Cos’è la Fed: le cose da sapere sulla più importante istituzione finanziaria USA

Cos’è la Fed? Significato, importanza e cose da sapere

Che cos’è la Fed, qual è il significato del termine e perché è così importante? 

Che cos’è la Fed e qual è il significato del termine? Domande che spesso tornano a galla fra i meno esperti di politica monetaria, soprattutto in alcuni periodi dell’anno. L’acronimo Fed sta per “Federal Reserve System”. La Federal Reserve è uno dei pilastri su cui si regge l’economia americana e le decisioni che prende hanno un impatto significativo sull’economia mondiale. Vediamo dunque nel dettaglio che cos’è la Fed, qual è il significato del termine, di cosa si occupa, come è strutturata e perché è importante.

Che cos’è la Fed: significato e compiti principali

La Federal Reserve è l’istituzione monetaria più importante degli Stati Uniti d’America e ha il dovere di regolare il sistema bancario e finanziario del paese. È la Banca Centrale degli USA e il suo ruolo è simile a quello della Banca Centrale Europea nell’Eurozona. È stata fondata nel 1914 ed il suo obiettivo principale è garantire la stabilità dei prezzi e favorire la crescita economica. Il suo presidente è Jerome Powell, in carica dal 2018 e già membro del consiglio dei governatori della Banca Centrale degli USA dal 2012. 

Per comprendere a pieno che cos’è la Fed è necessario capire quali sono i suoi compiti principali. Questa istituzione si occupa innanzitutto di regolamentare il settore finanziario americano: vigila sulle banche garantendone la sicurezza, l’efficienza e la stabilità. La Fed è responsabile anche di emettere il dollaro e di distribuirlo nel sistema bancario del paese. In questo modo essa aumenta o diminuisce la quantità di denaro in circolazione e quindi agisce sul potere d’acquisto delle imprese e dei cittadini. 

Attraverso il suo comitato operativo, il FOMC (Federal Open Market Committee), attua le politiche monetarie degli Stati Uniti. Ad esempio decide se aumentare o diminuire i tassi di interesse e se attuare politiche espansive o hawkish (di quantitative easing o quantitative tightening). Infine tiene sotto controllo i mercati finanziari del paese e interviene, se necessario, per contrastare l’instabilità e scongiurare le crisi economiche.

Com’è strutturata la FED?

Ora che sappiamo che cos’è la Fed e il suo significato vediamo come è strutturata. La Banca Centrale degli Stati Uniti d’America è formata da tre organi:

  • Il consiglio dei governatori della Fed (Board of Governors):

composto da sette membri nominati dal Presidente degli Stati Uniti e vagliati dal Senato. Quest’organo definisce la politica monetaria degli Stati Uniti e ne supervisiona anche l’attuazione . Inoltre il consiglio dei governatori vigila sulle banche e gli istituti finanziari statunitensi.

  • Le banche federali regionali (Regional Federal Reserve Banks):

dodici istituti di credito situati in diversi distretti geografici degli Stati Uniti che  guidano le banche private, distribuiscono i contanti, e supportano gli istituti di credito del territorio.

  • Il Federal Open Market Committee (FOMC)

Cos’è il FOMC, il comitato più importante della Federal Reserve

Per rispondere alla domanda “che cos’è la Fed” bisogna analizzare il FOMC ovvero l’ente operativo della Federal Reserve. Quando senti parlare degli “incontri o riunioni della Fed” è in realtà questa commissione che si riunisce. Il FOMC è responsabile di stabilire la politica monetaria degli Stati Uniti, in particolare si esprime sull’innalzamento o l’abbassamento dei tassi di interesse e sulle politiche di mercato aperto, decide infatti se acquistare o vendere i titoli di Stato degli USA. Il comitato è composto dai sette membri del Board of Governors e dai dodici presidenti delle Federal Reserve Banks

Durante una riunione del FOMC, che avviene generalmente, ogni sei settimane (a questo link il calendario per il 2023), ogni membro del comitato esprime la propria opinione sulle condizioni economiche degli Stati Uniti e sulle politiche monetaria da attuare. Questa discussione avviene in modo formale, con i membri che si alternano per parlare. Una volta terminato il dibattito, i membri del FOMC votano tra le proposte dei membri selezionate dal presidente della Fed. Una volta che i voti sono stati espressi, la decisione viene presa sulla base della maggioranza semplice (numero di voti superiore alla metà del totale dei votanti) e viene comunicata ai cittadini attraverso un comunicato stampa. 

In alcuni di questi incontri viene anche presentato il Dot Pot, la rappresentazione grafica delle previsioni sui tassi di interesse dei membri del FOMC. Questo prospetto è di solito molto atteso, perché mostra le previsioni anonime (di breve medio e lungo periodo) di ogni membro sui tassi di interesse, molto importanti in un periodo storico come quello che stiamo vivendo caratterizzato da una forte inflazione che le politiche monetarie  tentano di contrastare.


Sapere che cos’è la Fed, il suo significato, di che cosa si occupa e quando si riunisce il suo comitato principale (il FOMC) è importante dato che le sue decisioni influenzano l’economia globale e di conseguenza il potere d’acquisto di tutti.

Cos’è la BCE e di cosa si occupa?

Cos’è la BCE: significato, sede, presidente e importanza della Banca Centrale Europea?

Che cos’è la BCE? Di cosa si occupa e qual è la sua struttura?

Che cos’è la BCE e qual è il suo significato? La sigla sta per “Banca Centrale Europea”, ovvero la principale istituzione monetaria dell’Eurozona fondata nel 1998 per garantire la stabilità dei prezzi e una crescita economica sostenibile. La sua sede si trova a Francoforte, e in questo periodo è stata ancor più al centro dell’attenzione per via della decisione comunicata dalla presidente di aumentare nuovamente i tassi di interesse, una politica monetaria utile a contrastare l’inflazione. Scopri che cos’è la BCE e tutti gli aspetti che la riguardano, dal presidente dell’Istituto ai suoi compiti e alla sua struttura.

Che cos’è la BCE?

