Inflazione USA: il dato del CPI oggi

Inflazione USA: il dato del CPI di oggi

È appena uscito il Consumer Price Index (CPI), il dato utilizzato per stimare l’inflazione negli Stati Uniti d’America.

È appena uscito il Consumer Price Index (CPI), il dato utilizzato per stimare l’inflazione negli Stati Uniti d’America. Il destino dei mercati passa dall’inflazione USA e, quindi, dal dato del Consumer Price Index (CPI) pubblicato oggi. In questo articolo, scopriremo cos’è il CPI, perché è importante e analizzeremo gli ultimi dati disponibili.

CPI significato

Tecnicamente, il CPI (Consumer Price Index), o Indice dei Prezzi al Consumo, è un indicatore economico fondamentale che misura quanto sono cambiati i prezzi di beni e servizi che compriamo quotidianamente. In altre parole, il CPI ci dice quanto costa oggi vivere rispetto al passato. 

Il CPI si calcola raccogliendo i dati sui prezzi di un “paniere” rappresentativo di beni e servizi che i consumatori solitamente acquistano. Questo paniere include una varietà di prodotti, come cibo, abbigliamento, alloggio, trasporti, istruzione, assistenza sanitaria e altri beni e servizi comuni. Il Bureau of Labor Statistics (BLS) degli Stati Uniti raccoglie ogni mese i prezzi in 75 aree urbane e li confronta con quelli del periodo precedente.

Perché è importante?

Il CPI è utilizzato per misurare l’inflazione, cioè quanto aumenta il costo della vita. Se il CPI sale, significa che i prezzi stanno aumentando e che, in media, dobbiamo spendere di più per vivere come facevamo prima.

Bitcoin e CPI: come sono legati?

Nelle ultime settimane il prezzo di Bitcoin è crollato. Il recente movimento a ribasso sarebbe connesso alla situazione di incertezza economica che domina i mercati finanziari mondiali: l’imprevedibilità di Donald Trump sui dazi e la guerra commerciale con la Cina turbano gli investitori di tutto il mondo. Il timore principale riguarda il possibile aumento dell’inflazione come conseguenza della salita dei prezzi, causata proprio dall’imposizione delle tariffe doganali.
Il CPI di oggi è importante perché potrebbe influenzare le decisioni della FED sui tassi di interesse in occasione del prossimo FOMC (6-7 Maggio): un CPI più basso indica una riduzione dell’inflazione, che potrebbe spingere la Federal Reserve a tagliare i tassi di interesse. Il taglio dei tassi di solito favorisce l’ingresso di importanti flussi di capitale verso asset più rischiosi, come le azioni e Bitcoin. Per questo motivo, più che di correlazione diretta tra Bitcoin e CPI, è più corretto parlare di correlazione indiretta, dal momento che gli investitori guardano al CPI per anticipare le mosse della FED.

L’ultima volta che è successo

Quando circa un mese fa il prezzo di Bitcoin è precipitato a causa delle dichiarazioni di Trump sui dazi e del conseguente terremoto nei mercati finanziari tradizionali, molti investitori hanno cercato rifugio in asset più stabili, con notevole aumento della volatilità di BTC. In questo contesto, l’Indice dei Prezzi al Consumo diventa uno strumento essenziale per comprendere l’andamento dell’inflazione e prendere decisioni informate. Un CPI stabile o in diminuzione potrebbe favorire un clima economico meno incerto, contribuendo a ridurre la volatilità di Bitcoin e delle altre criptovalute.

Analisi dei dati CPI di Marzo 2025

Il 10 Aprile 2025, il BLS ha pubblicato i dati CPI di Marzo 2025. Secondo il rapporto, il CPI mensile è sceso dello 0,1% rispetto al mese precedente, mentre il CPI annuale è al 2,4%, in calo rispetto al 2,8% misurato a Marzo. Questo dato è positivo, poiché l’inflazione anno su anno risulta diminuita dello 0,4% e si avvicina sempre di più al target imposto dalla FED, cioè il 2%. Naturalmente, più il target è vicino, più è probabile un taglio dei tassi di interesse.  

Cosa significano questi numeri?

Il fatto che il CPI sia diminuito dello 0,1% mese su mese e dello 0,4% anno su anno, significa che l’inflazione sta diminuendo. Quanto accaduto è contro ogni aspettativa e batte le previsioni, dal momento che il dato atteso era più alto dello 0,1% per entrambe le misurazioni. Resta ancora da capire cosa deciderà la FED riguardo ai tassi di interesse durante la riunione del FOMC del 6-7 Maggio.

Dati storici del CPI nel 2025

Ecco come è andato il CPI nei primi mesi del 2025:

  • Aprile 2025: 2,4% (previsto 2,5%)
  • Marzo 2025: 2,8% (previsto 2,9%)
  • Febbraio 2025: 3% (previsto 2,9%)
  • Gennaio 2025: 2,9% (previsto 2,9%)

Per continuare a seguire questi aggiornamenti sul mercato, siamo qui sotto!

Riunione BCE Aprile 2025: le previsioni

Riunione BCE Aprile 2025: le previsioni

La Banca Centrale Europea si riunirà il 17 Aprile per decidere le politiche monetarie dell’Eurozona: cosa succederà ai tassi di interesse? Qui le previsioni

La riunione della BCE di Aprile 2025 vedrà i ventisei membri del Consiglio Direttivo riunirsi per discutere, tra le altre cose, in merito alle politiche monetarie dell’Eurozona. Sul tavolo, le decisioni relative al taglio dei tassi di interesse, complicate dai recenti annunci di Donald Trump sui dazi. Quali sono le previsioni?   

Riunione della BCE: qual è il contesto economico?

Analizzare la situazione economica attuale è necessario al fine di poter fare delle previsioni che siano le più corrette possibili. La terza riunione della BCE nel 2025 avviene in uno scenario economico profondamente delicato e complicato dai recenti dazi annunciati da Donald Trump (e dall’ancora più recente pausa): i mercati sono in una fase di forte turbolenza e l’incertezza economica domina le istituzioni del Vecchio Continente. I temi principali riguarderanno soprattutto la crescita economica, fortemente condizionata dalle tariffe doganali, e la spinta deflazionistica che queste ultime potrebbero generare. 

Il problema principale è legato alla flessione economica globale provocata dalle improvvise barriere calate sul mercato globalizzato: il rischio di recessione è alto e la discesa dei prezzi – o deflazione, opposta all’inflazione – causata dalla contrazione della domanda (e dei consumi) può essere una conseguenza reale. In parole semplici, se l’Eurozona entrerà in recessione, i consumatori avranno meno soldi a disposizione, spenderanno di meno e i prezzi si abbasseranno. 

Anche se può sembrare strano, la discesa dei prezzi è un fenomeno da evitare dal momento che provocherebbe una diminuzione del fatturato delle aziende, le quali dovrebbero necessariamente interrompere la richiesta di prestiti e tagliare il costo del lavoro, licenziando il personale. Ciò causerebbe un’ulteriore contrazione della domanda, in un circolo vizioso potenzialmente devastante. La spinta deflattiva, inoltre, potrebbe essere accelerata dall’ingresso nel mercato europeo di una quantità immensa di merci cinesi a basso costo che, non essendo più competitive nel mercato USA a causa dei dazi al 145% (per ora), sarebbero riversate in Europa intensificando al ribasso la concorrenza sui prezzi.
Cosa potrebbe fare la BCE per evitare questo scenario?

La BCE verso il taglio dei tassi di interesse

L’ipotesi di recessione o, nel migliore dei casi, debole crescita economica, spaventa la Banca Centrale Europea. Per questo, la quasi totalità degli economisti e analisti finanziari prevede che la riunione della BCE di Aprile determinerà per il prossimo futuro una politica monetaria espansiva, con riduzione dei tassi. La via migliore da percorrere – se non l’unica – è quella che conduce verso un taglio dei tassi di interesse, per abbassare il costo del denaro e facilitare l’accesso al capitale: in questo modo si sostengono le imprese, i consumi e la crescita. È importante anche sottolineare che in questa congiuntura economica l’inflazione, conseguenza dell’aumento di capitale in circolazione, sembrerebbe un problema minore rispetto ad altri fattori, tra cui occupazione e stabilità economica. Attualmente i tassi di interesse sono al 2,5%, quali sono le previsioni?

