire cosa fanno e perché se ne parla tanto.

I 5 crypto AI agents più famosi

Virtual Protocol: la “fabbrica” di agenti AI

Iniziamo subito col botto! Virtual Protocol non è tanto un singolo agente AI, quanto una vera e propria piattaforma o, come si autodefinisce, una “società di agenti AI”, dove chiunque può creare un agente AI personalizzato. Grazie al protocollo Virtuals, una volta configurati, questi agenti “prendono vita” e possono iniziare a muoversi e operare in modo autonomo nel mondo digitale. Cosa significa? Beh, immaginate di poter “programmare” un vostro piccolo aiutante digitale capace, se lo desiderate, di processare transazioni crypto, prendere decisioni basate sulle sue esperienze passate – o sui dati che ha analizzato – e interagire con l’ambiente circostante, che sia la blockchain o altre piattaforme; ad esempio i social network. All’interno di questa lista, vedremo un esempio lampante di agente creato proprio utilizzando questo protocollo.

La maggior parte degli agenti che nascono su Virtuals rientrano nella categoria degli IP (Intellectual Properties) agents, che potremmo definire come delle vere e proprie personalità virtuali, degli influencer digitali. L’esempio più eclatante è Luna, un’agente che ha spopolato su TikTok, raggiungendo quasi 1 milione di follower grazie ai suoi contenuti. Esistono poi i functional agents, meno focalizzati sull’aspetto “social” e più orientati a svolgere compiti specifici per migliorare l’esperienza utente su determinate piattaforme o servizi.

AIXBT: l’oracolo di X

Se bazzicate X e siete appassionati di crypto, è quasi impossibile che non vi siate imbattuti in AIXBT. Questo è, senza dubbio, uno dei crypto AI agent più popolari e seguiti. Creato proprio sulla “fabbrica di agenti” Virtual Protocol, AIXBT viene definito un sentient agent. Il suo scopo principale è chiarissimo: tenere costantemente informati gli holder del suo token associato, condividendo analisi di mercato, approfondimenti e previsioni focalizzate sul mondo crypto. 

Queste analisi non sono campate in aria, ma derivano da un continuo processo di raccolta, analisi e interpretazione di dati. AIXBT ha saputo conquistarsi una vasta platea, accumulando, ad oggi, circa 500.000 follower grazie alla sua abilità nell’identificare le narrative di mercato più calde e nel fornire alpha, ovvero informazioni preziose che possono dare un vantaggio agli investitori. La qualità dei suoi contenuti è tale che persino CoinGecko, una delle piattaforme di analisi dati più autorevoli e utilizzate nel settore crypto, ha deciso di integrare le analisi di AIXBT.

Un piccolo dettaglio non da poco: il token legato a questo agente ha vissuto momenti di gloria, raggiungendo, nel suo picco di massima espansione, una capitalizzazione di mercato di ben 745 milioni di dollari.

Eliza OS: il primo Venture Capital gestito dall’AI

L’idea che muove Eliza OS – che molti ricorderanno con il suo nome precedente, ai16z – è di quelle che stuzzicano la fantasia: immaginate un mondo in cui i vostri investimenti non solo “lavorano per voi” passivamente, ma lo fanno in modo intelligente, proattivo e completamente automatizzato. Non stiamo parlando del solito interesse composto o di formule finanziarie già note. Qui si parla di un’intelligenza artificiale tokenizzata, costruita su Solana, che ha l’obiettivo di generare rendimenti attraverso un’attività di trading sofisticata e continua.

Il modo più semplice per descrivere Eliza OS?  Un fondo di venture capital completamente decentralizzato e automatizzato, che sfrutta la potenza dell’AI per prendere decisioni finanziarie ponderate, quasi come un consulente finanziario instancabile, attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7, e sempre aggiornato sugli ultimi trend di mercato. Il token collegato a Eliza OS ha avuto un successo quasi istantaneo e travolgente, superando la sbalorditiva cifra di 2,5 miliardi di dollari di capitalizzazione in circa quattro mesi dal lancio. Oggi però, il prezzo del token si è notevolmente ridimensionato.

Hey Anon: Chat GPT per la DeFi

Il penultimo progetto di questa nostra carrellata vede protagonista una figura tanto nota quanto discussa del panorama DeFi italiano: Daniele Sesta. Hey Anon è un protocollo che nasce con un obiettivo semplice ma potente: semplificare drasticamente le interazioni con il complesso mondo della Finanza Decentralizzata (DeFi). 

In pratica, è un chatbot in stile Chat GPT, ma nato per interagire direttamente con la DeFi. Potete dargli istruzioni in linguaggio naturale, connettere il vostro wallet crypto, e lui si occuperà di tutta la parte tecnica. Facciamo un esempio? Avete una certa quantità di ETH e volete utilizzarli come collaterale per richiedere un prestito su Aave, ma non sapete da dove iniziare o trovate la procedura macchinosa? Potreste semplicemente chiedere a “Hey Anon” di farlo per voi. Attenzione però: c’è un “ma”. Per poter usufruire dei servizi di questa piattaforma e dare ordini al chatbot, è necessario detenere una certa quantità del token nativo del progetto, ANON.

Kaito: un motore di ricerca per il Web3?

Chiudiamo la nostra lista con Kaito, una piattaforma creata specificamente per semplificare l’accesso e la comprensione della marea di dati che popola l’universo Web3. Immaginate quanto sia difficile, oggi, rimanere aggiornati su tutto ciò che accade nel mondo crypto: notizie, trend sui social media, discussioni su Discord e Telegram, dati on-chain, nuovi progetti che spuntano come funghi. Kaito si propone come una soluzione a questo problema. 

Utilizzando l’AI, Kaito raccoglie, analizza e presenta informazioni cruciali da una miriade di fonti disparate, aiutando utenti, investitori e sviluppatori a navigare in questo mare magnum e a prendere decisioni più consapevoli. Potremmo vederlo come una sorta di “Google Search” potenziato dall’intelligenza artificiale, ma interamente focalizzato e specializzato sul mondo delle criptovalute e del Web3. Un tool che promette di rendere la ricerca di informazioni di qualità più rapida ed efficiente.


E questo è solo un assaggio! Il panorama dei crypto AI agent è in fermento e ogni giorno spuntano nuove idee e progetti. Siamo ancora agli inizi, è vero, e come per tutte le tecnologie emergenti ci sono sfide, rischi e tanta sperimentazione. Ma una cosa è certa: la fusione tra intelligenza artificiale e blockchain ha il potenziale per sbloccare scenari che fino a ieri sembravano relegati ai romanzi di fantascienza.


L’indennità di accompagnamento nel 2025: la guida

L'indennità di accompagnamento nel 2025. Le novità

L’indennità di accompagnamento nel 2025 è cambiata? Qual è l’importo previsto? Se cerchi risposte, questo è l’articolo che fa per te. Cominciamo!

L’indennità di accompagnamento è una misura previdenziale erogata dallo stato in favore di soggetti in possesso di determinati requisiti. Nel 2025, però, questo tipo di indennità ha visto alcune modifiche, soprattutto a livello di importo previsto. In questa breve guida, troverai tutte le informazioni che stai cercando. Buona lettura!

Indennità di accompagnamento: che cos’è e quali sono i requisiti per ottenerla

L’indennità di accompagnamento è definita dall’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) come una prestazione economica, concessa su richiesta, a favore di soggetti mutilati o invalidi totali per i quali è stata accertata la condizione di non autosufficienza

L’indennità viene erogata per 12 mensilità – nel senso che non c’è una tredicesima come per le pensioni – a partire dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda. Il soggetto interessato, poi, continuerà a godere del servizio assistenziale fin quando le sue condizioni sanitarie rispetteranno i requisiti, che a breve vedremo. Non è compatibile con altre prestazioni simili riconosciute per invalidità derivanti da cause di guerra, lavoro o servizio.  

L’indennità di accompagnamento si ottiene nel caso in cui si soddisfino alcuni requisiti: l’impossibilità di deambulare, quindi muoversi autonomamente a piedi, senza l’aiuto di un accompagnatore o l’incapacità di compiere attività tipiche della vita quotidiana. Recentemente, a questi requisiti di carattere fisico ne sono stati affiancati altri di natura psicologica. Infatti, in una sentenza del 2022, la Corte di Cassazione ha sottolineato la necessità di estendere la condizione di non autosufficienza includendo anche quei soggetti fisicamente abili ma che, a causa di gravi disturbi cognitivi, non sono in grado di gestirsi in modo autonomo. 