La BCE è la Banca Centrale dell’Unione Monetaria Europea (UME) composta da tutti gli Stati che hanno adottato l’euro come valuta comune. Ma quali sono i compiti della Banca Centrale Europea? Questa istituzione innanzitutto è responsabile della gestione delle politiche monetarie dell’area, al fine di mantenere i prezzi stabili, promuovere la crescita economica e l’occupazione. La BCE si occupa di emettere e gestire la circolazione dell’euro, la valuta comune dell’UME. Quindi se ti chiedevi “chi stampa gli euro per l’Italia e gli altri paesi dell’unione Europea?” Ora hai la risposta. Ecco dunque cos’è la BCE.

Essa ha anche il compito di controllare le banche dell’eurozona, attraverso il meccanismo di supervisione unico (SSM), un sistema di sorveglianza creato per garantire la stabilità del sistema bancario europeo, prevenire le bolle speculative e ridurre il rischio di crisi finanziarie. Per questo motivo è importante che sia imparziale, indipendente e autonoma; la Banca Centrale Europea deve favorire l’interesse generale e non quello di una particolare nazione o gruppo di interesse. 

Infine la BCE si occupa di rappresentare l’Eurozona in diverse sedi internazionali, come i summit del G20 o nelle riunioni del Fondo Monetario Internazionale e collabora con le banche centrali dei paesi del mondo per promuovere la stabilità finanziaria a livello globale.

Le politiche monetarie della BCE

Quando si risponde alla domanda “che cos’è la BCE”, è necessario citare anche gli strumenti che questa istituzione utilizza per adempiere ai suoi compiti riguardanti le politiche monetarie. Quelle più popolari e conosciute riguardano l’innalzamento o l’abbassamento dei tassi di interesse che hanno delle conseguenze sulle banche e i cittadini dell’Eurozona

La BCE però utilizza anche altri strumenti per influenzare l’offerta di denaro, ad esempio le operazioni di mercato aperto. Queste sono prevalentemente l’acquisto e la vendita di titoli di stato dei paesi europei, attraverso i quali la Banca Centrale Europea regola la quantità di moneta in circolazione. Una di queste è, ad esempio, il quantitative easing. Un tipo di politica monetaria che prevede l’acquisto di titoli di Stato che la BCE ha attuato in più occasioni negli ultimi anni.

La struttura della BCE

Ora che sai cos’è la BCE, vediamo come è composta. La Banca Centrale Europea è formata da tre organi principali: il Consiglio dei governatori, il Comitato esecutivo e il Consiglio generale.

  • Il Consiglio direttivo è formato dai presidenti delle banche centrali nazionali dei paesi della zona euro, nel caso dell’Italia Ignazio Visco, e dai membri del Comitato esecutivo. Esso è responsabile di stabilire la politica monetaria della zona euro e di decidere sui tassi di interesse e sulle operazioni di mercato aperto;
  • Il Comitato esecutivo è composto dal presidente e dal vicepresidente della BCE, attualmente Christine Lagarde e Luis de Guindos e da altri quattro membri nominati dal Consiglio europeo, con il consenso del Parlamento europeo. Il Comitato esecutivo è responsabile dell’attuazione delle politiche monetarie della BCE;
  • Il Consiglio generale riunisce i presidenti e i vicepresidenti delle banche centrali nazionali dell’Eurozona, inclusi quelli dei paesi che non hanno ancora adottato l’euro. Esso è responsabile di assistere il Consiglio direttivo e il Comitato esecutivo nella gestione della BCE e di svolgere altre funzioni consultive e di coordinamento.

Il consiglio direttivo della Banca Centrale Europea in genere si riunisce otto volte all’anno (a questo link il calendario delle riunioni BCE per il 2023).

Sapere cos’è la BCE e conoscerne il funzionamento è molto importante. Le decisioni che questa istituzione prende, in particolare scegliendo quale politica monetaria attuare, influenzano l’economia europea, i mercati finanziari ma anche la quotidianità di tutti i cittadini dell’Eurozona.

Quali sono le città più care d’Italia? La classifica aggiornata sui dati Istat

Città più care d’Italia: la classifica aggiornata. Al secondo posto Milano

Dove costa di più vivere in Italia? Scopri le città più care e quelle più economiche 

Tra le città più care d’Italia c’è anche la tua? Con i nuovi dati sull’inflazione di marzo, sono stati aggiornati anche il costo della vita e i rincari annui per famiglia delle province del nostro paese. La classifica delle città più care d’Italia è stata redatta dall’Unione Nazionale Consumatori sulla base dei dati Istat del 17 aprile. Scopri quanto sono aumentate le spese e dove vivere è più costoso.  

Città più care d’Italia: la classifica aggiornata

L’inflazione a marzo 2023 è stata del 7,6%. Il dato condiviso dall’Istat segna un calo rispetto ai mesi precedenti, che secondo l’istituto è dovuto al ribasso dei prezzi dell’energia. A partire da questo è stata stilata la classifica delle città più care d’Italia rispetto al mese di Marzo. 

  1. Bolzano

Al primo posto della classifica delle città più care d’Italia c’è Bolzano. La città ha registrato un rincaro annuo per famiglia di 2.259 euro, e un’inflazione dell’8,5%. 

  1. Milano

Non sorprende il secondo posto del capoluogo lombardo, con un rincaro di 2.226 euro e un’inflazione al 8,2%

  1. Siena

Nella città toscana troviamo un rincaro a 2.164 euro e un’inflazione al 9,6%. Uno dei valori più alti di tutta la classifica delle città più care d’Italia, nello specifico il secondo a pari merito con Imperia

  1. Genova

Restiamo in Liguria, in cui un costo della vita al 9,8% ha portato un rincaro annuo di 2.136 euro. Genova è la città con l’inflazione più alta di tutto il Paese

  1. Varese

Proseguiamo con Varese, lì l’inflazione è del 7,8% con un rincaro di 2.057 euro annui. 

  1. Grosseto

Anche Grosseto presenta un abbassamento del potere d’acquisto significativo (9,1%), la cui conseguenza è un rincaro di 2. 051 euro. 