Gli analisti di Deutsche Bank, per esempio, credono che la BCE taglierà i tassi in modo più deciso di quanto previsto in precedenza e vedono entro fine anno un taglio complessivo di 100 punti base, dal 2,5% all’1,5%, con una riduzione di 25 punti base (o 25 bps) nella prossima riunione. Anche Carsten Roemheld, capital market strategist di Fidelity, crede che la BCE procederà coi tagli ma si tiene un po’ più stretto, prevedendo entro fine anno i tassi all’1,75%. Il Financial Times, in questo articolo, afferma che “gli investitori ritengono probabile al 90% un taglio di un quarto di punto nella prossima riunione della BCE” e che Frederik Ducrozet, di Pictet Wealth Management, considera “no-brainer”, una decisione ovvia, un taglio di 25 bps ad Aprile e a Giugno.

In ultimo, anche su Polymarket, piattaforma decentralizzata dove si scommette su eventi reali utilizzando le criptovalute, il 96% degli utenti punta sul taglio di 25 bps, mentre il taglio di 50 o più bps o il “no change” sono ritenuti probabili rispettivamente dal 2,1% e dall’1,7%. 

E se le previsioni sulla riunione della BCE si realizzassero?

Come abbiamo detto prima, il taglio dei tassi di interesse è una misura di politica economica espansiva che ha l’obiettivo di sostenere la crescita abbassando il costo del denaro: le imprese possono chiedere prestiti più facilmente, producono più ricchezza e l’economia ne beneficia. Quando il denaro costa meno anche i mercati azionari ne traggono vantaggio, dal momento che i tassi bassi stimolano la circolazione del capitale: da un lato le imprese chiedono più facilmente i soldi in prestito, hanno più margine per operazioni finanziarie, acquisizioni ed espansioni. Così incrementano i potenziali guadagni e con essi la probabilità che il prezzo delle azioni salga. Dall’altro gli investitori si spostano da titoli più stabili ma meno profittevoli, come le obbligazioni, ad asset finanziari più rischiosi con ritorni potenziali più alti. In questa seconda seconda categoria rientrano le azioni e i relativi indici, ma anche le criptovalute. 

Naturalmente anche il mercato crypto è fortemente influenzato dalla riduzione dei tassi di interesse, soprattutto da quando sono entrati i player istituzionali: le criptovalute sono considerate high-risk assets e attirano consistenti quantità di capitale, con importanti apprezzamenti lungo tutto il mercato. Bitcoin, in teoria, sarebbe doppiamente favorito da questa condizione sia a causa di quanto descritto finora, sia perché è considerato un asset che protegge dall’inflazione, la quale aumenta se aumenta il denaro in circolazione. 

Cosa uscirà dalla riunione della BCE di Aprile?

Abbiamo visto che la maggior parte degli esperti e degli istituti finanziari vede la BCE andare verso un taglio dei tassi di interesse di 25 punti base. C’è anche chi si spinge oltre, prevedendo un atteggiamento di quantitative easing anche per le prossime sedute. Per ora, non resta che attendere fino alle 14:15 del 17 Aprile, quando i membri del Consiglio Direttivo si riuniranno nella sede di Francoforte. Se vuoi restare aggiornato sull’esito e anche su altre notizie, clicca qui sotto per iscriverti!  

Crollo in Borsa: cosa sta succedendo?

Crollo in Borsa: cosa sta succedendo?

Panico nella finanza mondiale: Trump annuncia i dazi, Wall Street perde 5.000 miliardi di dollari. Cosa succede? Ecco una panoramica dei principali listini

Mercoledi 2 Aprile il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato i temuti dazi reciproci: oggi il rosso domina i grafici dei principali (e non solo) indici e listini mondiali. Il sentiment è fortemente negativo e il panic selling sta generando una cascata di vendite che sembra decisa a non arrestarsi.

Scopri le performance dei principali titoli e l’impatto di questa crisi sulle principali crypto. 

Wall Street: tempesta improvvisa senza scialuppe di salvataggio

Situazione tesa dalle parti di New York. Dal fatidico “Liberation Day”, la Borsa più famosa del mondo ha registrato perdite comparabili ai PIL di Italia e Francia sommati: dal 2 Aprile sono andati in fumo almeno 5.000 miliardi di dollari, con l’S&P500 che perde più del 10%, così come il Nasdaq (-10,3%) e il Dow Jones il 9,6%. Situazione ancora più critica se si prendono in esame le singole azioni: Apple perde il 19%, Meta l’11,5% e Nvidia il 12,6%. Trend fortemente ribassista che sembra confermarsi anche per questa settimana, dal momento che lunedì mattina i futures sull’S&P500 cedevano il 3,39%, quelli sul Nasdaq il 3,41% e quelli sul Dow Jones il 3,09%. Domenica notte il Presidente Trump ha minimizzato il panico sui mercati azionari: “A volte è necessario prendere dei farmaci per curarsi”, ha dichiarato. Intanto Goldman Sachs aumenta la probabilità di recessione, alzandola al 45%. Oggi però il sentiment sembra differente: sempre lato futures, S&P500, Nasdaq e Dow Jones guadagnano rispettivamente l’1,5%, l’1,3% e il 2%.

Per concludere, la FED ha indetto una riunione a porte chiuse per la “Revisione e determinazione da parte del Consiglio dei Governatori dei tassi di anticipo e di sconto da applicare dalle Banche della Riserva Federale” lunedì 7 Aprile alle 17:30 ora italiana. Per ora sappiamo che nella giornata di venerdì scorso il presidente Jerome Powell ha affermato che “non sembra ci sia bisogno di avere fretta” e che occorre osservare “come si evolve la situazione prima di iniziare ad apportare modifiche“. Riguardo il taglio dei tassi, l’idea condivisa fra i trader vede maggiori possibilità nel meeting di Giugno (al 70%) piuttosto che a Maggio (al 30%). Dall’altro lato Donald Trump, in un tweet di ieri sera, consiglia alla “slow moving” FED di tagliare i tassi, dal momento che non ci sarebbe inflazione. Quale sarà la prossima mossa?

Asia ed Europa: follow the leader

Sul fronte orientale la situazione è molto simile, esacerbata dalla risposta della Cina che ha imposto dei controdazi speculari al 34% sui prodotti USA: gli indici di Shanghai e Shenzhen cedono rispettivamente il 7,17% e il 10,79%, l’indice Hang Seng di Hong Kong mette a segno la peggiore seduta dalla crisi finanziaria del 1997 perdendo il 13,22%, mentre la Borsa di Taiwan aggiorna il record assoluto in negativo, arrivando a registrare cali per il 9,7%

Stesso identico discorso per i listini europei che seguono la scia le chiusure dei mercati asiatici. Le variazioni a una settimana vedono il DAX di Francoforte è giù del 10,8%, il CAC 40 di Parigi del 11,1% così come il FTSE 100 di Londra, che registra perdite per il 10,3%. In casa nostra, il FTSE MIB di Milano attualmente è in negativo del 13,7%,: a pesare, le forti perdite – fino al 12% – che hanno investito il comparto bancario. Discorso leggermente diverso per la seduta odierna, che vede i principali indici europei recuperare mediamente tra l’1% e il 2%

Il mercato crypto si allinea: liquidazioni per 1.4 miliardi

La pioggia di vendite ha investito anche il mercato delle criptovalute, che vede la Market Cap totale scendere del 6,7%, recuperando la soglia dei 2,4 trilioni di dollari, persa durante la giornata di lunedì. L’alta incertezza dettata da questa situazione è riscontrabile nel Fear and Greed Index, in Extreme Fear, oltre che dal crollo notturno di Bitcoin: nella notte fra domenica e oggi, la regina delle criptovalute sta perdendo circa il 5,2% e – al momento in cui scriviamo – viaggia intorno ai 79.000$. Come si legge su NY Times, “the man nicknamed the first Bitcoin president is presiding over a Bitcoin crash”.