Dal punto di vista legale, è possibile fare domanda per l’indennità di accompagnamento se si ha la cittadinanza italiana e se si è residenti in Italia in modo stabile e duraturo. Nel caso di cittadini stranieri comunitari – membri dell’U.E. – occorre essere iscritti all’anagrafe del comune di residenza, mentre per i cittadini stranieri extracomunitari è obbligatorio essere in possesso del permesso di soggiorno da almeno un anno.  

Indennità di accompagnamento: come richiederla e a quanto ammonta l’importo

L’indennità di accompagnamento può essere richiesta in caso di riconoscimento dell’invalidità da parte del medico legale, al termine dell’accertamento sanitario. Una volta ottenuto il verbale che certifica la condizione di non autosufficienza, è obbligatorio inserire anche i dati socioeconomici. Queste informazioni fanno riferimento agli eventuali ricoveri, all’esercizio di attività lavorativa e alle modalità di pagamento e di incasso specificando, ad esempio, la delega ad una terza persona (l’accompagnatore). Ora che la domanda è pronta, è possibile inviarla direttamente online sul sito dell’INPS o depositarla presso un’associazione di categoria come l’ANMIC (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili). Il tempo di lavorazione è stabilito dalla legge in 30 giorni.

L’importo dell’indennità di accompagnamento è uguale per tutti i cittadini in possesso dei requisiti elencati precedentemente, a prescindere dall’età e dal reddito personale annuo. Rispetto all’anno scorso, questo contributo previdenziale che, ricordiamo, viene erogato mensilmente, ha visto un leggero aumento: se nel 2024 ammontava a 531,76€, nel 2025 questa cifra equivale a 542,02€. Per i ciechi assoluti si passa dai 987,50€ del 2024 ai 1.022,44 del 2025

Obblighi dell’accompagnatore

L’indennità di accompagnamento è concepita come una misura finalizzata a ridurre il carico sul servizio sanitario nazionale: lo Stato eroga il contributo affinché il soggetto interessato possa procurarsi il supporto necessario in modo autonomo, pagando un accompagnatore. Questa figura può essere un familiare o una persona terza e può fornire aiuto per la deambulazione o per lo svolgimento delle attività quotidiane. Tuttavia, la sua presenza non è prevista per legge. Dal momento che non è obbligatorio avere un accompagnatore, conseguentemente non ci sono obblighi legali per questo tipo di profilo. 

Quando si perde l’identità di accompagnamento? 

L’indennità di accompagnamento può essere sospesa o revocata definitivamente. La sospensione avviene nel caso in cui il soggetto che beneficia dell’assistenza venga ricoverato in modo gratuito, cioè presso una struttura pubblica finanziata dallo Stato, per un periodo pari o superiore ai 30 giorni. Anche in questo caso, però, è possibile continuare a percepire l’importo se, durante l’ospedalizzazione, sia comunque necessaria la presenza di un accompagnatore. 

La revoca definitiva, invece, avviene in due casi specifici: se, a seguito di un nuovo accertamento sanitario, i requisiti sanitari non sono più soddisfatti oppure se il soggetto invalido si trasferisce all’estero. Nel caso in cui, però, questa seconda circostanza fosse dovuta a motivi legati alle cure mediche – perché magari all’estero sono più avanti in determinati trattamenti – la revoca non ha luogo.

In ogni caso, i cittadini italiani hanno a disposizione uno strumento creato per rendere più accessibili e comprensibili le proprie informazioni assistenziali, sociali e pensionistiche: il fascicolo previdenziale

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Dal piombo all’oro: cosa è successo al CERN

Dal piombo all'oro: cosa è successo al CERN

Dal piombo all’oro: per la prima volta, al CERN di Ginevra i ricercatori hanno trasformato il metallo vile in metallo prezioso. Cosa è successo?

Il piombo e l’oro sono due metalli chimicamente molto simili, la differenza tra i due è di soli tre protoni. Ma questa piccola distinzione cambia tutto: un chilo d’oro costa circa 45.000 volte un chilo di piombo, per via di alcune caratteristiche come la scarsità in natura e la rarità, che lo rendono estremamente prezioso. Il 7 maggio, però, dal CERN di Ginevra è arrivata una notizia spiazzante: per la prima volta, si è compiuta la trasmutazione del piombo in oro. In questo articolo capiremo come e, soprattutto, proveremo a ragionare sulle conseguenze di questo esperimento. 

Trasformare il piombo in oro: un sogno che va avanti da secoli. 

La trasformazione, o meglio, la trasmutazione del piombo in oro è un sogno che l’umanità insegue da secoli: intorno al XVI secolo, gli alchimisti – antenati degli odierni chimici – ricercavano ossessivamente la nota Pietra Filosofale proprio perché considerata uno strumento necessario al raggiungimento di questo obiettivo. Lo scopo della trasmutazione era sia materiale, per via della ricchezza infinita, sia spirituale, in ragione del parallelismo fra purificazione del metallo vile in prezioso e purificazione dell’anima. 

Nel tempo, la scienza moderna ha dimostrato l’infondatezza delle teorie alchemiche, ma ha comunque continuato ad indagare su possibili reazioni chimiche in grado di rendere possibile questa trasmutazione. Finalmente, il 7 maggio 2025 al CERN di Ginevra, la trasformazione è stata ufficialmente dimostrata e verificata. Vediamo brevemente cos’è successo. 

Il piombo diventa oro : ALICE rileva la trasmutazione

La trasmutazione del piombo in oro è un processo nei fatti molto complesso, ma troveremo il modo per semplificarlo con un esempio ad hoc. In ogni caso, al CERN (Consiglio Europeo per la Ricerca Nucleare) di Ginevra, i fisici del Large hadron collider (Lhc), il più grande e potente acceleratore di particelle al mondo, hanno accelerato gli ioni del piombo a una velocità prossima a quella della luce e hanno notato una reazione particolare. Questi ioni, incrociandosi senza scontrarsi, generano fortissimi campi elettromagnetici che provocano l’emissione di protoni dal nucleo dell’atomo di piombo, il quale cambia struttura e si trasforma. Il piombo, quindi, può diventare tallio, mercurio o oro, se rispettivamente perde uno, due o tre protoni dal nucleo. 

Questi cambiamenti impercettibili sono state osservati grazie al rilevatore ALICE e ai cosiddetti calorimetri a zero gradi (ZDC), progettati e costruiti da ricercatori italiani dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) di Torino e Cagliari. Tuttavia, l’oro esiste per un intervallo di tempo brevissimo e in quantità estremamente ridotte, perché i nuclei, scontrandosi coi componenti dell’acceleratore, si frammentano immediatamente. 

Facciamo un parallelismo per comprendere meglio. Immagina due treni che sfrecciano a velocità supersonica su due binari paralleli, in direzioni opposte: quando si incrociano, spostano una massa d’aria che, naturalmente, impatta la carrozzeria. Al momento dell’impatto, a volte, può capitare che uno dei due treni perda uno, due o tre pezzi a causa dell’urto. Se ciò avviene, allora il treno che “subisce il danno” non è più il treno originale, ma diventa un altro tipo di veicolo simile ma strutturalmente diverso. Infine, il treno trasformato – o trasmutato – è destinato a frantumarsi perché la pressione dello spostamento d’aria ne causa il deragliamento. Ora non ti resta che sostituire “treni” con ioni di piombo e “massa d’aria” con campo elettromagnetico.

L’oro sarà per sempre un bene scarso?

Questa è la riflessione principale che ci sentiamo di fare a fronte dell’esperimento appena descritto. L’oro, come abbiamo anticipato, è prezioso per determinate peculiarità che lo rendono unico e da cui dipende la sua quotazione. Cosa succede se viene a mancare una delle proprietà più importanti, ovvero la scarsità

Naturalmente siamo distanti anni luce dal poter creare artificialmente una quantità d’oro visibile anche solo ad occhio nudo, tuttavia il dato che emerge è che l’oro potrebbe essere prodotto in modo sintetico e arbitrario. Bitcoin no. Per concludere, un’osservazione curiosa: premesso che la correlazione non giustifica la causalità, è interessante notare come dal 7 maggio, il giorno della pubblicazione della scoperta, il prezzo dell’oro sia calato del 5,5% e BTC, al contrario, abbia messo a segno un +8% – al momento in cui scriviamo. 

