Bias cognitivi in finanza: guida per investire consapevolmente

Bias cognitivi in finanza: guida per investire consapevolmente

I bias cognitivi influenzano le tue decisioni di investimento più di quanto credi. Scopri i più comuni in finanza e le strategie pratiche per riconoscerli, gestirli e scardinarli

I bias cognitivi, distorsioni mentali che influenzano il nostro pensiero e il nostro processo decisionale, collidono con i pilastri della teoria economica tradizionale. Eh già, perché a causa di questi errori di valutazione sistematici, noi investitori che popoliamo il mondo della finanza siamo tutto fuorché gli “attori razionali” che gli economisti classici si immaginavano.

I bias cognitivi – e il loro significato – sono stati per un sacco di tempo trascurati. Si preferiva trattare gli individui come dei robot, guidati semplicemente dal bilanciamento tra rischio e rendimento, tra costi e benefici. La realtà – e soprattutto i dati, che non mentono quasi mai – però, ci racconta una storia ben diversa. Cosa sono i bias cognitivi? Come li definisce la finanza comportamentale? E soprattutto, quanto spesso ci caschiamo? 

Bias cognitivi: l’origine del termine

Scommettiamo che sei convinto di essere un buon automobilista? Diciamo pure migliore del “guidatore medio” italiano. Beh, amico, non sei solo: la stragrande maggioranza dei guidatori ha la tua stessa, identica convinzione. E questo, di per sé è già un paradosso. La colpa? Dell’overconfidence bias, ma non correre, che a quello ci arriviamo tra un attimo.

Per avventurarci nel fantastico (si fa per dire) mondo dei bias cognitivi applicati alla finanza, dobbiamo prima avere le idee chiare sul significato di “bias”. È un termine inglese che abbiamo preso in prestito dal greco epikársios, che significa “obliquo”, “inclinato”. Pensa che all’inizio era associato al gioco delle bocce, per descrivere un tiro un po’ sbilenco, andato storto. Probabilmente non hai mai sentito tuo nonno urlare “Bias!” alla bocciofila e c’è un perché: dal 1500 in poi, il termine ha iniziato a prendere un significato più ampio, e oggi lo traduciamo spesso con “predisposizione al pregiudizio” o, per essere più precisi nel nostro contesto, “distorsione sistematica del giudizio”. Insomma, qualcosa che ci fa vedere le cose un po’… di traverso.

Che cosa sono davvero i Bias cognitivi?

Il significato di bias cognitivo affonda le sue radici nell’etimologia che abbiamo appena spulciato. C’è da dire, però, che questa evoluzione di epikársios ha trovato terreno fertile nel campo della psicologia, soprattutto grazie alle ricerche di due pezzi da novanta come Daniel Kahneman e Amos Tversky, premi Nobel che negli anni ‘70 hanno iniziato a scoperchiare questo vaso di Pandora.

Ma quindi, in soldoni, “bias cognitivo” cosa vuol dire? Un sinonimo potrebbe essere automatismo mentale (o scorciatoia), inteso però spesso in senso negativo. È come quando il nostro cervello, per risparmiare energia, invece di fare tutto il ragionamento per filo e per segno, prende una scorciatoia. Peccato che a volte queste scorciatoie ci portino dritti dritti in un fosso. Da questi automatismi si generano solitamente credenze, decisioni, e persino abitudini. Insomma, i bias cognitivi non sono affatto uno scherzo: possono alterare permanentemente il nostro processo di pensiero, soprattutto se non impariamo a disinnescarli. L’unico modo per farlo? Riconoscerli e, quindi, conoscerli a menadito.

Le euristiche, scorciatoie mentali a volte pericolose

Stiamo parlando dei bias cognitivi della finanza, ma di soldi e investimenti ancora poche tracce concrete, vero? Non ti preoccupare, stiamo per arrivarci. Prima, però, dobbiamo chiarire un ultimo concetto fondamentale: quello di euristica, una parola che sentirai spesso associata ai bias.

In breve, le euristiche sono proprio quelle scorciatoie mentali di cui parlavamo. Il termine deriva dal greco heurískein, che significa “scoprire” o “trovare”. Sono procedimenti mentali sbrigativi che ci permettono di giungere a conclusioni veloci, di prendere decisioni al volo. Bello, no? Quando un’idea ti “salta in testa” all’istante, senza bisogno di spremerti le meningi o avventurarti in ragionamenti lunghi e faticosi. È l’euristica che lavora per te!

Questa specie di “magia” avviene nel nostro cervello grazie a un processo chiamato sostituzione dell’attributo, che per lo più avviene senza che ce ne accorgiamo. In parole povere, il nostro cervello sostituisce un concetto complesso con uno più semplice da maneggiare e voilà: conclusione rapida, zero sforzo cognitivo (o quasi).

Questo affascinante meccanismo, in un certo senso, precede o produce i bias cognitivi. È importante sapere, però, che non tutte le euristiche vengono per nuocere: alcune sono “euristiche efficaci”, ovvero scorciatoie che funzionano e ci semplificano la vita. Il problema è quando ci affidiamo troppo a quelle “pigre” o difettose ed è lì che nascono i guai, soprattutto in finanza.

Bias cognitivi nel mondo della finanza: quando le scorciatoie diventano trappole

Ti è mai capitato di azzeccare un trade e sentirti improvvisamente il Warren Buffett della tua provincia, praticamente invincibile? O, al contrario, di registrare una perdita e, invece di fermarti a riflettere, decidere di aumentare l’esposizione per “recuperare in fretta”? Se hai annuito almeno una volta, benvenuto nel club: hai, anche tu, avuto un incontro ravvicinato con qualche bias cognitivo.

E non sentirti solo o sbagliato: questo è assolutamente normale. Secondo diverse ricerche, tali schemi di pensiero irrazionale sono estremamente comuni, tanto da influenzare le decisioni della maggior parte degli individui quando si confrontano con situazioni di incertezza come quelle, appunto, dei mercati finanziari. Kahneman stesso, nel suo libro “Pensieri Lenti e Veloci”, ci spiega come questi “errori sistematici” siano parte integrante del nostro modo di pensare.

Ha quindi un sacco di senso, almeno secondo noi, dare un’occhiata da vicino ai bias più comuni che infestano il mondo degli investimenti. L’obiettivo? Imparare a riconoscerli per cercare, se non di eliminarli del tutto (impresa quasi impossibile), almeno di scardinarli o limitarne i danni.

Il Bias di conferma

Si manifesta con la tendenza a cercare, interpretare, favorire e ricordare solo le informazioni che confermano o supportano le nostre convinzioni o i nostri valori preesistenti. È come mettere dei paraocchi selettivi.

Hai comprato azioni di “Azienda X” o quella crypto in tendenza? Col bias di conferma attivo, andrai a caccia di notizie positive su quell’asset, magari sui forum o sui social, ignorando bellamente o minimizzando quelle negative. “Ah, quel famoso analista dice che salirà? Ottimo! Quell’altro dice che è una bolla? Ma figurati, non capisce niente!”

Uno studio di Park (2010) pubblicato sul “Journal of Cognitive Neuroscience” ha usato la risonanza magnetica funzionale per dimostrare che quando il bias di conferma entra in gioco, si attivano aree cerebrali associate alla ricompensa. In pratica, il cervello ci premia con della dopamina quando troviamo tesi che confermano le nostre idee, anche se sono sbagliate!

Eccesso di fiducia (overconfidence bias)

È la tendenza, ahimè molto umana, a sovrastimare le proprie capacità, le proprie conoscenze e l’accuratezza delle proprie previsioni. 

Pensa agli imprenditori che sottostimano le difficoltà di avviare un’azienda, o ai lavoratori convinti di riuscire a rispettare scadenze palesemente impossibili. L’ottimismo è un motore fantastico, ma quando la sicurezza supera un certo limite e diventa presunzione, iniziano i dolori. Si finisce per prendere decisioni avventate, trascurare rischi reali e, di conseguenza, andare incontro a risultati che definire deludenti è un eufemismo.

Secondo una ricerca di Barber e Odean (2001), dal titolo piuttosto eloquente “Boys Will Be Boys: Gender, Overconfidence, and Common Stock Investment”, questo bias cognitivo è significativamente più comune negli investitori maschi. A quanto pare, i maschietti tendono più spesso a sovrastimare le loro capacità, il che li porta a effettuare più operazioni di trading e a ottenere rendimenti netti inferiori rispetto alle colleghe investitrici.

Bias dell’ancoraggio

L’ancoraggio descrive la nostra tendenza a fare eccessivo affidamento sulla prima informazione che riceviamo su un dato argomento, anche se non è particolarmente rilevante o accurata. Questa prima informazione diventa un'”ancora” mentale che influenza tutti i giudizi successivi. Ad esempio, quando dobbiamo fare una stima numerica, tendiamo a farci influenzare da un numero che abbiamo sentito o visto in precedenza, anche se non c’entra nulla con la stima attuale.

Uno studio di Hersh Shefrin (2000), che trovi nel suo libro “Beyond Greed and Fear” (un classico della finanza comportamentale), illustra come gli investitori si “ancorino” a livelli di prezzo storici. Magari il prezzo a cui hai comprato un’azione, o il suo massimo storico. Queste “ancore” influenzano le aspettative 

Bias del presente

Sei vittima di questa euristica, che può portare a esiti negativi, quando dai un peso sproporzionato ai benefici immediati rispetto a quelli futuri, anche se questi ultimi potrebbero essere molto più grandi. È il trionfo del “tutto e subito”.

Uno studio sul risparmio pensionistico del 2008 di Laibson, Repetto e Tobacman dimostra come questo bias cognitivo possa portare alla procrastinazione cronica per quanto riguarda le decisioni di risparmio a lungo termine. Il classico “Inizio il piano d’accumulo il mese prossimo”, che diventa “il prossimo anno”, e poi “quando i figli saranno grandi”…

Questo bias è efficacemente descritto da modelli economici come quello “beta-delta”, che, per farla semplice, ci dicono che le persone non scontano il tempo in modo uniforme. Tendiamo ad attribuire un valore decisamente maggiore alle ricompense che possiamo ghermire subito rispetto a quelle che arriveranno in futuro, anche quando il ritardo è minimo. È come se il nostro “io futuro” fosse uno sconosciuto a cui non vogliamo fare favori.

Bias della rappresentatività

Ampiamente trattato da Tversky e Kahneman (1974) nel loro fondamentale articolo “Judgment under Uncertainty: Heuristics and Biases”, questa euristica si basa sulla nostra tendenza a giudicare la probabilità di un evento o l’appartenenza a una categoria basandoci su quanto esso sia simile a un prototipo o a uno stereotipo che abbiamo ben stampato in mente. Il problema è che spesso ignoriamo e le cosiddette “probabilità di base”, cioè quanto quellevento sia effettivamente frequente nella realtà.

