I dazi di Trump bloccati: la reazione dei mercati

I dazi di Trump bloccati: la reazione dei mercati

I dazi imposti da Donald Trump nel Liberation Day sono stati bloccati dalla Corte federale del commercio americano: come hanno reagito i mercati?

I dazi annunciati da Donald Trump nel Liberation Day del 2 aprile sono stati dichiarati illegali nella notte italiana tra mercoledì 28 e giovedì 29 maggio. A emettere la sentenza, la Corte federale del commercio americano. Dall’altro lato, l’amministrazione Trump ha già dichiarato il ricorso in appello. Nell’attesa di capire cosa succederà, come hanno reagito i mercati alla notizia?    

I dazi di Donald Trump dichiarati illegali: la sentenza

La U.S Court of International Trade (USCIT), un tribunale federale che si occupa di gestire le cause civili legate all’importazione e al commercio internazionale, ha bloccato i dazi introdotti dal Presidente degli Stati Uniti. Le motivazioni risiedono principalmente nel fatto che Donald Trump non avrebbe l’autorità per imporre i dazi in modo autonomo, cioè senza passare per il Congresso: il Parlamento americano, infatti, è l’organo istituzionale che, secondo la Costituzione, ha il potere di autorizzare o meno le tariffe doganali. The Donald, invece, ha saltato questo passaggio invocando lo IEEPA (International Emergency Economics Power Act), una legge del 1977 che conferisce al Presidente il potere di regolamentare il commercio in risposta a minacce che possano costituire un’emergenza nazionale.

Il problema principale, secondo l’interpretazione della Corte, è lo IEEPA non concede automaticamente poteri illimitati al Presidente e, pertanto, ha deciso di annullare i dazi doganali del 2 aprile. Nello specifico, nella sentenza si legge che le tariffe “vanno oltre qualsiasi autorità concessa al Presidente dall’IEEPA per regolamentare le importazioni”. Inoltre, la USCIT ha giudicato illegali anche gli oneri doganali imposti nei confronti di Canada, Cina e Messico finalizzati al contrasto del fentanyl perché “non ci sarebbe connessione fra l’imposizione dei dazi e le minacce insolite e straordinarie che i provvedimenti contro il traffico di droga dichiarano di voler contrastare”. Subito dopo la sentenza, l’amministrazione Trump ha annunciato il ricorso alla Corte d’Appello

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La reazione dei mercati

La decisione della USCIT è stata accolta con favore dalla Borse europee, che aprono in verde e – al momento in cui scriviamo – sembrano decise a continuare in questo modo: il CAC 40 di Parigi guadagna lo 0,73%, il DAX di Francoforte lo 0,42% e Il FTSE MIB di Milano registra un +0,45%. In controtendenza il FTSE 100 di Londra, giù dello 0,11%. Molto bene anche i listini asiatici, che hanno chiuso tutti in rialzo: Tokyo ha messo a segno un +1,88%, Shenzhen un +1,33%, Hong Kong sale dello 0,9% così come Shanghai, in rialzo dello 0,7%. Anche le Borse USA sembrano contente della decisione della Corte, coi futures di Wall Street che salgono di oltre l’1%

Il mercato crypto si unisce al trend con Bitcoin su di circa 2000$ a 108.600$, Ethereum mette a segno un +4,3% rispetto alla giornata di ieri e viaggia intorno ai 2.730$, mentre Solana approfitta del momento per recuperare qualcosa dal crollo di ieri, toccando quota 175$ per poi scendere e – per ora – stabilizzarsi sui 172$. Il clima è comunque molto positivo, perché la sospensione “ufficiale” dei dazi potrebbe portare molta liquidità al nostro mercato preferito. 

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Il calendario dei risultati trimestrali delle aziende quotate

Trimestrali NVIDIA e azionario: calendario e previsioni

Scopri il calendario dei dati trimestrali di NVIDIA e delle aziende più importanti dell’azionario

Il calendario dei dati trimestrali di NVIDIA e delle aziende più importanti dell’azionario è uno strumento essenziale per seguire al meglio i mercati. Ogni tre mesi, NVIDIA e tutte le aziende quotate sono tenute a pubblicare le trimestrali. Questi report contengono i risultati finanziari dell’azienda per l’ultimo trimestre, tra cui ricavi, profitti, spese, previsioni future e molto altro.

Scopri perché sono importanti, come influenzano le decisioni degli investitori e il calendario completo e aggiornato in questo articolo.

Trimestrali: perché le aziende come NVIDIA devono pubblicarle?

Prima di addentrarci nel calendario delle trimestrali di NVIDIA e delle altre aziende principali del mercato azionario, è utile capire alcune caratteristiche di questi report. Innanzitutto, va specificato che la pubblicazione di questi documenti è un obbligo normativo, volto a garantire un livello di trasparenza accettabile all’interno dei mercati. 

La pubblicazione delle trimestrali consente agli investitori di valutare l’andamento di un’azienda, comprendendo se sta crescendo, se è in grado di registrare profitti e fornendo gli elementi necessari per decidere se comprare o vendere le sue azioni.

Le trimestrali non sono solo un’indicazione della salute finanziaria di un’azienda, ma anche uno strumento per confrontarla con i suoi competitor. Per esempio, i risultati di NVIDIA possono essere utilizzati per confrontare l’azienda con altre nel settore tecnologico. Nel mese di gennaio la quotazione delle azioni di NVIDIA, che produce GPU, è calata del 27% circa a causa dell’ingresso in scena di DeepSeek e della sua innovativa versione R1. Sebbene il titolo abbia mostrato una ripresa, con una crescita di circa il 50% dai minimi di aprile, l’attenzione è ora catalizzata sui risultati trimestrali attesi per domani, mercoledì 28 maggio 2025. In che modo questo contesto e la forte concorrenza nel settore AI influenzeranno gli utili? La market cap di NVIDIA è ancora giustificata agli occhi degli analisti, che peraltro mantengono un consensus prevalentemente “Buy” o “Strong Buy”? Le risposte a queste domande, almeno in parte, possono essere trovate analizzando le trimestrali imminenti.

Come influenzano i mercati

Le trimestrali di NVIDIA, così come quelle di tante altre aziende quotate, hanno un impatto significativo sui mercati. Tuttavia, l’effetto che queste hanno non è mai scontato e richiede esperienza e una comprensione approfondita per essere interpretato correttamente. Intuitivamente, si potrebbe pensare che, quando i risultati di un’azienda sono positivi, il prezzo delle sue azioni sarà destinato a salire. In realtà, la reazione del mercato a questi dati non è così lineare.

La verità è che non esiste una formula precisa per prevedere come reagirà il mercato ai dati trimestrali. Le reazioni possono essere influenzate da molteplici fattori. Le aspettative degli investitori sono cruciali: se i risultati di un’azienda sono in linea con le previsioni degli analisti, o meglio ancora li superano, il titolo tenderà a salire. Tuttavia, se i risultati sono positivi ma non riescono a superare le aspettative, il titolo potrebbe scendere.

Un altro fattore determinante è il contesto macroeconomico. I mercati adesso si trovano in un periodo di incertezza e debolezza a causa dell’atteggiamento imprevedibile di Donald Trump sui dazi, che impedisce agli investitori di avere una visione chiara del prossimo futuro. In questa situazione altalenante, anche una trimestrale positiva potrebbe non ricevere l’attenzione che merita. Per esempio, a seguito della riunione del Federal Open Market Committee (FOMC) del 7 maggio 2025, la Federal Reserve ha deciso di mantenere i tassi di interesse invariati nel range 4.25%-4.50%, adottando un approccio “wait-and-see” e indicando che, sebbene l’economia cresca a un ritmo modesto e l’inflazione sia leggermente sopra il target del 2%, si attendono possibili tagli dei tassi nella seconda metà dell’anno, ma con un’incertezza elevata. Politiche monetarie percepite come ancora restrittive o un’inflazione persistente possono limitare l’entusiasmo per i risultati aziendali, spingendo parte del capitale verso alternative meno rischiose.

Infine non si possono citare altri aspetti che giocano un ruolo centrale. La dimensione dell’azienda, il settore in cui opera, le quote di mercato e la sua reputazione sono tutti fattori che possono influenzare come il mercato percepisce e reagisce ai suoi risultati trimestrali. 

Trimestrali NVIDIA e non solo: il calendario completo

Con i risultati del primo trimestre fiscale del 2025 che si stanno concludendo (come quelli di NVIDIA attesi per domani), l’attenzione si sposterà presto sulla prossima stagione delle trimestrali, quella relativa al secondo trimestre fiscale del 2025 (Q2), i cui risultati verranno comunicati nei mesi di luglio e agosto. Il 2025 continua a essere un anno cruciale: le politiche commerciali globali e le dinamiche macroeconomiche avranno un impatto diretto sui profitti delle Big dell’economia mondiale.