È importante ribadire che, sicuramente, queste performance sono frutto di molti fattori contestuali e non esclusivamente legate a questa notizia. O forse no? Nel dubbio, iscriviti a Young Platform e resta aggiornata/o!

Guerra Russia-Ucraina: gli aggiornamenti post-vertice

Guerra Russia Ucraina: aggiornamento post-vertice

Russia e Ucraina a colloquio per la prima volta dopo tre anni, con scarsi risultati. Prevista una chiamata lunedì fra Trump e Putin. Gli aggiornamenti

Russia e Ucraina hanno inviato le proprie delegazioni a Istanbul nella giornata di venerdì 16 maggio per provare a intavolare delle trattative di pace. Il vertice ha dato scarsi risultati ma, secondo gli analisti, è un segnale positivo perché è il primo meeting diretto da marzo 2022. Intanto i leader europei si parlano e Trump organizza una chiamata con Putin. Qui gli aggiornamenti.

Vertice Russia e Ucraina: cos’è successo venerdì a Istanbul

Il vertice tra Russia e Ucraina di Istanbul non è andato esattamente come previsto. Il presidente della Federazione russa Vladimir Putin non si è presentato all’incontro, pur essendo stato lui stesso a proporre il faccia a faccia col presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky. Da parte sua, Zelensky si è rifiutato di partecipare, in reazione all’assenza di Putin. In ogni caso, i due hanno inviato le rispettive delegazioni, che si sono confrontate senza intermediari per la prima volta da marzo 2022. 

Il capo della delegazione russa, Vladimir Medinsky, ha dichiarato che “Mosca è soddisfatta del risultato ed è pronta a proseguire il dialogo. Nei prossimi giorni”, ha continuato, “ci sarà un imponente scambio di prigionieri”. Infatti, l’accordo tra le parti – fa sapere la TV di stato russa – prevederebbe un rilascio reciproco di mille prigionieri di guerra e una successiva ripresa delle trattative.

Al momento, tuttavia, non è in programma un cessate il fuoco perché, a detta di Medinsky, “guerra e negoziazioni si conducono sempre contemporaneamente, come diceva Napoleone”. Lo stesso capo delegazione – secondo fonti ufficiali ucraine – avrebbe poi aggiunto che la Russia è pronta a combattere per tutto il tempo necessario, menzionando le guerre dello Zar Pietro il Grande contro la Svezia, che durarono 21 anni.

Intanto, domenica 18 maggio Volodymyr Zelensky è volato a Roma per incontrare il Papa Leone XIV e il Vice Presidente degli Stati Uniti JD Vance.

Volodymyr Zelensky vola a Roma

Nella giornata di domenica 19 maggio, il Presidente ucraino si è presentato a Roma, insieme ad altri leader mondiali, in occasione della messa di inaugurazione del pontificato di Papa Leone XIV. I due si sono poi incontrati per parlare dell’importanza delle trattative di pace: il Papa, la scorsa settimana, aveva già proposto il Vaticano come sede per le negoziazioni fra le due parti in conflitto. Zelensky, in seguito, ha avuto un confronto col Vice Presidente USA JD Vance e col Segretario di Stato Marco Rubio presso la residenza dell’ambasciatore statunitense nella Capitale. Lo stesso Zelensky ha poi descritto la seduta su Telegram come “positiva”.

Dall’altro lato, sempre domenica, il Primo Ministro britannico Keir Starmer avrebbe discusso degli svolgimenti del conflitto russo-ucraino coi leader di USA, Germania, Francia e Italia. In merito, il Presidente francese Emmanuel Macron ha scritto su X (ex Twitter) che lunedì 19 maggio “il Presidente Putin deve dimostrare di volere la pace accettando il cessate il fuoco incondizionato di trenta giorni proposto dal Presidente Trump e supportato da Ucraina ed Europa”. 

Sempre in queste ore, Donald Trump e Vladimir Putin dovrebbero chiamarsi per discutere sulla fine della guerra. 

Trump sulla guerra tra Russia e Ucraina: fermare il “bagno di sangue”

Tramite un post sul suo social Truth, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha scritto che alle 16 (ora italiana) di lunedì 19 maggio chiamerà Vladimir Putin per parlare della guerra e cercare di ragionare sulla risoluzione del conflitto. 
In caps lock – come sempre –  Trump ha poi scritto che “i temi della telefonata saranno: fermare il “bagno di sangue” che sta uccidendo, in media, più di 5.000 russi e ucraini a settimana, e il commercio”. In un altra nota, ha poi aggiunto di voler parlare anche con Zelensky e, in un secondo momento, con alcuni membri della NATO: “si spera che sarà un giorno produttivo, che venga raggiunto il cessate il fuoco e che questa guerra così violenta, che non sarebbe mai dovuta accadere, finisca”, ha concluso. 

Trump chiama Putin: cosa si sono detti

In un lungo post su Truth, Donald Trump ha riferito che la telefonata di due ore con Vladimir Putin – secondo lui – è andata molto bene: “Russia e Ucraina inizieranno immediatamente le negoziazioni per raggiungere il cessate il fuoco e, soprattutto, la FINE della Guerra”. Il POTUS ha poi aggiunto che la Russia vuole iniziare un rapporto commerciale su larga scala con gli USA che, sempre secondo Trump, costituirebbe una grandissima opportunità per entrambe le economie. Inoltre, ha scritto che allo stesso modo l’Ucraina beneficerebbe di questi accordi, principalmente grazie al processo di ricostruzione della nazione. Infine, ha concluso precisando di aver informato le varie parti in causa: il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e i leader di Francia, Italia, Germania e Finlandia. Il post si chiude con un motivante “Let the process begin!” (che il processo abbia inizio!).

Che effetto avrebbe la pace tra Russia e Ucraina sui mercati?

La fine della guerra fra Russia e Ucraina avrebbe ripercussioni nette sui mercati finanziari, per diverse ragioni. A livello sistemico, verrebbe meno una delle principali fonti di incertezza geopolitica che da anni condiziona l’andamento dell’economia globale: dall’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, cominciata nel febbraio del 2022, i governi di tutto il mondo sono stati costretti a ridefinire le alleanze strategiche commerciali, non potendo più contare sulla globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta. Al termine delle ostilità, infatti, le armi lascerebbero spazio alla diplomazia e la fiducia degli investitori potrebbe tornare a livelli che non si vedevano da anni. Anche le banche centrali cambierebbero approccio nel definire le politiche monetarie, come ha dichiarato Jerome Powell nell’ultimo FOMC, dal momento che sarebbe più semplice prevedere gli scenari economici con maggiore precisione. 

Si verificherebbe poi un calo dei prezzi delle materie prime energetiche. La Russia, infatti, è una delle principali nazioni esportatrici di petrolio e gas naturale e con la pace, quasi certamente, andrebbe incontro ad un allentamento – la rimozione è improbabile – delle sanzioni economiche. Allo stesso modo, una risoluzione pacifica del conflitto avrebbe conseguenze dirette sulla riduzione del prezzo delle materie prime agricole, di cui Russia e Ucraina sono grandi produttrici ed esportatrici. Nello specifico, le commodities interessate sarebbero il grano, il mais, l’olio di girasole e i fertilizzanti. 

Quanto detto finora avrebbe poi un impatto concreto sulla riduzione della pressione inflazionistica. Come abbiamo spiegato anche in questo articolo, l’aumento del costo delle materie prime, energetiche o alimentari, è collegato a catena all’aumento del costo della vita: se il prezzo di una pizza margherita nel 2019 si aggirava intorno ai 5.5€, oggi siamo intorno ai 7€ a causa del rincaro della farina per l’impasto e dell’energia per il forno. È evidente, quindi, come il consumatore finale sia costretto a spendere di più per comprare lo stesso prodotto e la valuta perda il potere d’acquisto

A sua volta, il mondo crypto potrebbe beneficiare di questo cambio di contesto: la riduzione dell’incertezza si tradurrebbe nel calo dell’avversione al rischio e, conseguentemente, nell’afflusso di capitale verso asset considerati più volatili, come Bitcoin. C’è poi anche un tema legato alla postura favorevole dell’Ucraina nei confronti delle criptovalute e alla forte presenza dei miners di Bitcoin in Russia, esclusi dalla comunità proprio a causa dell’invasione. 