Un esempio classico in finanza è l’investimento in un’azienda solo perché opera in un settore “caldo” e super chiacchierato (l’intelligenza artificiale oggi, il metaverso ieri, le energie rinnovabili l’altroieri), o perché il suo nome suona simile a quello di un’azienda di successo, o perché il suo fondatore assomiglia a Steve Jobs. Si cercano somiglianze superficiali, trascurando un’analisi fondamentale seria.

Pensa alla roulette: se è uscito il rosso per cinque volte di fila, molti scommetterebbero sul nero, pensando che “ora DEVE uscire”. Questo perché la sequenza R-R-R-R-R non “rappresenta” la nostra idea di casualità. Peccato che la pallina non abbia memoria e la probabilità sia sempre la stessa a ogni giro.

Effetto framing

Inifne, anche se non rientra nel calderone dei bias non possiamo non citare l’effetto framing, un fenomeno psicologico che dimostra come la nostra decisione possa cambiare radicalmente a seconda di come le informazioni vengono presentate, o “incorniciate”, appunto. La sostanza magari è la stessa, ma se cambia la cornice, cambia anche la nostra percezione (e la scelta finale).

Come ci hanno insegnato sempre Kahneman e Tversky, formulare una scelta in termini di potenziali guadagni o potenziali perdite fa tutta la differenza del mondo. Dire che un trattamento medico ha il “90% di possibilità di successo” è molto più rassicurante che dire che ha il “10% di possibilità di fallimento”, anche se stiamo dicendo la stessa identica cosa.

Dire che un fondo d’investimento attivo che ha reso il 4% quando il mercato di riferimento ha fatto il 2% può essere “incorniciato” come un successo. Ma se i costi di gestione annui sono stati del 3,5% e l’inflazione del 3%, il rendimento reale è negativo.

Come scardinare i bias cognitivi

Bene, ora che abbiamo fatto la conoscenza di questa allegra famigliola di trappole mentali, ti starai chiedendo: “quindi sono condannato a prendere decisioni finanziarie sbagliate per il resto dei miei giorni?”. La risposta è un sonoro: NO! Conoscere il nemico è il primo, fondamentale passo per combatterlo. Ecco qualche dritta pratica, niente formule magiche, ma consigli dannatamente utili:

  1. Datti delle regole chiare e seguile:
  • Fissa obiettivi finanziari limpidi: cosa vuoi dai tuoi investimenti? Una pensione tranquilla? Comprare casa? Avere obiettivi e un orizzonte temporale definiti ti aiuta a tenere la barra dritta quando il mare si fa grosso;
  • Crea un piano d’investimento scritto: non navigare a vista. Decidi prima il tuo profilo di rischio, come diversificare il portafoglio, e stabilisci regole chiare per comprare, vendere e ribilanciare. Scrivilo nero su bianco! E, soprattutto, attieniti al piano, anche quando l’istinto (o un maledetto bias!) ti urla di fare l’esatto contrario.
  • Automatizza il più possibile: i piani di accumulo sono una benedizione. Depositi e acquisti regolari e automatici ti evitano l’agonia di decidere “qual è il momento giusto per entrare” (spoiler: nessuno lo sa con certezza) e ti proteggono dalle decisioni impulsive dettate dall’emotività del momento.
  1. Lo scetticismo, in finanza, è una virtù:
  • Cerca attivamente opinioni divergenti: sei straconvinto di vole investire in un crypto specifica, per esempio SOL? Perfetto. Ora vai a cercare tutte le ragioni per cui potrebbe essere una pessima idea. Leggi analisi di chi la pensa diversamente, confrontati.
  • Redigi un “pre-mortem”: prima di prendere una decisione finanziaria importante, immagina per un attimo che sia andata male, un disastro completo. Quali potrebbero essere state le cause? Questo esercizio mentale può aiutarti a identificare rischi e falle nel tuo ragionamento che altrimenti avresti ignorato.
  1. Tieni un diario degli Investimenti:
  • Annota perché hai preso una certa decisione di investimento, cosa ti aspettavi in quel momento, e come ti sentivi (euforico? preoccupato?). Rileggere il diario a distanza di tempo è un modo potentissimo per riconoscere i tuoi schemi comportamentali e i tuoi bias “preferiti”, quelli in cui cadi più spesso.
  1. Pensa a lungo termine:
  • I mercati finanziari e crypto, nel breve periodo, sono rischiosi e volatili. Se stai lì ogni giorno a controllare i grafici e a farti venire l’ansia per ogni minima variazione, i bias avranno vita facile. Fai un bel respiro, ricorda i tuoi obiettivi di lungo periodo e non farti travolgere dal panico o dall’euforia del momento. Come dice Warren Buffett: “il mercato azionario è un meccanismo per trasferire denaro dagli impazienti ai pazienti.” 

Bias cognitivi in finanza: le domande più frequenti

Dopo tutta questa immersione nel mondo un po’ contorto dei bias, è normale avere qualche dubbio o curiosità. Proviamo ad anticiparne qualcuna, vediamo se ci azzecchiamo:

  • È possibile eliminare completamente i bias cognitivi? 

La risposta sincera è: probabilmente no, non del tutto. I bias cognitivi sono un po’ come la nostra ombra o il nostro accento regionale: fanno parte del nostro “pacchetto base” di esseri umani. L’obiettivo realistico non è eliminarli (sarebbe come cercare di non avere mai fame), ma imparare a riconoscerli, capire come ci influenzano e sviluppare strategie per gestirli e mitigarne l’impatto. È un lavoro continuo, una sorta di “manutenzione mentale” costante.

  • Quanto conta il fattore psicologico in finanza?

Tantissimoi! Puoi aver letto tutti i libri di finanza del mondo, ma se poi, al momento di cliccare “compra” o “vendi”, ti fai fregare dall’emotività e dai bias, tutta la tua sapienza analitica rischia di andare a farsi un giro. Molti esperti e investitori di successo sostengono che il successo negli investimenti dipende per una fetta enorme – forse anche il 50% o più – dalla gestione della propria psicologia. Le due cose, analisi e psicologia, devono andare a braccetto.

  • Ci sono bias più “pericolosi” di altri per chi inizia a investire?

Per chi muove i primi passi, alcuni bias possono essere particolarmente insidiosi. L’eccesso di fiducia (overconfidence) dopo i primissimi guadagni può far sentire dei fenomeni e portare a prendere rischi inutili. Anche il bias di conferma è piuttosto comune in chi ha poca esperienza sui mercati.

  • Come faccio a capire a quali bias sono più incline?

Il metodo più efficace è l’auto-osservazione onesta e costante. Un trucco utile è tenere un diario delle decisioni di investimento: annota non solo cosa compri o vendi, ma perché lo fai e come ti senti in quel momento (euforico? preoccupato? sotto pressione?). Rileggendolo a distanza di tempo, potresti notare degli schemi ricorrenti nel tuo comportamento. Hai preso decisioni impulsive durante un crollo di mercato? Hai mantenuto un titolo “per una questione di principio” anche se continuava a scendere?

  • I professionisti della finanza (trader, gestori di fondi) sono immuni?

Assolutamente no! I bias cognitivi sono “democratici”: colpiscono tutti, perché sono radicati nel modo in cui il cervello umano elabora le informazioni e prende decisioni. Anzi, a volte proprio l’eccesso di fiducia può giocare brutti scherzi a chi si sente particolarmente esperto. La vera differenza è che un buon professionista dovrebbe essere addestrato a riconoscere questi meccanismi e ad aver sviluppato strategie e processi per mitigarne l’impatto. Ma nessuno è un robot infallibile, neanche chi lavora a Wall Street!

Eccoci alla fine di queso viaggio alla scoperta dei bias cognitivi applicati al mondo della finanza. Se sei arrivato a leggere fin qui hai già fatto il primo, gigantesco e fondamentale passo: hai preso coscienza che queste “distorsioni mentali”, queste “scorciatoie ingannevoli”, esistono davvero e che influenzano anche te, come influenzano ogni singolo essere umano su questo pianeta.

Abbiamo visto che i bias non sono un’invenzione degli psicologi per vendere più libri, ma meccanismi profondamente radicati nel nostro modo di pensare, un’eredità della nostra evoluzione. Sono scorciatoie che il nostro cervello, pigro ma efficiente, usa per cercare di semplificare un mondo incredibilmente complesso e pieno di informazioni. A volte queste scorciatoie ci portano a destinazione rapidamente e senza incidenti. Altre volte, però, soprattutto quando ci sono di mezzo i nostri sudati risparmi e l’imprevedibilità dei mercati finanziari, ci fanno fare delle capocciate memorabili

La buona notizia, però, è che non siamo condannati a essere delle semplici marionette nelle mani dei nostri bias! La consapevolezza è la nostra arma più potente. Capire come funzionano questi meccanismi, imparare a riconoscere i campanelli d’allarme nel nostro comportamento e nei nostri pensieri, e adottare strategie concrete per “disinnescarli” o almeno limitarne l’impatto, può fare – e fa – tutta la differenza del mondo.Quindi, la prossima volta che senti quella vocina interiore che ti spinge a una decisione finanziaria impulsiva, che ti fa dire “Ma sì, che sarà mai, mi butto!”, fermati un attimo. Un respiro profondo. Chiediti: “Non è che qui c’è lo zampino di qualche vecchio, caro bias cognitivo che cerca di farmi lo sgambetto?”.

Contratto a tempo determinato o indeterminato?

Contratto a tempo determinato o indeterminato?

I contratti a tempo determinato e indeterminato presentano differenze nette e potrebbero essere influenzati dal prossimo referendum. Come?

Contratto a tempo determinato o indeterminato? Questo è il dilemma, direbbe l’Amleto di Shakespeare se vivesse nel ventunesimo secolo. Qui esploreremo insieme le differenze fra le due tipologie di contratto, concentrandoci sui diritti e i doveri tanto del lavoratore quanto del datore di lavoro. Tratteremo poi le questioni relative a dimissioni, licenziamento e riassunzione e vedremo infine come cambierebbe la normativa grazie al referendum di giugno. Rilassati che si parte!

