Cos’è ERC-721-C? Il nuovo standard di Ethereum per gli NFT spiegato

ERC-721-C: cos’è il nuovo standard Ethereum per NFT

Cos’è l’ERC-721-C? A cosa serve e come funziona? Tutto quello che devi sapere sul nuovo standard per NFT su Ethereum

Cos’è l’ERC-721-C e a cosa serve? Il nuovissimo standard per Ethereum arriva per rispondere a un’esigenza precisa: trasferire i pagamenti delle royalty per i creatori di NFT sulla blockchain e non lasciarli in mano alle piattaforme. Questi nuovi token promettono agli artisti digitali un maggior controllo e una migliore personalizzazione delle loro collezioni. Anche se il mercato non è dei migliori, per il settore dei token non fungibili è tempo di innovazione. Forse è arrivata una soluzione alla tanto discussa questione sui “diritti d’autore” digitali. Ecco cos’è l’ERC-721-C!   

ERC-721-C: cos’è?

Per spiegare cos’è l’ERC-721-C e a cosa serve, si può dire che sia un’estensione del classico ERC-721, lo standard di Ethereum per creare token non fungibili. È stato sviluppato da Limit Break per migliorare il modo in cui i creatori di NFT e gli artisti digitali controllano le royalty sulle loro opere. Al momento il nuovo standard è supportato su Polygon e ovviamente Ethereum. 

Il team di sviluppo ha indicato diverse piattaforme NFT in cui i token ERC-721-C potrebbero essere compatibili e tra queste ci sono OpenSea, Rarible, X2Y2. Tuttavia l’integrazione non sarà automatica ma dovrà essere esplicitamente avanzata dai marketplace. Limit Break ha dichiarato che se nessuna delle principali piattaforme NFT dovesse aggiungere il nuovo token, lancerà un proprio marketplace. 

A cosa serve l’ERC-721-C?

Completando il discorso su cos’è l’ERC-721-C, ricordiamo cosa si intende per royalty. Queste non sono altro che delle commissioni che vengono pagate agli artisti delle opere NFT per ogni vendita successiva alla creazione. Le royalty servono ai creator a generare entrate anche dopo la prima vendita. 

L’importo di queste commissioni non viene deciso dall’artista, sono le piattaforme di vendita di NFT che impongono le tariffe. Ad esempio Blur è un marketplace nato con l’intenzione di non imporre royalty per incrementare gli acquisti, ora ne richiede una minima dello 0,5%. 

Per riassumere cos’è l’ERC-721-C e a cosa serve possiamo dire che permette di creare NFT che avvantaggiano i creator in virtù degli ideali della creator economy del Web3.  

ERC-721-C: come funziona il token

Ma come funzionano allora i token realizzati secondo questo standard? Innanzitutto specifichiamo che l’ERC-721-C è “opt-in” questo significa che anche NFT già esistenti possono usarlo, in questo caso spetta ai proprietari delle opere decidere se adottarlo o meno. 

In sostanza i token ERC-721-C hanno le royalty incorporate nello smart contract, questo rende le commissioni flessibili e programmabili. Ad esempio i creator potrebbero decidere di condividerle con i primi acquirenti per premiarli della fiducia; oppure di farle guadagnare solo a chi si occupa del minting gli NFT o stipulare dei veri e propri criteri per stabilire se e quando le commissioni andranno pagate. 

Infine dopo aver presentato cos’è l’ERC-721-C e a cosa serve, bisogna specificare che non si tratta ancora di uno standard ufficiale riconosciuto da Ethereum. La community NFT è entusiasta di questa innovazione per il settore e aspetta le prime applicazioni. 

Arrotondare lo stipendio? Ecco come fare con idee e trucchi per una seconda entrata

Come arrotondare lo stipendio: idee, trucchi e consigli

Qualche idea su come arrotondare lo stipendio? Non farti sfuggire l’ispirazione!

Ti sei mai chiesto come arrotondare lo stipendio? Se fai parte della Generazione Z o se sei un Millennial probabilmente la risposta è “sì”. Un’indagine di Deloitte infatti ha dimostrato che i ragazzi e le ragazze di queste generazioni accettano sempre più spesso un secondo lavoro a causa delle preoccupazioni economiche. Nello specifico nel 2023 il 46% dei GenZ hanno un altro lavoro rispetto a quello principale, per i Millennial il dato scende al 37%. Per l’indagine Deloitte ha raccolto risposte da 44 paesi del mondo e le principali attività emerse per arrotondare lo stipendio riguardano la vendita di prodotti o servizi online, la consegna di cibo o le attività di creazione di contenuti. 