Ecco un calendario preliminare con le date attese per le prossime trimestrali di alcune delle principali aziende quotate (le date sono indicative e potrebbero subire variazioni):

Mercoledì 28 maggio 2025

  • NVIDIA – Market Cap: 3,3 trilioni di dollari: 44,1 miliardi di dollari (contro i 43,3 previsti)
  • Salesforce – Market Cap: 264 miliardi di dollari: 9,8 miliardi di dollari (contro i 9,75 previsti)

Giovedì 29 maggio 2025

  • CostoCo – Market Cap: 449,5 miliardi di dollari

Giovedì 5 giugno 2025

  • Broadcom – Market Cap: 1,1 trilioni di dollari

Martedì 17 giugno 2025

  • Oracle – Market Cap: 459,47 miliardi di dollari

Martedì 15 luglio 2025 (o date vicine)

  • JPMorgan – Market Cap: 732,26 miliardi di dollari
  • Wells Fargo Market Cap: 240 miliardi di dollari
  • Pepsi – Market Cap: 179,16 miliardi di dollari
  • Citigroup – Market Cap: 140,14 miliardi di dollari

Mercoledì 16 luglio 2025 (o date vicine)

  • Netflix – 514,32 miliardi di dollari
  • Bank of America – 331,85 miliardi di dollari
  • Morgan Stanley – 204,57 miliardi di dollari
  • Goldman Sachs – 178,3 miliardi di dollari

Venerdì 18 luglio 2025 (o date vicine)

  • American Express – Market Cap: 205,52 miliardi di dollari
  • BlackRock – Market Cap: 150,48 miliardi di dollari

Mercoledì 23 luglio 2025 (o date vicine)

  • Apple – Market Cap: circa 3 trilioni di dollari
  • Meta Platforms, Inc. – Market Cap: 1,6 trilioni di dollari
  • IBM – Market Cap: 236,6 miliardi di dollari
  • McDonald’s – Market Cap: 223 miliardi di dollari

Giovedì 24 luglio 2025 (o date vicine)

  • Mastercard – Market Cap: 518 miliardi di dollari

Martedì 29 luglio 2025 (o date vicine)

  • Microsoft – Market Cap: 3,4 trilioni di dollari
  • Alphabet – Market Cap: 2,1 trilioni di dollari
  • Tesla – Market Cap: 1,15 trilioni di dollari
  • VISA – Market Cap: 673,5 miliardi di dollari
  • Coca-Cola – Market Cap: 306,2 miliardi di dollari

Giovedì 31 luglio 2025 (o date vicine)

Amazon – Market Cap: 2,17 trilioni di dollari

Come abbiamo potuto comprendere nelle scorse settimane, il 2025 sarà un anno cruciale per la finanza mondiale. Il nuovo approccio isolazionista degli Stati Uniti ha prodotto un cambio di paradigma nei rapporti fra stati, che si riflette in una nuova architettura globale di alleanze economiche e finanziarie: la Cina vorrà approfittarne per diventare finalmente il principale attore commerciale e l’Europa dovrà necessariamente rendersi sempre più indipendente per difendersi dalle turbolenze esterne.  Iscriviti al nostro blog per restare aggiornata/o su ciò che è davvero importante! 

Rapporto ISTAT 2025: come sta l’Italia oggi?

Rapporto ISTAT 2025: come sta l’Italia oggi?

Il rapporto annuale ISTAT 2025 offre una fotografia del quadro economico, demografico e sociale dell’anno appena trascorso. Cosa ci dicono i dati?

Il rapporto annuale ISTAT del 2025 analizza ed elabora i dati del 2024, descrivendo la situazione dal punto di vista dei cambiamenti della popolazione italiana, dell’economia e dell’assetto sociale e sociali. Nello specifico, esamina i punti di forza e di debolezza del nostro Paese, concentrandosi sulla dimensione macroeconomica e sul profilo della popolazione italiana a livello di demografia, istruzione e redditi da lavoro. A che punto siamo? 

Popolazione italiana e società: il quadro demografico

Nel Rapporto annuale del 2025, l’ISTAT ci dice che il trend negativo di calo della popolazione in Italia prosegue. La causa principale risiede nel saldo naturale (nascite meno decessi) fortemente negativo. In particolare, le nuove nascite nel 2024 ammontavano a 370.000, circa 200.000 in meno rispetto al 2008, con un tasso di fecondità al minimo storico di 1,18 figli per donna. A questo, bisogna aggiungere i 156.000 italiani emigrati all’estero e il fenomeno della “fuga di cervelli”: in dieci anni, 97.000 giovani laureati, compresi nella fascia di età fra i 25 e i 34 anni, hanno scelto di vivere all’estero. Il saldo migratorio, con 435.000 nuovi ingressi nel 2024 (+20,5% rispetto al 2023) non basta per compensare le perdite. In ogni caso, l’Italia resta uno dei paesi più longevi al mondo, con un quarto dei residenti che ha più di 65 anni (il doppio rispetto ai minori di 15 anni), 4,6 milioni di ultraottantenni e 23.500 ultracentenari. Le previsioni per il futuro confermano queste traiettorie. 

Infatti, riprendendo l’ultima rilevazione ISTAT – al 31 gennaio 2025 – relativa al bilancio demografico, in Italia la popolazione residente ammonta a 58.924.313 persone, un numero inferiore di circa 10.000 unità rispetto all’inizio dell’anno. Le nascite a gennaio 2025 si aggirano intorno alle 31.000 unità, in calo del 6% rispetto a gennaio 2024, mentre i decessi sono 66.000, una cifra inferiore dello 0,4% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. 

In sintesi, i dati aggregati del Rapporto annuale ISTAT 2025 sulla popolazione in Italia – residente, sia italiana sia straniera – mostrano la seguente composizione demografica: 

  • 0-20 anni: 17,8% 
  • 21-45 anni: 31.3%
  • 46-70 anni: 38,8%
  • 71- 100 e più: 12,1% 

Le previsioni per il futuro, come anticipato, confermano questi trend: si stima che in Italia, la popolazione residente sarà pari a

  • 58,6 milioni a gennaio 2030
  • 54,8 milioni a gennaio 2050
  • 46,1 milioni a gennaio 2080  

 Composizione delle famiglie italiane e natalità 

A quanto si legge, le tendenze descritte sono causa e conseguenza di dinamiche demografiche strutturali: le famiglie monopersonali superano il 35%, mentre le coppie con figli scendono al 28,2%. I matrimoni sono in calo da quarant’anni, dal momento che si passa dai 400.000 e oltre degli anni Settanta ai 184.207 del 2023. Ciò è dovuto sia al crollo della natalità, che banalmente riduce il numero di adulti, sia a cambi di natura sociologica, con le unioni libere sempre più diffuse anche in caso di figli. Inoltre, due terzi dei giovani tra i 18 e 34 anni vive ancora coi genitori, contro la media europea del 49,6%. 

Per quanto riguarda la natalità, il Rapporto mette a confronto la generazione delle madri (nate cioè nel 1958) con le attuali quarantenni, evidenziando come la quota delle donne senza figli sia raddoppiata, dal 13% al 26% stimato, con un picco nel Sud Italia di tre donne su dieci. Infine, il primo figlio arriva in età sempre più avanzata: dai 25,9 anni per le donne nate nel 1960 ai 29,1 anni per quelle del 1970, con ritardi ancora più marcati per le generazioni più giovani. 

Economia italiana: cosa ci dicono i dati?

Il Rapporto annuale ISTAT 2025 comincia col resoconto del quadro macroeconomico italiano, cioè con la descrizione complessiva dello stato di salute e delle prospettive dell’economia dell’Italia. Secondo quanto rilevato dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT, appunto), l’economia italiana nel 2024 ha continuato a crescere in modo lento ma graduale, nonostante la situazione europea attuale non sia delle più dinamiche: come nel 2023, il PIL (Prodotto Interno Lordo) è aumentato dello 0,7%, meno rispetto a Francia (+1,2%) e Spagna (+3,2%), ma di più rispetto alla Germania (-0,2%). 

Le stime per il primo trimestre del 2025 vedono una crescita congiunturale dello 0,3%, che corrisponde ad una crescita annua acquisita dello 0,4%. Nel caso in cui ti stessi chiedendo cosa significano queste due righe, per “crescita congiunturale” si intende la variazione percentuale del PIL rispetto al trimestre precedente, mentre la “crescita annua acquisita” ci dice quale sarebbe il risultato a fine anno se l’economia restasse immobile. Unite, queste due misure servono a tracciare un quadro economico complessivo che consideri il brevissimo periodo (trimestre) e l’anno in corso. Sempre per fare un paragone, l’andamento congiunturale italiano è stato superiore a Germania e Francia (+0,2% e +0,1%) ma inferiore alla Spagna (+0,6%). 

Il Rapporto segnala una buona spinta da parte della componente nazionale – formata da consumi nazionali e investimenti – con calo della domanda estera. Questa contrazione è dovuta alla forte incertezza causata dal contesto geopolitico attuale e dalle misure protezionistiche, imposte e poi sospese, dell’amministrazione statunitense. Per queste ragioni, ci dice l’ISTAT, le previsioni per l’Italia da parte delle varie istituzioni nazionali e internazionali vedono un rallentamento dell’espansione economica nel 2025, al pari delle altre economie avanzate. Il saldo della bilancia commerciale, cioè la differenza tra export e import, nel 2024 è salito fino a 55 miliardi di euro, rispetto ai 34 miliardi del 2023. 

In che stato è il mercato del lavoro?