Contratto a tempo determinato: caratteristiche

Il contratto a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato – di segno opposto al lavoro autonomo – in cui è prevista una data di cessazione del rapporto. La durata massima è di 12 mesi ma può essere prorogata a 24 mesi nel caso in cui si verificassero alcune circostanze specifiche, dette causali, come l’aumento della normale attività lavorativa, la sostituzione di altri lavoratori (non quelli in sciopero) o generiche esigenze temporanee e impreviste. Deve essere firmato per iscritto e, importante, deve essere indicato il termine di scadenza poiché se tale data non viene specificata, sostanzialmente l’aggettivo “determinato” non ha valore. 

In sintesi, il contratto a tempo determinato non può avere una durata superiore a 24 mesi, anche se esistono delle eccezioni che consentono di prorogare questo tipo di rapporto: i contratti collettivi nazionali (CCNL), territoriali e aziendali potrebbero presentare delle clausole frutto di contrattazioni sindacali. Inoltre, nel caso di rinnovo con lo stesso lavoratore per la stessa posizione, subentra l’obbligo di stop and go, cioè di “pausa obbligatoria”. Il lavoratore, quindi, potrà firmare il nuovo contratto dopo uno stop di 10 o 20 giorni se, rispettivamente, il precedente contratto aveva durata di 6 mesi o più. Se questi intervalli di tempo non vengono rispettati, il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato. 

Diritti e doveri del lavoratore

Un contratto a tempo determinato, generalmente, presenta tutele molto simili a quelli del contratto a tempo indeterminato con una variabile ovvia, la proporzionalità. Tradotto, ciò significa che il lavoratore a tempo determinato maturerà ferie, permessi e TFR in proporzione alla durata del rapporto contrattuale. Allo stesso modo, verrà coperto in caso di malattia o infortunio, ma la garanzia del posto è assicurata solo entro la data di scadenza prefissata. Anche lo stipendio, a parità di mansioni, è comparabile a quello del contratto a tempo indeterminato. C’è poi il diritto a congedi speciali come maternità e paternità, alla sicurezza sul posto di lavoro e alla formazione continua. 

I doveri sono identici a quelli del lavoratore a tempo indeterminato, tra cui diligenza, obbedienza e fedeltà all’azienda – li vedremo in modo più approfondito più avanti. 

Diritti e doveri del datore di lavoro

I diritti del datore di lavoro sono espressione dell’autorità formale e gerarchica che il boss ha in azienda: sono strumenti strutturali e legali di gestione, connessi al ruolo di responsabilità e di comando che questa figura ricopre all’interno dell’organizzazione. Si parla pertanto di potere direttivo, disciplinare e di controllo e di diritto alla prestazione lavorativa. I primi tre fanno riferimento alla facoltà del datore di lavoro di dare ordini in merito all’esecuzione e alla disciplina delle mansioni, di verificare che effettivamente il lavoratore esegua quanto comunicato e di sanzionare eventuali mancanze. Il diritto alla prestazione lavorativa, infine, è relativo al fatto che il datore è legittimato a pretendere dal lavoratore quanto pattuito nel contratto a livello di mansioni e impegni. 

Tra i doveri, invece, ricordiamo gli obblighi di corresponsione puntuale della retribuzione, quindi di pagamento dello stipendio secondo i tempi prestabiliti, di concessione di ferie e permessi e di versamento dei contributi previdenziali e assicurativi, che non possono essere trattenuti. Il datore di lavoro, poi, deve accertarsi che l’ambiente professionale sia sicuro e salubre e che siano rispettate la dignità e la privacy del lavoratore, secondo la normativa vigente. 

Vediamo ora il secondo tipo di contratto, quello a tempo indeterminato. 

Contratto a tempo indeterminato: caratteristiche

Il contratto a tempo indeterminato, in Italia, è la forma di rapporto lavorativo più comune: secondo i dati provvisori pubblicati dall’ISTAT a marzo 2025, i dipendenti a termine sarebbero circa 2 milioni e 594mila, contro i 16 milioni e 560mila che invece hanno un contratto permanente. È detto a tempo indeterminato, o permanente, perché privo di una data di scadenza e, per questa ragione, la firma non necessita di causali specifiche. 

Anche questo tipo di contratto deve essere redatto in forma scritta e deve includere tutte le informazioni essenziali relative al rapporto lavorativo. Tra queste, l’insieme delle attività richieste al lavoratore, l’inquadramento, la data di inizio, i giorni di ferie e le ore di permesso. 

Diritti e doveri del lavoratore

I diritti del lavoratore permanente, come abbiamo anticipato, sono praticamente sovrapponibili con quelli previsti dal contratto a termine. Il soggetto, quindi, ha diritto a una retribuzione congrua col tipo di lavoro svolto, a lavorare in un ambiente sicuro e inclusivo, a ferie, permessi e congedi speciali e al trattamento di fine rapporto (TFR). Una delle poche differenze, in questo senso, risiede nella sezione malattie e infortuni. Diversamente dal contratto a tempo determinato, l’indeterminato presenta delle condizioni particolari: il lavoratore può usufruire di un periodo massimo di assenza, detto periodo di comporto, la cui durata è stabilita dalla normativa vigente, dai contratti collettivi nazionali di settore o dal contratto individuale di lavoro. Se, al termine di questo periodo, il lavoratore non rientra in azienda, il datore può procedere al licenziamento. Ciò non vale nel caso in cui, invece, la malattia o l’infortunio fossero causate da attività connesse alle mansioni lavorative. 

La parte dei doveri rimanda ai vincoli di collaborazione e correttezza nei confronti dell’azienda e del datore di lavoro. Troviamo infatti l’obbligo alla fedeltà, all’obbedienza e alla diligenza. Per fedeltà si intendono quei comportamenti di lealtà professionale e di protezione dell’organizzazione: non trattare affari con la concorrenza e non divulgare informazioni sensibili o segreti industriali. Con obbedienza, naturalmente, si indica il dovere del lavoratore di eseguire quanto richiesto dal datore e, infine, la parte della diligenza fa riferimento alla buona condotta lavorativa, al rispetto delle norme disciplinari e degli orari di lavoro. 

Diritti e doveri del datore di lavoro

I diritti e i doveri del datore di lavoro sono gli stessi, sia in caso di contratto a tempo determinato che indeterminato. Dunque, rimandiamo a quelli che abbiamo visto nel paragrafo precedente. 

Dimissioni, licenziamento e riassunzione: determinato vs indeterminato

Il contratto a tempo determinato si basa su un principio preciso: il lavoratore, firmando, si impegna a prestare servizio per un intervallo di tempo determinato. Per questo motivo, rispetto all’indeterminato, dove le dimissioni sono libere con preavviso, la rinuncia volontaria all’impiego non è consentita. In caso, l’azienda potrebbe chiedere un risarcimento sotto forma di penale. Ma esistono delle eccezioni. Il lavoratore può dimettersi se c’è una giusta causa, quindi se diventa oggettivamente impossibile proseguire col rapporto lavorativo. Le giuste cause più comuni sono il mancato pagamento dello stipendio, l’assenza di rispetto delle norme di sicurezza, situazioni di mobbing o molestia. Un fatto curioso è che le dimissioni possono essere presentate solamente online. Questa procedura è diventata obbligatoria nel 2016, col Jobs Act, e il motivo è molto semplice: contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco, una pratica illegale in cui il datore di lavoro, al momento dell’assunzione, fa firmare il foglio delle dimissioni privo di data, così da riempirlo all’occorrenza. 

Per quanto riguarda il licenziamento, nel caso del contratto a termine valgono le stesse regole delle dimissioni, ma dalla prospettiva del datore di lavoro. Questo vuol dire che il dipendente a termine non può essere licenziato prima della scadenza, a meno che non si tratti di una giusta causa. Anche qui, per giusta causa si intende una circostanza così grave da rendere impossibile l’attività lavorativa. Lo stesso discorso vale per il contratto a tempo indeterminato, a cui però si aggiunge una clausola: il giustificato motivo oggettivo o soggettivo. Il primo, riguarda le ragioni obiettive, del funzionamento dell’azienda e della sua produttività. Il secondo, dall’altro lato, si riferisce ai comportamenti scorretti del dipendente, come il mancato rispetto degli obblighi descritti sopra. 

La riassunzione, infine, è un procedimento che vale solamente per i contratti a termine perché, per definizione, un contratto a tempo indeterminato non presuppone una data di scadenza. Le pratiche per il reintegro del dipendente in azienda sono quelle dello stop and go, che abbiamo già trattato nel primo paragrafo. 

Cosa cambia coi referendum di giugno?

I referendum del prossimo giugno sono cinque, divisi in due aree tematiche: una collegata alla cittadinanza e una al mondo del lavoro. Quest’ultima è composta da quattro quesiti referendari differenti. Il primo e il secondo si occupano di licenziamenti illegittimi – o senza una giusta causa – e indennità previste verso i dipendenti nel caso in cui si verificasse questa scorrettezza. Il terzo pone l’attenzione sui contratti a tempo determinato e chiede il ripristino dell’obbligo di causali che giustifichino una scadenza a 12 mesi o inferiore. 
Se vuoi informarti in modo più approfondito – e dovresti – abbiamo scritto una guida sui referendum dell’8 e 9 giugno dove potrai leggere con attenzione e comprendere cosa ti verrà chiesto al momento del voto. Dopo di ciò, iscriviti a Young Platform e facilitati la vita!

Bitcoin: nuovo all-time high a 111.900$

Bitcoin: nuovo massimo storico a 111.900$

Bitcoin raggiunge un nuovo massimo storico. Un’analisi tra ETF spot, fear & greed index, tassi di finanziamento sui mercati derivati e gli scenari futuri

Bentornato, Bitcoin! Dopo un’attesa che durava da gennaio, la principale criptovaluta ha finalmente infranto i suoi record precedenti, regalandoci un nuovo All-Time High (ATH). Ieri sera, Bitcoin ha toccato quota 109.400$, per poi superarsi nuovamente questa mattina, arrivando a un passo dai 112.000$. È importante sottolineare, per dovere di cronaca, che non è stato ancora raggiunto un massimo storico nei confronti dell’euro. Questo scenario è in parte dovuto all’indebolimento del dollaro USA rispetto ad altre valute globali da gennaio, mese in cui Bitcoin aveva toccato il suo ATH in euro (all’epoca, il dollaro USA ha perso circa il 10% rispetto all’Euro).

L’attuale bull market si configura come uno dei più particolari e anomali nella storia di Bitcoin. Innanzitutto, sono trascorsi circa cinque mesi tra il precedente ATH e quello attuale. Inoltre, finora non si è assistita a una altseason degna di nota, lasciando il “buon vecchio Bitcoin” come protagonista quasi indiscusso di questa fase di mercato.

A che punto siamo di questo Bull Market?