Lasciando da parte le emozioni, dal punto di vista dell’analisi tecnica BTC scende per la prima volta sotto la soglia dei 75.000$ da Novembre e va a “sbattere” contro supporti che non si vedevano dal 2021: il principale, la linea dei 69.000$. A proposito, un interessante tweet da parte dell’analista noto su X (ex Twitter) con l’handle @KevinSvenson_ ribalta completamente la narrazione: secondo lui, stiamo assistendo a un retest dei massimi del 2024, localizzati appunto nella zona dei 75.000$. Il tweet continua con uno statement lapidario che recita “questa è l’ultima occasione per $BTC di mantenere la sua macrostruttura rialzista”. 

Per quanto riguarda il fronte Altcoin, Ethereum è arrivato al minimo di 1.415$ nei pressi dello storico supporto dei 1.400$, toccato l’ultima volta nel Marzo 2023. Stesso discorso per Solana, arrivata a toccare il supporto del range 85$-95$ dopo circa un anno. Reazioni decise per entrambe le coin, che per ora si aggirano rispettivamente intorno ai 1550$ e ai 105$.

Però c’è un però, anzi due. Oltre la classica scuola di pensiero che vede le opportunità migliori durante i momenti di crisi, molti analisti offrono uno spunto interessante: il comportamento di Bitcoin potrebbe essere diverso dal solito, forse più maturo. BTC infatti sembra dare segnali di autonomia contro QQQ, l’ETF che replica le 100 aziende dell’NDX, a cui nel breve termine è solitamente correlato. Questa decorrelazione, se confermata, potrebbe indicare forte indipendenza dagli eventi che generalmente turbano il mercato azionario e permettere a Bitcoin di fare un salto di qualità, come asset “diverso”. Tenere d’occhio i grafici in questo periodo può essere una mossa azzeccata e il mercato in questi giorni può regalare emozioni.
Inizia da qui! 

Crypto-asset: dalla MiCAR al fisco italiano

mica stablecoin

L’adozione del Regolamento MiCA (Markets in Crypto-Assets) segna un importante passo avanti nella regolamentazione delle cripto-attività all’interno dell’Unione Europea. Tra le novità più rilevanti vi è la classificazione delle stablecoin, che ha conseguenze dirette sulla loro tassazione. In particolare, MiCA introduce una chiara distinzione tra token di moneta elettronica (EMT) e token collegati ad attività (ART), con implicazioni fiscali diverse per chi opera nel settore crypto.

Crypto-asset: che cosa vuol dire?

l termine crypto-asset è utilizzato nel regolamento europeo MiCAR (Markets in Crypto-Assets) per identificare qualsiasi forma di asset digitale basato su tecnologie di registro distribuito (DLT), come la blockchain.

Nella classificazione MiCAR, i crypto-asset si dividono in tre categorie principali, ognuna con caratteristiche e trattamenti normativi (e potenzialmente fiscali) distinti:

1. Asset-Referenced Tokens (ART)

Token il cui valore è ancorato a un paniere di asset sottostanti, come valute fiat, criptovalute o materie prime.

Esempio: un token ancorato a un mix di dollaro, oro e Bitcoin.

2. Electronic Money Tokens (EMT)

Token il cui valore è stabilmente ancorato a una singola valuta fiat, come l’euro o il dollaro.
Questi token sono progettati per replicare il comportamento del denaro elettronico, e sono equiparati a valuta tradizionale ai fini fiscali.

Esempi: USDC (classificato ufficialmente come EMT), USDT (considerato EMT secondo interpretazione diffusa).

3. Utility Tokens

Token che danno accesso a un prodotto o servizio all’interno di un ecosistema digitale specifico.
Non sono pensati come mezzo di pagamento, ma come “chiave” d’accesso a funzionalità.

Esempio: token per accedere a servizi su una piattaforma DeFi o a un videogioco web3.

Trattamento fiscale dei crypto-asset

Dal punto di vista fiscale, tutti i crypto-asset possono generare plusvalenze imponibili nel momento in cui:

  • Vengono venduti in cambio di euro o altra valuta fiat
  • Oppure vengono scambiati con EMT, considerati equivalenti a valuta fiat

La categorizzazione MiCAR non ha ancora un impatto diretto unificato sulla normativa fiscale italiana, ma contribuisce a interpretare la natura delle operazioni:

  • Gli EMT, essendo assimilabili a moneta legale, rendono fiscalmente rilevante lo scambio come se fosse una vendita.
  • Gli NFT, anch’essi crypto-asset secondo MiCAR, sono fiscalmente rilevanti solo se ceduti con profitto, anche se manca ancora una disciplina dettagliata su di essi.

In sintesi, “Crypto-asset” è un termine ombrello che copre ogni forma di criptovaluta o token digitale. Qualunque operazione che generi un guadagno da questi asset – indipendentemente dalla loro categoria – può dar luogo a plusvalenze soggette all’imposta del 26%,.

Quando uno scambio è fiscalmente rilevante?

In linea generale, la normativa fiscale italiana – in linea con l’interpretazione del regolamento europeo MiCAR – considera fiscalmente rilevante solo lo scambio tra crypto-asset con caratteristiche e funzioni diverse.

“Non si considerano realizzati i redditi diversi qualora le cripto-attività oggetto di permuta abbiano le medesime caratteristiche e funzioni.

Cosa significa?

Che se scambi due crypto-asset simili – cioè appartenenti alla stessa categoria MiCAR – non realizzi una plusvalenza, e quindi non devi pagare imposte su quell’operazione.

Esempi di operazioni non rilevanti fiscalmente:

  • Bitcoin → Ethereum
    Entrambe sono criptovalute native con funzione di scambio → nessuna imposizione
  • USDC → USDT
    Entrambi sono EMT, ovvero stablecoin ancorate a valute fiat → nessuna imposizione
  • USDT → euro
    Equiparati in funzione e valore → nessuna imposizione
  • DAI → PAXG (entrambi sono classificati ART) → nessuna imposizione

Quando l’operazione diventa rilevante fiscalmente?

Lo scambio diventa fiscalmente rilevante quando coinvolge crypto-asset di categoria diversa, perché in questo caso si considera che tu abbia realizzato un guadagno o una perdita.

Esempio:

Vendi un NFT per degli ETH
L’NFT ha una funzione completamente diversa da Ethereum (non è mezzo di scambio, ma oggetto digitale unico, quindi questo scambio è fiscalmente rilevante. Se lo scambio genera una plusvalenza, cioè il controvalore degli ETH ottenuti dalla vendita è maggiore del valore dell’NFT al momento dell’acquisto, questo guadagno è soggetto a un’imposta del 26%.

Manca una classificazione ufficiale (per ora)

Ad oggi, non esiste una classificazione pubblica, completa e vincolante che assegni ogni singolo token a una delle categorie previste dalla MiCAR (EMT, ART, utility, ecc.).

Questo significa che la categorizzazione è soggetta a interpretazione, e può variare tra operatori, fiscalisti e Stati membri.

Tuttavia, esistono consensi diffusi su alcuni casi pratici:

  • USD Coin (USDC) è stato ufficialmente certificato come EMT, dopo aver completato il processo di due diligence previsto da MiCAR.
  • Tether (USDT) è generalmente considerato un EMT, anche se la certificazione formale è ancora in fase di adeguamento.
  • Bitcoin, Ethereum, Ripple, Uniswap, Litecoin, ecc. sono comunemente trattati come crypto-asset generici, e gli scambi tra loro non sono fiscalmente rilevanti.
  • Token come PAX Gold (PAXG) sono generalemente considerati ART, perché ancorato a un paniere di asset o un asset, come l’oro, diverso dalla valuta fiat.

Come semplifica tutto questo il report fiscale di Young Platform?

Comprendere la categorizzazione dei crypto-asset può essere complesso, soprattutto quando si detengono asset su più piattaforme o wallet.

Per questo, il servizio fiscale di Young Platform applica automaticamente un’interpretazione coerente con la normativa MiCAR, classificando le criptovalute in tuo possesso sia all’interno della nostra piattaforma, sia su altri exchange o wallet esterni.