Non resta che attendere

Come abbiamo visto, Donald Trump è ottimista e crede che stia per cominciare una nuova fase di incontri diplomatici. Non resta che attendere sperando che Vladimir Putin decida una volta per tutte a mettere la parola fine a questo inutile conflitto che va avanti ormai da troppo tempo. Se non vuoi perderti altre notizie, iscriviti a Young Platform e resta aggiornata/o su ciò che è rilevante!

JPMorgan Chase: i clienti potranno comprare Bitcoin

JPMorgan: i clienti potranno comprare Bitcoin

Il CEO di JPMorgan Chase Jamie Dimon all’investor day di lunedì 19 maggio: “permetteremo ai clienti di comprare Bitcoin, ma non lo custodiremo”

JPMorgan Chase si aggiunge alla lista delle grandi banche che consentono ai loro clienti di acquistare Bitcoin. In occasione dell’investor day di lunedì, il CEO Jamie Dimon ha comunicato che sarà possibile comprare BTC attraverso la banca, la quale però non li custodirà ma si limiterà a riportare il saldo nei documenti relativi agli estratti conto. Facciamo il punto della situazione.

JPMorgan Chase e Bitcoin: il CEO comunica l’apertura all’acquisto

JPMorgan Chase e Bitcoin inaugurano un nuovo rapporto. Questa è la grande notizia che emerge dall’incontro annuale con gli investitori della banca. Nella giornata di lunedì 19 maggio, il CEO Jamie Dimon ha informato la platea che la banca permetterà ai clienti di comprare Bitcoin attraverso le loro piattaforme limitandosi, però, a questa funzione: “vi consentiremo di acquistare Bitcoin”, ha dichiarato, “ma non li custodiremo. Li riporteremo negli estratti conto”. 

JPMorgan Chase è la banca più grande degli Stati Uniti e uno dei principali colossi finanziari a livello globale: come si legge sul loro sito, al 31 marzo 2025 deteneva 4,4 trilioni di dollari in asset finanziari con 351 miliardi di dollari di patrimonio netto. Se una potenza del genere offre la possibilità di comprare Bitcoin ai propri clienti, il prossimo futuro riserverà sicuramente delle sorprese interessanti per i criptoinvestitori

Jamie Dimon mantiene un atteggiamento critico

Il CEO di JPMorgan Chase, nonostante quanto descritto finora, continua a nutrire dubbi su Bitcoin. L’opinione di Jamie Dimon su BTC è cosa nota: nel 2021 l’aveva definito “inutile” e nel 2024, a Davos, aveva usato l’espressione “pet rock” – pietra da compagnia, fa riferimento a un fenomeno degli anni ‘70 in cui una semplice pietra veniva venduta come animale domestico – che “non fa nulla”. Anche durante l’investor day ha voluto precisare che la sua visione resta immutata, sottolineando i problemi relativi al riciclaggio di denaro, all’evasione delle tasse e alla mancanza di chiarezza in merito alla proprietà. 

Questa volta, tuttavia, ha dovuto riconoscerne l’importanza, quantomeno a livello di domanda. Sempre in occasione della conferenza di lunedì, il CEO di JPMorgan Chase ha comunicato la sua posizione usando il seguente parallelismo: “Non credo che dovreste fumare, ma difendo il vostro diritto a farlo. Così difendo il vostro diritto di comprare Bitcoin”. Evidentemente, non gli sarà sfuggito che gli ETF su Bitcoin battono quelli sull’oro o che la stessa JPMorgan Chase prevede che Bitcoin overperformerà l’oro nella seconda metà dei 2025. 

Banche USA e Bitcoin: qual è la situazione  

Con JPMorgan Chase, la lista delle banche statunitensi che hanno aperto all’acquisto di bitcoin si allunga. Tra le più importanti ricordiamo Morgan Stanley e Charles Swab, che permettono ai clienti di investire in ETF Bitcoin spot, e U.S. Bank, che invece si concentra sui servizi di custodia per clienti istituzionali e fondi di investimento. C’è poi tutta una serie di banche crypto-friendly come Ally Bank, che consente agli utenti di collegare i loro conti bancari a piattaforme come Coinbase per eseguire operazioni con le criptovalute.  

Insomma, anche JPMorgan Chase si è resa conto che Bitcoin è sempre più richiesto e popolare in modo trasversale: la regina delle criptovalute, un tempo relegata a una nicchia di appassionati, è sempre più mainstream

Moody’s declassa le Treasury americane: fuga dal dollaro in arrivo?

Moody’s declassa le Treasury

Moody’s ha appena declassato le treasury americane. Quale sarà l’impatto dell’accaduto? Bitcoin può essere una soluzione?

L’era in cui gli Stati Uniti sembravano possedere una sorta di carta di credito globale illimitata potrebbe davvero essere al capolinea. La notizia è di quelle che scuotono l’economia mondiale: Moody’s ha messo sotto osservazione il debito sovrano americano, declassando di fatto il suo outlook. Non è “solo” una formalità tecnica; è un faro potente acceso su una verità scomoda: i titoli di stato USA, per anni il simbolo della sicurezza finanziaria, non sono più considerati completamente privi di rischio

E questo potrebbe significare che il tempo in cui l’America poteva stampare moneta a piacimento, con il mondo pronto ad assorbirla senza troppe conseguenze, sta per finire. Viene da chiedersi: come si colloca Bitcoin in questo scenario potenzialmente rivoluzionario?

Moody’s declassa le Treasury USA

Sentire che il debito americano non è più intoccabile fa un certo effetto. Dopotutto, per decenni è stata la roccia su cui si è appoggiato l’intero sistema finanziario globale. Ma ecco che le agenzie di rating – questi enigmatici arbitri del credito sovrano come Moody’s, S&P e Fitch – tornano protagoniste, capaci come sono di aprire o chiudere le porte dei mercati a intere nazioni con un semplice cambio di “pagella”.

Dopo questa premessa, che oscilla tra il catastrofico e l’ottimista (soprattutto per chi, come forse anche voi, vede in Bitcoin un’alternativa), cerchiamo di capire cosa è successo davvero. Sostanzialmente, è cambiata una “lettera”, o meglio, la prospettiva su quella lettera. Un avvenimento all’apparenza irrilevante, ma che potrebbe aprire le porte a un cambiamento radicale della finanza come la conosciamo. Moody’s, con il suo recente cambio di outlook (pur mantenendo per ora il rating Aaa), segue le orme di Standard & Poor’s (che declassò da AAA ad AA+ nel 2011) e Fitch (declassamento simile nel 2023), segnalando che la fiducia nel “porto sicuro” per eccellenza non è più incondizionata.

Quali sono i motivi del declassamento?

Le domande sorgono spontanee: perché questo cambio di rotta? Quali saranno le ripercussioni sul dollaro e sui principali indici azionari?

La motivazione principale di questo declassamento “annunciato” la conoscete probabilmente già, se seguite con un minimo di attenzione le dinamiche economiche – e il nostro blog. Il primo, ovvio, colpevole è il debito pubblico USA, la cui crescita può essere definita senza mezzi termini “fuori controllo”. Parliamo di un deficit federale che si avvicina ai 2.000 miliardi di dollari all’anno, circa il 6% del PIL – cifre mai viste, nemmeno durante le crisi più acute degli anni ’70. E questo senza contare il fardello crescente degli interessi su tale debito.

A ciò si aggiunge quella che Moody’s definisce una palese “incapacità politica di invertire la rotta”, ovvero una paralisi decisionale che impedisce di attuare riforme fiscali sostenibili. In breve: “la traiettoria fiscale statunitense è compromessa”. Il vero problema è che la situazione che abbiamo appena descritto sembra destinata a peggiorare. Secondo le stesse proiezioni di Moody’s (e di altri enti come il CBO), il deficit potrebbe schizzare al 9% del PIL entro il 2035, e questo nello scenario più ottimista, senza considerare shock esterni come pandemie, guerre o recessioni. Queste cifre proietterebbero il debito pubblico complessivo verso un terrificante 180% del PIL.

Gli USA non sono più intoccabili?

Il CBO (Congressional Budget Office), per sottolineare la gravità, ha addirittura tracciato un parallelo con il disastroso mini-budget proposto da Liz Truss nel Regno Unito nel 2022, che gettò nel panico i mercati finanziari.