Trovare un’entrata economica alternativa è innanzitutto una necessità ma può essere anche un modo per approfondire una passione, rispolverare un hobby e renderlo remunerativo o per imparare nuove competenze ed espandere la rete professionale. Ma esistono davvero queste opportunità? Come arrotondare lo stipendio e guadagnare magari rimanendo a casa?

Come arrotondare lo stipendio online

A volte tutto quello che serve per avere una seconda entrata e cominciare ad arrotondare lo stipendio è una connessione internet! Il principio alla base di queste idee è “se sei brav* a fare qualcosa, fatti pagare per farla!”. Questo non vale solo per il tuo lavoro principale, quanti hobby che consideri solo dei passatempi hanno un potenziale economico? 

  1. Vendi le tue foto agli stock

Se ti piace fare fotografie e hai interi hard disk pieni di scatti di qualità, prova a venderli ai siti di stock. I più famosi sono Adobe Stock, Shutterstock e iStockPhoto. 

  1. Vendi le tue grafiche

Un’altra idea per arrotondare lo stipendio adatta ai grafici è quella di creare dei template da vendere online. Con Canva Creators puoi caricare sul marketplace le tue grafiche ed ottenere una rendita passiva, puoi realizzare dei libri da colorare per bambini o libri mandala e metterli in vendita su Amazon. 

  1. Vendi quello che non usi più

Fare spazio nell’armadio e in cantina è un ottimo modo per arrotondare lo stipendio. Oltre alle classiche piattaforme come Ebay o Subito.it, negli ultimi anni si sta facendo strada Vinted, un’app in cui è davvero semplice sbarazzarsi degli oggetti inutilizzati e dare loro una nuova vita. Non solo vestiti ma anche libri e accessori. 

A proposito l’analisi di Deloitte sostiene che le nuove generazioni siano le più propense ad acquistare articoli di seconda mano

Arrotondare lo stipendio: idee per tutti

Le idee per arrotondare lo stipendio non sono solo digitali, ci sono ad esempio i classici “lavoretti” che si fanno da quando si è giovanissimi. Se sei familiare ad un determinato argomento o sei fresco di scuola o università, puoi proporti come insegnante privato, le ripetizioni ai bambini e ai ragazzi ormai si fanno ad ogni età. Per le elementari sono gettonatissimi gli “aiuto compiti”. Anche le consulenze tecniche e professionali possono rientrare in questa idea su come arrotondare lo stipendio. Sei un social media manager? Offriti per aiutare qualche pagina Instagram. Sei uno sviluppatore? Proponi la tua competenza a chi vuole tirare su un sito web da zero. 

Se sei una persona pratica puoi pensare di arrotondare lo stipendio come “factotum”: lavori di giardinaggio, traslochi, dipingere o imbiancare. Ricordati sempre di informarti su come dichiarare queste prestazioni occasionali ed essere in regola con le norme vigenti. 

Queste sono solo alcune delle tantissime attività extra che si possono intraprendere per arrotondare lo stipendio. Quando l’inflazione e il costo della vita si fanno sentire, una sola busta paga può non bastare. Ricevere una seconda entrata invece può essere il punto di partenza per risparmiare qualcosa

Pensione di cittadinanza 2023: requisiti e ultime notizie

Pensione di cittadinanza 2023: requisiti e ultime notizie

Chi ha diritto alla pensione di cittadinanza nel 2023 e quali sono i requisiti per ottenerla? Il governo Meloni la abolirà? Le ultime notizie

Sai cos’è la pensione di cittadinanza, i suoi requisiti e le ultime notizie in merito? Questa importante misura di sostegno sociale è rivolta ai cittadini italiani che vivono una situazione economica difficile. 

È un’iniziativa di welfare ovvero l’insieme delle politiche, degli interventi, dei programmi e dei servizi erogati dalle istituzioni pubbliche per garantire il benessere sociale e tutelare i cittadini, specialmente in termini di sicurezza economica, assistenza sanitaria e istruzione. 