Tutte le operazioni vengono:

  • Analizzate e categorizzate automaticamente
  • Tracciate con precisione
  • Inserite nel report fiscale completo, con plusvalenze e imposte già calcolate

Hai criptovalute anche su altri wallet o exchange?

Nessun problema: ti basta importare i file CSV delle transazioni, e il sistema genererà un report fiscale unico, consolidato e conforme, pronto per essere utilizzato nella tua dichiarazione dei redditi.

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Come sono stati calcolati i dazi di Donald Trump?

Dazi di Trump: come sono stati calcolati e l’impatto

Donald Trump ha annunciato i dazi verso tutti i paesi. A quanto ammontano e come sono stati calcolati? Spoiler: male

I dazi annunciati martedì da Donald Trump hanno scosso tutti: politici, cittadini, imprese, ma soprattutto i mercati per via di diversi aspetti. Su tutti, alcuni sono stati evidenziati particolarmente. Uno riguarda i Paesi bersagliati dalla decisione del presidente americano: praticamente tutti, inclusa un’isola dell’Australia abitata soltanto da pinguini, fatta eccezione per Russia, Cuba, Corea del Nord e Bielorussia.

Ma la componente più curiosa di questa decisione dal sapore sovranista e anti-globalizzazione è la modalità in cui i dazi sono stati calcolati. Approfondiamo questo aspetto all’interno di questo articolo.

Un’ondata di tariffe globali

L’offensiva commerciale targata Trump prevede dazi aggiuntivi su praticamente ogni merce importata negli Stati Uniti, con aliquote variabili a seconda del Paese di provenienza. Ecco alcuni numeri chiave del piano tariffario trumpiano:

  • Dazio base universale: +10% su tutte le importazioni verso gli USA​;
  • “Peggiori trasgressori”: circa 60 Paesi accusati di pratiche commerciali sleali subiranno tariffe ben più alte dal 9 aprile. Tra questi, la Cina (+34%, che si somma al 20% già in vigore portando il totale al 54%), il Vietnam (+46%), la Thailandia (+36%), il Giappone (+24%), e tutti i Paesi dell’Unione Europea (+20%) – nel prossimo paragrafo affronteremo questo tema e ci renderemo conto di come sia fuorviante questa classificazione.
  • Stangata sulle auto: confermato un dazio speciale del 25% su tutte le automobili straniere e relativi componenti, un colpo diretto alle case automobilistiche estere.

Trump non ha risparmiato nessuno: dall’Europa alla Cina, dal Giappone al Brasile, tutti “pagheranno dazio”. Persino microstati e territori sperduti compaiono nella lista: dalle isole Svalbard nel Circolo Artico alle remote isole Heard e McDonald (disabitate e popolate solo da pinguini).

“Ci hanno derubato per più di 50 anni, ma non succederà più”, ha tuonato Trump, sostenendo che posti di lavoro e fabbriche torneranno a ruggire negli USA grazie a questi dazi​. Ha persino invitato le imprese estere: “Se volete dazi zero, venite a produrre in America”​. Insomma, America First versione 2.0: questa volta puntando il dito contro praticamente chiunque viva oltre i confini, anche i pinguini.

Come sono stati calcolati i dazi? La confusione tra dazi e IVA

Come avrai notato dalle citazioni, la narrazione di Donald Trump si è sempre basata sulla supposta reciprocità dei dazi. L’ex presidente ha definito i suoi dazi “tariffe reciproche”, sostenendo che gli USA non faranno altro che pareggiare ciò che gli altri Paesi già impongono sui prodotti americani. Detta così, suona quasi ragionevole – peccato che il metodo di calcolo adottato dalla Casa Bianca sia assurdo.

In pratica, Washington ha conteggiato qualsiasi balzello esistente all’estero pur di giustificare dazi elevati, confondendo allegramente l’IVA con i dazi. Per quanto riguarda l’Europa, Donald Trump ha affermato: “L’UE ci fa pagare il 39%!”. Ma questo numero salta fuori dalla somma dei dazi effettivi che l’Europa applica su alcuni prodotti americani (meno del 3%) con l’IVA europea, che però è una tassa sui consumi che varia a seconda del Paese, e persino eventuali tasse ambientali o tecniche di regolamentazione.

In termini ancora più semplici, l’amministrazione USA ha preso ogni tassa esistente su un prodotto in Europa e l’ha interpretata come se fosse una tariffa punitiva contro gli Stati Uniti. Poi, attraverso l’utilizzo creativo di semplici operazioni matematiche, ha calcolato i dazi per come li conosciamo. 

Nessun economista serio metterebbe sullo stesso piano l’IVA (che pagano tutti i consumatori, anche quelli europei) con un dazio mirato alle sole merci straniere – ma evidentemente, nella “realtà alternativa” della guerra commerciale trumpiana, funziona così.

Reverse engineering sul deficit commerciale

La seconda parte del creativo procedimento tramite il quale l’amministrazione Trump ha calcolato i dazi da imporre agli altri Paesi del mondo è ancora più curiosa. Il punto centrale in questo caso è il deficit commerciale. Trump ha sempre visto questo disavanzo come una sorta di score di partita: se gli Stati Uniti importano più di quanto esportano da un Paese, per lui significa che “stiamo perdendo” e che l’altro ci sta imbrogliando.

È noto, ad esempio, che gli USA hanno un deficit di circa 2,5 miliardi di dollari con la Russia (importano da Mosca più di quanto esportino), un dato che in passato Trump sottolineava spesso per giustificare misure punitive.

Tuttavia, durante la sua narrazione, il presidente ha fatalmente confuso questo deficit commerciale con i sussidi, integrandolo nella formula di cui abbiamo parlato sopra. Il risultato? Che i dazi pubblicati ieri dall’amministrazione Trump non sono altro che il risultato del deficit commerciale diviso per l’esportazione del Paese in questione verso gli States.

Ma facciamo un esempio pratico, calcolando al contrario il dazio applicato all’Indonesia. Gli americani hanno un deficit commerciale di 17 miliardi di dollari nei confronti di questo Paese, mentre le esportazioni indonesiane negli Stati Uniti ammontano a 28 miliardi di dollari.
17 / 28 = 0,64 → 64%, proprio il numero che appare sulla tabella di Donald Trump.

Questo è esattamente ciò che riassume la formula pubblicata sulla pagina “Reciprocal Tariff Calculations” del governo: si prende il deficit commerciale degli Stati Uniti in termini di beni con un determinato Paese, lo si divide per il totale delle importazioni di beni da quel Paese, e poi si divide il numero per due. Un deficit commerciale si verifica quando un Paese acquista (importa) più prodotti fisici da altri Paesi di quanti ne venda (esporti) a questi ultimi.

Il possibile impatto di queste decisioni

L’impatto dei dazi imposti da Donald Trump lo abbiamo già visto, almeno superficialmente: durante il primo giorno dalla decisione, il mercato azionario americano è crollato dell’8% circa rispetto a martedì (S&P 500), mentre il NASDAQ ha perso circa il 9% dall’inizio della settimana.

Bitcoin, invece, ha resistito un po’ di più e sta perdendo, per ora, il 7% circa, anche se è ancora in positivo rispetto alla scorsa settimana.

Dal punto di vista geopolitico, invece, la situazione appare ancora più critica. Nello specifico non si comprende il motivo che sta dietro alle decisioni prese dal presidente degli Stati Uniti. Trump sembra voler abolire la globalizzazione, cioè quel processo che ha progressivamente eliminato le barriere al libero commercio, facilitando l’integrazione economica tra Paesi. 

In questo senso possiamo citare un paradosso interessante: in realtà, vendere all’estero dove le merci valgono di più è stato, per molti Paesi, un modo per accelerare l’accumulazione di capitale e avvicinarsi economicamente alle nazioni più ricche. È così che la Cina è decollata. E anche l’Europa, in parte, ha beneficiato dello stesso meccanismo. Ma il vero vincitore della globalizzazione è stato… proprio l’America. Perché?

  • Perché ha conquistato la simpatia di mezzo mondo, sbaragliando il sistema sovietico, che non offriva né consumi né crescita.
  • Perché ha guidato il processo, abbandonando per prima i dazi e mostrando i muscoli dell’economia di mercato.