Nel frattempo, come logica conseguenza, i rendimenti dei titoli di stato americani crescono: quello del trentennale ha già toccato o superato il 5%, e il decennale si attesta su livelli simili (es. 4,517% o più). Il motivo è semplice: più uno strumento finanziario è percepito come rischioso, più alto deve essere il suo rendimento per attrarre investitori. Questo, però, significa anche che gli USA dovranno sborsare più soldi per pagare gli interessi ai propri creditori, alimentando un circolo vizioso del debito. E attenzione, perché i rendimenti potrebbero salire ancora: il mercato obbligazionario è spesso più reattivo di quello azionario, e i famosi “bond vigilantes” (grandi investitori che “puniscono” i governi con politiche fiscali allegre vendendone i titoli) agiscono in fretta.

Il CBO stima che entro il 2030, ben il 22% di tutto il gettito fiscale USA (i soldi incassati con le tasse) sarà divorato dal solo pagamento degli interessi sul debito.

La domanda sorge quindi spontanea: l’eccezionalismo del debito USA è al capolinea? Anche gli Stati Uniti dovranno affrontare lo stesso scrutinio e gli stessi problemi di bilancio che noi italiani conosciamo fin troppo bene? La famosa “spending review” busserà anche alle porte di Washington? Bisogna ammettere che il dollaro USA non è una valuta qualsiasi: è la valuta di riserva mondiale, il linguaggio universale della finanza globale, la moneta che le banche centrali di tutto il mondo accumulano. Ma il giochino per cui gli USA stampano denaro senza limiti, sicuri che gli altri Paesi glielo comprino (un concetto legato al Dilemma di Triffin), potrebbe davvero finire.

Come se non bastasse, indiscrezioni recenti suggeriscono che nelle ultime settimane la FED potrebbe aver acquistato ben 43,6 miliardi di dollari di Treasury USA, di cui 8,8 miliardi di titoli di stato con scadenza a 30 anni l’8 maggio. Ciò che preoccupa maggiormente gli analisti non è tanto l’acquisto in sé, quanto il fatto che sarebbe avvenuto in sordina, non supportato da alcun annuncio ufficiale. Un’operazione del genere, se confermata, potrebbe segnalare l’inizio di una nuova fase in cui la banca centrale americana tenta di controllare i rendimenti dei bond (una sorta di yield curve control mascherato) per evitare un cosiddetto “bear steepener” – ovvero una situazione in cui la differenza di rendimento tra obbligazioni a breve e lunga durata diventa eccessivamente marcata. Evitare tale scenario è cruciale: un’eccessiva divergenza nei rendimenti potrebbe infatti costringere la FED ad alzare ulteriormente i tassi di interesse, aggravando il costo del debito e intensificando il circolo vizioso di cui abbiamo parlato.

Bitcoin può essere la soluzione?

E qui arriviamo al nocciolo della questione per molti osservatori attenti. In uno scenario dove la fiducia nella principale valuta di riserva mondiale e nei suoi titoli di stato inizia a incrinarsi, dove il debito sembra una voragine senza fondo e la capacità di ripagarlo senza svalutare la moneta è messa in dubbio, quale ruolo può giocare Bitcoin

In questo senso risuonano quanto mai attuali le dichiarazioni che Larry Fink, il CEO di BlackRock ha inserito nella sua lettera annuale agli shareholders del più grande fondo di investimento al mondo. In quel documento Fink dichiara che “Bitcoin ha le carte in regola per rimpiazzare il dollaro americano, proprio a causa dell’irreversibile situazione legata al debito statunitense.”

Insomma, per chi sostiene Bitcoin, la risposta è quasi ovvia. Di fronte a debiti sovrani fuori controllo e a valute fiat a rischio inflazione per “monetizzare” quei debiti, Bitcoin si propone come:

  1. Una riserva di valore alternativa, un “oro digitale” con un’offerta limitata e prevedibile (massimo 21 milioni di unità), non manipolabile da decisioni politiche o da banche centrali;
  2. Un asset intrinsecamente scarso;
  3. Un sistema di pagamento globale, decentralizzato e resistente alla censura.

Certo, Bitcoin ha la sua volatilità e le sue sfide, ma in un contesto di crescente preoccupazione per la stabilità del sistema finanziario tradizionale, la sua narrativa come potenziale scudo o diversificatore di valore acquista sempre più forza.Il cambio di outlook di Moody’s non è la fine del mondo, ma è un segnale potente. E mentre i pilastri della finanza tradizionale mostrano qualche crepa, un’alternativa digitale, un tempo considerata di nicchia, si fa sempre più strada. Staremo a vedere cosa emergerà dal discorso della FED, ma una cosa è chiara: le fondamenta stanno tremando e il dibattito su cosa verrà dopo è più vivo che mai.


Spese condominiali: manuale di sopravvivenza

Spese condominiali: manuale di sopravvivenza

Le spese condominiali rientrano nell’immenso insieme di seccature tipiche del condominio. Tuttavia, sapere cosa pagare è cruciale. Qui il manuale

Le spese condominiali sono solo una delle numerose noie che costellano la vita di chi vive in un condominio. Naturalmente, il primo posto spetta di diritto alle fatidiche riunioni: luoghi immortali di scontro verbale e fisico che tormentano le sere di madri e padri di famiglia. È nato prima l’uomo o la riunione condominiale? In ogni caso, in questo articolo purtroppo (o per fortuna) ci occuperemo solo delle cose da pagare, senza toccare altro. Chi prima inizia prima conclude no? E allora partiamo!

Spese condominiali: come non farsi fregare

Le spese condominiali sono una fra le principali cause di discussione fra gli inquilini di un condominio: le epiche dispute verbali volte a identificare chi non ha messo i soldi per la potatura delle siepi in cortile si susseguono senza fine, perse nelle pieghe della storia. Scherzi a parte, sapere cosa si paga e perché è importante per evitare guai legali e, soprattutto, per non rischiare di sostenere spese inutili. Con questo manuale di sopravvivenza, scopriremo insieme il mondo delle spese condominiali in modo da non rimanere fregati di fronte al temibile e tenebroso amministratore di condominio. Nello specifico, vedremo come si calcolano, quali possono essere detratte, quali spettano al proprietario e quali all’inquilino e, infine, cosa succede in caso di mancato pagamento.  

Ripartizione delle spese condominiali: il calcolo in base ai millesimi

La ripartizione delle spese condominiali è la modalità attraverso cui si assegna a ciascun condomino una quota della totalità delle spese comuni. Il sistema adottato è quello del calcolo in base ai millesimi, che definisce in modo proporzionale l’importo dovuto da ciascun residente. Questo calcolo viene effettuato utilizzando uno strumento, detto tabella millesimale, elaborato considerando la superficie e il volume di ogni singolo appartamento. 

La logica dietro questo sistema concepisce il condominio come diviso in mille parti: ogni unità, in funzione dei parametri esposti prima, equivale a una parte di queste mille. A questo punto, ogni residente dovrà pagare una quota proporzionale alla fetta di condominio di cui è proprietario. Facciamo un esempio. Se per assurdo un condominio ha cinque appartamenti uguali – stesse metrature e stessi volumi – allora ognuno di questi equivale a 200 su 1000 (mille parti diviso cinque). Al pagamento delle spese condominiali, che ipotizziamo essere di 1000€ per semplicità di calcolo, ogni condomino pagherà 200€, ovvero un quinto delle spese comuni totali. Alcune di queste, però, sono detraibili dalle tasse

Spese condominiali detraibili: quali sono?

Le spese condominiali detraibili sono quelle incluse negli interventi di natura straordinaria: la riqualificazione dell’immobile, il miglioramento della classe energetica, la messa in sicurezza antisismica e la manutenzione delle aree verdi condominiali. Insomma, la detrazione fondamentalmente riguarda i lavori che rientrano nei vari bonus erogati a pioggia in questi ultimi anni, come il Superbonus, l’Ecobonus, il Sismabonus e chi più ne ha più ne metta. Non sono invece detraibili le spese ordinarie comuni come quelle relative alla pulizia e alla manutenzione o al consumo di energia elettrica delle aree condivise. Queste spese, per essere scalate dalle tasse, devono essere inserite all’interno del modello 730, cioè del modello per la dichiarazione dei redditi.