  1. Trento

La città trentina registra un’inflazione del 7,8% e un rincaro di 2.041 euro. 

  1. Ravenna

Avvicinandoci alla fine della classifica delle città più care d’Italia  troviamo rincari sotto i duemila euro. A Ravenna l’inflazione è dell’8,2% e un aumento delle spese di 1.982 euro. 

  1. Perugia

A Perugia il tasso d’inflazione è dell’8,6% e il rincaro di 1.976 euro. 

  1. Pistoia

Chiude la classifica delle 10 città più care d’Italia Pistoia. Qui l’aumento per le spese in famiglia è di 1.961 euro, il tasso d’inflazione all’8,7%. 

Quello che salta all’occhio scorrendo la classifica, è che la vita costa di più al Nord Ovest (Lombardia e Liguria), in Trentino e al Centro del Paese (Toscana, Emilia Romagna e Umbria). Roma si piazza alla 39° posizione con un’inflazione a 7,3% e un rincaro di 1.710 euro. Torino al 26° posto fra le città più care d’Italia: 8% e un aumento delle spese di 1.840 euro. 

Le città in fondo alla classifica

Le città meno costose sono tutte al Sud, la classifica si chiude con Trapani, Napoli, Ancona, Caltanissetta, Bari, Caserta, Campobasso, Catanzaro e Reggio Calabria. All’ultimo posto troviamo Potenza, dove le famiglie mediamente hanno speso in più 948 euro e affrontato un’inflazione all’4,8%. 


Anche se i dati sul costo della vita del mese di marzo, sono positivi in quanto inferiori rispetto alle aspettative. La classifica delle città più care d’Italia ci mostra gli effetti dell’inflazione sulla quotidianità delle persone. Sempre secondo l’Istat, i prezzi che sono aumentati di più sono quelli degli alimentari non lavorati (+9,1%), dei servizi relativi all’abitazione (+3,5%), dei servizi ricreativi, culturali e la cura della persona (+6,3%) e infine quelli dei tabacchi da +1,8% a +2,5%.

Vuoi comprare Bitcoin? Con l’acquisto ricorrente è meglio

Comprare Bitcoin con l’acquisto ricorrente: perché conviene

Con tre grafici ti spieghiamo perché dovresti considerare l’acquisto ricorrente per comprare Bitcoin 

Comprare Bitcoin con l’acquisto ricorrente è più conveniente rispetto agli acquisti spot che ricercano il momento perfetto per entrare nel mercato (spoiler: non esiste). Te lo mostriamo con tre grafici: puoi notare che il drawdown è minore, così come la volatilità e il prezzo medio. L’acquisto ricorrente è la strategia più efficace per comprare Bitcoin in maniera regolare e automatica e puoi impostarlo nel tuo Salvadanaio

Abbiamo fatto una simulazione sulla base dei dati storici di mercato sul prezzo di BTC, e immaginato di aver attivato un acquisto ricorrente di 50€ in Bitcoin alla settimana da gennaio 2020 a marzo 2023. Ecco i nostri risultati. 

Un Portafoglio in positivo per l’80% del periodo 

Forse per il 2020 passato sul divano in pigiama hai qualche rimpianto… Oggi aggiungiamo alla lista anche il non aver impostato un acquisto ricorrente sul tuo Salvadanaio. Se avessi deciso di spendere 50€ a settimana per comprare Bitcoin in maniera automatica ora la tua situazione sarebbe quella descritta da questo grafico. 

Valore Bitcoin comprato con acquisto ricorrente dal 2020 al 2023

Qui puoi vedere il valore che avrebbe avuto il tuo portafoglio a marzo 2023. La linea gialla indica la cifra totale della cifra spesa per acquistare BTC, quella blu invece è il valore del Portafoglio (+22,5%). Il Salvadanaio rappresentato dal grafico è stato in positivo per l’86,2% dell’intervallo di tempo considerato. Con la performance migliore a +71,43 e quella peggiore la peggiore a -30,77%. 

Non sarebbe stato più conveniente comprare Bitcoin ai suoi minimi invece di farlo in qualsiasi momento? Se hai questo dubbio, leggi i risultati di questa ricerca che dimostra come in realtà non esista un “momento perfetto”. Prevedere i movimenti di mercato non è per tutti, l’acquisto ricorrente ti toglie dalla difficoltà portando comunque a buoni risultati. 

Anche in bear market le perdite sono minori

In questo secondo grafico la linea blu indica il prezzo di BTC da marzo 2022 a marzo 2023, quella verde invece il rendimento (profitto e perdita) in percentuale del Portafoglio che ha scelto di comprare Bitcoin con acquisto ricorrente. 

Grafico performance Bitcoin comprato con acquisto ricorrente

Secondo i dati che sono stati analizzati, il drawdown, ovvero la perdita massima che si può verificare in un intervallo temporale, è minore confrontato a quello di un acquisto singolo. Nel periodo considerato, da inizio marzo dell’anno scorso con BTC a 45.000$ a marzo 2023, si avrebbe avuto un drawdown massimo del 20% rispetto al -64% registrato dal prezzo di Bitcoin. Il Portafoglio insomma sarebbe in profitto del 16% dopo un anno. 

Il risparmio è evidente

In questi tempi a causa dell’inflazione, risparmiare soldi diventa sempre più una missione. Se cerchi un modo per comprare Bitcoin ottimizzando le spese, l’acquisto ricorrente è di nuovo una scelta che potresti considerare. Vediamo il terzo grafico. 

Grafico prezzo medio Bitcoin comprato con acquisto ricorrente

La linea blu indica il prezzo di BTC da gennaio 2020 a gennaio 2023, mentre quella verde il prezzo medio che si è pagato per comprare Bitcoin con l’acquisto ricorrente. Considerato che la criptovaluta ha un trend rialzista su grandi intervalli di tempo, quello che risulta è che con acquisti ricorrenti sul lungo periodo si riesce ad avere un ottimo prezzo medio di acquisto rispetto al valore di mercato. A gennaio 2022 comprando spot il prezzo sarebbe stato di circa 50.000$, con l’acquisto ricorrente invece di meno di 20.000$. Questo non perché esistano prezzi diversi in uno stesso periodo, ma perché il prezzo dell’acquisto ricorrente fa la media di tutti i livelli calcolando anche gli acquisti fatti quando la criptovaluta si trovava al minimo. 