Il libero commercio ha permesso agli Stati Uniti di emergere come superpotenza culturale, tecnologica ed economica, contribuendo al tramonto dell’Unione Sovietica e della Cina maoista. Ha generato ricchezza.

E oggi? Il commercio globale non danneggia affatto gli USA, al contrario di quanto vuole far credere Trump. Gli Stati Uniti, forti del loro vantaggio tecnologico, si sono concentrati su settori ad alta produttività e valore aggiunto. Il risultato? Il Paese è più ricco, produce meno beni a basso costo (che importa), ma li compra a prezzi convenienti, mantenendo reddito pro capite molto elevato. Questo deriva principalmente dall’egemonia americana nei servizi. Basta pensare a quanti dei servizi digitali che usiamo ogni giorno – da social media a motori di ricerca, da piattaforme di streaming a software – sono progettati, gestiti e monetizzati negli Stati Uniti.

Dazi: Trump impone il 20% all’Ue, il 34% alla Cina e un minimo del 10% a tutti i Paesi.

Sale la tensione: USA, dazi e guerra commerciale

Von der Leyen: «dai dazi conseguenze terribili per milioni di persone». Meloni: : «evitare una guerra commerciale». Cina: «non ci sono vincitori in una guerra commerciale e non c’è via d’uscita per il protezionismo».

Dal giorno dell’insediamento, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dimostrato di voler mantenere le promesse fatte in campagna elettorale: nella notte fra il 2 e il 3 Aprile ha annunciato i tanto attesi dazi reciproci verso tutti i partner commerciali. Gli USA si isolano e il mondo risponde, cosa sta succedendo? Intanto, l’oro raggiunge il prezzo record di 3,157 dollari.

Cosa sono e come funzionano i dazi? 

I dazi sono una tassa commerciale che un paese decide di applicare sulle merci che importa per spingere i propri cittadini a scegliere beni di produzione nazionale, col fine ultimo di proteggere e favorire le proprie imprese dalla concorrenza estera. L’idea è scoraggiare l’acquisto di merci straniere attraverso l’imposizione di una tassa ad hoc, espressa in termini percentuali, spesso a carico dell’importatore.

In parole povere: l’Italia vuole incentivare la vendita di un determinato bene che produce internamente e impone dei dazi doganali al 25% a paesi che già lo esportano in Italia. Se il costo finale di tale oggetto nel paese di produzione è di 10€, sarà di 12,5€ nei paesi che lo esportano. Segue che i consumatori italiani saranno spinti a preferire beni prodotti nel loro paese perché più economici. Ma funziona sempre così?

Un dazio non fa primavera

Il processo non è sempre automatico: l’imposizione di dazi non è necessariamente correlata alla crescita economica. Questo per alcuni motivi: 

  • Dipende dal tipo di prodotto: più un prodotto è essenziale, più i consumatori saranno disposti ad accettare l’onere del dazio e del sovrapprezzo. In tal caso, continueranno a scegliere merci importate piuttosto che di produzione nazionale, con conseguente aumento dell’inflazione. 
  • C’è il rischio di ottenere l’effetto contrario: se i dazi doganali riguardano beni di prima necessità, si corre il rischio di colpire più duramente le fasce di popolazione con reddito più basso, perché hanno meno margine di spesa. In breve: 2€ in più sul detersivo hanno un impatto maggiore su chi guadagna 1000€ rispetto a chi ne prende 5000€.
  • Front Loading: comportamento che le imprese adottano per paura di guerre commerciali imminenti che consiste nel fare scorta di quella merce che si teme sarà sottoposta a dazi. Fenomeno verificatosi recentemente con la forte importazione di tequila dal Messico, o del vino dall’Italia, verso gli Stati Uniti. 

Su questo ultimo punto, la presidente di Federvini, Micaela Pallini, ha commentato: «La decisione di applicare dazi alle esportazioni europee negli Stati Uniti rappresenta un danno gravissimo per il nostro settore e un attacco diretto al libero mercato. Ci siamo già passati, e sappiamo bene quanto possa costare: in passato queste misure ci hanno portato a perdere fino al 50% delle esportazioni verso gli Usa. Ora rischiamo di rivivere quel trauma economico, con ripercussioni pesantissime su tutta la filiera, dalla produzione alla distribuzione, fino al consumatore finale.»

Perchè Donald Trump vuole mettere i dazi: M.A.G.A e America First

Come è noto, M.A.G.A.Make America Great Again – è stato lo slogan della campagna elettorale che ha portato Donald Trump ad essere il 47esimo Presidente degli Stati Uniti d’America. Uno dei punti fermi di questa campagna è stato l’“America First”, un programma finalizzato a privilegiare le questioni interne, isolazionistico e protezionistico, a scapito della tradizionale vocazione espansionistica che caratterizza il paese a stelle e strisce. 

Infatti, in occasione del discorso di insediamento del 20 Gennaio, il tycoon newyorkese ha dichiarato: “Durante ogni singolo giorno dell’amministrazione Trump metterò semplicemente l’America al primo posto, America First” per “restituire al popolo la sua fede, la sua ricchezza, la sua democrazia e la sua libertà… Il declino dell’America è finito”. 

Oltre alle questioni di politica interna – come immigrazione e sicurezza – l’America First passa ovviamente per la politica economica: la scelta di scatenare una guerra commerciale deriva dal fatto che, storicamente, gli USA sono un paese fortemente importatore con un deficit (il bilancio negativo netto fra export e import) di 1,2 trilioni di dollari. Donald Trump ha promesso che avrebbe fermato tutto ciò e ieri alle ore 22 italiane ha comunicato al mondo la strategia per farlo.

Liberation Day: Trump rivela i dazi doganali

Dal Rose Garden della Casa Bianca, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha tenuto un discorso in cui ha finalmente reso noti i tanto promessi dazi reciproci, generando forte caos fra i governi di tutto il mondo: si parte da una base del 10% su quasi tutte le merci importate negli USA fino ad avvicinarsi al 50% di tariffe doganali verso i paesi più “sleali”. Partito dalla mezzanotte anche il 25% su tutte le auto prodotte all’estero.

Ecco una lista di alcuni dei paesi colpiti:

  • Unione Europea: 20%
  • Cina: 34% (a cui si somma il precedente 20%)
  • Giappone: 24%
  • Taiwan: 32%
  • Regno Unito: 10%
  • India: 26%
  • Australia: 10%
  • Corea del Sud: 25%
  • Arabia Saudita: 10%
  • Emirati Arabi: 10%
  • Israele: 10%

Effetto Trump sui mercati: la reazione all’annuncio dei dazi

Per quanto riguarda la reazione delle principali Borse all’annuncio di ieri notte (al momento in cui scriviamo):

  • in Giappone il Nikkei perde quasi il 3%
  • In Cina l’indice di Shanghai va giù di 0,5% punti, Hong Kong cala del 2,26% e Shenzhen dell’1,5%
  • In Europa l’indice Euro Stoxx 50 apre in calo di oltre il 2%, il Dax tedesco registra un -2,3% così come il Ftse Mib di Milano mostra un ribasso dell’1,8%

L’ oro ritraccia dopo aver aggiornato il record a 3.167,57 dollari/oncia, mentre bitcoin perde l’1,9% assestandosi intorno agli 83.000 dollari. Il dollaro USA perde terreno nei confronti delle principali valute.

Per la borsa americana occorre attendere l’apertura alle 15:30 italiane. Ad ora il dato che abbiamo a disposizione è relativo ai futures, in forte calo per timore che una guerra commerciale possa spingere l’economia globale in recessione.

Per completare il quadro, potrebbe essere utile sapere che dal giorno stesso in cui Trump si è insediato, S&P 500 e Nasdaq, i due indici più importanti di Wall Street, hanno perso rispettivamente il 10,2% e il 12%. Inoltre, sono calate in modo netto anche le aspettative sulla crescita economica degli Stati Uniti (dal 2,2% al 2%) nel 2025 così come, al contrario, sono cresciute le attese dei consumatori sull’inflazione (dal 4% al 5%).