Secondo l’ISTAT, nel 2024 il numero degli occupati è cresciuto di molto (+1,5%), sostenuto dai contratti a tempo indeterminato, mentre si è ridotta del 6,8% la fetta dei contratti a termine. Inoltre, nel Q1 del 2025, gli occupati sono aumentati dello 0,7% rispetto a dicembre e dell’1,9% – 450.000 nuovi contratti – rispetto a marzo 2024. In ogni caso, a fine 2024, il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni si attesta al 62,2% (23,9 milioni di persone): un buon numero, anche se di molto inferiore a quello della Germania (circa il 77%) e lievemente più ridotto rispetto a quello di Francia (69%) e Spagna (66%). 

Come abbiamo anticipato, il contratto a tempo pieno e indeterminato domina e riguarda il 63% dei lavoratori, con un aumento del 2,1% rispetto al 2023 e del 4,8% rispetto al 2019. Tuttavia, nel 2024, il Rapporto segnala che il 30% delle donne lavora in part-time e che spesso, non è una scelta. 

Finanza pubblica e bilancio dello Stato

Come si valuta lo stato della finanza pubblica? Col saldo primario, quindi calcolando la differenza fra spese dello Stato (al netto degli interessi sul debito, ovvero togliendo da questa cifra gli interessi sui titoli di stato come i BTP) ed entrate dello Stato. Il risultato può essere positivo, l’avanzo primario, o negativo, cioè il disavanzo primario. Il Rapporto annuale dell’ISTAT ci comunica che, nel 2024, la finanza pubblica è migliorata in modo significativo: il saldo primario è positivo per la prima volta dal 2019 a causa dell’aumento delle entrate, quindi delle tasse, e della minima riduzione delle uscite, dunque della spesa pubblica. Tuttavia, il rapporto fra debito pubblico e PIL sale di 0,7 punti percentuali, dal 134,6% al 135,3%.

La situazione sul versante prezzi e retribuzioni

Questa sezione inizia con una buona notizia: nel 2024 si è consolidato il processo di disinflazione. Il Rapporto indica che l’Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato per i paesi europei (IPCA, una metrica che serve a standardizzare le metodologie di misurazione dell’inflazione dell’Eurozona) è passato dal 12,6% annuo dell’ottobre 2022 all’1,1% nel 2024, il valore più contenuto tra le grandi economie europee. Le proiezioni per il 2025, però, vedono un leggero incremento: i prezzi sono tornati a salire in modo moderato nei primi mesi di quest’anno. 

Il discorso non è così roseo quando si parla di retribuzioni nominali. Rispetto a gennaio 2019, a causa del boom inflazionistico causato da Covid e guerre, nel 2022 la perdita di potere d’acquisto per un lavoratore era superiore al 15%, mentre a marzo 2025 è pari al 10%. In altre parole, significa che a marzo scorso, con uno stipendio di 1500€, compravi quello che nel gennaio 2019 costava 1350€. Il Rapporto poi tratta la retribuzione lorda di fatto, in quanto indicatore migliore per calcolare realmente la perdita o il guadagno di potere d’acquisto. La differenza con la retribuzione nominale è nel considerare come parte dello stipendio anche gli extra, tra cui bonus, straordinari, tredicesima, quattordicesima e via dicendo. Considerando questo parametro, allora la perdita di potere d’acquisto dal 2019 al 2024 risulta più contenuta: 4,4% in Italia, 2,6% in Francia e 1,3% in Germania. La Spagna, in controtendenza, guadagna il 3,9%.  

Il nodo della produttività

La produttività è un fattore cruciale perché misura l’efficienza con cui si producono beni o servizi: indica quanto output si riesce ad ottenere utilizzando una certa quantità di input. Detto in parole semplici, ci spiega quante risorse umane o materiali – input – sono necessarie per la realizzazione del prodotto finale – output. La regola aurea, naturalmente, è produrre di più sprecando di meno. Per capire come l’aumento della produttività si rifletta sul miglioramento dell’economia di un paese, può essere utile il classico esempio dell’artigiano: un artigiano costruisce una sedia in 6 ore e la vende a 50€. A un certo punto decide di investire dei soldi per comprare un macchinario. Ora produce due sedie nello stesso tempo e guadagna il doppio. L’artigiano quindi spende meno in termini di ore lavorate per sedia, può abbassare i prezzi, accrescere la clientela e assumere dipendenti proprio perché vende di più. Potrà poi reinvestire i profitti in altri macchinari o in altri dipendenti, in un circolo virtuoso che, moltiplicato per il numero di aziende, contribuisce all’espansione dell’economia nazionale. 

Il Rapporto annuale dell’ISTAT, purtroppo, ci dice che il sistema produttivo italiano presenta delle criticità strutturali come la dimensione delle imprese, la specializzazione e l’innovazione delle produzioni, che hanno un effetto frenante sull’espansione economica. Nello specifico, nel 2024 la crescita dell’occupazione è stata superiore a quella del valore aggiunto. Per valore aggiunto, si intende la nuova ricchezza creata da un’attività produttiva – la nazione Italia in questo caso – in un determinato momento. Cosa succede se l’artigiano assume dipendenti ma non incrementa le vendite? Esattamente il contrario di quanto detto nell’esempio. Infatti, l’ISTAT scrive che lo squilibrio fra occupazione e valore aggiunto ha provocato una diminuzione della produttività dell’ora lavorata dell’1,4%. L’effetto a catena di questo fenomeno provoca il rallentamento dell’economia in generale. 

Sistema economico e generazioni: la panoramica

L’ultimo capitolo del Rapporto annuale ISTAT 2025 indaga i mutamenti che si sono verificati nella popolazione nel corso degli anni al cambiare del sistema economico.

Evoluzione delle categorie occupazionali negli anni

Come abbiamo già riportato, l’ISTAT ci mette in guardia sulle carenze strutturali legate alla bassa produttività e alle sue conseguenze. Negli ultimi venti anni, infatti, sono cresciute le possibilità di occupazione ma non quelle di benessere economico, perché le nuove posizioni lavorative hanno riguardato soprattutto le attività ad alta intensità di lavoro e a ridotta produttività, come il settore della ristorazione. 

Tuttavia, dal Rapporto si legge anche che l’evoluzione del sistema economico italiano ha portato risultati positivi come l’aumento dell’occupazione qualificata, seppure con minore forza rispetto alle altre grandi economie europee. Precisamente, tra il 2000 e il 2024 la quota di tecnici e professionisti è passata da un quarto a un terzo – cioè circa il 33% –  del totale degli occupati, mentre in Spagna, Francia e Germania siamo, rispettivamente, sul 37%, 43% e 44%. Inoltre, questo trend ha riguardato anche i professionisti ICT (Information and Communication Technology), specialmente a partire dagli anni della pandemia: programmatori, data analyst e ingegneri informatici rappresentano una componente strategica per la competitività e l’innovazione dell’intera infrastruttura economica. Naturalmente, anche in questo settore siamo indietro rispetto agli altri paesi UE. 

Che ruolo ha l’istruzione?

L’istruzione, ovviamente, è una leva decisiva per l’accesso a lavori più qualificati e retribuiti ed è considerata la trasformazione più rilevante nel modificare le opportunità professionali delle diverse generazioni. Tradotto, ciò significa che, negli anni, il generale innalzamento del livello di istruzione ha ampliato l’accesso a migliori opportunità lavorative per un numero sempre maggiore di persone. Nel 1980, infatti, la metà dei giovani fra i 15 e i 24 anni già lavorava, mentre nel 2024, per lo stesso range di età, due terzi sono inattivi perché studiano o si formano professionalmente. Dagli anni Novanta, poi, la percentuale di laureati fra i 25 e i 34 anni è passata dal 7% a oltre il 30%, con le donne che raggiungono anche il 37,1%. In sintesi, nel Rapporto annuale dell’ISTAT si nota come gli individui che, al momento dell’ingresso del mondo del lavoro, avevano un livello di istruzione più elevato – o lo miglioravano in corso d’opera – avevano maggiori possibilità di beneficiare di salari più alti

Attenzione al contesto familiare di partenza

L’istruzione è una variabile determinante, ma spesso è una conseguenza della situazione di partenza. In parole semplici, questo vuol dire che i figli tendono a seguire le orme dei genitori: tra i giovani provenienti da famiglie in cui nessun genitore possiede un diploma, solo il 17,6% riesce ad ottenere un titolo di studio universitario, contro il 75% dei figli di genitori laureati. Ancora più grave, nel primo gruppo di giovani più di un terzo non arriva al conseguimento del diploma di maturità. 

Il fenomeno della mobilità intergenerazionale, definito come il cambiamento nella posizione socioeconomica di un individuo rispetto a quella dei suoi genitori, è limitato ma non assente: come si legge nel Rapporto, c’è un ruolo non trascurabile delle capacità e delle scelte individuali nel determinare il proprio percorso di vita. 