Ma cosa succede se chi vive nell’appartamento è in affitto? E se invece è proprietario? Nella prossima sezione esamineremo quali spese condominiali deve pagare uno e quali l’altro. 

Proprietario vs inquilino: a chi tocca pagare?

Fin dai tempi dei primi insediamenti umani, fin dalle prime capanne di legno e argilla, si consuma l’eterna lotta tra inquilino e proprietario. Due entità incompatibili, legate da un contratto firmato e false cortesie: “spese straordinarie, non di mia competenza!” dice il primo, “il regolamento condominiale parla chiaro!” ribatte il secondo, indicando il comma 3-ter/bis dell’articolo 12, scritto in corpo 3 con inchiostro grigio chiarissimo, visibile solo al microscopio ottico. Un’iperbole di fantozziana memoria che ci ricorda quanto il terreno della ripartizione delle spese condominiali sia spinoso e fonte di controversie. Cerchiamo quindi di chiarire una volta per tutte chi paga che cosa. 

Spese condominiali: l’inquilino 

Le spese condominiali che spettano all’inquilino fanno parte della categoria che comprende la manutenzione ordinaria e i consumi. A livello concettuale, l’inquilino è responsabile di ciò che utilizza e lo riguarda durante la sua permanenza: tinteggiatura delle pareti, pulizia delle grondaie, manutenzione di corrimano e ringhiere, disinfestazione, derattizzazione, riparazione dell’impianto elettrico, di riscaldamento e di condizionamento – quest’ultima solo se ordinaria, quindi relativa a piccoli interventi. In sintesi, l’inquilino deve farsi carico dei costi connessi alla gestione e al mantenimento dell’appartamento e del condominio al momento in cui è presente. Per capirci, potrebbe essere utile il paragone con l’affitto di una macchina. Se noleggi un’auto per qualche giorno dovrai occuparti del carburante o delle gomme in caso di foratura, ma non della sostituzione del motore o dell’assicurazione RCA. 

Spese condominiali: il proprietario

Il proprietario invece si occupa delle spese di manutenzione straordinaria, cioè degli interventi riguardanti tutto ciò che viene installato in modo stabile nel tempo, al di là della presenza del coinquilino. Alcuni di questi possono essere l’allacciamento alla rete fognaria, l’installazione della caldaia nuova, la sostituzione integrale di pavimenti e rivestimenti e l’acquisto di bidoni della spazzatura. Quindi, per riassumere, il proprietario deve pagare per tutte le spese che riguardano l’alloggio a prescindere dal coinquilino. 

Esiste poi una serie di costi condivisi fra i due, come le questioni attinenti al portiere del palazzo, se esiste. In questo caso, la spesa è per il 90% a carico dell’inquilino, mentre il restante 10% è compito del proprietario. 

Passiamo ora all’ultimo paragrafo, quello relativo al mancato pagamento delle spese condominiali. 

Spese condominiali non pagate: scatta la prescrizione

La leggenda narra che l’inquilino dell’interno 22, terzo piano, si dimenticò di pagare le spese del condominio di via Roma 35: arrivò l’avviso, poi la raccomandata, infine la condanna unanime da parte dei membri dell’assemblea condominiale, con messa al bando e foto segnaletica. Nessuno sa che fine abbia fatto. Voci dicono che il suo fantasma continui ad aggirarsi fra i contatori, armato di torcia e regolamento. 

La realtà, naturalmente, è ben diversa. Secondo il codice civile, in caso di mancato pagamento è previsto un limite di tempo entro il quale l’amministratore può richiedere il pagamento degli arretrati: cinque anni per le spese ordinarie e dieci anni per le spese straordinarie. Se tale richiesta, sotto forma di domanda formale o azione legale, non ha luogo, il debito va in prescrizione e il condomino moroso non è più legalmente obbligato al pagamento. Nel caso in cui, invece, l’amministratore richieda ufficialmente il rimborso, al momento stesso della presentazione della domanda riparte il conto alla rovescia. Tradotto, significa che il condominio ha più tempo per recuperare la somma mancante perché il limite di cinque o dieci anni si azzera e il timer ricomincia da capo. 

Tutto questo, però, si riferisce al proprietario dell’immobile, che è l’unico vero responsabile per i debiti dell’inquilino. Il primo deve quindi sollecitare il secondo all’estinzione del debito e può avvalersi del diritto di sfratto qualora la cifra arretrata sia pari o superiore a due mensilità di affitto.  

Condomini e blockchain: la tokenizzazione

Per concludere questo viaggio nel fantastico mondo dell’amministrazione condominiale, è interessante collegare la blockchain e i suoi casi d’uso alla semplificazione e all’ottimizzazione delle procedure. Nello specifico, genera molta curiosità la tokenizzazione immobiliare. Tokenizzare un immobile significa rappresentarlo – o frazionarlo – digitalmente attraverso dei token emessi su blockchain, affinché ognuno di questi corrisponda a una parte dell’edificio. Il token, poi, acquisisce o perde valore in funzione dell’aumento o riduzione del prezzo dell’intero stabile. 

Nel caso del condominio, l’associazione immediata è fra token e calcolo in base ai millesimi, di cui abbiamo parlato sopra: essendo “fisicamente” in possesso di un numero di token proporzionale al valore dell’appartamento, i proprietari potrebbero essere più incentivati a collaborare per gestire in modo efficiente gli affari condominiali e prendersi cura delle aree comuni. Una cooperazione di questo tipo, avrebbe ripercussioni positive sul prezzo del token e, conseguentemente, sulla valutazione del complesso condominiale. 

Se hai trovato utile questo vademecum per la sopravvivenza nella giungla delle spese condominiali, faresti bene a iscriverti qui sotto: noi di Young, oltre alle notizie di attualità economica e geopolitica, pubblichiamo spesso guide simili, funzionali alla vita quotidiana, come quella sulla tassazione del TFR o sul bonus bollette. Alla prossima!

Risiko bancario: che cos’è e perché si innesca?

Risiko bancario: che cos’è e come si innesca?

Scopri cos’è il risiko bancario, un’attività giustificata dagli extra-profitti delle banche

Che cos’è il risiko bancario? No, non è l’ultima espansione del vostro gioco da tavolo preferito, anche se le dinamiche di conquista e strategia che lo regolano ci assomigliano parecchio. Questo termine, mutuato con arguzia dal celebre gioco da tavolo, descrive la recente e vivace tendenza degli istituti di credito, specialmente quelli con qualche “carrarmatino” in più, a lanciarsi in operazioni di fusione, acquisizione (M&A) e accorpamento. Un po’ come quando, nel gioco, hai accumulato abbastanza armate da guardare con interesse i territori del vicino.

La prima misura macroeconomica che possiamo associare al risiko bancario è la modifica dei tassi di interesse, un argomento molto frequente nei nostri articoli per via della sua influenza sui mercati, anche su quello crypto. L’innalzamento del costo del denaro, deciso dalle banche centrali per domare l’inflazione (mentre noi comuni mortali vedevamo lievitare le rate dei mutui), ha fatto la gioia dei bilanci bancari. Questi extraprofitti verranno reinvestiti per crescere ed espandersi. Preparate i pop-corn perché la stagione 2025-2026 del risiko bancario, si preannuncia scoppiettante.

Lo stato di salute delle banche italiane

Prima di approfondire il tema principale, è utile una breve analisi dello stato di salute degli istituti di credito, per comprendere il contesto in cui si sviluppa il fenomeno del risiko. Negli ultimi anni, le banche hanno beneficiato significativamente delle decisioni delle banche centrali sui tassi di interesse.

Durante il 2023, le maggiori banche italiane quotate in borsa hanno registrato utili netti aggregati per 21,9 miliardi di euro, cifra che è ulteriormente salita a 31,4 miliardi nel 2024. A livello europeo, i profitti dei venti istituti più importanti hanno raggiunto circa 100 miliardi di euro.

Il principale motore di questa crescita è stato l’incremento dei tassi di interesse operato dalla Banca Centrale Europea per contrastare l’inflazione (da luglio 2022 a ottobre 2023, i tassi di riferimento sono passati dallo 0% al 4,5%). Ciò ha provocato un aumento del margine netto di interesse, ovvero la differenza tra gli interessi attivi riscossi sui prestiti e gli interessi passivi corrisposti sulla raccolta. Semplificando, si può dire che le banche hanno adeguato più rapidamente i tassi attivi sui finanziamenti concessi ai clienti rispetto alla remunerazione offerta sui depositi.