Ancora una volta puoi chiederti se comprare ai minimi non sia la cosa migliore, teoricamente la risposta è sì. Ma di nuovo i “minimi” non sono facili da prevedere, acquistare con regolarità è un buon compromesso per non affannarsi in analisi di mercato “improvvisate” e comprare Bitcoin in maniera conveniente.

*Le informazioni in questo articolo hanno scopo educativo e non costituiscono un incentivo all’investimento. Si basano su dati storici e oggettivi del mercato di Bitcoin, i grafici non rappresentano previsioni future. La performance di ogni portafoglio di criptovalute è sempre soggetta a condizioni di mercato e volatilità. 

Cosa sono il TAN e il TAEG e come si calcolano?

TAN e TAEG: cosa sono e come calcolarli?

Cosa sono il TAN e il TAEG, perché è importante conoscerli e come si calcolano

Cosa sono il TAN e il TAEG? Questi due indicatori finanziari sono utilizzati per misurare quanto costa un debito e forse hai scoperto la loro esistenza richiedendo un mutuo o durante uno spot pubblicitario di qualche SUV. Ecco un articolo attraverso il quale tenteremo di spiegare nel dettaglio cosa sono il TAN e il TAEG e come si calcolano.

TAN e TAEG: cosa sono?

Prima di spiegare cosa sono TAN e TAEG è necessario comprendere come funzionano i finanziamenti e i mutui. Quando si stipula un contratto finanziario di questo tipo l’istituto di credito che eroga il servizio può richiedere, in cambio, un interesse ovvero il costo che un cliente deve pagare per prendere in prestito denaro. Questo interesse è espresso sotto forma di TAN, o tasso annuo nominale, e indica la cifra annuale per gli interessi che il cliente deve pagare fino a quando non estingue il debito. 

Tuttavia, connessi a un finanziamento potrebbero esserci anche altri costi (detti accessori) che non rientrano sotto questo indicatore, come le commissioni o le spese di istruttoria. Qui entra in gioco il TAEG (tasso annuale effettivo globale), un indice che misura la somma totale delle spese tra tasso annuale nominale e i costi accessori. Insomma, a chi si chiede cosa sono TAN e TAEG potremmo rispondere definendoli due indicatori che misurano il costo di un prestito: il TAN si riferisce alla spesa “base” mentre il TAEG a quella totale.

A cosa servono TAN e TAEG? 

Ora che abbiamo iniziato a comprendere cosa sono TAN e TAEG vale la pena di soffermarci sulla loro funzionalità. Questi due indicatori finanziari possono essere molto utili ai correntisti o ai clienti che intendono richiedere un finanziamento. In particolar modo il TAEG, dato che esprime il costo totale di un mutuo o un finanziamento. Supponiamo di star valutando se chiedere un prestito di 200.000€ da estinguere entro 10 anni, e che il TAN e il TAEG di questo finanziamento siano rispettivamente 2% e 3,5%. Se sappiamo cosa sono TAN e TAEG potremmo subito risalire al costo di questo debito. Perciò confrontando le soluzioni offerte da diversi istituti di credito utilizzando il TAEG come parametro di riferimento, potremmo scegliere quella più conveniente per noi. 

Non è detto però che un prestito o un finanziamento abbia per forza dei costi associati. Se ti stai chiedendo cosa vuol dire TAN e TAEG al 0%, ecco la risposta: quando questi due indicatori sono pari a zero significa che il prestito viene concesso senza interessi e che il cliente non deve affrontare costi accessori o spese aggiuntive ma semplicemente restituire il denaro che gli è stato prestato.

Calcolare il TAEG attraverso un esempio pratico

Torniamo all’esempio visto nel paragrafo precedente e svolgiamo il procedimento inverso ovvero calcoliamo l’indice TAEG partendo dai costi accessori. Supponiamo quindi di aver intenzione di richiedere un mutuo di 200.000€ per acquistare un’abitazione. Il finanziamento che ci sembra più conveniente prevede un TAN del 2% e delle spese accessorie pari a 3.000€ all’anno. 

Sappiamo che il TAN rappresenta il tasso di interesse nominale annuo applicato al prestito perciò gli interessi che pagheremo alla banca annualmente saranno il 2% di 200.000€, ovvero 4.000€. Visto che il mutuo però prevede anche alcune spese accessorie, sappiamo che il TAEG sarà superiore al TAN. Per calcolare quanto ci costa esattamente il finanziamento dobbiamo quindi sommare il costo dell’interesse nominale, che abbiamo visto essere 4.000€, con le spese, che sono di 3.500€. Il costo totale del muto sarà di 7.500€ all’anno. Perciò dividendo questa somma per l’ammontare totale del denaro preso in in prestito e moltiplicando il risultato per 100 risaliremo all’indice TAEG, che in questo caso è del 3,5%.

(costo annuale totale del finanziamento / importo totale preso in prestito) x 100

7.500€/200.000€ x 100 = 3,5%


In conclusione, sapere cosa sono TAN e TAEG e come si calcolano è fondamentale per capire il costo reale di un finanziamento o di un mutuo e ti permette di confrontare le diverse offerte del mercato. Inoltre conoscere questi indicatori è indispensabile per evitare “brutte sorprese” e prevedere esattamente quanto dovrai pagare per il prestito che richiedi.

Che cos’è la Bitcoin dominance, come si calcola, e a cosa serve nel trading?

Bitcoin dominance: cos’è e a cosa serve?

La dominance di Bitcoin è un indicatore che misura il “peso” di BTC nel mercato delle criptovalute. Scopri che cos’è, come si calcola e come lo utilizzano i trader e gli investitori

Cos’è la Bitcoin dominance e a cosa serve? Si tratta di uno degli indicatori più utilizzati nel mercato crypto. Alcuni trader o investitori utilizzano questa metrica per pianificare le loro strategie, in particolare aiuta a scegliere se acquistare soltanto Bitcoin o optare anche per una o più altcoin. Scopri che cos’è la dominance di Bitcoin, come viene utilizzata dai trader e come si calcola.