Chi innova in Italia? I giovani, che sono sempre di meno

Il Rapporto annuale ISTAT 2025 termina con un paragrafo dedicato ai giovani nel mondo dell’imprenditoria. Le rilevazioni registrano una quota importante di occupati sotto i 35 anni – che rappresentano il 24% della forza occupazionale – lavorare nelle imprese più dinamiche e di nuova creazione: nel 2022, il 36% di questi aveva un impiego in società con meno di 5 anni di vita e quasi il 40% operava nel settore dei servizi ad alta tecnologia. Infine, ci viene mostrata una correlazione tra capitale umano giovane, innovazione e successo dell’impresa. Entrando nel dettaglio, ma non troppo, la dotazione di risorse umane qualificate under 35 è risultata un fattore chiave che ha permesso alle imprese di digitalizzarsi con successo, innovare e mettere a segno migliori performance a livello di crescita e occupazione. 

Rapporto annuale ISTAT 2025: le conclusioni 

Il Rapporto annuale ISTAT 2025 si conclude con le parole di Francesco Maria Chella, Presidente dell’Istituto di Statistica. Chella parla di segnali economici positivi, come il calo dell’inflazione e l’aumento dell’occupazione, a cui si affiancano debolezze strutturali che frenano la crescita e minano lo sviluppo. Si concentra molto sulle giovani generazioni le quali, nonostante siano generalmente più istruite, si ritrovano ad affrontare redditi e opportunità lavorative inferiori – quantitativamente e qualitativamente – rispetto ai coetanei nei principali paesi UE. Il Presidente parla poi delle evoluzioni che hanno interessato il sistema economico italiano, del cambiamento delle categorie occupazionali negli anni e dei divari sociali e territoriali che, tuttora, potrebbero condizionare negativamente le prospettive future. Poi, torna sulla questione giovani: il capitale umano altamente istruito è una grande opportunità per accelerare i processi di digitalizzazione e migliorare la produttività di imprese e pubbliche amministrazioni. Per questo motivo, chiude, è fondamentale sostenere questa fascia di popolazione, contrastando le disparità nell’accesso all’istruzione, soprattutto universitaria, per facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro e promuovere l’innovazione.

Siamo giunti al termine di questo mega spiegone semplificato e sintetizzato del Rapporto annuale ISTAT 2025. La situazione, come è intuibile, non è delle migliori, a maggior ragione se comparata con le altre grandi economie europee, i nostri vicini. Tuttavia, come ha dichiarato lo stesso Presidente, è necessario sforzarsi per cambiare atteggiamento, favorendo la dinamicità e la determinazione delle nuove generazioni, per costruire un Paese che sia al passo coi tempi. 
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Guerra Russia-Ucraina: gli aggiornamenti post-vertice

Guerra Russia Ucraina: aggiornamento post-vertice

Russia e Ucraina a colloquio per la prima volta dopo tre anni, con scarsi risultati. Prevista una chiamata lunedì fra Trump e Putin. Gli aggiornamenti

Russia e Ucraina hanno inviato le proprie delegazioni a Istanbul nella giornata di venerdì 16 maggio per provare a intavolare delle trattative di pace. Il vertice ha dato scarsi risultati ma, secondo gli analisti, è un segnale positivo perché è il primo meeting diretto da marzo 2022. Intanto i leader europei si parlano e Trump organizza una chiamata con Putin. Qui gli aggiornamenti.

Vertice Russia e Ucraina: cos’è successo venerdì a Istanbul

Il vertice tra Russia e Ucraina di Istanbul non è andato esattamente come previsto. Il presidente della Federazione russa Vladimir Putin non si è presentato all’incontro, pur essendo stato lui stesso a proporre il faccia a faccia col presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky. Da parte sua, Zelensky si è rifiutato di partecipare, in reazione all’assenza di Putin. In ogni caso, i due hanno inviato le rispettive delegazioni, che si sono confrontate senza intermediari per la prima volta da marzo 2022. 

Il capo della delegazione russa, Vladimir Medinsky, ha dichiarato che “Mosca è soddisfatta del risultato ed è pronta a proseguire il dialogo. Nei prossimi giorni”, ha continuato, “ci sarà un imponente scambio di prigionieri”. Infatti, l’accordo tra le parti – fa sapere la TV di stato russa – prevederebbe un rilascio reciproco di mille prigionieri di guerra e una successiva ripresa delle trattative.

Al momento, tuttavia, non è in programma un cessate il fuoco perché, a detta di Medinsky, “guerra e negoziazioni si conducono sempre contemporaneamente, come diceva Napoleone”. Lo stesso capo delegazione – secondo fonti ufficiali ucraine – avrebbe poi aggiunto che la Russia è pronta a combattere per tutto il tempo necessario, menzionando le guerre dello Zar Pietro il Grande contro la Svezia, che durarono 21 anni.

Intanto, domenica 18 maggio Volodymyr Zelensky è volato a Roma per incontrare il Papa Leone XIV e il Vice Presidente degli Stati Uniti JD Vance.

Volodymyr Zelensky vola a Roma

Nella giornata di domenica 19 maggio, il Presidente ucraino si è presentato a Roma, insieme ad altri leader mondiali, in occasione della messa di inaugurazione del pontificato di Papa Leone XIV. I due si sono poi incontrati per parlare dell’importanza delle trattative di pace: il Papa, la scorsa settimana, aveva già proposto il Vaticano come sede per le negoziazioni fra le due parti in conflitto. Zelensky, in seguito, ha avuto un confronto col Vice Presidente USA JD Vance e col Segretario di Stato Marco Rubio presso la residenza dell’ambasciatore statunitense nella Capitale. Lo stesso Zelensky ha poi descritto la seduta su Telegram come “positiva”.

Dall’altro lato, sempre domenica, il Primo Ministro britannico Keir Starmer avrebbe discusso degli svolgimenti del conflitto russo-ucraino coi leader di USA, Germania, Francia e Italia. In merito, il Presidente francese Emmanuel Macron ha scritto su X (ex Twitter) che lunedì 19 maggio “il Presidente Putin deve dimostrare di volere la pace accettando il cessate il fuoco incondizionato di trenta giorni proposto dal Presidente Trump e supportato da Ucraina ed Europa”. 

Sempre in queste ore, Donald Trump e Vladimir Putin dovrebbero chiamarsi per discutere sulla fine della guerra. 

Trump sulla guerra tra Russia e Ucraina: fermare il “bagno di sangue”

Tramite un post sul suo social Truth, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha scritto che alle 16 (ora italiana) di lunedì 19 maggio chiamerà Vladimir Putin per parlare della guerra e cercare di ragionare sulla risoluzione del conflitto. 
In caps lock – come sempre –  Trump ha poi scritto che “i temi della telefonata saranno: fermare il “bagno di sangue” che sta uccidendo, in media, più di 5.000 russi e ucraini a settimana, e il commercio”. In un altra nota, ha poi aggiunto di voler parlare anche con Zelensky e, in un secondo momento, con alcuni membri della NATO: “si spera che sarà un giorno produttivo, che venga raggiunto il cessate il fuoco e che questa guerra così violenta, che non sarebbe mai dovuta accadere, finisca”, ha concluso. 

Trump chiama Putin: cosa si sono detti

In un lungo post su Truth, Donald Trump ha riferito che la telefonata di due ore con Vladimir Putin – secondo lui – è andata molto bene: “Russia e Ucraina inizieranno immediatamente le negoziazioni per raggiungere il cessate il fuoco e, soprattutto, la FINE della Guerra”. Il POTUS ha poi aggiunto che la Russia vuole iniziare un rapporto commerciale su larga scala con gli USA che, sempre secondo Trump, costituirebbe una grandissima opportunità per entrambe le economie. Inoltre, ha scritto che allo stesso modo l’Ucraina beneficerebbe di questi accordi, principalmente grazie al processo di ricostruzione della nazione. Infine, ha concluso precisando di aver informato le varie parti in causa: il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e i leader di Francia, Italia, Germania e Finlandia. Il post si chiude con un motivante “Let the process begin!” (che il processo abbia inizio!).

Che effetto avrebbe la pace tra Russia e Ucraina sui mercati?

La fine della guerra fra Russia e Ucraina avrebbe ripercussioni nette sui mercati finanziari, per diverse ragioni. A livello sistemico, verrebbe meno una delle principali fonti di incertezza geopolitica che da anni condiziona l’andamento dell’economia globale: dall’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, cominciata nel febbraio del 2022, i governi di tutto il mondo sono stati costretti a ridefinire le alleanze strategiche commerciali, non potendo più contare sulla globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta. Al termine delle ostilità, infatti, le armi lascerebbero spazio alla diplomazia e la fiducia degli investitori potrebbe tornare a livelli che non si vedevano da anni. Anche le banche centrali cambierebbero approccio nel definire le politiche monetarie, come ha dichiarato Jerome Powell nell’ultimo FOMC, dal momento che sarebbe più semplice prevedere gli scenari economici con maggiore precisione. 

Si verificherebbe poi un calo dei prezzi delle materie prime energetiche. La Russia, infatti, è una delle principali nazioni esportatrici di petrolio e gas naturale e con la pace, quasi certamente, andrebbe incontro ad un allentamento – la rimozione è improbabile – delle sanzioni economiche. Allo stesso modo, una risoluzione pacifica del conflitto avrebbe conseguenze dirette sulla riduzione del prezzo delle materie prime agricole, di cui Russia e Ucraina sono grandi produttrici ed esportatrici. Nello specifico, le commodities interessate sarebbero il grano, il mais, l’olio di girasole e i fertilizzanti. 