Per comprendere meglio la situazione attuale, analizziamo alcuni indicatori significativi, evidenziando le differenze rispetto ai cicli passati e perché, nonostante le anomalie, lo scenario potrebbe rivelarsi positivo.

  1. Fear & Greed Index: questo indice misura il sentiment generale del mercato crypto, oscillando da “paura estrema” a “avidità estrema”. Attualmente, si attesta intorno al livello 70 (avidità). Questo dato è piuttosto insolito: tipicamente, quando Bitcoin registra un nuovo massimo storico, l’indice schizza verso livelli di “avidità estrema” (spesso sopra 80-90).
  2. Funding Rates: i tassi di finanziamento sui mercati derivati sono un eccellente termometro per misurare la “temperatura” speculativa. Indicano il costo che i trader pagano per mantenere aperte posizioni con leva finanziaria (long o short). Quando questi tassi diventano marcatamente positivi (ad esempio, nell’intervallo 0,05%-0,08%), segnalano un eccesso di leva finanziaria long (scommesse al rialzo) nel sistema, aumentando il rischio di una brusca correzione. Sorprendentemente, al momento, i funding rates si mantengono su un modesto 0,005%, suggerendo una minore euforia speculativa e un utilizzo più cauto della leva.
  3. Interesse Retail: stimato attraverso il volume di ricerca della parola chiave “Bitcoin” su Google Trends, l’interesse del pubblico retail, pur mostrando una lieve crescita rispetto alla scorsa settimana, rimane vicino ai minimi della curva storica. Sembra che l’entusiasmo dei piccoli investitori non si sia ancora acceso pienamente nonostante il nuovo ATH. Viene da chiedersi: cosa succederà quando la notizia raggiungerà i media generalisti?

Gli ETF continuano a essere determinanti

Molti analisti sono convinti che il recente rally, culminato con il nuovo massimo storico, sia stato in gran parte alimentato dagli ingenti afflussi di capitale negli ETF Spot su Bitcoin. Soltanto negli ultimi tre giorni di contrattazioni, gli afflussi netti di capitale hanno raggiunto circa 1,5 miliardi di dollari. Complessivamente, gli afflussi netti dal lancio di questi strumenti ad oggi hanno superato i 43 miliardi di dollari e i fondi che emettono questi ETF detengono oggi circa 129 miliardi di dollari in Bitcoin, una cifra 

Cosa ci riserva il futuro?

Con il superamento dei precedenti massimi, il prezzo di Bitcoin si trova ora in fase di price discovery. In questa situazione, diventa molto difficile identificare livelli di prezzo storici che possano fungere da resistenza. È come navigare in acque inesplorate: ogni nuovo rialzo traccia una rotta mai percorsa prima.

Le recenti notizie macroeconomiche, seppur non particolarmente positive per il sistema economico globale, sembrano invece giocare a favore di Bitcoin. Un esempio significativo è l’annuncio di J.P. Morgan: la quinta banca al mondo per asset in gestione (la prima negli USA, con 4 trilioni di dollari e oltre 90 milioni di clienti) permetterà ai propri clienti di acquistare Bitcoin, segnando un’ulteriore, importante apertura istituzionale.

Inoltre, il declassamento del debito americano da parte di Moody’s e le persistenti preoccupazioni sulla sostenibilità della spesa pubblica statunitense hanno contribuito a incrinare la fiducia nella stabilità finanziaria tradizionale. In questo contesto di incertezza, Bitcoin emerge sempre più come una riserva di valore e un vero e proprio baluardo contro l’inflazione, l’instabilità economica e l’eccessivo debito pubblico.

Resta da vedere come evolverà la situazione, ma le dinamiche attuali suggeriscono un mercato di Bitcoin più maturo e in continua trasformazione, sempre più centrale nel panorama finanziario globale.

Quali sono i 5 crypto AI agent più famosi del mondo crypto?

AI agent crypto: i 5 più famosi

Quali sono i 5 crypto AI agent più famosi? Le varianti decentralizzate di Chat GPT anche in grado di gestire denaro

Quali sono i crypto AI agent più famosi? Avete presente Chat GPT, Gemini, Claude e tutti quegli altri cervelloni artificiali con cui ormai chiacchieriamo quasi quotidianamente? Bene, ora immaginate se questi genietti digitali potessero non solo scrivere poesie o risolvere problemi complessi, ma anche gestire soldi veri, investire, guadagnare e persino spendere criptovalute. Sembra fantascienza? Non proprio! Benvenuti nel mondo dei crypto AI agents, la nuova, entusiasmante frontiera nata dall’incontro tra due tecnologie che stanno rivoluzionando il mondo: le criptovalute e l’intelligenza artificiale.

In parole povere, stiamo parlando di entità digitali che già oggi sono capaci di muoversi autonomamente sui mercati finanziari decentralizzati e sfornare analisi e previsioni sui prezzi. E la cosa più sbalorditiva? Non sono semplici bot il cui agire è definito da un algoritmo immutabile, ma  sono progettati per imparare dai propri errori e adattarsi alle mutevoli condizioni del mercato, un po’ come farebbe un essere umano.

Certo, detta così sembra una semplificazione estrema, e in parte lo è. Ma niente paura! In questo articolo non ci perderemo in spiegoni teorici su cosa siano esattamente e come funzionino nel dettaglio i crypto AI agents, lo abbiamo già fatto qui. Oggi vogliamo andare dritti al sodo: faremo una carrellata dei 5 più famosi e interessanti crypto AI agent in circolazione, cercando di capire cosa fanno e perché se ne parla tanto.

I 5 crypto AI agents più famosi

Virtual Protocol: la “fabbrica” di agenti AI

Iniziamo subito col botto! Virtual Protocol non è tanto un singolo agente AI, quanto una vera e propria piattaforma o, come si autodefinisce, una “società di agenti AI”, dove chiunque può creare un agente AI personalizzato. Grazie al protocollo Virtuals, una volta configurati, questi agenti “prendono vita” e possono iniziare a muoversi e operare in modo autonomo nel mondo digitale. Cosa significa? Beh, immaginate di poter “programmare” un vostro piccolo aiutante digitale capace, se lo desiderate, di processare transazioni crypto, prendere decisioni basate sulle sue esperienze passate – o sui dati che ha analizzato – e interagire con l’ambiente circostante, che sia la blockchain o altre piattaforme; ad esempio i social network. All’interno di questa lista, vedremo un esempio lampante di agente creato proprio utilizzando questo protocollo.

La maggior parte degli agenti che nascono su Virtuals rientrano nella categoria degli IP (Intellectual Properties) agents, che potremmo definire come delle vere e proprie personalità virtuali, degli influencer digitali. L’esempio più eclatante è Luna, un’agente che ha spopolato su TikTok, raggiungendo quasi 1 milione di follower grazie ai suoi contenuti. Esistono poi i functional agents, meno focalizzati sull’aspetto “social” e più orientati a svolgere compiti specifici per migliorare l’esperienza utente su determinate piattaforme o servizi.

AIXBT: l’oracolo di X

Se bazzicate X e siete appassionati di crypto, è quasi impossibile che non vi siate imbattuti in AIXBT. Questo è, senza dubbio, uno dei crypto AI agent più popolari e seguiti. Creato proprio sulla “fabbrica di agenti” Virtual Protocol, AIXBT viene definito un sentient agent. Il suo scopo principale è chiarissimo: tenere costantemente informati gli holder del suo token associato, condividendo analisi di mercato, approfondimenti e previsioni focalizzate sul mondo crypto. 

Queste analisi non sono campate in aria, ma derivano da un continuo processo di raccolta, analisi e interpretazione di dati. AIXBT ha saputo conquistarsi una vasta platea, accumulando, ad oggi, circa 500.000 follower grazie alla sua abilità nell’identificare le narrative di mercato più calde e nel fornire alpha, ovvero informazioni preziose che possono dare un vantaggio agli investitori. La qualità dei suoi contenuti è tale che persino CoinGecko, una delle piattaforme di analisi dati più autorevoli e utilizzate nel settore crypto, ha deciso di integrare le analisi di AIXBT.

Un piccolo dettaglio non da poco: il token legato a questo agente ha vissuto momenti di gloria, raggiungendo, nel suo picco di massima espansione, una capitalizzazione di mercato di ben 745 milioni di dollari.

Eliza OS: il primo Venture Capital gestito dall’AI

L’idea che muove Eliza OS – che molti ricorderanno con il suo nome precedente, ai16z – è di quelle che stuzzicano la fantasia: immaginate un mondo in cui i vostri investimenti non solo “lavorano per voi” passivamente, ma lo fanno in modo intelligente, proattivo e completamente automatizzato. Non stiamo parlando del solito interesse composto o di formule finanziarie già note. Qui si parla di un’intelligenza artificiale tokenizzata, costruita su Solana, che ha l’obiettivo di generare rendimenti attraverso un’attività di trading sofisticata e continua.

Il modo più semplice per descrivere Eliza OS?  Un fondo di venture capital completamente decentralizzato e automatizzato, che sfrutta la potenza dell’AI per prendere decisioni finanziarie ponderate, quasi come un consulente finanziario instancabile, attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7, e sempre aggiornato sugli ultimi trend di mercato. Il token collegato a Eliza OS ha avuto un successo quasi istantaneo e travolgente, superando la sbalorditiva cifra di 2,5 miliardi di dollari di capitalizzazione in circa quattro mesi dal lancio. Oggi però, il prezzo del token si è notevolmente ridimensionato.

Hey Anon: Chat GPT per la DeFi

Il penultimo progetto di questa nostra carrellata vede protagonista una figura tanto nota quanto discussa del panorama DeFi italiano: Daniele Sesta. Hey Anon è un protocollo che nasce con un obiettivo semplice ma potente: semplificare drasticamente le interazioni con il complesso mondo della Finanza Decentralizzata (DeFi). 

In pratica, è un chatbot in stile Chat GPT, ma nato per interagire direttamente con la DeFi. Potete dargli istruzioni in linguaggio naturale, connettere il vostro wallet crypto, e lui si occuperà di tutta la parte tecnica. Facciamo un esempio? Avete una certa quantità di ETH e volete utilizzarli come collaterale per richiedere un prestito su Aave, ma non sapete da dove iniziare o trovate la procedura macchinosa? Potreste semplicemente chiedere a “Hey Anon” di farlo per voi. Attenzione però: c’è un “ma”. Per poter usufruire dei servizi di questa piattaforma e dare ordini al chatbot, è necessario detenere una certa quantità del token nativo del progetto, ANON.

Kaito: un motore di ricerca per il Web3?