Bitcoin dominance: cos’è?

La dominance di Bitcoin mette a confronto la capitalizzazione totale del mercato delle criptovalute con quella di BTC. Nello specifico indica, in percentuale, quanto è capitalizzato Bitcoin rispetto all’interno del mercato delle criptovalute e il suo scopo principale è quello di misurare l’impatto di BTC sul mercato crypto. Sebbene esistano migliaia di criptovalute alternative (altcoin), diverse da quella creata da Satoshi Nakamoto, Bitcoin è ancora la più importante. 

Nonostante questo però le crypto nate dopo BTC stanno, anno dopo anno, recuperando terreno e iniziano ad impensierire Bitcoin. Fino al 2017 la Bitcoin dominance è stata molto alta, vicina al 90%. Con l’affermarsi di Ethereum e l’esplosione delle ICO la situazione è cambiata. Nel corso di quell’anno, per la prima volta nella storia, questa metrica è scesa sotto il 50%. Il che significa che il valore dell’intero mercato crypto, in quel momento, era più del doppio rispetto a quello di Bitcoin.

Come utilizzano la dominance di Bitcoin i trader e gli investitori

Chiarito che cos’è la Bitcoin dominance, vediamo a cosa serve, ovvero come la utilizzano gli investitori e i trader per effettuare le loro analisi. Dal 2017 in poi si è rivelata molto utile per analizzare lo stato del mercato. Per esempio una fase in cui la dominance di Bitcoin è ribassista mentre i prezzi delle altre criptovalute si muovono a rialzo viene definita altseason (o stagione delle altcoin). Di solito quando regna l’euforia il peso di BTC scende perché i capitali si spostano su crypto con più potenziale di crescita (e quindi meno capitalizzate) che sono in generale anche più rischiose. 

Al contrario, nei momenti di bear market la dominance di Bitcoin sale, perché i trader e gli investitori decidono di limitare il rischio rifugiandosi nella crypto più capitalizzata vendendo alcune o tutte le altcoin che possiedono. I trader e gli investitori esperti sanno bene cos’è la Bitcoin dominance e la tengono d’occhio per avere un quadro più chiaro delle condizioni in cui si trova il mercato.

Come viene calcolata la dominance di Bitcoin?

La Bitcoin dominance viene calcolata dividendo la capitalizzazione di BTC per quella totale del mercato delle criptovalute e moltiplicando il risultato per 100. Vediamo un esempio pratico. Supponiamo che la capitalizzazione di Bitcoin sia 600 miliardi di dollari (numero che si avvicina molto a quella attuale) mentre quella totale del mercato crypto sia 1.300 miliardi di dollari. Per calcolare la Bitcoin dominance basta dividere la sua capitalizzazione di mercato (600 miliardi di dollari) per quella totale (1.300 miliardi di dollari) e poi moltiplicare per 100 per avere un dato in percentuale. 

600/1.300 = 0,461

0,461 x 100 = 46,1%

Il risultato di questa semplice operazione è il 46% circa. Un dato fornito così senza contesto e senza un grafico associato è comunque molto difficile da interpretare. Per riuscire a capire in che fase di mercato ci troviamo è necessario contestualizzare. Bisogna chiedersi ad esempio in che modo la dominance di Bitcoin è arrivata al 46%, se è in crescita o è ribassista e se ci troviamo in una fase di bull o di bear market.


Ora che hai scoperto che cos’è la Bitcoin dominance, come si calcola e in che modo i trader la utilizzano per analizzare le fasi di mercato puoi farti un’idea su ciò che accadrà in futuro. Questo indicatore è destinato a scendere sempre di più a causa delle numerose nuove criptovalute o BTC conserverà il suo solido primato nel mercato per sempre?

Equo compenso: cos’è? Le novità della legge a favore dei liberi professionisti

Equo compenso, cos’è? Le novità della legge approvata

Le novità della legge approvata. Ma prima di tutto: cos’è l’equo compenso?

Cos’è l’equo compenso? Di recente si usa questo termine per indicare direttamente la nuova legge che punta a tutelare il lavoro e la retribuzione dei liberi professionisti. Il testo è stato approvato dalla Camera il 12 aprile con 243 voti a favore e 59 astenuti. Ecco cos’è l’equo compenso e tutte le novità della legge appena approvata. 

Legge equo compenso: cos’è?

Per spiegare il fine della nuova legge approvata, bisogna capire cosa si intende e cos’è l’equo compenso. Si tratta di una retribuzione “proporzionale alla quantità e qualità del lavoro” e “conforme ai parametri ministeriali”, insomma un compenso che impedisce di sfruttare e sottopagare i professionisti. 

La cosiddetta legge per l’equo compenso prevede infatti delle regole per assicurare ai professionisti una paga adeguata al lavoro commissionato dalle aziende e dagli enti della pubblica amministrazione. 

Legge equo compenso: a chi si applica 

Dopo aver visto cos’è l’equo compenso, vediamo a chi spetta. La legge riguarda tutti i professionisti, sia quelli iscritti a un ordine, sia quelli appartenenti alle professioni non regolamentate come amministratori di condomini, fotografi, fisioterapisti o revisori legali. 

I compensi “equi” verranno calcolati sulla base dei parametri dei vari ordini, per chi non ha categoria è attesa l’elaborazione di un decreto ad opera del ministero delle Imprese e del made in Italy (ex Sviluppo economico) che sarà emanato entro 60 giorni. Tuttavia al momento solo l’ordine degli avvocati ha dei parametri aggiornati, quelli per gli altri professionisti dovranno essere rivisti. 

Se la legge riguarda tutti i professionisti, non si può dire lo stesso per le aziende. Tra le società private e pubbliche, sono tenute a garantire un equo compenso solo quelle che

  1. Hanno più di 50 dipendenti;
  2. Hanno un fatturato annuo superiore ai 10 milioni di euro. 

Secondo IlSole24Ore questi parametri includono 27.000 enti di pubblica amministrazione e 51.000 privati, lasciando fuori moltissime imprese. 