Quanto detto finora avrebbe poi un impatto concreto sulla riduzione della pressione inflazionistica. Come abbiamo spiegato anche in questo articolo, l’aumento del costo delle materie prime, energetiche o alimentari, è collegato a catena all’aumento del costo della vita: se il prezzo di una pizza margherita nel 2019 si aggirava intorno ai 5.5€, oggi siamo intorno ai 7€ a causa del rincaro della farina per l’impasto e dell’energia per il forno. È evidente, quindi, come il consumatore finale sia costretto a spendere di più per comprare lo stesso prodotto e la valuta perda il potere d’acquisto

A sua volta, il mondo crypto potrebbe beneficiare di questo cambio di contesto: la riduzione dell’incertezza si tradurrebbe nel calo dell’avversione al rischio e, conseguentemente, nell’afflusso di capitale verso asset considerati più volatili, come Bitcoin. C’è poi anche un tema legato alla postura favorevole dell’Ucraina nei confronti delle criptovalute e alla forte presenza dei miners di Bitcoin in Russia, esclusi dalla comunità proprio a causa dell’invasione. 

Non resta che attendere

Come abbiamo visto, Donald Trump è ottimista e crede che stia per cominciare una nuova fase di incontri diplomatici. Non resta che attendere sperando che Vladimir Putin decida una volta per tutte a mettere la parola fine a questo inutile conflitto che va avanti ormai da troppo tempo. Se non vuoi perderti altre notizie, iscriviti a Young Platform e resta aggiornata/o su ciò che è rilevante!

JPMorgan Chase: i clienti potranno comprare Bitcoin

JPMorgan: i clienti potranno comprare Bitcoin

Il CEO di JPMorgan Chase Jamie Dimon all’investor day di lunedì 19 maggio: “permetteremo ai clienti di comprare Bitcoin, ma non lo custodiremo”

JPMorgan Chase si aggiunge alla lista delle grandi banche che consentono ai loro clienti di acquistare Bitcoin. In occasione dell’investor day di lunedì, il CEO Jamie Dimon ha comunicato che sarà possibile comprare BTC attraverso la banca, la quale però non li custodirà ma si limiterà a riportare il saldo nei documenti relativi agli estratti conto. Facciamo il punto della situazione.

JPMorgan Chase e Bitcoin: il CEO comunica l’apertura all’acquisto

JPMorgan Chase e Bitcoin inaugurano un nuovo rapporto. Questa è la grande notizia che emerge dall’incontro annuale con gli investitori della banca. Nella giornata di lunedì 19 maggio, il CEO Jamie Dimon ha informato la platea che la banca permetterà ai clienti di comprare Bitcoin attraverso le loro piattaforme limitandosi, però, a questa funzione: “vi consentiremo di acquistare Bitcoin”, ha dichiarato, “ma non li custodiremo. Li riporteremo negli estratti conto”. 

JPMorgan Chase è la banca più grande degli Stati Uniti e uno dei principali colossi finanziari a livello globale: come si legge sul loro sito, al 31 marzo 2025 deteneva 4,4 trilioni di dollari in asset finanziari con 351 miliardi di dollari di patrimonio netto. Se una potenza del genere offre la possibilità di comprare Bitcoin ai propri clienti, il prossimo futuro riserverà sicuramente delle sorprese interessanti per i criptoinvestitori

Jamie Dimon mantiene un atteggiamento critico

Il CEO di JPMorgan Chase, nonostante quanto descritto finora, continua a nutrire dubbi su Bitcoin. L’opinione di Jamie Dimon su BTC è cosa nota: nel 2021 l’aveva definito “inutile” e nel 2024, a Davos, aveva usato l’espressione “pet rock” – pietra da compagnia, fa riferimento a un fenomeno degli anni ‘70 in cui una semplice pietra veniva venduta come animale domestico – che “non fa nulla”. Anche durante l’investor day ha voluto precisare che la sua visione resta immutata, sottolineando i problemi relativi al riciclaggio di denaro, all’evasione delle tasse e alla mancanza di chiarezza in merito alla proprietà. 

Questa volta, tuttavia, ha dovuto riconoscerne l’importanza, quantomeno a livello di domanda. Sempre in occasione della conferenza di lunedì, il CEO di JPMorgan Chase ha comunicato la sua posizione usando il seguente parallelismo: “Non credo che dovreste fumare, ma difendo il vostro diritto a farlo. Così difendo il vostro diritto di comprare Bitcoin”. Evidentemente, non gli sarà sfuggito che gli ETF su Bitcoin battono quelli sull’oro o che la stessa JPMorgan Chase prevede che Bitcoin overperformerà l’oro nella seconda metà dei 2025. 

Banche USA e Bitcoin: qual è la situazione  

Con JPMorgan Chase, la lista delle banche statunitensi che hanno aperto all’acquisto di bitcoin si allunga. Tra le più importanti ricordiamo Morgan Stanley e Charles Swab, che permettono ai clienti di investire in ETF Bitcoin spot, e U.S. Bank, che invece si concentra sui servizi di custodia per clienti istituzionali e fondi di investimento. C’è poi tutta una serie di banche crypto-friendly come Ally Bank, che consente agli utenti di collegare i loro conti bancari a piattaforme come Coinbase per eseguire operazioni con le criptovalute.  

Insomma, anche JPMorgan Chase si è resa conto che Bitcoin è sempre più richiesto e popolare in modo trasversale: la regina delle criptovalute, un tempo relegata a una nicchia di appassionati, è sempre più mainstream

Moody’s declassa le Treasury americane: fuga dal dollaro in arrivo?

Moody’s declassa le Treasury

Moody’s ha appena declassato le treasury americane. Quale sarà l’impatto dell’accaduto? Bitcoin può essere una soluzione?

L’era in cui gli Stati Uniti sembravano possedere una sorta di carta di credito globale illimitata potrebbe davvero essere al capolinea. La notizia è di quelle che scuotono l’economia mondiale: Moody’s ha messo sotto osservazione il debito sovrano americano, declassando di fatto il suo outlook. Non è “solo” una formalità tecnica; è un faro potente acceso su una verità scomoda: i titoli di stato USA, per anni il simbolo della sicurezza finanziaria, non sono più considerati completamente privi di rischio

E questo potrebbe significare che il tempo in cui l’America poteva stampare moneta a piacimento, con il mondo pronto ad assorbirla senza troppe conseguenze, sta per finire. Viene da chiedersi: come si colloca Bitcoin in questo scenario potenzialmente rivoluzionario?

Moody’s declassa le Treasury USA

Sentire che il debito americano non è più intoccabile fa un certo effetto. Dopotutto, per decenni è stata la roccia su cui si è appoggiato l’intero sistema finanziario globale. Ma ecco che le agenzie di rating – questi enigmatici arbitri del credito sovrano come Moody’s, S&P e Fitch – tornano protagoniste, capaci come sono di aprire o chiudere le porte dei mercati a intere nazioni con un semplice cambio di “pagella”.

Dopo questa premessa, che oscilla tra il catastrofico e l’ottimista (soprattutto per chi, come forse anche voi, vede in Bitcoin un’alternativa), cerchiamo di capire cosa è successo davvero. Sostanzialmente, è cambiata una “lettera”, o meglio, la prospettiva su quella lettera. Un avvenimento all’apparenza irrilevante, ma che potrebbe aprire le porte a un cambiamento radicale della finanza come la conosciamo. Moody’s, con il suo recente cambio di outlook (pur mantenendo per ora il rating Aaa), segue le orme di Standard & Poor’s (che declassò da AAA ad AA+ nel 2011) e Fitch (declassamento simile nel 2023), segnalando che la fiducia nel “porto sicuro” per eccellenza non è più incondizionata.

Quali sono i motivi del declassamento?

Le domande sorgono spontanee: perché questo cambio di rotta? Quali saranno le ripercussioni sul dollaro e sui principali indici azionari?

La motivazione principale di questo declassamento “annunciato” la conoscete probabilmente già, se seguite con un minimo di attenzione le dinamiche economiche – e il nostro blog. Il primo, ovvio, colpevole è il debito pubblico USA, la cui crescita può essere definita senza mezzi termini “fuori controllo”. Parliamo di un deficit federale che si avvicina ai 2.000 miliardi di dollari all’anno, circa il 6% del PIL – cifre mai viste, nemmeno durante le crisi più acute degli anni ’70. E questo senza contare il fardello crescente degli interessi su tale debito.

A ciò si aggiunge quella che Moody’s definisce una palese “incapacità politica di invertire la rotta”, ovvero una paralisi decisionale che impedisce di attuare riforme fiscali sostenibili. In breve: “la traiettoria fiscale statunitense è compromessa”. Il vero problema è che la situazione che abbiamo appena descritto sembra destinata a peggiorare. Secondo le stesse proiezioni di Moody’s (e di altri enti come il CBO), il deficit potrebbe schizzare al 9% del PIL entro il 2035, e questo nello scenario più ottimista, senza considerare shock esterni come pandemie, guerre o recessioni. Queste cifre proietterebbero il debito pubblico complessivo verso un terrificante 180% del PIL.