Scopri quali sono i requisiti per ricevere la pensione di cittadinanza e le ultime notizie che hanno fatto seguito al nuovo decreto legge siglato dal governo Meloni.

Pensione di cittadinanza: che cos’è e a quanto ammonta? 

Prima di sottolineare i requisiti della pensione di cittadinanza e le ultime notizie in merito è necessario fare alcune precisazioni. In altre parole vale la pena rispondere alla domanda: cos’è la pensione di cittadinanza? Questa è una forma di sostegno monetario destinata ai cittadini anziani o ai nuclei familiari composti da individui con disabilità gravi e perciò non autosufficienti.

L’ammontare di denaro destinato alle famiglie in difficoltà varia da un minimo di 480€ all’anno ad un massimo di 9.630€. La pensione di cittadinanza varia in base ad alcune caratteristiche del nucleo familiare dell’individuo che la richiede. 

Nello specifico l’importo di base aumenta:

  • dello 0,4% per ogni componente della famiglia che abbia più di 18 anni;
  • dello 0,2% per ogni componente minorenne;
  • fino a un massimo del 2,2% per le famiglie con uno o più individui affetti da disabilità gravi e quindi non autosufficienti;
  • è previsto poi un incremento del sussidio fino a 5.000€ per ogni soggetto con disabilità, e di 7.500€ per ogni membro della famiglia che viva una condizione di disabilità grave o di non autosufficienza.

Questo sussidio è destinato alle persone che hanno superato i 67 anni di età e si trovano in condizioni economiche precarie. Ma vediamo nel dettaglio tutti i requisiti per ricevere la pensione di cittadinanza nel 2023.

Pensione di cittadinanza: requisiti 2023

I requisiti per la pensione di cittadinanza sono essenzialmente due: uno anagrafico e uno economico. La misura infatti spetta ai pensionati o agli individui con età pensionabile che percepiscono un reddito mensile inferiore ai 780€. L’indicatore di riferimento utilizzato per stabilire se un cittadino ha diritto o meno a questo sussidio è l’ISEE. 

Quest’ultimo deve essere inferiore ai 7.560€ annui per chi è solo e ha una casa di proprietà mentre può arrivare fino a 9.360€ nel caso in cui il nucleo familiare preso in esame abiti in una casa in affitto. 

Non basta però rientrare in questi parametri, ci sono altri requisiti per la pensione di cittadinanza: 

  • il valore del patrimonio immobiliare non deve essere superiore a 30.000€;
  • il patrimonio mobiliare, che comprende carte, conti, titoli, libretti, non deve superare i 6.000€. Questa soglia cresce di 2.000€ per ogni componente del nucleo familiare, fino a una cifra massima di 10.000€, e di 1.000€ per ogni figlio successivo al secondo;
  • non si devono possedere veicoli immatricolati da meno di 6 mesi;
  • né veicoli con cilindrata superiore a 1.600 cc o motoveicoli con cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei 2 anni precedenti;
  • o ancora navi o imbarcazioni da diporto, comprate nei 2 anni precedenti alla richiesta.

Pensione di cittadinanza, ultime notizie: sarà abolita?

Se ti stai chiedendo quali sono le ultime notizie sulla pensione di cittadinanza, e in particolare se il governo Meloni la abolirà, La risposta è “no”. Inizialmente il nuovo esecutivo, attraverso l’approvazione della Legge di Bilancio 2023, aveva deciso di abrogare sia la pensione che il reddito di cittadinanza. Negli ultimi mesi però ha fatto marcia indietro. La pensione di cittadinanza continuerà ad esistere anche nel 2024 grazie al Decreto del Lavoro approvato ad inizio mese.


I requisiti e le modalità in cui verrà erogata il prossimo anno non cambiano, ad eccezione della percentuale aggiuntiva percepita da coloro i quali hanno individui con disabilità gravi a carico, che passa dal 2,2% al 2,3% e dal valore degli immobili che si possiedono. Se fino al 2023 si potevano possedere immobili per un valore complessivo di 30.000€ ora il limite è fissato a 10.000€. Ecco dunque quali sono i requisiti per ricevere la pensione di cittadinanza e le ultime notizie su questo importante strumento di welfare.