Chiudiamo la nostra lista con Kaito, una piattaforma creata specificamente per semplificare l’accesso e la comprensione della marea di dati che popola l’universo Web3. Immaginate quanto sia difficile, oggi, rimanere aggiornati su tutto ciò che accade nel mondo crypto: notizie, trend sui social media, discussioni su Discord e Telegram, dati on-chain, nuovi progetti che spuntano come funghi. Kaito si propone come una soluzione a questo problema. 

Utilizzando l’AI, Kaito raccoglie, analizza e presenta informazioni cruciali da una miriade di fonti disparate, aiutando utenti, investitori e sviluppatori a navigare in questo mare magnum e a prendere decisioni più consapevoli. Potremmo vederlo come una sorta di “Google Search” potenziato dall’intelligenza artificiale, ma interamente focalizzato e specializzato sul mondo delle criptovalute e del Web3. Un tool che promette di rendere la ricerca di informazioni di qualità più rapida ed efficiente.


E questo è solo un assaggio! Il panorama dei crypto AI agent è in fermento e ogni giorno spuntano nuove idee e progetti. Siamo ancora agli inizi, è vero, e come per tutte le tecnologie emergenti ci sono sfide, rischi e tanta sperimentazione. Ma una cosa è certa: la fusione tra intelligenza artificiale e blockchain ha il potenziale per sbloccare scenari che fino a ieri sembravano relegati ai romanzi di fantascienza.


L’indennità di accompagnamento nel 2025: la guida

L'indennità di accompagnamento nel 2025. Le novità

L’indennità di accompagnamento nel 2025 è cambiata? Qual è l’importo previsto? Se cerchi risposte, questo è l’articolo che fa per te. Cominciamo!

L’indennità di accompagnamento è una misura previdenziale erogata dallo stato in favore di soggetti in possesso di determinati requisiti. Nel 2025, però, questo tipo di indennità ha visto alcune modifiche, soprattutto a livello di importo previsto. In questa breve guida, troverai tutte le informazioni che stai cercando. Buona lettura!

Indennità di accompagnamento: che cos’è e quali sono i requisiti per ottenerla

L’indennità di accompagnamento è definita dall’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) come una prestazione economica, concessa su richiesta, a favore di soggetti mutilati o invalidi totali per i quali è stata accertata la condizione di non autosufficienza

L’indennità viene erogata per 12 mensilità – nel senso che non c’è una tredicesima come per le pensioni – a partire dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda. Il soggetto interessato, poi, continuerà a godere del servizio assistenziale fin quando le sue condizioni sanitarie rispetteranno i requisiti, che a breve vedremo. Non è compatibile con altre prestazioni simili riconosciute per invalidità derivanti da cause di guerra, lavoro o servizio.  

L’indennità di accompagnamento si ottiene nel caso in cui si soddisfino alcuni requisiti: l’impossibilità di deambulare, quindi muoversi autonomamente a piedi, senza l’aiuto di un accompagnatore o l’incapacità di compiere attività tipiche della vita quotidiana. Recentemente, a questi requisiti di carattere fisico ne sono stati affiancati altri di natura psicologica. Infatti, in una sentenza del 2022, la Corte di Cassazione ha sottolineato la necessità di estendere la condizione di non autosufficienza includendo anche quei soggetti fisicamente abili ma che, a causa di gravi disturbi cognitivi, non sono in grado di gestirsi in modo autonomo. 

Dal punto di vista legale, è possibile fare domanda per l’indennità di accompagnamento se si ha la cittadinanza italiana e se si è residenti in Italia in modo stabile e duraturo. Nel caso di cittadini stranieri comunitari – membri dell’U.E. – occorre essere iscritti all’anagrafe del comune di residenza, mentre per i cittadini stranieri extracomunitari è obbligatorio essere in possesso del permesso di soggiorno da almeno un anno.  

Indennità di accompagnamento: come richiederla e a quanto ammonta l’importo

L’indennità di accompagnamento può essere richiesta in caso di riconoscimento dell’invalidità da parte del medico legale, al termine dell’accertamento sanitario. Una volta ottenuto il verbale che certifica la condizione di non autosufficienza, è obbligatorio inserire anche i dati socioeconomici. Queste informazioni fanno riferimento agli eventuali ricoveri, all’esercizio di attività lavorativa e alle modalità di pagamento e di incasso specificando, ad esempio, la delega ad una terza persona (l’accompagnatore). Ora che la domanda è pronta, è possibile inviarla direttamente online sul sito dell’INPS o depositarla presso un’associazione di categoria come l’ANMIC (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili). Il tempo di lavorazione è stabilito dalla legge in 30 giorni.

L’importo dell’indennità di accompagnamento è uguale per tutti i cittadini in possesso dei requisiti elencati precedentemente, a prescindere dall’età e dal reddito personale annuo. Rispetto all’anno scorso, questo contributo previdenziale che, ricordiamo, viene erogato mensilmente, ha visto un leggero aumento: se nel 2024 ammontava a 531,76€, nel 2025 questa cifra equivale a 542,02€. Per i ciechi assoluti si passa dai 987,50€ del 2024 ai 1.022,44 del 2025

Obblighi dell’accompagnatore

L’indennità di accompagnamento è concepita come una misura finalizzata a ridurre il carico sul servizio sanitario nazionale: lo Stato eroga il contributo affinché il soggetto interessato possa procurarsi il supporto necessario in modo autonomo, pagando un accompagnatore. Questa figura può essere un familiare o una persona terza e può fornire aiuto per la deambulazione o per lo svolgimento delle attività quotidiane. Tuttavia, la sua presenza non è prevista per legge. Dal momento che non è obbligatorio avere un accompagnatore, conseguentemente non ci sono obblighi legali per questo tipo di profilo. 

Quando si perde l’identità di accompagnamento? 

L’indennità di accompagnamento può essere sospesa o revocata definitivamente. La sospensione avviene nel caso in cui il soggetto che beneficia dell’assistenza venga ricoverato in modo gratuito, cioè presso una struttura pubblica finanziata dallo Stato, per un periodo pari o superiore ai 30 giorni. Anche in questo caso, però, è possibile continuare a percepire l’importo se, durante l’ospedalizzazione, sia comunque necessaria la presenza di un accompagnatore. 

La revoca definitiva, invece, avviene in due casi specifici: se, a seguito di un nuovo accertamento sanitario, i requisiti sanitari non sono più soddisfatti oppure se il soggetto invalido si trasferisce all’estero. Nel caso in cui, però, questa seconda circostanza fosse dovuta a motivi legati alle cure mediche – perché magari all’estero sono più avanti in determinati trattamenti – la revoca non ha luogo.

In ogni caso, i cittadini italiani hanno a disposizione uno strumento creato per rendere più accessibili e comprensibili le proprie informazioni assistenziali, sociali e pensionistiche: il fascicolo previdenziale

Per concludere, se pensi che articoli simili possano esserti utili, il consiglio è quello di restare sul pezzo iscrivendoti a Young Platform. Alla prossima!

Dal piombo all’oro: cosa è successo al CERN

Dal piombo all'oro: cosa è successo al CERN

Dal piombo all’oro: per la prima volta, al CERN di Ginevra i ricercatori hanno trasformato il metallo vile in metallo prezioso. Cosa è successo?

Il piombo e l’oro sono due metalli chimicamente molto simili, la differenza tra i due è di soli tre protoni. Ma questa piccola distinzione cambia tutto: un chilo d’oro costa circa 45.000 volte un chilo di piombo, per via di alcune caratteristiche come la scarsità in natura e la rarità, che lo rendono estremamente prezioso. Il 7 maggio, però, dal CERN di Ginevra è arrivata una notizia spiazzante: per la prima volta, si è compiuta la trasmutazione del piombo in oro. In questo articolo capiremo come e, soprattutto, proveremo a ragionare sulle conseguenze di questo esperimento. 

Trasformare il piombo in oro: un sogno che va avanti da secoli. 

La trasformazione, o meglio, la trasmutazione del piombo in oro è un sogno che l’umanità insegue da secoli: intorno al XVI secolo, gli alchimisti – antenati degli odierni chimici – ricercavano ossessivamente la nota Pietra Filosofale proprio perché considerata uno strumento necessario al raggiungimento di questo obiettivo. Lo scopo della trasmutazione era sia materiale, per via della ricchezza infinita, sia spirituale, in ragione del parallelismo fra purificazione del metallo vile in prezioso e purificazione dell’anima. 

Nel tempo, la scienza moderna ha dimostrato l’infondatezza delle teorie alchemiche, ma ha comunque continuato ad indagare su possibili reazioni chimiche in grado di rendere possibile questa trasmutazione. Finalmente, il 7 maggio 2025 al CERN di Ginevra, la trasformazione è stata ufficialmente dimostrata e verificata. Vediamo brevemente cos’è successo. 

Il piombo diventa oro : ALICE rileva la trasmutazione

La trasmutazione del piombo in oro è un processo nei fatti molto complesso, ma troveremo il modo per semplificarlo con un esempio ad hoc. In ogni caso, al CERN (Consiglio Europeo per la Ricerca Nucleare) di Ginevra, i fisici del Large hadron collider (Lhc), il più grande e potente acceleratore di particelle al mondo, hanno accelerato gli ioni del piombo a una velocità prossima a quella della luce e hanno notato una reazione particolare. Questi ioni, incrociandosi senza scontrarsi, generano fortissimi campi elettromagnetici che provocano l’emissione di protoni dal nucleo dell’atomo di piombo, il quale cambia struttura e si trasforma. Il piombo, quindi, può diventare tallio, mercurio o oro, se rispettivamente perde uno, due o tre protoni dal nucleo. 

Questi cambiamenti impercettibili sono state osservati grazie al rilevatore ALICE e ai cosiddetti calorimetri a zero gradi (ZDC), progettati e costruiti da ricercatori italiani dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) di Torino e Cagliari. Tuttavia, l’oro esiste per un intervallo di tempo brevissimo e in quantità estremamente ridotte, perché i nuclei, scontrandosi coi componenti dell’acceleratore, si frammentano immediatamente. 

Facciamo un parallelismo per comprendere meglio. Immagina due treni che sfrecciano a velocità supersonica su due binari paralleli, in direzioni opposte: quando si incrociano, spostano una massa d’aria che, naturalmente, impatta la carrozzeria. Al momento dell’impatto, a volte, può capitare che uno dei due treni perda uno, due o tre pezzi a causa dell’urto. Se ciò avviene, allora il treno che “subisce il danno” non è più il treno originale, ma diventa un altro tipo di veicolo simile ma strutturalmente diverso. Infine, il treno trasformato – o trasmutato – è destinato a frantumarsi perché la pressione dello spostamento d’aria ne causa il deragliamento. Ora non ti resta che sostituire “treni” con ioni di piombo e “massa d’aria” con campo elettromagnetico.