Gli USA non sono più intoccabili?

Il CBO (Congressional Budget Office), per sottolineare la gravità, ha addirittura tracciato un parallelo con il disastroso mini-budget proposto da Liz Truss nel Regno Unito nel 2022, che gettò nel panico i mercati finanziari.

Nel frattempo, come logica conseguenza, i rendimenti dei titoli di stato americani crescono: quello del trentennale ha già toccato o superato il 5%, e il decennale si attesta su livelli simili (es. 4,517% o più). Il motivo è semplice: più uno strumento finanziario è percepito come rischioso, più alto deve essere il suo rendimento per attrarre investitori. Questo, però, significa anche che gli USA dovranno sborsare più soldi per pagare gli interessi ai propri creditori, alimentando un circolo vizioso del debito. E attenzione, perché i rendimenti potrebbero salire ancora: il mercato obbligazionario è spesso più reattivo di quello azionario, e i famosi “bond vigilantes” (grandi investitori che “puniscono” i governi con politiche fiscali allegre vendendone i titoli) agiscono in fretta.

Il CBO stima che entro il 2030, ben il 22% di tutto il gettito fiscale USA (i soldi incassati con le tasse) sarà divorato dal solo pagamento degli interessi sul debito.

La domanda sorge quindi spontanea: l’eccezionalismo del debito USA è al capolinea? Anche gli Stati Uniti dovranno affrontare lo stesso scrutinio e gli stessi problemi di bilancio che noi italiani conosciamo fin troppo bene? La famosa “spending review” busserà anche alle porte di Washington? Bisogna ammettere che il dollaro USA non è una valuta qualsiasi: è la valuta di riserva mondiale, il linguaggio universale della finanza globale, la moneta che le banche centrali di tutto il mondo accumulano. Ma il giochino per cui gli USA stampano denaro senza limiti, sicuri che gli altri Paesi glielo comprino (un concetto legato al Dilemma di Triffin), potrebbe davvero finire.

Come se non bastasse, indiscrezioni recenti suggeriscono che nelle ultime settimane la FED potrebbe aver acquistato ben 43,6 miliardi di dollari di Treasury USA, di cui 8,8 miliardi di titoli di stato con scadenza a 30 anni l’8 maggio. Ciò che preoccupa maggiormente gli analisti non è tanto l’acquisto in sé, quanto il fatto che sarebbe avvenuto in sordina, non supportato da alcun annuncio ufficiale. Un’operazione del genere, se confermata, potrebbe segnalare l’inizio di una nuova fase in cui la banca centrale americana tenta di controllare i rendimenti dei bond (una sorta di yield curve control mascherato) per evitare un cosiddetto “bear steepener” – ovvero una situazione in cui la differenza di rendimento tra obbligazioni a breve e lunga durata diventa eccessivamente marcata. Evitare tale scenario è cruciale: un’eccessiva divergenza nei rendimenti potrebbe infatti costringere la FED ad alzare ulteriormente i tassi di interesse, aggravando il costo del debito e intensificando il circolo vizioso di cui abbiamo parlato.

Bitcoin può essere la soluzione?

E qui arriviamo al nocciolo della questione per molti osservatori attenti. In uno scenario dove la fiducia nella principale valuta di riserva mondiale e nei suoi titoli di stato inizia a incrinarsi, dove il debito sembra una voragine senza fondo e la capacità di ripagarlo senza svalutare la moneta è messa in dubbio, quale ruolo può giocare Bitcoin

In questo senso risuonano quanto mai attuali le dichiarazioni che Larry Fink, il CEO di BlackRock ha inserito nella sua lettera annuale agli shareholders del più grande fondo di investimento al mondo. In quel documento Fink dichiara che “Bitcoin ha le carte in regola per rimpiazzare il dollaro americano, proprio a causa dell’irreversibile situazione legata al debito statunitense.”

Insomma, per chi sostiene Bitcoin, la risposta è quasi ovvia. Di fronte a debiti sovrani fuori controllo e a valute fiat a rischio inflazione per “monetizzare” quei debiti, Bitcoin si propone come:

  1. Una riserva di valore alternativa, un “oro digitale” con un’offerta limitata e prevedibile (massimo 21 milioni di unità), non manipolabile da decisioni politiche o da banche centrali;
  2. Un asset intrinsecamente scarso;
  3. Un sistema di pagamento globale, decentralizzato e resistente alla censura.

Certo, Bitcoin ha la sua volatilità e le sue sfide, ma in un contesto di crescente preoccupazione per la stabilità del sistema finanziario tradizionale, la sua narrativa come potenziale scudo o diversificatore di valore acquista sempre più forza.Il cambio di outlook di Moody’s non è la fine del mondo, ma è un segnale potente. E mentre i pilastri della finanza tradizionale mostrano qualche crepa, un’alternativa digitale, un tempo considerata di nicchia, si fa sempre più strada. Staremo a vedere cosa emergerà dal discorso della FED, ma una cosa è chiara: le fondamenta stanno tremando e il dibattito su cosa verrà dopo è più vivo che mai.


Risiko bancario: che cos’è e perché si innesca?

Risiko bancario: che cos’è e come si innesca?

Scopri cos’è il risiko bancario, un’attività giustificata dagli extra-profitti delle banche

Che cos’è il risiko bancario? No, non è l’ultima espansione del vostro gioco da tavolo preferito, anche se le dinamiche di conquista e strategia che lo regolano ci assomigliano parecchio. Questo termine, mutuato con arguzia dal celebre gioco da tavolo, descrive la recente e vivace tendenza degli istituti di credito, specialmente quelli con qualche “carrarmatino” in più, a lanciarsi in operazioni di fusione, acquisizione (M&A) e accorpamento. Un po’ come quando, nel gioco, hai accumulato abbastanza armate da guardare con interesse i territori del vicino.

La prima misura macroeconomica che possiamo associare al risiko bancario è la modifica dei tassi di interesse, un argomento molto frequente nei nostri articoli per via della sua influenza sui mercati, anche su quello crypto. L’innalzamento del costo del denaro, deciso dalle banche centrali per domare l’inflazione (mentre noi comuni mortali vedevamo lievitare le rate dei mutui), ha fatto la gioia dei bilanci bancari. Questi extraprofitti verranno reinvestiti per crescere ed espandersi. Preparate i pop-corn perché la stagione 2025-2026 del risiko bancario, si preannuncia scoppiettante.

Lo stato di salute delle banche italiane

Prima di approfondire il tema principale, è utile una breve analisi dello stato di salute degli istituti di credito, per comprendere il contesto in cui si sviluppa il fenomeno del risiko. Negli ultimi anni, le banche hanno beneficiato significativamente delle decisioni delle banche centrali sui tassi di interesse.

Durante il 2023, le maggiori banche italiane quotate in borsa hanno registrato utili netti aggregati per 21,9 miliardi di euro, cifra che è ulteriormente salita a 31,4 miliardi nel 2024. A livello europeo, i profitti dei venti istituti più importanti hanno raggiunto circa 100 miliardi di euro.

Il principale motore di questa crescita è stato l’incremento dei tassi di interesse operato dalla Banca Centrale Europea per contrastare l’inflazione (da luglio 2022 a ottobre 2023, i tassi di riferimento sono passati dallo 0% al 4,5%). Ciò ha provocato un aumento del margine netto di interesse, ovvero la differenza tra gli interessi attivi riscossi sui prestiti e gli interessi passivi corrisposti sulla raccolta. Semplificando, si può dire che le banche hanno adeguato più rapidamente i tassi attivi sui finanziamenti concessi ai clienti rispetto alla remunerazione offerta sui depositi.

Tuttavia, i risultati positivi non derivano soltanto da questa dinamica. Si è registrata anche una crescita delle commissioni nette, prevalentemente dalla gestione patrimoniale. Queste componenti hanno contribuito alla situazione attuale, in cui le banche, grazie ai consistenti profitti accumulati (assimilabili, nella metafora del Risiko, a territori conquistati o carte bonus), dispongono di significativa liquidità (o “armate”). Il passo successivo, in entrambi gli scenari, è l’investimento di queste risorse per l’espansione.

Il risiko bancario

La metafora del risiko bancario è particolarmente calzante poiché, in questo periodo, il settore è sempre più simile ad una arena competitiva. Tuttavia, a differenza del gioco da tavolo, la spinta al consolidamento tra banche è alimentata da una serie di motivazioni strategiche fondamentali per la loro crescita e stabilità. Ecco le principali:

  1. Ricerca di economie di scala: l’obiettivo primario è unificare le strutture operative, ottimizzare i costi attraverso la razionalizzazione dei processi interni e l’integrazione delle piattaforme tecnologiche.
  2. Diversificazione geografica e di prodotto: espandere la presenza territoriale e ampliare la gamma di servizi offerti permette alle banche di ridurre i rischi legati alla concentrazione su specifici mercati o segmenti di clientela, e al contempo di aumentare le opportunità di cross-selling e, di conseguenza, i ricavi.
  3. Aumento della competitività: banche di maggiori dimensioni dispongono generalmente di un maggior potere negoziale e di una capacità superiore di investire in nuove tecnologie, nello sviluppo delle risorse umane e in iniziative di marketing, rafforzando così la loro posizione sul mercato.
  4. Risposta strategica alle sfide del settore: le operazioni di M&A sono viste come una risposta all’accelerazione della digitalizzazione, alla necessità di conformarsi a una regolamentazione sempre più stringente (ad esempio in materia di requisiti patrimoniali e di liquidità) e all’urgenza di affrontare tematiche trasversali come la sostenibilità ambientale e sociale.
  5. Pressione degli azionisti: un fattore rilevante è la costante pressione esercitata dagli azionisti per massimizzare il valore delle azioni e dei dividendi, e per attrarre nuovi investitori.