La legge prevede anche l’istituzione di un organo di vigilanza (Osservatorio sull’equo compenso) all’interno del ministero della Giustizia, con il compito di controllare l’applicazione delle norme. 

Le critiche alla legge sul compenso equo

La legge sull’equo compenso, fortemente voluta da Fratelli d’Italia, in primis dalla premier Giorgia Meloni, ha ricevuto diverse critiche. Innanzitutto perché il numero di aziende coinvolte dal testo legislativo è molto basso, gli ultimi dati dell’INPS del 2021 indicano che il totale delle imprese italiane è 1.647.000. Il Partito Democratico che si è astenuto dal voto, ha spiegato che questa è una delle ragioni per cui la legge sull’equo compenso è un’ “occasione persa”

Inoltre anche se non sono previste delle sanzioni per le imprese che non rispetteranno le norme, agli ordini professionali è concesso di multare i professionisti che accettano un compenso non equo. Federico Giannassi ha spiegato: “avevamo chiesto di cancellare le sanzioni al professionista che è parte debole del rapporto e non può essere pure sanzionato”. Un ulteriore problema sollevato dal parlamentare è che la legge non interviene sui rapporti professionali già esistenti

Cos’è la legge sull’equo compenso? Per molti non è altro che uno dei tentativi che i governi stanno attuando per rispondere alle esigenze del mercato dei lavoro che sta cambiando molto in fretta. In questi giorni ad esempio l’Unione Europea ha approvato l’obbligo di esporre la RAL (Retribuzione Annua Lorda) sugli annunci di lavoro, per trasparenza e per eliminare le disuguaglianze.

Cosa sono le Terre Rare e quali sono i Paesi che ne producono di più?

Terre rare: cosa sono e quali Paesi ne producono di più?

Cosa sono le terre rare? Scopri tutto su questi elementi preziosi, compresa la classifica degli Stati che ne estraggono di più 

Cosa sono le terre rare? Degli elementi chimici presenti nella tavola periodica chiamati anche con l’acronimo REE (Rare Earth Elements). Esse sono necessarie per costruire tantissimi componenti utilizzati per produrre altrettanti strumenti e dispositivi che utilizziamo quotidianamente. Tra questi ci sono per esempio gli smartphone, i computer e varie apparecchiature mediche. Scopri cosa sono le terre rare, a cosa servono e quali paesi ne estraggono di più.

Cosa sono le terre rare?

Le terre rare sono un gruppo di 17 elementi chimici metallici che si trovano nella crosta terrestre. Questi materiali vengono utilizzati per la produzione di apparecchiature tecnologiche e industriali. Ad esempio si trovano negli schermi degli smartphone e dei computer, nelle turbine eoliche, nelle lampadine o nei catalizzatori delle auto. 

Li troviamo in praticamente tutti i dispositivi elettronici che utilizziamo ogni giorno e vengono impiegati in tantissimi settori produttivi come quello tecnologico, medico, militare e energetico. Insomma le terre rare, materiali che vengono spesso inseriti all’interno della categoria dei semiconduttori, sono uno degli ingredienti fondamentali dell’industria moderna nonché elementi chimici vitali per la nostra economia.

Perché le terre rare si chiamano così?

Ora che sai cosa sono le terre rare, è bene capire perché si chiamano in questo modo. L’aggettivo “raro” infatti trae in inganno visto che questi elementi sono presenti in grandi quantità sul nostro pianeta. La loro concentrazione è addirittura superiore a quella di composti molto più conosciuti, come il rame o il cadmio.

Allora perché le terre rare si chiamano così? Perché questi elementi si trovano soltanto dispersi all’interno di altri minerali e non allo stato puro. La loro concentrazione all’interno dei minerali più comuni è molto bassa, vicino all’1%, perciò è molto complesso, costoso e impattante a livello ambientale, estrarli. Questa caratteristica li rende anche molto preziosi: il prezzo di cento grammi di RRE oscilla da 400$ a 20.000$ a seconda della tipologia. 

Inoltre non esistono in natura altri elementi che possono sostituirli, sono davvero fuori dal comune. Alcuni di questi composti riescono a conservare la propria forza magnetica anche ad altissime temperature, mentre altri sono luminescenti, ovvero emettono luce quando vengono “eccitati” chimicamente. Inoltre, molti di essi sono resistenti alla corrosione e possiedono una buona reattività chimica; caratteristica che li rende perfetti per la produzione di leghe metalliche con le quali si costruiscono i catalizzatori.

Quali sono le terre rare?

Le terre rare o gli Rare Earth Elements sono:

  1. Cerio (Ce)
  2. Lantanio (La)
  3. Praseodimio (Pr)
  4. Neodimio (Nd)
  5. Promezio (Pm)
  6. Samario (Sm)
  7. Europio (Eu)
  8. Gadolinio (Gd)
  9. Terbio (Tb)
  10. Disprosio (Dy)
  11. Olmio (Ho)
  12. Erbio (Er)
  13. Tulio (Tm)
  14. Itterbio (Yb)
  15. Lutezio (Lu)
  16. Scandio (Sc)
  17. Yttrio (Y)

L’Europio (Eu), per esempio, viene utilizzato principalmente come componente dei fosfori rossi usati nei display a cristalli liquidi (LCD) o come additivo nella produzione di leghe metalliche. Il Cerio invece per produrre i catalizzatori dei motori diesel mentre l’Olmio (Ho) per la produzione di laser ad alta potenza utilizzati in campo medico chirurgico; per esempio per la rimozione dei calcoli renali.

La classifica dei paesi che estraggono più terre rare

Dopo aver scoperto cosa sono le terre rare e a cosa servono è il momento di scoprire dove questi elementi vengono raffinati e trasformati in componenti, apparecchiature o leghe metalliche. Ecco la classifica dei paesi che ne producono di più.