L’oro sarà per sempre un bene scarso?

Questa è la riflessione principale che ci sentiamo di fare a fronte dell’esperimento appena descritto. L’oro, come abbiamo anticipato, è prezioso per determinate peculiarità che lo rendono unico e da cui dipende la sua quotazione. Cosa succede se viene a mancare una delle proprietà più importanti, ovvero la scarsità

Naturalmente siamo distanti anni luce dal poter creare artificialmente una quantità d’oro visibile anche solo ad occhio nudo, tuttavia il dato che emerge è che l’oro potrebbe essere prodotto in modo sintetico e arbitrario. Bitcoin no. Per concludere, un’osservazione curiosa: premesso che la correlazione non giustifica la causalità, è interessante notare come dal 7 maggio, il giorno della pubblicazione della scoperta, il prezzo dell’oro sia calato del 5,5% e BTC, al contrario, abbia messo a segno un +8% – al momento in cui scriviamo. 

È importante ribadire che, sicuramente, queste performance sono frutto di molti fattori contestuali e non esclusivamente legate a questa notizia. O forse no? Nel dubbio, iscriviti a Young Platform e resta aggiornata/o!

Guerra Russia-Ucraina: gli aggiornamenti post-vertice

Guerra Russia Ucraina: aggiornamento post-vertice

Russia e Ucraina a colloquio per la prima volta dopo tre anni, con scarsi risultati. Prevista una chiamata lunedì fra Trump e Putin. Gli aggiornamenti

Russia e Ucraina hanno inviato le proprie delegazioni a Istanbul nella giornata di venerdì 16 maggio per provare a intavolare delle trattative di pace. Il vertice ha dato scarsi risultati ma, secondo gli analisti, è un segnale positivo perché è il primo meeting diretto da marzo 2022. Intanto i leader europei si parlano e Trump organizza una chiamata con Putin. Qui gli aggiornamenti.

Vertice Russia e Ucraina: cos’è successo venerdì a Istanbul

Il vertice tra Russia e Ucraina di Istanbul non è andato esattamente come previsto. Il presidente della Federazione russa Vladimir Putin non si è presentato all’incontro, pur essendo stato lui stesso a proporre il faccia a faccia col presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky. Da parte sua, Zelensky si è rifiutato di partecipare, in reazione all’assenza di Putin. In ogni caso, i due hanno inviato le rispettive delegazioni, che si sono confrontate senza intermediari per la prima volta da marzo 2022. 

Il capo della delegazione russa, Vladimir Medinsky, ha dichiarato che “Mosca è soddisfatta del risultato ed è pronta a proseguire il dialogo. Nei prossimi giorni”, ha continuato, “ci sarà un imponente scambio di prigionieri”. Infatti, l’accordo tra le parti – fa sapere la TV di stato russa – prevederebbe un rilascio reciproco di mille prigionieri di guerra e una successiva ripresa delle trattative.

Al momento, tuttavia, non è in programma un cessate il fuoco perché, a detta di Medinsky, “guerra e negoziazioni si conducono sempre contemporaneamente, come diceva Napoleone”. Lo stesso capo delegazione – secondo fonti ufficiali ucraine – avrebbe poi aggiunto che la Russia è pronta a combattere per tutto il tempo necessario, menzionando le guerre dello Zar Pietro il Grande contro la Svezia, che durarono 21 anni.

Intanto, domenica 18 maggio Volodymyr Zelensky è volato a Roma per incontrare il Papa Leone XIV e il Vice Presidente degli Stati Uniti JD Vance.

Volodymyr Zelensky vola a Roma

Nella giornata di domenica 19 maggio, il Presidente ucraino si è presentato a Roma, insieme ad altri leader mondiali, in occasione della messa di inaugurazione del pontificato di Papa Leone XIV. I due si sono poi incontrati per parlare dell’importanza delle trattative di pace: il Papa, la scorsa settimana, aveva già proposto il Vaticano come sede per le negoziazioni fra le due parti in conflitto. Zelensky, in seguito, ha avuto un confronto col Vice Presidente USA JD Vance e col Segretario di Stato Marco Rubio presso la residenza dell’ambasciatore statunitense nella Capitale. Lo stesso Zelensky ha poi descritto la seduta su Telegram come “positiva”.

Dall’altro lato, sempre domenica, il Primo Ministro britannico Keir Starmer avrebbe discusso degli svolgimenti del conflitto russo-ucraino coi leader di USA, Germania, Francia e Italia. In merito, il Presidente francese Emmanuel Macron ha scritto su X (ex Twitter) che lunedì 19 maggio “il Presidente Putin deve dimostrare di volere la pace accettando il cessate il fuoco incondizionato di trenta giorni proposto dal Presidente Trump e supportato da Ucraina ed Europa”. 

Sempre in queste ore, Donald Trump e Vladimir Putin dovrebbero chiamarsi per discutere sulla fine della guerra. 

Trump sulla guerra tra Russia e Ucraina: fermare il “bagno di sangue”

Tramite un post sul suo social Truth, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha scritto che alle 16 (ora italiana) di lunedì 19 maggio chiamerà Vladimir Putin per parlare della guerra e cercare di ragionare sulla risoluzione del conflitto. 
In caps lock – come sempre –  Trump ha poi scritto che “i temi della telefonata saranno: fermare il “bagno di sangue” che sta uccidendo, in media, più di 5.000 russi e ucraini a settimana, e il commercio”. In un altra nota, ha poi aggiunto di voler parlare anche con Zelensky e, in un secondo momento, con alcuni membri della NATO: “si spera che sarà un giorno produttivo, che venga raggiunto il cessate il fuoco e che questa guerra così violenta, che non sarebbe mai dovuta accadere, finisca”, ha concluso. 

Trump chiama Putin: cosa si sono detti

In un lungo post su Truth, Donald Trump ha riferito che la telefonata di due ore con Vladimir Putin – secondo lui – è andata molto bene: “Russia e Ucraina inizieranno immediatamente le negoziazioni per raggiungere il cessate il fuoco e, soprattutto, la FINE della Guerra”. Il POTUS ha poi aggiunto che la Russia vuole iniziare un rapporto commerciale su larga scala con gli USA che, sempre secondo Trump, costituirebbe una grandissima opportunità per entrambe le economie. Inoltre, ha scritto che allo stesso modo l’Ucraina beneficerebbe di questi accordi, principalmente grazie al processo di ricostruzione della nazione. Infine, ha concluso precisando di aver informato le varie parti in causa: il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e i leader di Francia, Italia, Germania e Finlandia. Il post si chiude con un motivante “Let the process begin!” (che il processo abbia inizio!).

Che effetto avrebbe la pace tra Russia e Ucraina sui mercati?

La fine della guerra fra Russia e Ucraina avrebbe ripercussioni nette sui mercati finanziari, per diverse ragioni. A livello sistemico, verrebbe meno una delle principali fonti di incertezza geopolitica che da anni condiziona l’andamento dell’economia globale: dall’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, cominciata nel febbraio del 2022, i governi di tutto il mondo sono stati costretti a ridefinire le alleanze strategiche commerciali, non potendo più contare sulla globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta. Al termine delle ostilità, infatti, le armi lascerebbero spazio alla diplomazia e la fiducia degli investitori potrebbe tornare a livelli che non si vedevano da anni. Anche le banche centrali cambierebbero approccio nel definire le politiche monetarie, come ha dichiarato Jerome Powell nell’ultimo FOMC, dal momento che sarebbe più semplice prevedere gli scenari economici con maggiore precisione. 

Si verificherebbe poi un calo dei prezzi delle materie prime energetiche. La Russia, infatti, è una delle principali nazioni esportatrici di petrolio e gas naturale e con la pace, quasi certamente, andrebbe incontro ad un allentamento – la rimozione è improbabile – delle sanzioni economiche. Allo stesso modo, una risoluzione pacifica del conflitto avrebbe conseguenze dirette sulla riduzione del prezzo delle materie prime agricole, di cui Russia e Ucraina sono grandi produttrici ed esportatrici. Nello specifico, le commodities interessate sarebbero il grano, il mais, l’olio di girasole e i fertilizzanti. 

Quanto detto finora avrebbe poi un impatto concreto sulla riduzione della pressione inflazionistica. Come abbiamo spiegato anche in questo articolo, l’aumento del costo delle materie prime, energetiche o alimentari, è collegato a catena all’aumento del costo della vita: se il prezzo di una pizza margherita nel 2019 si aggirava intorno ai 5.5€, oggi siamo intorno ai 7€ a causa del rincaro della farina per l’impasto e dell’energia per il forno. È evidente, quindi, come il consumatore finale sia costretto a spendere di più per comprare lo stesso prodotto e la valuta perda il potere d’acquisto

A sua volta, il mondo crypto potrebbe beneficiare di questo cambio di contesto: la riduzione dell’incertezza si tradurrebbe nel calo dell’avversione al rischio e, conseguentemente, nell’afflusso di capitale verso asset considerati più volatili, come Bitcoin. C’è poi anche un tema legato alla postura favorevole dell’Ucraina nei confronti delle criptovalute e alla forte presenza dei miners di Bitcoin in Russia, esclusi dalla comunità proprio a causa dell’invasione. 

Non resta che attendere

Come abbiamo visto, Donald Trump è ottimista e crede che stia per cominciare una nuova fase di incontri diplomatici. Non resta che attendere sperando che Vladimir Putin decida una volta per tutte a mettere la parola fine a questo inutile conflitto che va avanti ormai da troppo tempo. Se non vuoi perderti altre notizie, iscriviti a Young Platform e resta aggiornata/o su ciò che è rilevante!

JPMorgan Chase: i clienti potranno comprare Bitcoin

JPMorgan: i clienti potranno comprare Bitcoin

Il CEO di JPMorgan Chase Jamie Dimon all’investor day di lunedì 19 maggio: “permetteremo ai clienti di comprare Bitcoin, ma non lo custodiremo”

JPMorgan Chase si aggiunge alla lista delle grandi banche che consentono ai loro clienti di acquistare Bitcoin. In occasione dell’investor day di lunedì, il CEO Jamie Dimon ha comunicato che sarà possibile comprare BTC attraverso la banca, la quale però non li custodirà ma si limiterà a riportare il saldo nei documenti relativi agli estratti conto. Facciamo il punto della situazione.