Le dichiarazioni dei principali leader mondiali. 

La Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen non ha tardato ad esprimere il suo disappunto nei confronti dell’aggressività americana: “i dazi americani sono un colpo importante per l’economia globale. Ci saranno conseguenze per milioni di consumatori del mondo”. Dall’Italia, Giorgia Meloni ha annullato tutti gli impegni presi per oggi, al fine di concentrarsi sulla risposta ai dazi.

In Germania, il vicecancelliere tedesco Robert Habeck confida in una risposta coordinata fra i paesi membri UE affermando che “l’Unione Europea darà una risposta equilibrata, chiara e determinata. Siamo preparati a questo”. Più aggressiva la Francia di Macron, dove il portavoce del governo francese ha annunciato che l’UE è “pronta per una guerra commerciale” e ha in programma di “attaccare i servizi online USA”. 

Solita linea dura da Pechino, dove il Ministro del Commercio cinese ha affermato di “opporsi fermamente” alle nuove tariffe doganali promettendo “contromisure per salvaguardare i propri diritti e interessi”. 

La guerra commerciale non fa bene a nessuno, neppure a chi la scatena

È la conclusione che dovrebbe seguire quanto esposto sopra: l’isolazionismo e il protezionismo made in M.A.G.A., secondo numerosi analisti, porterà a conseguenze negative dal punto vista economico soprattutto agli Stati Uniti. 
L’Europa, senza l’alleato commerciale di riferimento, sarà costretta a guardare verso altri mercati. L’opzione più probabile è senza dubbio la Cina, che si sta già muovendo in questo senso: oltre ai numerosissimi “Free Trade Agreements” – Accordi di Libero Scambio – già in essere, è di questi giorni l’intesa commerciale a tre fra Corea del Sud, Giappone e la stessa Cina, in risposta ai dazi promessi da Donald Trump. Attenzione anche all’apertura al Mercosur.

Bonus bollette 200 euro: da domani arriva il nuovo contributo

Bonus bollette 200 euro: come funziona e chi lo riceverà da aprile 2025

Dal 1° aprile 2025 parte il bonus bollette da 200 euro. Scopri chi può riceverlo, come funziona il nuovo contributo extra e in che modo si somma al bonus bolletta sociale

Il ‘bonus bollette’ è in arrivo. Il governo ha approvato un contributo da 200 euro per aiutare le famiglie in difficoltà a far fronte ai rincari dell’energia elettrica. Il nuovo contributo, previsto dal decreto Bollette 2025, verrà erogato a partire da domani (martedì 1° aprile 2025) e si aggiungerà al tradizionale bonus bolletta sociale.

La novità più importante? Il bonus extra sarà esteso anche a chi ha un ISEE fino a 25.000 euro, allargando così la platea dei beneficiari.

Bonus bollette: chi ha diritto al contributo straordinario

First things first: il nuovo bonus bolletta 200 euro sarà riconosciuto:

  • automaticamente a chi già riceve il bonus sociale elettrico (ISEE sotto i 9.530 euro);
  • su richiesta, per chi presenta un ISEE fino a 25.000 euro, con verifica dei requisiti da parte dell’INPS e degli enti competenti.

Ma andiamo con ordine cercando di capire prima che cos’è il bonus sociale elettrico, per poi approfondire i requisiti specifici necessari per rientrare in uno di questi due gruppi di beneficiari.

Bonus sociale elettrico: cos’è e come funziona?

Come anticipato il bonus bolletta verrà automaticamente erogato a chi riceve il bonus sociale elettrico. Si tratta di una misura, prevista dal Governo e resa operativa dall’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, che mira a ridurre la spesa sostenuta dalle famiglie in condizione di disagio economico e fisico per il consumo dell’energia elettrica. 

Questa si divide, a sua volta, in due tipologie di bonus sociale:

  • Bonus sociale per disagio economico: destinato ai nuclei familiari con un indicatore ISEE non superiore a 9.530€, oppure percettori di Reddito o Pensione di Cittadinanza o ai nuclei familiari con almeno quattro figli a carico. Il bonus viene riconosciuto in automatico in bolletta senza necessità di fare domanda, a condizione che l’ISEE sia aggiornato e corretto.
  • Bonus sociale per disagio fisico: riservato a chi si trova in gravi condizioni di salute e necessita di apparecchiature elettromedicali salvavita alimentate dall’energia elettrica. In questo caso è necessario presentare apposita domanda presso il Comune o un Centro di Assistenza Fiscale (CAF), allegando la certificazione sanitaria e la documentazione richiesta.

Come funziona il bonus bollette “extra” 200 euro

Dopo aver chiarito cos’è e come funziona il bonus bollette classico è il momento di approfondire quello extra. Si tratta di un contributo straordinario che scatterà da domani: martedì 1° aprile 2025, e sarà erogato a chi ha un ISEE al di sotto dei 25.000$. 

ARERA, l’Autorità per l’Energia, ha fatto sapere che il nuovo bonus bollette sarà distribuito in rate giornaliere da 1,64 euro, per un totale di circa 200 euro nel trimestre aprile–luglio 2025. Il contributo sarà sommato al bonus bolletta esistente, che varia in base alla composizione del nucleo familiare. Per chi lo ho già ricevuto in passato il processo di validazione sarà automatico, mentre gli altri dovranno presentare l’ISEE e attendere le verifiche.

Chi nel 2025 ha ancora in corso l’erogazione del bonus in base all’ISEE del 2023 (tra 9.530€ e 15.000€), riceverà l’80% dell’importo riconosciuto ai beneficiari “ordinari”. Con l’arrivo del bonus straordinario da 200 euro, questi utenti potranno cumulare i due contributi, ottenendo così un aiuto maggiore.


Criptovalute e politica: tra propaganda elettorale e strategie economiche globali

propaganda politica criptovalute

Tra promesse di innovazione e paura del caos finanziario: il ruolo delle criptovalute nelle campagne elettorali, nelle politiche economiche nazionali e nel dibattito tra destra e sinistra.

Negli ultimi dieci anni, le criptovalute sono passate dall’essere un fenomeno finanziario sperimentale a un tema centrale nel dibattito politico globale. Da simbolo di libertà economica a minaccia alla stabilità finanziaria, Bitcoin e le altre valute digitali sono diventate strumenti nelle mani di governi e candidati, con implicazioni che vanno ben oltre il settore tecnologico.

L’uso delle criptovalute nella politica non si limita più al loro ruolo come asset finanziario: sono diventate un’arma retorica nelle campagne elettorali, un mezzo per bypassare restrizioni economiche e una leva per la sovranità monetaria. Ma quali sono le reali implicazioni di questo fenomeno?

Criptovalute: un nuovo campo di battaglia politico ed economico

L’adozione e il contrasto delle criptovalute da parte dei governi non sono mai casuali, ma rispecchiano precise strategie economiche e visioni politiche.

A destra, le crypto vengono spesso presentate come un baluardo contro l’eccessiva regolamentazione statale, un simbolo della libertà economica e un antidoto contro l’inflazione generata dalle banche centrali. Non a caso, politici conservatori come Donald Trump e Javier Milei hanno assunto una posizione favorevole, vedendo in Bitcoin una forma di denaro al di fuori del controllo delle istituzioni finanziarie tradizionali.

A sinistra, prevale una maggiore diffidenza, con richieste di regolamentazione più stringenti per arginare i rischi di frodi, riciclaggio di denaro e speculazione selvaggia. Figure come Elizabeth Warren hanno dichiarato guerra aperta al settore crypto, sostenendo che la loro crescita senza regole minacci la stabilità del sistema finanziario e favorisca pratiche illecite.

Nel mezzo, troviamo governi che vedono le criptovalute come una possibilità di innovazione finanziaria, ma che al contempo ne temono gli effetti destabilizzanti. L’Unione Europea, ad esempio, ha introdotto il regolamento MiCA per dare un quadro normativo chiaro senza soffocare il settore, mentre paesi come El Salvador e l’Argentina cercano di sfruttare il fenomeno per attirare investimenti e diversificare l’economia.