*Questa classifica non presenta dati ufficiali ma stime che tengono conto di una media delle esportazioni di REE negli ultimi anni*

  1. Cina

La Cina è di gran lunga il principale esportatore di terre rare al mondo, con una produzione annuale che rappresenta circa il 60% del totale mondiale. Possiede giacimenti in molti territori del paese: in Mongolia, nello Sichuan e nella regione di Shandong. Tuttavia l’industria delle REE cinese è stata spesso accusata di non rispettare gli standard ambientali e di sfruttare i lavoratori. Il primato della Cina la rende uno Stato molto “temuto” a livello economico, data l’importanza delle terre rare. 

  1. Stati Uniti

Gli Stati Uniti sono il secondo produttore e controllano attualmente circa il 12% del mercato delle terre rare a livello mondiale. Negli ultimi anni gli USA hanno adottato delle strategie di reshoring, che hanno l’obiettivo di riportare all’interno di confini nazionali la produzione di questi materiali, in precedenza delocalizzata. Gli Stati Uniti investiranno 53 miliardi di dollari nei prossimi anni per sostenere la ricerca e la produzione di questi elementi nel loro territorio.

  1. Myanmar

Sul gradino più basso del podio c’è il Myanmar che si occupa del 10,5% della produzione mondiale di RRR. Tuttavia l’industria mineraria del paese è stata spesso accusata di violare i diritti umani dei lavoratori e di adottare tecniche di estrazione altamente inquinanti.

  1. Australia

Al quarto posto c’è l’Australia che gestisce il 10% del mercato mondiale delle terre rare. Il paese dell’oceania possiede importanti giacimenti di REE e negli anni ha investito grandissime quantità di denaro per modernizzare le infrastrutture utilizzate per la produzione.

  1. Thailandia

Chiude questa classifica la Thailandia dove la produzione di terre rare è più che raddoppiata dal 2020. La maggior parte dei giacimenti del paese si trova nella regione di Kanchanaburi, nel centro del paese. Tuttavia la situazione tailandese è molto simile a quella del Myanmar, i lavoratori sono spesso sfruttati e il processo di estrazione non rispetta gli standard ambientali.


Ora che sai cosa sono le terre rare puoi comprendere quanto siano importanti e preziosi questi elementi chimici. E forse ti apparirà più giustificata la spietata competizione che gli Stati sostengono per aggiudicarsi i giacimenti di questi materiali indispensabili per la produzione di tantissime apparecchiature e dispositivi.

Il momento giusto per investire? Ecco perché non esiste

Il momento giusto per investire? Ecco perché non esiste

Strategie a confronto: conviene aspettare il momento giusto per investire o comprare con regolarità?

Qual è il momento giusto per investire? Se anche tu hai pensato almeno una volta di far fruttare i tuoi risparmi, senza sapere quando cominciare, ci sono buone notizie: puoi iniziare subito e ottenere risultati anche senza essere un guru della finanza e passare tutto il giorno a interpretare numeri e grafici. 

Secondo una ricerca di Charles Schwab, multinazionale di servizi finanziari, aspettare il momento giusto per entrare in un mercato è molto costoso. In altre parole, comprare un asset cercando di calcolare le condizioni di mercato ideali è meno conveniente che affidarsi a un acquisto ricorrente

Il market timing funziona?

Lo scopo dell’analisi di Charles Schwab del 2021, che presenteremo in questo articolo, è capire se il market timing funziona. Ovvero cercare una risposta alla domanda: esiste un momento giusto per investire? Con il termine “market timing” ci si riferisce al tentativo di individuare il momento migliore per acquistare o vendere un asset. Puoi considerare il market timing come una delle strategie che adottano gli investitori che provano ad anticipare i movimenti dei mercati e, ad esempio, vendere prima di un ribasso e comprare prima di un rialzo. Per gli analisti della società, il market timing non aiuta a far fruttare i propri risparmi. Vediamo come sono arrivati a questa conclusione. 

L’esperimento mentale dei 5 investitori 

Gli studiosi di Charles Schwab hanno condotto un esperimento mentale su 5 tipi di investitore. A ognuno sono stati assegnati 2.000 dollari di budget all’anno da investire su S&P 500, il più importante indice azionario statunitense, per vent’anni, dal 2000 al 2020. 

  1. Peter Perfect

Peter è il perfetto market timer, quel nostro amico che ha sempre successo in quello che fa. Per abilità o fortuna, è riuscito a piazzare i suoi 2.000$ annui sempre trovando il fantomatico momento giusto per investire. Ad esempio, nel 2001 ha aspettato il 21 settembre ovvero il livello di chiusura più basso di quell’anno per l’S&P 500.

  1. Ashley Action

Il suo approccio è stato semplice e coerente: ogni anno ha investito i suoi 2.000$ nel mercato il primo giorno dell’anno. 

  1. Matthew Monthly 

Matthew ha diviso il suo budget in 12 quote uguali che ha investito all’inizio di ogni mese, con la strategia chiamata dollar cost averaging che si può mettere in campo con acquisti automatici ricorrenti.

  1. Rosie Rotten

La quarta investitrice ha avuto un tempismo scarso e molta sfortuna: ha piazzato i suoi 2.000$ ogni anno nei momenti di picco dei mercati. Ad esempio, Rosie ha investito i suoi primi 2.000 dollari il 30 gennaio 2001, il livello di chiusura più alto di quell’anno per l’S&P 500.

  1. Larry Linger

Lui, aspettando il tempismo, non ha mai investito in azioni ma ha tenuto il suo budget in contanti o in buoni del Tesoro. 

Alla fine dei vent’anni di investimenti, la classifica con i profitti è questa: 

  1. Peter Perfect: 151.391$
  2. Ashley Action: 135.471$
  3. Matthew Monthly: 134.856$
  4. Rosie Rotten: 121.171$
  5. Larry Linger: 44.438$

Cosa si deduce?

I risultati migliori ovviamente sono quelli di Peter che ha aspettato e ha programmato perfettamente i suoi investimenti annuali. Ma i risultati più sorprendenti e meno scontati dello studio riguardano Matthew e Ashley, quest’ultima si è classificata con solo 15.920 dollari in meno rispetto al primo e Matthew con solo 16.535 dollari in meno. L’approccio dell’acquisto ricorrente di Matthew ha ottenuto buoni risultati. La differenza dei profitti è relativamente piccola, considerato che ha semplicemente investito regolarmente senza calcolare tempistiche o previsioni di mercato.