JPMorgan Chase e Bitcoin: il CEO comunica l’apertura all’acquisto

JPMorgan Chase e Bitcoin inaugurano un nuovo rapporto. Questa è la grande notizia che emerge dall’incontro annuale con gli investitori della banca. Nella giornata di lunedì 19 maggio, il CEO Jamie Dimon ha informato la platea che la banca permetterà ai clienti di comprare Bitcoin attraverso le loro piattaforme limitandosi, però, a questa funzione: “vi consentiremo di acquistare Bitcoin”, ha dichiarato, “ma non li custodiremo. Li riporteremo negli estratti conto”. 

JPMorgan Chase è la banca più grande degli Stati Uniti e uno dei principali colossi finanziari a livello globale: come si legge sul loro sito, al 31 marzo 2025 deteneva 4,4 trilioni di dollari in asset finanziari con 351 miliardi di dollari di patrimonio netto. Se una potenza del genere offre la possibilità di comprare Bitcoin ai propri clienti, il prossimo futuro riserverà sicuramente delle sorprese interessanti per i criptoinvestitori

Jamie Dimon mantiene un atteggiamento critico

Il CEO di JPMorgan Chase, nonostante quanto descritto finora, continua a nutrire dubbi su Bitcoin. L’opinione di Jamie Dimon su BTC è cosa nota: nel 2021 l’aveva definito “inutile” e nel 2024, a Davos, aveva usato l’espressione “pet rock” – pietra da compagnia, fa riferimento a un fenomeno degli anni ‘70 in cui una semplice pietra veniva venduta come animale domestico – che “non fa nulla”. Anche durante l’investor day ha voluto precisare che la sua visione resta immutata, sottolineando i problemi relativi al riciclaggio di denaro, all’evasione delle tasse e alla mancanza di chiarezza in merito alla proprietà. 

Questa volta, tuttavia, ha dovuto riconoscerne l’importanza, quantomeno a livello di domanda. Sempre in occasione della conferenza di lunedì, il CEO di JPMorgan Chase ha comunicato la sua posizione usando il seguente parallelismo: “Non credo che dovreste fumare, ma difendo il vostro diritto a farlo. Così difendo il vostro diritto di comprare Bitcoin”. Evidentemente, non gli sarà sfuggito che gli ETF su Bitcoin battono quelli sull’oro o che la stessa JPMorgan Chase prevede che Bitcoin overperformerà l’oro nella seconda metà dei 2025. 

Banche USA e Bitcoin: qual è la situazione  

Con JPMorgan Chase, la lista delle banche statunitensi che hanno aperto all’acquisto di bitcoin si allunga. Tra le più importanti ricordiamo Morgan Stanley e Charles Swab, che permettono ai clienti di investire in ETF Bitcoin spot, e U.S. Bank, che invece si concentra sui servizi di custodia per clienti istituzionali e fondi di investimento. C’è poi tutta una serie di banche crypto-friendly come Ally Bank, che consente agli utenti di collegare i loro conti bancari a piattaforme come Coinbase per eseguire operazioni con le criptovalute.  

Insomma, anche JPMorgan Chase si è resa conto che Bitcoin è sempre più richiesto e popolare in modo trasversale: la regina delle criptovalute, un tempo relegata a una nicchia di appassionati, è sempre più mainstream

Moody’s declassa le Treasury americane: fuga dal dollaro in arrivo?

Moody’s declassa le Treasury

Moody’s ha appena declassato le treasury americane. Quale sarà l’impatto dell’accaduto? Bitcoin può essere una soluzione?

L’era in cui gli Stati Uniti sembravano possedere una sorta di carta di credito globale illimitata potrebbe davvero essere al capolinea. La notizia è di quelle che scuotono l’economia mondiale: Moody’s ha messo sotto osservazione il debito sovrano americano, declassando di fatto il suo outlook. Non è “solo” una formalità tecnica; è un faro potente acceso su una verità scomoda: i titoli di stato USA, per anni il simbolo della sicurezza finanziaria, non sono più considerati completamente privi di rischio

E questo potrebbe significare che il tempo in cui l’America poteva stampare moneta a piacimento, con il mondo pronto ad assorbirla senza troppe conseguenze, sta per finire. Viene da chiedersi: come si colloca Bitcoin in questo scenario potenzialmente rivoluzionario?

Moody’s declassa le Treasury USA

Sentire che il debito americano non è più intoccabile fa un certo effetto. Dopotutto, per decenni è stata la roccia su cui si è appoggiato l’intero sistema finanziario globale. Ma ecco che le agenzie di rating – questi enigmatici arbitri del credito sovrano come Moody’s, S&P e Fitch – tornano protagoniste, capaci come sono di aprire o chiudere le porte dei mercati a intere nazioni con un semplice cambio di “pagella”.

Dopo questa premessa, che oscilla tra il catastrofico e l’ottimista (soprattutto per chi, come forse anche voi, vede in Bitcoin un’alternativa), cerchiamo di capire cosa è successo davvero. Sostanzialmente, è cambiata una “lettera”, o meglio, la prospettiva su quella lettera. Un avvenimento all’apparenza irrilevante, ma che potrebbe aprire le porte a un cambiamento radicale della finanza come la conosciamo. Moody’s, con il suo recente cambio di outlook (pur mantenendo per ora il rating Aaa), segue le orme di Standard & Poor’s (che declassò da AAA ad AA+ nel 2011) e Fitch (declassamento simile nel 2023), segnalando che la fiducia nel “porto sicuro” per eccellenza non è più incondizionata.

Quali sono i motivi del declassamento?

Le domande sorgono spontanee: perché questo cambio di rotta? Quali saranno le ripercussioni sul dollaro e sui principali indici azionari?

La motivazione principale di questo declassamento “annunciato” la conoscete probabilmente già, se seguite con un minimo di attenzione le dinamiche economiche – e il nostro blog. Il primo, ovvio, colpevole è il debito pubblico USA, la cui crescita può essere definita senza mezzi termini “fuori controllo”. Parliamo di un deficit federale che si avvicina ai 2.000 miliardi di dollari all’anno, circa il 6% del PIL – cifre mai viste, nemmeno durante le crisi più acute degli anni ’70. E questo senza contare il fardello crescente degli interessi su tale debito.

A ciò si aggiunge quella che Moody’s definisce una palese “incapacità politica di invertire la rotta”, ovvero una paralisi decisionale che impedisce di attuare riforme fiscali sostenibili. In breve: “la traiettoria fiscale statunitense è compromessa”. Il vero problema è che la situazione che abbiamo appena descritto sembra destinata a peggiorare. Secondo le stesse proiezioni di Moody’s (e di altri enti come il CBO), il deficit potrebbe schizzare al 9% del PIL entro il 2035, e questo nello scenario più ottimista, senza considerare shock esterni come pandemie, guerre o recessioni. Queste cifre proietterebbero il debito pubblico complessivo verso un terrificante 180% del PIL.

Gli USA non sono più intoccabili?

Il CBO (Congressional Budget Office), per sottolineare la gravità, ha addirittura tracciato un parallelo con il disastroso mini-budget proposto da Liz Truss nel Regno Unito nel 2022, che gettò nel panico i mercati finanziari.

Nel frattempo, come logica conseguenza, i rendimenti dei titoli di stato americani crescono: quello del trentennale ha già toccato o superato il 5%, e il decennale si attesta su livelli simili (es. 4,517% o più). Il motivo è semplice: più uno strumento finanziario è percepito come rischioso, più alto deve essere il suo rendimento per attrarre investitori. Questo, però, significa anche che gli USA dovranno sborsare più soldi per pagare gli interessi ai propri creditori, alimentando un circolo vizioso del debito. E attenzione, perché i rendimenti potrebbero salire ancora: il mercato obbligazionario è spesso più reattivo di quello azionario, e i famosi “bond vigilantes” (grandi investitori che “puniscono” i governi con politiche fiscali allegre vendendone i titoli) agiscono in fretta.

Il CBO stima che entro il 2030, ben il 22% di tutto il gettito fiscale USA (i soldi incassati con le tasse) sarà divorato dal solo pagamento degli interessi sul debito.

La domanda sorge quindi spontanea: l’eccezionalismo del debito USA è al capolinea? Anche gli Stati Uniti dovranno affrontare lo stesso scrutinio e gli stessi problemi di bilancio che noi italiani conosciamo fin troppo bene? La famosa “spending review” busserà anche alle porte di Washington? Bisogna ammettere che il dollaro USA non è una valuta qualsiasi: è la valuta di riserva mondiale, il linguaggio universale della finanza globale, la moneta che le banche centrali di tutto il mondo accumulano. Ma il giochino per cui gli USA stampano denaro senza limiti, sicuri che gli altri Paesi glielo comprino (un concetto legato al Dilemma di Triffin), potrebbe davvero finire.

Come se non bastasse, indiscrezioni recenti suggeriscono che nelle ultime settimane la FED potrebbe aver acquistato ben 43,6 miliardi di dollari di Treasury USA, di cui 8,8 miliardi di titoli di stato con scadenza a 30 anni l’8 maggio. Ciò che preoccupa maggiormente gli analisti non è tanto l’acquisto in sé, quanto il fatto che sarebbe avvenuto in sordina, non supportato da alcun annuncio ufficiale. Un’operazione del genere, se confermata, potrebbe segnalare l’inizio di una nuova fase in cui la banca centrale americana tenta di controllare i rendimenti dei bond (una sorta di yield curve control mascherato) per evitare un cosiddetto “bear steepener” – ovvero una situazione in cui la differenza di rendimento tra obbligazioni a breve e lunga durata diventa eccessivamente marcata. Evitare tale scenario è cruciale: un’eccessiva divergenza nei rendimenti potrebbe infatti costringere la FED ad alzare ulteriormente i tassi di interesse, aggravando il costo del debito e intensificando il circolo vizioso di cui abbiamo parlato.

Bitcoin può essere la soluzione?

E qui arriviamo al nocciolo della questione per molti osservatori attenti. In uno scenario dove la fiducia nella principale valuta di riserva mondiale e nei suoi titoli di stato inizia a incrinarsi, dove il debito sembra una voragine senza fondo e la capacità di ripagarlo senza svalutare la moneta è messa in dubbio, quale ruolo può giocare Bitcoin

In questo senso risuonano quanto mai attuali le dichiarazioni che Larry Fink, il CEO di BlackRock ha inserito nella sua lettera annuale agli shareholders del più grande fondo di investimento al mondo. In quel documento Fink dichiara che “Bitcoin ha le carte in regola per rimpiazzare il dollaro americano, proprio a causa dell’irreversibile situazione legata al debito statunitense.”