Tuttavia, i risultati positivi non derivano soltanto da questa dinamica. Si è registrata anche una crescita delle commissioni nette, prevalentemente dalla gestione patrimoniale. Queste componenti hanno contribuito alla situazione attuale, in cui le banche, grazie ai consistenti profitti accumulati (assimilabili, nella metafora del Risiko, a territori conquistati o carte bonus), dispongono di significativa liquidità (o “armate”). Il passo successivo, in entrambi gli scenari, è l’investimento di queste risorse per l’espansione.

Il risiko bancario

La metafora del risiko bancario è particolarmente calzante poiché, in questo periodo, il settore è sempre più simile ad una arena competitiva. Tuttavia, a differenza del gioco da tavolo, la spinta al consolidamento tra banche è alimentata da una serie di motivazioni strategiche fondamentali per la loro crescita e stabilità. Ecco le principali:

  1. Ricerca di economie di scala: l’obiettivo primario è unificare le strutture operative, ottimizzare i costi attraverso la razionalizzazione dei processi interni e l’integrazione delle piattaforme tecnologiche.
  2. Diversificazione geografica e di prodotto: espandere la presenza territoriale e ampliare la gamma di servizi offerti permette alle banche di ridurre i rischi legati alla concentrazione su specifici mercati o segmenti di clientela, e al contempo di aumentare le opportunità di cross-selling e, di conseguenza, i ricavi.
  3. Aumento della competitività: banche di maggiori dimensioni dispongono generalmente di un maggior potere negoziale e di una capacità superiore di investire in nuove tecnologie, nello sviluppo delle risorse umane e in iniziative di marketing, rafforzando così la loro posizione sul mercato.
  4. Risposta strategica alle sfide del settore: le operazioni di M&A sono viste come una risposta all’accelerazione della digitalizzazione, alla necessità di conformarsi a una regolamentazione sempre più stringente (ad esempio in materia di requisiti patrimoniali e di liquidità) e all’urgenza di affrontare tematiche trasversali come la sostenibilità ambientale e sociale.
  5. Pressione degli azionisti: un fattore rilevante è la costante pressione esercitata dagli azionisti per massimizzare il valore delle azioni e dei dividendi, e per attrarre nuovi investitori.

Il risiko bancario: i casi più emblematici

Il panorama italiano ha già assistito a casi emblematici di M&A che hanno ridisegnato la mappa del credito. L’operazione Intesa Sanpaolo / UBI Banca, finalizzata nel 2021, è considerata un punto di svolta che ha effettivamente dato il via alla più recente ondata di “risiko bancario”. Questa fusione ha consolidato la leadership di Intesa Sanpaolo e ha agito da catalizzatore per ulteriori aggregazioni.

Un altro esempio significativo è stata l’acquisizione del Credito Valtellinese (CreVal) da parte di Crédit Agricole Italia (2020-2021), che testimonia l’interesse di gruppi esteri a rafforzare la propria presenza in aree strategiche del paese. Anche BPER Banca si è dimostrata un attore attivo, con l’acquisizione di Banca Carige (2022) e le ricorrenti discussioni su una potenziale integrazione con la Banca Popolare di Sondrio.

Sullo sfondo, rimangono le ipotesi che coinvolgono i principali player: si è molto discusso di un interesse di UniCredit per incrementare la sua quota nella tedesca Commerzbank, così come di passate interlocuzioni per un’aggregazione tra la stessa UniCredit e Banco BPM. Quest’ultima è attualmente impegnata nel tentativo di concludere l’offerta pubblica d’acquisto su Anima SGR, che è contemporaneamente oggetto di interesse da parte di Unicredit con un’offerta superiore ai 10 miliardi di euro. Nel frattempo, Unipol, dopo l’esclusione dall’ultima vendita di quote pubbliche di Monte dei Paschi di Siena, sembra mirare a favorire un’integrazione tra Bper e Popolare di Sondrio, di cui detiene una quota rilevante.

Banca Monte dei Paschi di Siena (MPS) continua a essere un elemento centrale nelle dinamiche di M&A, con il governo italiano alla ricerca di soluzioni di mercato per la sua definitiva stabilizzazione e privatizzazione; in questo contesto, si è nuovamente ipotizzato un possibile coinvolgimento di UniCredit.

Quali saranno i prossimi sviluppi?

Quali saranno gli esiti di questa fase del risiko bancario? È complesso fornire una risposta univoca, anche perché, non verrà incoronato un vincitore assoluto e definitivo. Il risiko bancario – e questa è una notevole differenza rispetto alle dinamiche del gioco da tavolo – è un processo continuo, che si adatta alle mutevoli stagioni dell’economia e della finanza.

Il periodo attuale è certamente cruciale. Con i tassi d’interesse in discesa, i margini di guadagno eccezionali registrati dalle banche negli ultimi anni potrebbero subire una normalizzazione. Questo scenario, naturalmente, spinge gli istituti di credito a rimescolare le carte e a studiare nuove strategie per mantenere la redditività e rafforzare la propria posizione competitiva.

Vedremo quindi, con ogni probabilità, ulteriori operazioni di consolidamento. I grandi gruppi bancari potrebbero puntare a irrobustirsi ulteriormente per competere efficacemente su scala globale, mentre gli altri istituti lavoreranno per non restare indietro, magari attraverso alleanze strategiche o fusioni mirate a creare campioni nazionali o specializzati.

E per i clienti e il sistema economico nel suo complesso? Le argomentazioni a favore di queste operazioni evidenziano spesso i benefici attesi in termini di maggiore stabilità, efficienza e capacità di investimento. Sarà importante osservare se a queste grandi manovre corrisponderanno poi benefici tangibili in termini di effettiva concorrenza, qualità dei servizi offerti e supporto all’economia reale. La partita del risiko bancario, insomma, è ancora in pieno svolgimento e le sue prossime mosse continueranno a disegnare il futuro del settore creditizio.

Cos’è la BCE e di cosa si occupa?

Cos’è la BCE: significato, sede, presidente e importanza della Banca Centrale Europea?

Che cos’è la BCE? Di cosa si occupa e qual è la sua struttura?

Che cos’è la BCE e qual è il suo significato? La sigla sta per “Banca Centrale Europea”, ovvero la principale istituzione monetaria dell’Eurozona fondata nel 1998 per garantire la stabilità dei prezzi e una crescita economica sostenibile. La sua sede si trova a Francoforte, e in questo periodo è stata ancor più al centro dell’attenzione per via della decisione comunicata dalla presidente di aumentare nuovamente i tassi di interesse, una politica monetaria utile a contrastare l’inflazione. Scopri che cos’è la BCE e tutti gli aspetti che la riguardano, dal presidente dell’Istituto ai suoi compiti e alla sua struttura.

Che cos’è la BCE?

La BCE è la Banca Centrale dell’Unione Monetaria Europea (UME) composta da tutti gli Stati che hanno adottato l’euro come valuta comune. Ma quali sono i compiti della Banca Centrale Europea? Questa istituzione innanzitutto è responsabile della gestione delle politiche monetarie dell’area, al fine di mantenere i prezzi stabili, promuovere la crescita economica e l’occupazione. La BCE si occupa di emettere e gestire la circolazione dell’euro, la valuta comune dell’UME. Quindi se ti chiedevi “chi stampa gli euro per l’Italia e gli altri paesi dell’unione Europea?” Ora hai la risposta. Ecco dunque cos’è la BCE.

Essa ha anche il compito di controllare le banche dell’eurozona, attraverso il meccanismo di supervisione unico (SSM), un sistema di sorveglianza creato per garantire la stabilità del sistema bancario europeo, prevenire le bolle speculative e ridurre il rischio di crisi finanziarie. Per questo motivo è importante che sia imparziale, indipendente e autonoma; la Banca Centrale Europea deve favorire l’interesse generale e non quello di una particolare nazione o gruppo di interesse. 

Infine la BCE si occupa di rappresentare l’Eurozona in diverse sedi internazionali, come i summit del G20 o nelle riunioni del Fondo Monetario Internazionale e collabora con le banche centrali dei paesi del mondo per promuovere la stabilità finanziaria a livello globale.