Un’altra conseguenza evidente della ricerca è che anche il cattivo tempismo vince comunque sull’inerzia. Sebbene Rosie abbia perso 14.300 dollari rispetto ad Ashley (che non ha provato a prevedere il mercato), Rosie ha comunque guadagnato quasi tre volte quello che avrebbe ottenuto se non avesse investito affatto.

Per riassumere, dall’esperimento emerge che è stato conveniente investire subito, e non aspettare presunti momenti migliori. E che mettere in moto i propri risparmi anche in un momento difficile di mercato è comunque meglio che non investirli affatto. 

Charles Schwab ha esaminato altri 76 periodi di 20 anni, trovando quasi sempre risultati simili nella classifica degli investitori per i loro profitti. Anche nei periodi con classifiche inaspettate, chi ha investito subito non è mai arrivato ultimo. 

Cosa significa tutto questo per te

Se hai un budget da investire in qualche mercato e non sai quale sia il momento migliore per farlo, cominciare subito e con regolarità potrebbe essere la scelta vincente. 

I benefici del market timing non spiccano più di tanto, questa strategia dà risultati solo a chi ha le competenze o la fortuna di anticipare le tendenze. La regolarità è meno rischiosa e più efficiente. 

La scelta vincente dell’acquisto ricorrente 

Se non hai la possibilità o non te la senti di spendere il tutto il tuo budget annuale in una volta, prendi in considerazione l’acquisto ricorrente. In questo modo puoi collocare importi più piccoli con maggiore frequenza. L’acquisto ricorrente ha il vantaggio di : 

  1. Prevenire la pigrizia: grazie alla ricerca abbiamo visto che l’approccio “lo faccio dopo” o “forse è meglio aspettare” non funziona affatto; 
  2. Ridurre al minimo lo stress di chi cerca i momenti perfetti a tutti i costi e i rimpianti dei grossi investimenti che non sono andati a buon fine; 
  3. Slegare i tuoi profitti dal tempismo del mercato e dalla sua volatilità

Il momento giusto per investire? Non esiste! La ricerca si conclude specificando che, data la difficoltà di prevedere il mercato, la strategia più realistica per la maggior parte degli investitori è quella di impostare degli acquisti ricorrenti.

Previsioni economia italiana (e globale): cosa sta per accadere secondo il FMI

Previsioni economia italiana (e globale): cosa sta per accadere secondo il FMI

Le previsioni per l’economia italiana e globale del FMI. Crescita, inflazione e disoccupazione, cosa succederà?

Quali sono le previsioni per l’economia italiana e globale del Fondo Monetario Internazionale? Con il suo report pubblicato l’11 aprile, e intitolato “Una ripresa difficile”, il FMI ha rivisto le sue stime per la crescita, l’inflazione e la disoccupazione a livello mondiale e con un focus sui singoli Stati. 

Previsioni economia italiana: crescita, inflazione e disoccupazione per 2023 e 2024

Concentriamoci subito sulle previsioni per l’economia italiana redatte dal FMI. Per quest’anno è prevista una crescita dello 0,7% e per il 2024 dello 0,8%. In questo caso le stime sono state riviste al rialzo dello 0,1% rispetto alle ultime di gennaio. Nonostante questo l’Italia rimane in ultima posizione tra i paesi del G7. Quest’anno farà peggio solo la Germania per cui si prevede un PIL piatto che però recupererà notevolmente nel 2024. Anche l’economia britannica si arresta, con un PIL negativo dello 0,3%. A trascinare l’eurozona c’è la Spagna con una crescita dell’1,5% per il 2023 e del 2% nel 2024. 

Tornando alle previsioni per l’economia italiana, il FMI si aspetta un aumento della disoccupazione all’8,3% rispetto all’8,1% del 2022; e un calo dell’inflazione dall’8,7% del 2022, al 4,5% del 2023 al 2,6% del 2024. 

Previsioni economia globale 

Come si può intuire dal titolo del report, le previsioni per l’economia globale non sono tra le più rosee. Il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto a ribasso le sue stime per l’economia mondiale, a 2,8% per il 2023 e 3% per il 2024. Il calo, rispetto alle precedenti previsioni di gennaio, è stato dello 0,1%. 

Pierre-Olivier Gourinchas, capo economista del FMI, ha spiegato che nonostante la graduale ripresa dalla pandemia e dall’invasione dell’Ucraina, il clima rimane incerto. “La ripresa economica globale resiste, ma la strada si fa impervia”, soprattutto a causa della recente instabilità bancaria. Per il FMI la crescita economica globale rimane debole rispetto agli standard storici, i rischi finanziari sono aumentati e l’inflazione non ha ancora invertito la rotta.

Secondo il report l’inflazione globale dovrebbe rallentare al 7% quest’anno (rispetto all’8,7% del 2022). Il livello rimane al di sopra degli obiettivi che si sono date le Banche Centrali degli Stati Uniti e dell’Unione Europea (2%), il che suggerisce che le politiche monetarie restrittive probabilmente continueranno. 

Nelle sue previsioni sull’economia globale, il FMI sottolinea come la Russia stia resistendo alle sanzioni, il suo PIL crescerà dello 0,7% (un aumento dello 0,4% rispetto alle stime precedenti). Un cenno anche alla Cina in ripartenza con un 5,2% nel 2023. Negli Stati Uniti invece la crescita è doppia rispetto all’eurozona, il PIL dovrebbe aumentare dell’1,6% ma il prossimo anno la situazione dovrebbe essere invertita a vantaggio dell’area euro. 

Le previsioni sull’economia italiana e globale del FMI arrivano mentre si attendono con il fiato sospeso le nuove decisioni sui tassi di interesse durante la prossima riunione della BCE e della Federal Reserve previste rispettivamente per il 4 maggio e il 2-3 maggio.