Insomma, per chi sostiene Bitcoin, la risposta è quasi ovvia. Di fronte a debiti sovrani fuori controllo e a valute fiat a rischio inflazione per “monetizzare” quei debiti, Bitcoin si propone come:

  1. Una riserva di valore alternativa, un “oro digitale” con un’offerta limitata e prevedibile (massimo 21 milioni di unità), non manipolabile da decisioni politiche o da banche centrali;
  2. Un asset intrinsecamente scarso;
  3. Un sistema di pagamento globale, decentralizzato e resistente alla censura.

Certo, Bitcoin ha la sua volatilità e le sue sfide, ma in un contesto di crescente preoccupazione per la stabilità del sistema finanziario tradizionale, la sua narrativa come potenziale scudo o diversificatore di valore acquista sempre più forza.Il cambio di outlook di Moody’s non è la fine del mondo, ma è un segnale potente. E mentre i pilastri della finanza tradizionale mostrano qualche crepa, un’alternativa digitale, un tempo considerata di nicchia, si fa sempre più strada. Staremo a vedere cosa emergerà dal discorso della FED, ma una cosa è chiara: le fondamenta stanno tremando e il dibattito su cosa verrà dopo è più vivo che mai.


Spese condominiali: manuale di sopravvivenza

Spese condominiali: manuale di sopravvivenza

Le spese condominiali rientrano nell’immenso insieme di seccature tipiche del condominio. Tuttavia, sapere cosa pagare è cruciale. Qui il manuale

Le spese condominiali sono solo una delle numerose noie che costellano la vita di chi vive in un condominio. Naturalmente, il primo posto spetta di diritto alle fatidiche riunioni: luoghi immortali di scontro verbale e fisico che tormentano le sere di madri e padri di famiglia. È nato prima l’uomo o la riunione condominiale? In ogni caso, in questo articolo purtroppo (o per fortuna) ci occuperemo solo delle cose da pagare, senza toccare altro. Chi prima inizia prima conclude no? E allora partiamo!

Spese condominiali: come non farsi fregare

Le spese condominiali sono una fra le principali cause di discussione fra gli inquilini di un condominio: le epiche dispute verbali volte a identificare chi non ha messo i soldi per la potatura delle siepi in cortile si susseguono senza fine, perse nelle pieghe della storia. Scherzi a parte, sapere cosa si paga e perché è importante per evitare guai legali e, soprattutto, per non rischiare di sostenere spese inutili. Con questo manuale di sopravvivenza, scopriremo insieme il mondo delle spese condominiali in modo da non rimanere fregati di fronte al temibile e tenebroso amministratore di condominio. Nello specifico, vedremo come si calcolano, quali possono essere detratte, quali spettano al proprietario e quali all’inquilino e, infine, cosa succede in caso di mancato pagamento.  

Ripartizione delle spese condominiali: il calcolo in base ai millesimi

La ripartizione delle spese condominiali è la modalità attraverso cui si assegna a ciascun condomino una quota della totalità delle spese comuni. Il sistema adottato è quello del calcolo in base ai millesimi, che definisce in modo proporzionale l’importo dovuto da ciascun residente. Questo calcolo viene effettuato utilizzando uno strumento, detto tabella millesimale, elaborato considerando la superficie e il volume di ogni singolo appartamento. 

La logica dietro questo sistema concepisce il condominio come diviso in mille parti: ogni unità, in funzione dei parametri esposti prima, equivale a una parte di queste mille. A questo punto, ogni residente dovrà pagare una quota proporzionale alla fetta di condominio di cui è proprietario. Facciamo un esempio. Se per assurdo un condominio ha cinque appartamenti uguali – stesse metrature e stessi volumi – allora ognuno di questi equivale a 200 su 1000 (mille parti diviso cinque). Al pagamento delle spese condominiali, che ipotizziamo essere di 1000€ per semplicità di calcolo, ogni condomino pagherà 200€, ovvero un quinto delle spese comuni totali. Alcune di queste, però, sono detraibili dalle tasse

Spese condominiali detraibili: quali sono?

Le spese condominiali detraibili sono quelle incluse negli interventi di natura straordinaria: la riqualificazione dell’immobile, il miglioramento della classe energetica, la messa in sicurezza antisismica e la manutenzione delle aree verdi condominiali. Insomma, la detrazione fondamentalmente riguarda i lavori che rientrano nei vari bonus erogati a pioggia in questi ultimi anni, come il Superbonus, l’Ecobonus, il Sismabonus e chi più ne ha più ne metta. Non sono invece detraibili le spese ordinarie comuni come quelle relative alla pulizia e alla manutenzione o al consumo di energia elettrica delle aree condivise. Queste spese, per essere scalate dalle tasse, devono essere inserite all’interno del modello 730, cioè del modello per la dichiarazione dei redditi.

Ma cosa succede se chi vive nell’appartamento è in affitto? E se invece è proprietario? Nella prossima sezione esamineremo quali spese condominiali deve pagare uno e quali l’altro. 

Proprietario vs inquilino: a chi tocca pagare?

Fin dai tempi dei primi insediamenti umani, fin dalle prime capanne di legno e argilla, si consuma l’eterna lotta tra inquilino e proprietario. Due entità incompatibili, legate da un contratto firmato e false cortesie: “spese straordinarie, non di mia competenza!” dice il primo, “il regolamento condominiale parla chiaro!” ribatte il secondo, indicando il comma 3-ter/bis dell’articolo 12, scritto in corpo 3 con inchiostro grigio chiarissimo, visibile solo al microscopio ottico. Un’iperbole di fantozziana memoria che ci ricorda quanto il terreno della ripartizione delle spese condominiali sia spinoso e fonte di controversie. Cerchiamo quindi di chiarire una volta per tutte chi paga che cosa. 

Spese condominiali: l’inquilino 

Le spese condominiali che spettano all’inquilino fanno parte della categoria che comprende la manutenzione ordinaria e i consumi. A livello concettuale, l’inquilino è responsabile di ciò che utilizza e lo riguarda durante la sua permanenza: tinteggiatura delle pareti, pulizia delle grondaie, manutenzione di corrimano e ringhiere, disinfestazione, derattizzazione, riparazione dell’impianto elettrico, di riscaldamento e di condizionamento – quest’ultima solo se ordinaria, quindi relativa a piccoli interventi. In sintesi, l’inquilino deve farsi carico dei costi connessi alla gestione e al mantenimento dell’appartamento e del condominio al momento in cui è presente. Per capirci, potrebbe essere utile il paragone con l’affitto di una macchina. Se noleggi un’auto per qualche giorno dovrai occuparti del carburante o delle gomme in caso di foratura, ma non della sostituzione del motore o dell’assicurazione RCA. 

Spese condominiali: il proprietario

Il proprietario invece si occupa delle spese di manutenzione straordinaria, cioè degli interventi riguardanti tutto ciò che viene installato in modo stabile nel tempo, al di là della presenza del coinquilino. Alcuni di questi possono essere l’allacciamento alla rete fognaria, l’installazione della caldaia nuova, la sostituzione integrale di pavimenti e rivestimenti e l’acquisto di bidoni della spazzatura. Quindi, per riassumere, il proprietario deve pagare per tutte le spese che riguardano l’alloggio a prescindere dal coinquilino. 

Esiste poi una serie di costi condivisi fra i due, come le questioni attinenti al portiere del palazzo, se esiste. In questo caso, la spesa è per il 90% a carico dell’inquilino, mentre il restante 10% è compito del proprietario. 

Passiamo ora all’ultimo paragrafo, quello relativo al mancato pagamento delle spese condominiali. 

Spese condominiali non pagate: scatta la prescrizione

La leggenda narra che l’inquilino dell’interno 22, terzo piano, si dimenticò di pagare le spese del condominio di via Roma 35: arrivò l’avviso, poi la raccomandata, infine la condanna unanime da parte dei membri dell’assemblea condominiale, con messa al bando e foto segnaletica. Nessuno sa che fine abbia fatto. Voci dicono che il suo fantasma continui ad aggirarsi fra i contatori, armato di torcia e regolamento. 

La realtà, naturalmente, è ben diversa. Secondo il codice civile, in caso di mancato pagamento è previsto un limite di tempo entro il quale l’amministratore può richiedere il pagamento degli arretrati: cinque anni per le spese ordinarie e dieci anni per le spese straordinarie. Se tale richiesta, sotto forma di domanda formale o azione legale, non ha luogo, il debito va in prescrizione e il condomino moroso non è più legalmente obbligato al pagamento. Nel caso in cui, invece, l’amministratore richieda ufficialmente il rimborso, al momento stesso della presentazione della domanda riparte il conto alla rovescia. Tradotto, significa che il condominio ha più tempo per recuperare la somma mancante perché il limite di cinque o dieci anni si azzera e il timer ricomincia da capo. 

Tutto questo, però, si riferisce al proprietario dell’immobile, che è l’unico vero responsabile per i debiti dell’inquilino. Il primo deve quindi sollecitare il secondo all’estinzione del debito e può avvalersi del diritto di sfratto qualora la cifra arretrata sia pari o superiore a due mensilità di affitto.  

Condomini e blockchain: la tokenizzazione

Per concludere questo viaggio nel fantastico mondo dell’amministrazione condominiale, è interessante collegare la blockchain e i suoi casi d’uso alla semplificazione e all’ottimizzazione delle procedure. Nello specifico, genera molta curiosità la tokenizzazione immobiliare. Tokenizzare un immobile significa rappresentarlo – o frazionarlo – digitalmente attraverso dei token emessi su blockchain, affinché ognuno di questi corrisponda a una parte dell’edificio. Il token, poi, acquisisce o perde valore in funzione dell’aumento o riduzione del prezzo dell’intero stabile. 

Nel caso del condominio, l’associazione immediata è fra token e calcolo in base ai millesimi, di cui abbiamo parlato sopra: essendo “fisicamente” in possesso di un numero di token proporzionale al valore dell’appartamento, i proprietari potrebbero essere più incentivati a collaborare per gestire in modo efficiente gli affari condominiali e prendersi cura delle aree comuni. Una cooperazione di questo tipo, avrebbe ripercussioni positive sul prezzo del token e, conseguentemente, sulla valutazione del complesso condominiale. 

Se hai trovato utile questo vademecum per la sopravvivenza nella giungla delle spese condominiali, faresti bene a iscriverti qui sotto: noi di Young, oltre alle notizie di attualità economica e geopolitica, pubblichiamo spesso guide simili, funzionali alla vita quotidiana, come quella sulla tassazione del TFR o sul bonus bollette. Alla prossima!