Il risiko bancario: i casi più emblematici

Il panorama italiano ha già assistito a casi emblematici di M&A che hanno ridisegnato la mappa del credito. L’operazione Intesa Sanpaolo / UBI Banca, finalizzata nel 2021, è considerata un punto di svolta che ha effettivamente dato il via alla più recente ondata di “risiko bancario”. Questa fusione ha consolidato la leadership di Intesa Sanpaolo e ha agito da catalizzatore per ulteriori aggregazioni.

Un altro esempio significativo è stata l’acquisizione del Credito Valtellinese (CreVal) da parte di Crédit Agricole Italia (2020-2021), che testimonia l’interesse di gruppi esteri a rafforzare la propria presenza in aree strategiche del paese. Anche BPER Banca si è dimostrata un attore attivo, con l’acquisizione di Banca Carige (2022) e le ricorrenti discussioni su una potenziale integrazione con la Banca Popolare di Sondrio.

Sullo sfondo, rimangono le ipotesi che coinvolgono i principali player: si è molto discusso di un interesse di UniCredit per incrementare la sua quota nella tedesca Commerzbank, così come di passate interlocuzioni per un’aggregazione tra la stessa UniCredit e Banco BPM. Quest’ultima è attualmente impegnata nel tentativo di concludere l’offerta pubblica d’acquisto su Anima SGR, che è contemporaneamente oggetto di interesse da parte di Unicredit con un’offerta superiore ai 10 miliardi di euro. Nel frattempo, Unipol, dopo l’esclusione dall’ultima vendita di quote pubbliche di Monte dei Paschi di Siena, sembra mirare a favorire un’integrazione tra Bper e Popolare di Sondrio, di cui detiene una quota rilevante.

Banca Monte dei Paschi di Siena (MPS) continua a essere un elemento centrale nelle dinamiche di M&A, con il governo italiano alla ricerca di soluzioni di mercato per la sua definitiva stabilizzazione e privatizzazione; in questo contesto, si è nuovamente ipotizzato un possibile coinvolgimento di UniCredit.

Quali saranno i prossimi sviluppi?

Quali saranno gli esiti di questa fase del risiko bancario? È complesso fornire una risposta univoca, anche perché, non verrà incoronato un vincitore assoluto e definitivo. Il risiko bancario – e questa è una notevole differenza rispetto alle dinamiche del gioco da tavolo – è un processo continuo, che si adatta alle mutevoli stagioni dell’economia e della finanza.

Il periodo attuale è certamente cruciale. Con i tassi d’interesse in discesa, i margini di guadagno eccezionali registrati dalle banche negli ultimi anni potrebbero subire una normalizzazione. Questo scenario, naturalmente, spinge gli istituti di credito a rimescolare le carte e a studiare nuove strategie per mantenere la redditività e rafforzare la propria posizione competitiva.

Vedremo quindi, con ogni probabilità, ulteriori operazioni di consolidamento. I grandi gruppi bancari potrebbero puntare a irrobustirsi ulteriormente per competere efficacemente su scala globale, mentre gli altri istituti lavoreranno per non restare indietro, magari attraverso alleanze strategiche o fusioni mirate a creare campioni nazionali o specializzati.

E per i clienti e il sistema economico nel suo complesso? Le argomentazioni a favore di queste operazioni evidenziano spesso i benefici attesi in termini di maggiore stabilità, efficienza e capacità di investimento. Sarà importante osservare se a queste grandi manovre corrisponderanno poi benefici tangibili in termini di effettiva concorrenza, qualità dei servizi offerti e supporto all’economia reale. La partita del risiko bancario, insomma, è ancora in pieno svolgimento e le sue prossime mosse continueranno a disegnare il futuro del settore creditizio.

Inflazione USA: il dato del CPI oggi

Inflazione USA: il dato del CPI di oggi

È appena uscito il Consumer Price Index (CPI), il dato utilizzato per stimare l’inflazione negli Stati Uniti d’America.

È appena uscito il Consumer Price Index (CPI), il dato utilizzato per stimare l’inflazione negli Stati Uniti d’America. Il destino dei mercati passa dall’inflazione USA e, quindi, dal dato del Consumer Price Index (CPI) pubblicato oggi. In questo articolo, scopriremo cos’è il CPI, perché è importante e analizzeremo gli ultimi dati disponibili.

CPI significato

Tecnicamente, il CPI (Consumer Price Index), o Indice dei Prezzi al Consumo, è un indicatore economico fondamentale che misura quanto sono cambiati i prezzi di beni e servizi che compriamo quotidianamente. In altre parole, il CPI ci dice quanto costa oggi vivere rispetto al passato. 

Il CPI si calcola raccogliendo i dati sui prezzi di un “paniere” rappresentativo di beni e servizi che i consumatori solitamente acquistano. Questo paniere include una varietà di prodotti, come cibo, abbigliamento, alloggio, trasporti, istruzione, assistenza sanitaria e altri beni e servizi comuni. Il Bureau of Labor Statistics (BLS) degli Stati Uniti raccoglie ogni mese i prezzi in 75 aree urbane e li confronta con quelli del periodo precedente.

Perché è importante?

Il CPI è utilizzato per misurare l’inflazione, cioè quanto aumenta il costo della vita. Se il CPI sale, significa che i prezzi stanno aumentando e che, in media, dobbiamo spendere di più per vivere come facevamo prima.

Bitcoin e CPI: come sono legati?

Nelle ultime settimane il prezzo di Bitcoin è crollato. Il recente movimento a ribasso sarebbe connesso alla situazione di incertezza economica che domina i mercati finanziari mondiali: l’imprevedibilità di Donald Trump sui dazi e la guerra commerciale con la Cina turbano gli investitori di tutto il mondo. Il timore principale riguarda il possibile aumento dell’inflazione come conseguenza della salita dei prezzi, causata proprio dall’imposizione delle tariffe doganali.
Il CPI di oggi è importante perché potrebbe influenzare le decisioni della FED sui tassi di interesse in occasione del prossimo FOMC (18 giugno): un CPI più basso indica una riduzione dell’inflazione, che potrebbe spingere la Federal Reserve a tagliare i tassi di interesse. Il taglio dei tassi di solito favorisce l’ingresso di importanti flussi di capitale verso asset più rischiosi, come le azioni e Bitcoin. Per questo motivo, più che di correlazione diretta tra Bitcoin e CPI, è più corretto parlare di correlazione indiretta, dal momento che gli investitori guardano al CPI per anticipare le mosse della FED.

L’ultima volta che è successo

Quando circa un mese e mezzo fa il prezzo di Bitcoin è precipitato a causa delle dichiarazioni di Trump sui dazi e del conseguente terremoto nei mercati finanziari tradizionali, molti investitori hanno cercato rifugio in asset più stabili, con notevole aumento della volatilità di BTC. In questo contesto, l’Indice dei Prezzi al Consumo diventa uno strumento essenziale per comprendere l’andamento dell’inflazione e prendere decisioni informate. Un CPI stabile o in diminuzione potrebbe favorire un clima economico meno incerto, contribuendo a ridurre la volatilità di Bitcoin e delle altre criptovalute. A ciò, si aggiunge il fatto che USA e Cina abbiano recentemente stipulato un accordo per ridurre drasticamente le tariffe reciprocamente imposte, con conseguenze dirette sull’incertezza percepita.

Analisi dei dati CPI di Maggio 2025

Il 13 Maggio 2025, il BLS ha pubblicato i dati di Aprile 2025. Secondo il rapporto, il CPI mensile è cresciuto dello 0,2% rispetto al mese precedente, mentre il CPI annuale è al 2,3%, in calo rispetto al 2,4% misurato ad Aprile. Questo dato è positivo, poiché l’inflazione anno su anno risulta diminuita dello 0,1% e si avvicina sempre di più al target imposto dalla FED, cioè il 2%. Naturalmente, più il target è vicino, più è probabile un taglio dei tassi di interesse.  

Cosa significano questi numeri?

Il fatto che il CPI sia in progressiva diminuzione, significa che l’inflazione procede verso il valore target del 2%. Quanto accaduto è contro ogni aspettativa e batte le previsioni, dal momento che il dato atteso era più alto dello 0,1% per entrambe le misurazioni. Resta ancora da capire cosa deciderà la FED riguardo ai tassi di interesse durante la riunione del FOMC del 18 giugno: come abbiamo riportato in questo articolo, possiamo anticipare che molti analisti ritengono probabile un taglio dei tassi di interesse per la prossima riunione.