Il significato di “Open Source” per le blockchain: decentralizzazione e trasparenza

Open Source: il significato nella blockchain

Chi dice “blockchain” dice “open source”. Ma qual è il significato di questo termine che descrive uno degli ideali più importanti del mondo crypto?

Qual è il significato di “open source” e perché viene associato alla blockchain? Il termine in informatica descrive un metodo di sviluppo dei software, in cui il codice sorgente (che contiene tutte le istruzioni di un programma) è “aperto” ovvero consultabile e riutilizzabile da chiunque. 

Le blockchain e le dapp costruite sopra sono quasi sempre open source. Questa caratteristica rende i prodotti del mondo crypto trasparenti, liberi, decentralizzati e modificabili da tutti e perciò coerenti con i principi di “partecipazione” che il Web3 intende rappresentare. Scopri il significato di open source nella blockchain e la storia del termine in questo articolo.

Che cosa significa open source? Il significato e la storia del termine

Per comprendere a pieno il significato di open source nella tecnologia blockchain è necessario prima dare una definizione generale. Un programma open source non è altro che un codice informatico progettato per essere accessibile pubblicamente.

Non è un concetto o un termine nuovo; già dagli anni ‘50 i primi che hanno  gettato le fondamenta di internet e costruito i primi protocolli per le telecomunicazioni lo hanno fatto con l’idea di aprire le proprie ricerche a chi voleva contribuire. 

L’Advanced Research Projects Agency Network (ARPANET), diventata in seguito la base di internet che tutti conosciamo e utilizziamo, sosteneva un processo di lavoro libero, che promuove  la condivisione di revisioni e feedback tra sviluppatori e utenti. Così “open source” è diventato un termine che indica un vero e proprio metodo di lavoro

Perciò il significato di open source nella tecnologia blockchain (e non solo) è proprio questo: un approccio allo sviluppo di software decentralizzato e collaborativo che si basa sul meccanismo della peer review. Ovvero su revisioni condotte da altri sviluppatori o dagli utenti. Questo metodo di lavoro promuove la trasparenza perché tutti possono vedere con i propri occhi il lavoro svolto, nonché la collaborazione per un obiettivo comune dato che chiunque può accedere e suggerire modifiche al codice sorgente.

Alcuni esempi di programmi open source nella blockchain

Il codice open source è uno dei principi cardine della blockchain, e senza questa caratteristica, l’intera tecnologia perderebbe di significato. Fin dalla sua nascita la blockchain e di conseguenza le criptovalute hanno condiviso l’ideale che questo metodo di lavoro incarna. 

Lo stesso codice di Bitcoin, è open source. Ethereum ha introdotto gli smart contract, e quindi la possibilità di creare applicazioni decentralizzate (dapp), consentendo a tutti gli utenti di accedere al suo codice. Anche le dapp che potresti aver già utilizzato sono spesso copie di altre applicazioni alle quali vengono apportate alcune modifiche, attraverso il codice. L’esempio più lampante in questo senso è Sushiswap, un’exchange decentralizzato costruito modificando il codice sorgente di quello che è oggi il suo principale competitor: Uniswap. E infine i fork, che sono per definizione delle copie di altre blockchain, non esisterebbero se il mondo crypto non si basasse su programmi open source.

Ecco dunque il significato di open source nella tecnologia blockchain. Un aggettivo che descrive progetti, prodotti e applicazioni costruite secondo i principi di scambio aperto, partecipazione collaborativa, trasparenza e sviluppo orientato alla comunità. Questo metodo di sviluppo condivide gran parte dei principi cardine della tecnologia blockchain, in particolare quello della trasparenza e della decentralizzazione.

BTP Italia: cosa sono, come funzionano e come comprare

BTP Italia: cosa sono, come funzionano e come comprare

Cosa sono e come funzionano i BTP Italia? Tutte le info utili sui bond indicizzati all’inflazione: caratteristiche e modalità di acquisto

Ti sei mai chiest* cosa sono i BTP Italia e come funzionano? Cosa succede quando vengono emessi? Al governo servono a finanziare spese pubbliche, dalle infrastrutture all’istruzione. Per gli investitori invece sono uno strumento sempre più apprezzato per ottenere dei rendimenti calcolati sull’andamento del caro vita. Continua a leggere per scoprire cosa sono e come funzionano i BTP, i primi bond indicizzati all’inflazione. 

