Moody’s declassa le Treasury americane: fuga dal dollaro in arrivo?

Moody’s ha appena declassato le treasury americane. Quale sarà l’impatto dell’accaduto? Bitcoin può essere una soluzione?

L’era in cui gli Stati Uniti sembravano possedere una sorta di carta di credito globale illimitata potrebbe davvero essere al capolinea. La notizia è di quelle che scuotono l’economia mondiale: Moody’s ha messo sotto osservazione il debito sovrano americano, declassando di fatto il suo outlook. Non è “solo” una formalità tecnica; è un faro potente acceso su una verità scomoda: i titoli di stato USA, per anni il simbolo della sicurezza finanziaria, non sono più considerati completamente privi di rischio

E questo potrebbe significare che il tempo in cui l’America poteva stampare moneta a piacimento, con il mondo pronto ad assorbirla senza troppe conseguenze, sta per finire. Viene da chiedersi: come si colloca Bitcoin in questo scenario potenzialmente rivoluzionario?

Moody’s declassa le Treasury USA

Sentire che il debito americano non è più intoccabile fa un certo effetto. Dopotutto, per decenni è stata la roccia su cui si è appoggiato l’intero sistema finanziario globale. Ma ecco che le agenzie di rating – questi enigmatici arbitri del credito sovrano come Moody’s, S&P e Fitch – tornano protagoniste, capaci come sono di aprire o chiudere le porte dei mercati a intere nazioni con un semplice cambio di “pagella”.

Dopo questa premessa, che oscilla tra il catastrofico e l’ottimista (soprattutto per chi, come forse anche voi, vede in Bitcoin un’alternativa), cerchiamo di capire cosa è successo davvero. Sostanzialmente, è cambiata una “lettera”, o meglio, la prospettiva su quella lettera. Un avvenimento all’apparenza irrilevante, ma che potrebbe aprire le porte a un cambiamento radicale della finanza come la conosciamo. Moody’s, con il suo recente cambio di outlook (pur mantenendo per ora il rating Aaa), segue le orme di Standard & Poor’s (che declassò da AAA ad AA+ nel 2011) e Fitch (declassamento simile nel 2023), segnalando che la fiducia nel “porto sicuro” per eccellenza non è più incondizionata.

Quali sono i motivi del declassamento?

Le domande sorgono spontanee: perché questo cambio di rotta? Quali saranno le ripercussioni sul dollaro e sui principali indici azionari?

La motivazione principale di questo declassamento “annunciato” la conoscete probabilmente già, se seguite con un minimo di attenzione le dinamiche economiche – e il nostro blog. Il primo, ovvio, colpevole è il debito pubblico USA, la cui crescita può essere definita senza mezzi termini “fuori controllo”. Parliamo di un deficit federale che si avvicina ai 2.000 miliardi di dollari all’anno, circa il 6% del PIL – cifre mai viste, nemmeno durante le crisi più acute degli anni ’70. E questo senza contare il fardello crescente degli interessi su tale debito.

A ciò si aggiunge quella che Moody’s definisce una palese “incapacità politica di invertire la rotta”, ovvero una paralisi decisionale che impedisce di attuare riforme fiscali sostenibili. In breve: “la traiettoria fiscale statunitense è compromessa”. Il vero problema è che la situazione che abbiamo appena descritto sembra destinata a peggiorare. Secondo le stesse proiezioni di Moody’s (e di altri enti come il CBO), il deficit potrebbe schizzare al 9% del PIL entro il 2035, e questo nello scenario più ottimista, senza considerare shock esterni come pandemie, guerre o recessioni. Queste cifre proietterebbero il debito pubblico complessivo verso un terrificante 180% del PIL.

Gli USA non sono più intoccabili?

Il CBO (Congressional Budget Office), per sottolineare la gravità, ha addirittura tracciato un parallelo con il disastroso mini-budget proposto da Liz Truss nel Regno Unito nel 2022, che gettò nel panico i mercati finanziari.

Nel frattempo, come logica conseguenza, i rendimenti dei titoli di stato americani crescono: quello del trentennale ha già toccato o superato il 5%, e il decennale si attesta su livelli simili (es. 4,517% o più). Il motivo è semplice: più uno strumento finanziario è percepito come rischioso, più alto deve essere il suo rendimento per attrarre investitori. Questo, però, significa anche che gli USA dovranno sborsare più soldi per pagare gli interessi ai propri creditori, alimentando un circolo vizioso del debito. E attenzione, perché i rendimenti potrebbero salire ancora: il mercato obbligazionario è spesso più reattivo di quello azionario, e i famosi “bond vigilantes” (grandi investitori che “puniscono” i governi con politiche fiscali allegre vendendone i titoli) agiscono in fretta.