Le crypto come strumento economico e politico

Le criptovalute non sono solo oggetto di dibattito politico, ma vengono attivamente utilizzate dai governi per scopi economici strategici.

El Salvador è stato il primo stato al mondo ad adottare Bitcoin come moneta legale, cercando di attrarre capitali esteri e ridurre la dipendenza dal dollaro USA. Nonostante l’entusiasmo iniziale, l’adozione tra i cittadini è stata bassa, e le riserve statali in Bitcoin hanno subito forti oscillazioni di valore.

L’Argentina, con l’elezione di Javier Milei, sta aprendo le porte a una politica più favorevole alle criptovalute, vedendole come un’alternativa al peso e alla Banca Centrale. Il nuovo governo ha già iniziato a smantellare le restrizioni sui cambi e potrebbe spingere per un’integrazione più ampia delle crypto nel sistema finanziario.

La Cina, al contrario, ha adottato una strategia opposta: ha vietato completamente le criptovalute nel 2021, sostenendo che rappresentino una minaccia alla stabilità finanziaria e al controllo statale sull’economia. Tuttavia, il ban non ha fermato il mercato nero delle crypto, e molti cittadini continuano a utilizzarle tramite strumenti alternativi come le stablecoin.

Negli Stati Uniti, le criptovalute sono diventate un tema centrale nelle elezioni. Sempre più candidati accettano donazioni in crypto, e mentre alcuni vedono Bitcoin come un’opportunità economica, altri lo considerano una minaccia che necessita di un maggiore controllo normativo.

regolamentazione delle criptovalute nel mondo

Crypto e lobbying: il potere dell’industria nel panorama politico

Con la crescente influenza del settore crypto, le grandi aziende del settore stanno investendo sempre più risorse per influenzare le decisioni politiche. Negli Stati Uniti, gruppi di pressione e lobby crypto hanno versato milioni di dollari nelle campagne elettorali, cercando di spingere regolamenti favorevoli e contrastare le misure restrittive.

Le criptovalute stanno anche diventando uno strumento di potere economico nelle mani di governi che vogliono ridurre la dipendenza dal sistema finanziario tradizionale. Paesi sotto sanzioni, come la Russia e l’Iran, stanno esplorando l’uso delle crypto per aggirare i blocchi finanziari internazionali, mentre alcuni stati emergenti le vedono come un’opportunità per attrarre investimenti e creare nuovi mercati.

Il futuro delle crypto tra regolamentazione e sovranità economica

Il dibattito sulle criptovalute è destinato a rimanere acceso nei prossimi anni. Mentre alcuni governi le abbracciano come opportunità di sviluppo, altri cercano di limitarne la diffusione per mantenere il controllo sull’economia. L’equilibrio tra regolamentazione e innovazione sarà determinante per capire se le criptovalute diventeranno parte integrante del sistema finanziario globale o se continueranno a essere viste come un elemento di disordine economico.

Vuoi approfondire come le criptovalute stanno influenzando la politica globale? 

Leggi la nostra ricerca per scoprire tutti i dettagli sulle strategie dei governi e sulle implicazioni economiche: Criptovalute e potere: il grande scontro tra governi, industria e ideologie politiche.

Stablecoin: la moneta del popolo. Il caso della Turchia.

stablecoin turchia

In Turchia le stablecoin stanno diventando l’alternativa alla lira. Ecco come l’economia reale sta cambiando nelle strade del Gran Bazar di Istanbul.

Se ci si addentra nei vicoli di Istanbul, nel Gran Bazar, in mezzo alla folla, al vociare dei mercanti e alla gente che contratta il prezzo di spezie e oggetti di ogni tipo, si noterà un viavai di persone che entrano ed escono dai retrobottega. Seguendo i loro passi, si scopriranno stanze in cui uomini che si fanno chiamare trader scambiano contanti per stablecoin. Nelle retrovie del Gran Bazar, i negozianti pagano i fornitori in criptovalute, i migranti inviano rimesse bypassando i costi bancari, e chi ha bisogno di proteggere i propri risparmi dall’inflazione usa Tether (USDT) o USD Coin come cassaforte digitale.

Milioni di dollari vengono transati ogni giorno in quella che è l’economia reale della città. Nel 2024, le transazioni in stablecoin hanno raggiunto il 4,3% del PIL turco. In un paese con una valuta volatile e una forte dipendenza dal dollaro, la gente comune ha trovato la sua soluzione. 

Le criptovalute come soluzione tangibile

Il report della Banca Mondiale, Remittance Prices Worldwide, evidenzia che, in gran parte del mondo, l’invio di rimesse tramite transazioni internazionali può costare fino al 7% e richiedere diversi giorni, soprattutto quando coinvolge paesi emergenti. Ancora oggi, milioni di persone sono escluse dai servizi bancari, mentre molte valute nazionali subiscono gli effetti di un’inflazione incontrollabile. In questo scenario, le stablecoin stanno emergendo come una soluzione accessibile e affidabile per milioni di persone che lottano quotidianamente per far fronte alle spese essenziali.

Le criptovalute possono essere fino a 5.000 volte più economiche rispetto ai metodi di pagamento tradizionali e 432.000 volte più veloci, soprattutto per i trasferimenti internazionali, come riportato nella ricerca di The Block, The State of Crypto. Se per un bonifico bancario servono giorni, sulla rete blockchain bastano secondi. Se un trasferimento tradizionale può costare decine o centinaia di euro in commissioni, sulla blockchain bastano pochi centesimi.

Stablecoin: un’economia in crescita

A differenza di Bitcoin e altre criptovalute, le stablecoin – come suggerisce il nome – hanno un prezzo stabile. Questo è possibile perché il loro valore riflette quello di valute fiat (come il dollaro) o materie prime (come l’oro). Le stablecoin sono generalmente garantite da contanti o titoli di Stato e funzionano su blockchain pubbliche.

Il peso delle stablecoin nell’economia digitale è colossale: secondo i dati di Chainalysis, oggi il 40% di tutto il valore trasferito sulle blockchain pubbliche è in stablecoin, in crescita rispetto al 20% del 2020, per un totale di 27,6 trilioni di dollari nel 2023.

In parte, questa crescita riflette il crescente consolidamento del mercato delle criptovalute, ma le stablecoin stanno assumendo un ruolo sempre più rilevante come strumento per affrontare problemi concreti, e non solo come strategia di investimento. I migranti le usano per inviare rimesse, sostituendo i sistemi bancari tradizionali, costosi e lenti. Un sondaggio condotto da Castle Island Ventures e Visa in Turchia e in quattro altri mercati emergenti rivela che quasi la metà degli utenti di stablecoin le utilizza proprio per proteggere i propri risparmi dall’inflazione.

Gli Stati Uniti rimangono il mercato più grande, secondo Chainalysis, poiché le stablecoin sono centrali per il trading crypto. Tuttavia, in rapporto alla dimensione dell’economia, la Turchia è oggi il paese leader nelle transazioni con stablecoin. In Etiopia, invece, si è registrata la crescita più rapida: le transazioni sotto i 10.000 dollari si sono triplicate in un anno, principalmente per rimesse e pagamenti quotidiani.

Tether: il colosso delle stablecoin 

Nel regno delle stablecoin, Tether (USDT) è il sovrano assoluto. Domina il mercato con il 70% delle transazioni, rendendolo il punto di riferimento per trader, investitori e cittadini in cerca di una valuta digitale stabile.

Tether guadagna investendo le proprie riserve e afferma di possedere 113 miliardi di dollari di asset, di cui il 72% è in titoli del Tesoro statunitense. Con i rendimenti obbligazionari in crescita, questi investimenti sono diventati una miniera d’oro per l’azienda. Tuttavia, ad oggi Tether (USDT) non si è ancora adeguato alla normariva europea Market in Crypto Asset (MiCA).

Verso la regolamentazione delle piattaforme

Di fronte a questa nuova realtà, anche la Turchia sta prendendo provvedimenti per regolamentare il settore, sulla scia dell’Europa con la MiCAR. A partire dal 25 febbraio 2025, il paese imporrà norme più rigide: le piattaforme di scambio dovranno ottenere una licenza, adottare procedure di verifica KYC (Know Your Customer) e implementare misure più severe contro il riciclaggio di denaro.