BTP Italia: cosa sono 

Dunque cosa sono i BTP Italia? “BTP” è la sigla di “Buoni del Tesoro Poliennali” cioè titoli di Stato emessi dal Tesoro italiano. Nel nostro paese esistono tre tipi di obbligazioni governative: i BOT (Buoni ordinari del Tesoro), i CTZ (Certificati del Tesoro zero-coupon) e i BTP. Questi sono strumenti finanziari che un governo emette per raccogliere denaro dai mercati finanziari e dagli investitori, promettendo di restituire il capitale investito più gli interessi entro la scadenza del titolo. Questa tipologia di titoli viene chiamata anche bond ed è considerata una categoria di asset sicuri e poco rischiosi in quanto lo Stato ha basse probabilità di fallimento e poiché hanno una bassa volatilità

I titoli di Stato, come i BTP Italia, sono uno strumento importante per la gestione del debito pubblico, poiché consentono di finanziare le attività senza dover aumentare le tasse ad esempio.

I BTP sono titoli di debito (obbligazioni) a medio-lungo termine, con una durata compresa tra i 3 e i 30 anni, e sono destinati sia agli investitori privati che istituzionali. 

I BTP Italia si differenziano rispetto ai tradizionali titoli di Stato perché:

  • L’investimento minimo richiesto è di soli 1.000 euro;
  • La durata dei titoli può variare tra i 3 e i 30 anni;
  • Il tasso di interesse è stabilito in base all’inflazione, con l’aggiunta di un premio per chi mantiene il titolo fino alla scadenza; 
  • I BTP Italia sono indicizzati all’inflazione italiana, ovvero tengono conto della svalutazione del denaro a causa del caro vita. 

Come funzionano i BTP Italia?

Sapere cosa sono i BTP Italia ci aiuta già a capire come funzionano. Infatti il loro meccanismo è simile agli altri bond, se non per le differenze citate in precedenza. In poche parole, il Tesoro italiano sotto il Ministero dell’Economia e delle Finanze, emette i titoli e gli investitori che li acquistano diventano loro creditori. 

La particolarità di come funzionano i BTP Italia risiede nel fatto che l’interesse maturato è indicizzato all’inflazione italiana che viene calcolata ogni 6 mesi. Ciò significa che se l’inflazione aumenta, anche l’interesse dei BTP Italia aumenterà. Questo meccanismo garantisce agli investitori una protezione contro l’inflazione, che può erodere il valore degli investimenti nel tempo.

Inoltre l’investitore riceve un premio aggiuntivo se non riscatta il titolo prima della scadenza. Questo premio è determinato dal Tesoro italiano in base alle condizioni del mercato e può variare di anno in anno. Ad esempio il nuovo BTP Italia con scadenza nel 2028 ha un premio fedeltà dell’8%. 

Come comprare i BTP Italia

Dopo aver chiarito concettualmente cosa sono i BTP Italia e come funzionano, concentriamoci sul lato pratico. Ovvero come si acquistano?

Per comprare i BTP Italia come investitore privato, è necessario rivolgersi ad un intermediario finanziario autorizzato, come ad esempio una banca o un broker online o in alcuni casi anche agli uffici postali, a cui presentare i propri ordini per un minimo di 1.000 euro e con i multipli di questa cifra. La prima fase delle emissioni dei titoli avviene tramita un’asta in cui vengono incrociate le domande e le offerte e quindi stabilito il rendimento del BTP. 

I BTP Italia possono essere acquistati anche alla fine delle emissioni sul mercato secondario (Mercato telematico delle Obbligazioni e dei Titoli di Stato e il Mercato telematico dei Titoli di Stato). 

Ora che sai cosa sono i BTP Italia, come funzionano e come comprarli, tieni d’occhio le pubblicazioni del Dipartimento del Tesoro per scoprire le prossime emissioni. Se vuoi approfondire l’offerta dei bond italiani, considera anche i BTP Green e i nuovissimi BTP Valore.

Come funziona un Piano di accumulo? Tutto quello che devi sapere 

Piano di accumulo: cos’è e come funziona. Tutte le info utili

Cos’è e come funziona un piano di accumulo? Definizione, vantaggi, rischi e cosa considerare prima di sottoscriverne uno

Sapere cos’è e come funziona un piano di accumulo può essere utile a chi sta valutando di mettere da parte qualche risparmio o investire. I piani di accumulo sono degli strumenti finanziari molto apprezzati in Italia, per fare un esempio, la metà degli investimenti sui fondi comuni di investimento è fatta con questa modalità (Assogestioni, maggio 2022). 