Il CBO stima che entro il 2030, ben il 22% di tutto il gettito fiscale USA (i soldi incassati con le tasse) sarà divorato dal solo pagamento degli interessi sul debito.

La domanda sorge quindi spontanea: l’eccezionalismo del debito USA è al capolinea? Anche gli Stati Uniti dovranno affrontare lo stesso scrutinio e gli stessi problemi di bilancio che noi italiani conosciamo fin troppo bene? La famosa “spending review” busserà anche alle porte di Washington? Bisogna ammettere che il dollaro USA non è una valuta qualsiasi: è la valuta di riserva mondiale, il linguaggio universale della finanza globale, la moneta che le banche centrali di tutto il mondo accumulano. Ma il giochino per cui gli USA stampano denaro senza limiti, sicuri che gli altri Paesi glielo comprino (un concetto legato al Dilemma di Triffin), potrebbe davvero finire.

Come se non bastasse, indiscrezioni recenti suggeriscono che nelle ultime settimane la FED potrebbe aver acquistato ben 43,6 miliardi di dollari di Treasury USA, di cui 8,8 miliardi di titoli di stato con scadenza a 30 anni l’8 maggio. Ciò che preoccupa maggiormente gli analisti non è tanto l’acquisto in sé, quanto il fatto che sarebbe avvenuto in sordina, non supportato da alcun annuncio ufficiale. Un’operazione del genere, se confermata, potrebbe segnalare l’inizio di una nuova fase in cui la banca centrale americana tenta di controllare i rendimenti dei bond (una sorta di yield curve control mascherato) per evitare un cosiddetto “bear steepener” – ovvero una situazione in cui la differenza di rendimento tra obbligazioni a breve e lunga durata diventa eccessivamente marcata. Evitare tale scenario è cruciale: un’eccessiva divergenza nei rendimenti potrebbe infatti costringere la FED ad alzare ulteriormente i tassi di interesse, aggravando il costo del debito e intensificando il circolo vizioso di cui abbiamo parlato.

Bitcoin può essere la soluzione?

E qui arriviamo al nocciolo della questione per molti osservatori attenti. In uno scenario dove la fiducia nella principale valuta di riserva mondiale e nei suoi titoli di stato inizia a incrinarsi, dove il debito sembra una voragine senza fondo e la capacità di ripagarlo senza svalutare la moneta è messa in dubbio, quale ruolo può giocare Bitcoin

In questo senso risuonano quanto mai attuali le dichiarazioni che Larry Fink, il CEO di BlackRock ha inserito nella sua lettera annuale agli shareholders del più grande fondo di investimento al mondo. In quel documento Fink dichiara che “Bitcoin ha le carte in regola per rimpiazzare il dollaro americano, proprio a causa dell’irreversibile situazione legata al debito statunitense.”

Insomma, per chi sostiene Bitcoin, la risposta è quasi ovvia. Di fronte a debiti sovrani fuori controllo e a valute fiat a rischio inflazione per “monetizzare” quei debiti, Bitcoin si propone come:

  1. Una riserva di valore alternativa, un “oro digitale” con un’offerta limitata e prevedibile (massimo 21 milioni di unità), non manipolabile da decisioni politiche o da banche centrali;
  2. Un asset intrinsecamente scarso;
  3. Un sistema di pagamento globale, decentralizzato e resistente alla censura.

Certo, Bitcoin ha la sua volatilità e le sue sfide, ma in un contesto di crescente preoccupazione per la stabilità del sistema finanziario tradizionale, la sua narrativa come potenziale scudo o diversificatore di valore acquista sempre più forza.Il cambio di outlook di Moody’s non è la fine del mondo, ma è un segnale potente. E mentre i pilastri della finanza tradizionale mostrano qualche crepa, un’alternativa digitale, un tempo considerata di nicchia, si fa sempre più strada. Staremo a vedere cosa emergerà dal discorso della FED, ma una cosa è chiara: le fondamenta stanno tremando e il dibattito su cosa verrà dopo è più vivo che mai.