Le politiche monetarie della BCE

Quando si risponde alla domanda “che cos’è la BCE”, è necessario citare anche gli strumenti che questa istituzione utilizza per adempiere ai suoi compiti riguardanti le politiche monetarie. Quelle più popolari e conosciute riguardano l’innalzamento o l’abbassamento dei tassi di interesse che hanno delle conseguenze sulle banche e i cittadini dell’Eurozona

La BCE però utilizza anche altri strumenti per influenzare l’offerta di denaro, ad esempio le operazioni di mercato aperto. Queste sono prevalentemente l’acquisto e la vendita di titoli di stato dei paesi europei, attraverso i quali la Banca Centrale Europea regola la quantità di moneta in circolazione. Una di queste è, ad esempio, il quantitative easing. Un tipo di politica monetaria che prevede l’acquisto di titoli di Stato che la BCE ha attuato in più occasioni negli ultimi anni.

La struttura della BCE

Ora che sai cos’è la BCE, vediamo come è composta. La Banca Centrale Europea è formata da tre organi principali: il Consiglio dei governatori, il Comitato esecutivo e il Consiglio generale.

  • Il Consiglio direttivo è formato dai presidenti delle banche centrali nazionali dei paesi della zona euro, nel caso dell’Italia Fabio Panetta, e dai membri del Comitato esecutivo. Esso è responsabile di stabilire la politica monetaria della zona euro e di decidere sui tassi di interesse e sulle operazioni di mercato aperto;
  • Il Comitato esecutivo è composto dal presidente e dal vicepresidente della BCE, attualmente Christine Lagarde e Luis de Guindos e da altri quattro membri nominati dal Consiglio europeo, con il consenso del Parlamento europeo. Il Comitato esecutivo è responsabile dell’attuazione delle politiche monetarie della BCE;
  • Il Consiglio generale riunisce i presidenti e i vicepresidenti delle banche centrali nazionali dell’Eurozona, inclusi quelli dei paesi che non hanno ancora adottato l’euro. Esso è responsabile di assistere il Consiglio direttivo e il Comitato esecutivo nella gestione della BCE e di svolgere altre funzioni consultive e di coordinamento.

Il consiglio direttivo della Banca Centrale Europea in genere si riunisce otto volte all’anno: qui puoi consultare il Calendario completo degli appuntamenti per il 2025.

Sapere cos’è la BCE e conoscerne il funzionamento è molto importante. Le decisioni che questa istituzione prende, in particolare scegliendo quale politica monetaria attuare, influenzano l’economia europea, i mercati finanziari ma anche la quotidianità di tutti i cittadini dell’Eurozona.

Aumento tassi di interesse BCE: quali conseguenze e per chi?

BCE e aumento tassi di interesse: quali conseguenze?

Come funzionano i tassi di interesse? Perché la BCE li aumenta e quali sono le conseguenze

Quali sono le conseguenze dell’aumento dei tassi di interesse della BCE? Può sembrare impercettibile, ma l’impatto di questa politica è molto forte e coinvolge tutti, sia le imprese che i singoli risparmiatori. Cosa succede quando la Banca Centrale Europea prende questa decisione durante le sue riunioni di politica monetaria?

Calendario completo delle riunioni della Banca Centrale Europea per il 2025.

Cosa sono i tassi di interesse 

Prima di parlare delle conseguenze dell’aumento dei tassi di interesse  BCE occorre effettuare dei chiarimenti concettuali. In generale i tassi di interesse sono delle percentuali che indicano quanto costa prendere in prestito denaro, ovvero il pagamento che devi alla banca quando chiedi un finanziamento. Allo stesso tempo stabiliscono quanto fruttano i tuoi risparmi, ovvero il rendimento di eventuali somme depositate in banca. 

Ad esempio, se chiedi in prestito 10.000€ con un tasso di interesse del 3%, devi restituire alla banca la somma iniziale più il 3% (300€). 

Se al contrario depositi 10.000€ con un tasso di interesse del 3%, ogni anno ricevi 300€.

I tassi di interesse della BCE invece sono come delle “tariffe” che l’istituzione applica alle banche commerciali dell’Eurozona quando concede loro prestiti. E funzionano da standard per quelli che queste banche a loro volta propongono ai clienti.

Tassi di interesse della BCE: le tipologie 

I tassi BCE sono di tre tipologie: 

  1. Sulle operazioni di rifinanziamento principale: è il tasso che grava sulle banche che assumono prestiti da Francoforte per la durata di una settimana.
  2. Su operazioni di rifinanziamento marginale: in riferimento ai prestiti overnight, (negoziazione con rientro nella giornata lavorativa seguente).
  3. Sui depositi presso la banca centrale: attinenti alle somme che le banche depositano overnight alla banca centrale. 

Sono tre tassi d’interesse distinti ma collegati e di solito la Banca Centrale Europea procede con il loro aumento (o decremento) nello stesso momento. Consulta questa sezione, per seguire ogni mese le previsioni e i risultati delle riunioni di politica monetaria della BCE.

Aumento tassi di interesse BCE: a cosa serve?

Per la BCE i tassi d’interesse sono uno strumento di politica monetaria per assolvere al suo principale compito: mantenere stabili i prezzi

La stabilità è intaccata principalmente dall’inflazione, che fa lievitare i prezzi in maniera esponenziale. Quando linflazione è alta, il potere d’acquisto delle persone diminuisce. In altre parole, rispetto a dei periodi di ridotta inflazione, si possono comprare meno cose con una stessa quantità di denaro. 

Per alzare il potere d’acquisto delle persone, la BCE ricorre all’aumento dei tassi d’interesse. Ma in che modo sono collegati questi due aspetti e quali le conseguenze di questa decisione di politica monetaria? 

BCE e aumento tassi d’interesse: quali sono le conseguenze

Prestiti più costosi e riduzione della spesa

La prima fra le conseguenze dell’aumento dei tassi d’interesse è un aumento dei costi necessari a richiedere prestiti. Così facendo  siamo incentivati a risparmiare e si riduce il denaro circolante (perché chiedere in prestito soldi e investire è più costoso). 

Aumento dei rendimenti per i risparmiatori

Insomma quando la BCE compie questa scelta, per le banche diventa più costoso finanziarsi, quindi per i clienti è svantaggioso chiedere prestiti. I mutui sono meno convenienti e per le imprese è più difficile ottenere finanziamenti. Tuttavia si riceve un rendimento maggiore per i risparmi. 

Apprezzamento della valuta

Tassi più alti possono attirare investimenti esteri, rafforzando l’euro. Può rendere le importazioni più economiche e contribuire ulteriormente alla riduzione dell’inflazione.

Queste sono le conseguenze più immediate dell’aumento dei tassi di interesse della BCE. Tuttavia l’istituto prende questa decisione per mettere in atto una strategia più ampia. Alzare i tassi di interesse serve anche a diminuire l’aspettativa di inflazione e quindi a moderare la domanda salariale, che porta i lavoratori a chiedere stipendi più alti. La Banca Centrale Europea ha l’obiettivo di evitare anche la spirale salari-prezzi e tutelare il mercato del lavoro. 

Situazione attuale: il 2025

Dopo un periodo di aumenti dei tassi per combattere l’inflazione, la BCE ha iniziato a ridurli nel 2025. Il 17 aprile 2025, la BCE ha tagliato i tassi di interesse di 25 punti base, portando il tasso sui depositi al 2,25%, quello sulle operazioni di rifinanziamento principali al 2,40% e quello sulle operazioni di rifinanziamento marginale al 2,65% .

Questa decisione è stata presa in un contesto di inflazione in calo e crescita economica debole, con l’obiettivo di stimolare l’economia dell’Eurozona.

Impatto sui mutui

Il taglio dei tassi ha avuto effetti positivi sui mutui:

  • Mutui a tasso variabile: le rate mensili sono diminuite; ad esempio, per un mutuo medio da 126.000 euro a 25 anni, la rata è scesa di circa 17 euro .
  • Mutui a tasso fisso: le offerte sono diventate più competitive, con tassi che si aggirano tra il 2,19% e il 3,85% .

Le banche stanno adeguando le loro offerte in risposta alle politiche della BCE, rendendo questo un momento favorevole per chi desidera sottoscrivere un mutuo.

La BCE ha programmato la prossima riunione di politica monetaria per il 5 giugno 2025, durante la quale potrebbe decidere ulteriori tagli dei tassi, a seconda dell’andamento dell’inflazione e della crescita economica.