Dati storici del CPI nel 2025

Ecco come è andato il CPI nei primi mesi del 2025:

  • Maggio 2025: 2,3% (previsto 2,4%)
  • Aprile 2025: 2,4% (previsto 2,5%)
  • Marzo 2025: 2,8% (previsto 2,9%)
  • Febbraio 2025: 3% (previsto 2,9%)
  • Gennaio 2025: 2,9% (previsto 2,9%)

Per continuare a seguire questi aggiornamenti sul mercato, siamo qui sotto!

USA e Cina: la guerra commerciale verso la tregua?

USA e Cina: la guerra commerciale verso la tregua?

USA e Cina stabiliscono una tregua di 90 giorni alla guerra commerciale: sospesa parte dei dazi a partire dal 14 maggio. Le reazioni dei mercati

USA e Cina hanno pubblicato una dichiarazione congiunta nella mattinata di lunedì 12 maggio: nella nota, si comunica la sospensione di parte dei dazi reciproci per 90 giorni a partire dal 14 maggio. La tregua alla guerra commerciale arriva dopo due giorni di intensi colloqui a Ginevra fra Scott Bessent e Jamieson Greer, rispettivamente il segretario al Tesoro e il rappresentante per il Commercio statunitensi, e il vicepremier cinese, He Lifeng. Come hanno reagito i mercati a questa notizia?

USA e Cina mettono temporaneamente in pausa la guerra commerciale 

Ginevra, lunedì 11 maggio. USA e Cina hanno comunicato in una dichiarazione congiunta di aver raggiunto una tregua temporanea nella guerra commerciale cominciata più di un mese fa. Le due superpotenze sospenderanno parte dei dazi reciproci a partire da mercoledì 14 maggio, per un periodo di 90 giorni. Nello specifico, la Casa Bianca fa sapere che gli Stati Uniti abbasseranno le tariffe doganali sulle merci cinesi dal 145% al 30%, mentre la Cina ridurrà i dazi sulle importazioni americane dal 125% al 10%.

La decisione arriva dopo due giorni di intensi colloqui tra il segretario al Tesoro e il rappresentante per il Commercio statunitensi Scott Bessent e Jamieson Greer e il vicepremier cinese He Lifeng. Già nella serata di sabato il presidente degli USA Donald Trump aveva dichiarato sul social Truth che la trattativa stava andando nella giusta direzione e che “molte cose sono state discusse, molte concordate” per “un reset totale negoziato in modo amichevole, ma costruttivo”. 

USA e Cina fanno pace e i mercati ringraziano

La tregua, seppur temporanea, nella guerra commerciale fra le due superpotenze economiche rassicura i mercati finanziari di tutto il mondo. Per quanto gli analisti ritengono che un accordo commerciale vero e proprio sia ancora lontano, la sospensione dei dazi reciproci fra USA e Cina viene letta come un allentamento della tensione e, soprattutto, un’apertura al dialogo. Il verde domina i principali listini di tutto il mondo e il dollaro torna a crescere dopo settimane in calo: il cambio euro/dollaro, al momento in cui scriviamo, si attesta sul valore di 1.112, in ribasso dello 0,8% dal momento dell’annuncio della tregua. 

Il mercato delle criptovalute continua a dare segnali positivi e Bitcoin sembra voler proseguire la sua scalata verso l’ATH: nella mattinata, più o meno verso le ore 7 italiane, BTC è arrivato a sfiorare i 106.000$, per poi ritracciare e assestarsi sui 104.400$. Lato altcoin, all’annuncio della pausa delle tariffe Ethereum ha reagito positivamente passando da quota 2.500$ a 2.600$ per poi scendere a 2.550$. La dominance di Bitcoin giù dello 0,4% circa, a quota 62,7%. Per quanto riguarda la market cap totale del mercato crypto, siamo sui 3,31 trilioni di dollari, in crescita dello 0,5% dal momento della pubblicazione del comunicato della Casa Bianca. 

Cosa aspettarsi dal futuro?

USA e Cina sembrano indirizzati verso un accordo commerciale stabile che porti beneficio a entrambi ma Donald Trump, in questi quasi quattro mesi di presidenza, ci ha abituato all’imprevedibilità: come abbiamo più volte sottolineato, attualmente ci troviamo in una fase caratterizzata dall’estrema incertezza sugli scenari economici futuri, stando anche a quanto riferito dalla FED in occasione del FOMC di maggio. In ogni caso, questa tregua – insieme al recente accordo stipulato col Regno Unito – sembra testimoniare un sostanziale cambio di atteggiamento da parte dell’amministrazione USA, che potrebbe iniziare a muoversi con più cautela e razionalità nei confronti dei partner commerciali. 

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Riunione FED maggio 2025: i risultati  

Riunione FED maggio 2025: i risultati

Riunione FED maggio 2025: tassi stabili tra il 4.25% e il 4,50%, Powell conferma un atteggiamento cauto e attendista

Si è appena conclusa la riunione della FED del 7 maggio 2025 in cui il Presidente Jerome Powell ha comunicato la decisione del FOMC sui tassi di interesse. Come previsto, il Comitato ha scelto di mantenere i tassi invariati/alzare i tassi tra il 4.25% e il 4,50%.

Riunione FED maggio 2025: come da previsione, i tassi restano invariati

Al termine della sua riunione del 7 Maggio 2025, il Federal Open Market Committee (FOMC) ha annunciato la sua attesa decisione sulla politica monetaria statunitense. Come ampiamente previsto, l’istituto guidato da Jerome Powell ha optato per lasciare invariati i tassi di interesse nel range tra il 4.25% e il 4,50%

Nel comunicato ufficiale, la Federal Reserve ha dipinto il quadro della situazione attuale spiegando come l’aumento dell’incertezza sugli scenari futuri abbia motivato la scelta di lasciare i tassi ai valori di marzo. Ha poi ribadito che l’inflazione resta piuttosto elevata rispetto al target del 2%, mentre le condizioni del mercato del lavoro sono state definite solide, col tasso di disoccupazione stabile su livelli bassi. Infine, In merito alle future mosse – la forward guidance – Jerome Powell ha segnalato che continuerà a monitorare attentamente l’insieme dei dati economici e l’evolversi del contesto, politico ed economico. 

Nella conferenza stampa, Jerome Powell ha sostanzialmente rimarcato i punti toccati nel comunicato ufficiale: l’incertezza sul futuro provocata dai dazi doganali – annunciati e poi sospesi fino a giugno – e dall’instabilità geopolitica, non consentono una previsione chiara dell’evoluzione dello scenario economico. Dall’altro lato, il mercato del lavoro è solido, l’occupazione è alta e l’inflazione sembra rallentare. L’unica cosa da fare, ha continuato Powell, è aspettare l’effetto delle misure economiche trumpiane sull’economia e valutare passo dopo passo, mantenendo un atteggiamento cauto di wait and see.

Come si sono mossi i mercati

L’esito di questa riunione della FED di maggio era ampiamente previsto e i mercati hanno reagito in modo abbastanza contenuto all’annuncio della decisione sui tassi. S&P 500 e Nasdaq hanno chiuso la sessione in parità, dopo aver oscillato nervosamente nel range tra il +0,5% e il -0,5%. Le borse europee hanno aperto col segno negativo: il FTSE Mib di Milano ha perso lo 0,6%, il Dax di Francoforte quasi lo 0,5%, il CAC 40 di Parigi è scivolato dello 0,9% e il FTSE 100 di Londra dello 0,4%. 


Altra storia per le criptovalute. Bitcoin, dal momento dell’annuncio, ha visto un rialzo di quasi 3,5 punti percentuali ed è arrivato a sfiorare i 100.000$, seguito a ruota dalle altcoin: Ethereum ha guadagnato il 7,7%, Ripple il 4,5% e Solana il 5,3% (al momento in cui scriviamo).

Prossime riunioni della FED: taglio dei tassi all’orizzonte?

L’opinione condivisa è quella che vede un progressivo taglio dei tassi di interesse nelle prossime riunioni del 18 giugno e del 30 luglio, anche a causa delle pressioni del presidente degli Stati Uniti. Recentemente, infatti, Donald Trump ha criticato fortemente Jerome Powell per il suo atteggiamento, considerato fin troppo cauto, tanto che sono circolate voci – poi smentite – sul suo licenziamento. La smentita è, in realtà, connessa a una questione giuridica piuttosto complicata che ruota attorno all’effettiva possibilità che Trump trasformi in fatti concreti le sue minacce. Il presidente degli Stati Uniti può davvero lincenziare il capo della FED? No, secondo la maggior parte degli studiosi che si sono espressi in merito, i quali sostengono che la battaglia che ne deriverebbe finirebbe quasi certamente davanti alla Corte Suprema.

Aldilà di questo curioso episodio in linea con il personaggio di Trump, monitorare le decisioni delle più importanti banche centrali del mondo è fondamentale perché i cambiamenti nelle politiche monetarie hanno impatti concreti sui mercati: il taglio dei tassi potrebbe spingere gli investitori verso strategie più rischiose e asset volatili come Bitcoin e le criptovalute, storicamente, ne hanno sempre beneficiato. Per evitare di perdere aggiornamenti rilevanti per i tuoi investimenti iscriviti qui sotto!