Ma la Turchia non è l’unico paese a intervenire. In Nigeria, un giro di vite sulle piattaforme crypto ha portato alla revoca di oltre 4.000 licenze, con un conseguente calo del 38% nelle transazioni in stablecoin. Al contrario, in Etiopia l’uso di questi asset digitali sta esplodendo: nel corso dell’ultimo anno, le transazioni inferiori a 10.000 dollari sono triplicate, segnale che sempre più persone li utilizzano per pagamenti quotidiani e rimesse.

Negli Stati Uniti, invece, l’approccio sembra andare nella direzione opposta. A gennaio, Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per definire un quadro normativo sulle criptovalute entro sei mesi, sostenendo che gli USA dovrebbero diventare la “capitale mondiale delle crypto”. L’iniziativa punta a rafforzare il ruolo delle stablecoin ancorate al dollaro, viste come uno strumento strategico per consolidare la supremazia della valuta americana.

Anche le grandi aziende stanno investendo in questa trasformazione. Stripe, colosso dei pagamenti digitali, ha acquisito Bridge, una startup specializzata in infrastrutture per stablecoin. Visa ha lanciato una piattaforma per facilitare l’emissione di stablecoin da parte delle banche, e BBVA, il secondo istituto di credito più grande di Spagna, sarà tra i primi a sperimentarla, probabilmente per l’ottimizzazione dei trasferimenti di denaro.

Un equilibrio intelligente tra innovazione e regolamentazione

Le stablecoin hanno dimostrato di rispondere a esigenze reali: protezione dall’inflazione, accesso a un sistema finanziario senza barriere e trasferimenti di denaro più veloci ed economici. La regolamentazione è necessaria per garantire trasparenza e sicurezza, ma deve essere costruita tenendo conto della realtà sul campo. Limitare o soffocare questi strumenti con normative eccessivamente restrittive significherebbe penalizzare proprio quelle persone che, nei mercati emergenti, le usano per necessità e non per speculazione. Il futuro delle stablecoin non dipenderà solo dalla tecnologia o dai mercati, ma anche da un equilibrio intelligente tra innovazione e regolamentazione.

Il calendario dei risultati trimestrali delle aziende quotate

Trimestrali NVIDIA e azionario: calendario e previsioni

Scopri il calendario dei dati trimestrali di NVIDIA e delle aziende più importanti dell’azionario

Il calendario dei dati trimestrali di NVIDIA e delle aziende più importanti dell’azionario è uno strumento essenziale per seguire al meglio i mercati. Ogni tre mesi, NVIDIA e tutte le aziende quotate sono tenute a pubblicare le trimestrali. Questi report contengono i risultati finanziari dell’azienda per l’ultimo trimestre, tra cui ricavi, profitti, spese, previsioni future e molto altro.

Scopri perché sono importanti, come influenzano le decisioni degli investitori e il calendario completo e aggiornato in questo articolo.

Trimestrali: perché le aziende come NVIDIA devono pubblicarle?

Prima di addentrarci nel calendario delle trimestrali di NVIDIA e delle altre aziende principali del mercato azionario, è utile capire alcune caratteristiche di questi report. Innanzitutto, va specificato che la pubblicazione di questi documenti è un obbligo normativo, volto a garantire un livello di trasparenza accettabile all’interno dei mercati. 

La pubblicazione delle trimestrali consente agli investitori di valutare l’andamento di un’azienda, comprendendo se sta crescendo, se è in grado di registrare profitti e fornendo gli elementi necessari per decidere se comprare o vendere le sue azioni.

Le trimestrali non sono solo un’indicazione della salute finanziaria di un’azienda, ma anche uno strumento per confrontarla con i suoi competitor. Per esempio, i risultati di NVIDIA possono essere utilizzati per confrontare l’azienda con altre nel settore tecnologico. Gli utili di NVIDIA, che produce GPU, sono sufficienti a giustificare la sua capitalizzazione di mercato? E ci sono altri competitor che stanno emergendo, riuscendo a produrre a costi inferiori? Le risposte a queste domande, almeno in parte, possono essere trovate analizzando le trimestrali.

Come influenzano i mercati

Le trimestrali di NVIDIA, così come quelle di tante altre aziende quotate, hanno un impatto significativo sui mercati. Tuttavia, l’effetto che queste hanno non è mai scontato e richiede esperienza e una comprensione approfondita per essere interpretato correttamente. Intuitivamente, si potrebbe pensare che, quando i risultati di un’azienda sono positivi, il prezzo delle sue azioni sarà destinato a salire. In realtà, la reazione del mercato a questi dati non è così lineare.

La verità è che non esiste una formula precisa per prevedere come reagirà il mercato ai dati trimestrali. Le reazioni possono essere influenzate da molteplici fattori. Le aspettative degli investitori sono cruciali: se i risultati di un’azienda sono in linea con le previsioni degli analisti, o meglio ancora li superano, il titolo tenderà a salire. Tuttavia, se i risultati sono positivi ma non riescono a superare le aspettative, il titolo potrebbe scendere.

Un altro fattore determinante è il contesto macroeconomico. Se i mercati si trovano in un periodo di incertezze o debolezza, anche una trimestrale positiva potrebbe non ricevere l’attenzione che merita. Per esempio, se durante il prossimo Federal Market Open Committee (FOMC) del 29 gennaio la Federal Reserve dovesse alzare i tassi di interesse, risultati trimestrali positivi potrebbero comunque non influire positivamente. D’altro canto, in un contesto rialzista, anche i risultati meno entusiastici potrebbero essere interpretati positivamente dal mercato.

Infine non si possono citare altri aspetti che giocano un ruolo centrale. La dimensione dell’azienda, il settore in cui opera, le quote di mercato e la sua reputazione sono tutti fattori che possono influenzare come il mercato percepisce e reagisce ai suoi risultati trimestrali. 

Trimestrali NVIDIA e non solo: il calendario completo

Il 2025 sarà un anno cruciale per le Big Tech e per il mercato in generale. Ecco il calendario aggiornato con le trimestrali delle principali aziende quotate.

Mercoledì 15 gennaio 2025

  • JPMorgan Chase & Co. (761 miliardi di dollari)
  • Wells Fargo & Co. (274 miliardi di dollari)
  • Goldman Sachs Group, Inc. (206 miliardi di dollari)
  • BlackRock, Inc. (152 miliardi di dollari)
  • Citigroup Inc. (153 miliardi di dollari)

Giovedì 16 gennaio 2025

  • Bank of America Corp. (358,4 miliardi di dollari)
  • Morgan Stanley (220,15 miliardi di dollari)

Martedì 21 gennaio 2025

  • Netflix, Inc. (415,44 miliardi di dollari)

Lunedì 28 gennaio 2025

  • LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton SE (377,21 miliardi di dollari)
  • T-Mobile US, Inc. (274,5 miliardi di dollari)
  • Alibaba Group Holding Limited (174 miliardi di dollari)

Mercoledì 29 gennaio 2025

  • Meta Platforms, Inc. (659,88 miliardi di dollari)
  • Microsoft Corporation (3,23 trilioni di dollari)
  • Tesla, Inc. (397,15 miliardi di dollari)

Giovedì 30 gennaio 2025

  • Apple Inc. (3,46 trilioni di dollari)
  • Visa Inc. (647,53 miliardi di dollari)
  • Mastercard Incorporated (489,65 miliardi di dollari)

Martedì 4 febbraio 2025

  • Alphabet Incorporated, la holding di Google (1,91 trilioni di dollari)

Giovedì 6 febbraio 2025

  • Amazon.com, Inc. (2,48 trilioni di dollari)

Mercoledì 26 febbraio 2025

  • NVIDIA Corporation (2,9 trilioni di dollari)

Come abbiamo potuto comprendere negli scorsi giorni il 2025 sarà un anno cruciale per stimare l’effettivo impatto dell’intelligenza artificiale, il tema dominante per le aziende più importanti del mondo come Meta, Microsoft, NVIDIA e Alphabet. Continua a seguire il nostro blog per conoscere tutti gli ultimi sviluppi.