Piano di accumulo: cos’è e come funziona

Cos’è in breve un piano di accumulo? Si tratta di un tipo di investimento che consente di creare un “salvadanaio” accantonando dei fondi attraverso versamenti periodici (anche di piccole somme). In sostanza chi sottoscrive un piano di accumulo, chiamato anche PAC, versa denaro ad intervalli regolari per un periodo di tempo concordato. Questi fondi vengono solitamente investiti in prodotti finanziari come fondi comuni di investimento o polizze assicurative e per questo generano un rendimento.  

Per comprendere come funziona un piano di accumulo, bisogna ripassare uno dei concetti base della finanza ovvero quello degli “interessi”. Quando investi in qualcosa percepisci un rendimento espresso in percentuale, questo succede anche nel caso di questo strumento finanziario. Quindi con un piano d’accumulo non metti semplicemente da parte dei soldi, ma li fai fruttare evitando la svalutazione dell’inflazione

Piano di accumulo: vantaggi e rischi

Dopo aver valutato cos’è davvero un piano di accumulo e come funziona, chi lo sceglie lo fa per i seguenti vantaggi: 

  1. Possibilità di investire anche piccoli importi in maniera costante e automatica;
  2. È una modalità per diversificare i propri investimenti;
  3. I piani di accumulo sono flessibili, basati sulle esigenze di ciascuno. Si possono scegliere la frequenza, gli importi, la durata e il bene sottostante su cui investire;
  4. Si possono ottenere dei rendimenti da un capitale che altrimenti rimarrebbe fermo;
  5. I PAC permettono di acquistare un prodotto (come un’azione o un’obbligazione) a un prezzo “mediato” tra i picchi e i crolli del valore, questo contrasta la volatilità del mercato e il concetto del market timing, ovvero l’idea per cui esiste un momento perfetto per investire

Tuttavia i PAC non vanno sottoscritti senza aver valutato i rischi. In particolare bisogna considerare l’andamento del mercato di riferimento dei prodotti su cui viene investito il capitale accumulato. Se il mercato dovesse andare male, il valore dell’investimento potrebbe diminuire e i rendimenti potrebbero essere inferiori rispetto alle aspettative. 

Inoltre è importante considerare eventuali penali e costi aggiuntivi qualora si decidesse di interrompere un piano di accumulo prima del previsto. 

Piano d’accumulo: come sceglierlo 

Esistono tantissime varietà e tipologie di piani di accumulo tra cui scegliere, nell’indecisione è sempre bene valutare: 

  1. I prodotti finanziari in cui viene investito il denaro decidendo il grado di “rischio” che si vuole assumere; 
  2. I costi e le commissioni, tra cui i costi di apertura, di gestione e negoziazione; 
  3. La solidità dell’istituto finanziario o del servizio che propone PAC, che sia in grado di mantenere la sicurezza sul lungo termine. 

Queste e altre informazioni relative al piano di accumulo sono contenute in un documento chiamato KIID, ovvero il “Key Investor Information Document” da consultare prima di ogni investimento. 

In conclusione, analizzando cos’è e come funziona un piano di accumulo risulta evidente come mai sia uno strumento finanziario amato dagli investitori. Con una scelta oculata e una pianificazione attenta, un PAC può essere un modo efficace per raggiungere i propri obiettivi finanziari nel lungo termine.

Google Bard: cos’è e come funziona l’intelligenza artificiale che fa concorrenza a ChatGPT

Google Bard: cos’è, come funziona e le differenze con ChatGPT

Cos’è Google Bard e come funziona? Scopri caratteristiche, funzionamento dell’intelligenza artificiale e differenze con ChatGPT

Cos’è e come funziona Google Bard, l’intelligenza artificiale dell’azienda di Mountain View? Il progetto è finalmente stato lanciato negli Stati Uniti dopo il test pubblico aperto a marzo. Allora il web si interrogava sul ritardo del lancio dell’AI di Google, ora la rincorsa a ChatGPT di OpenAI è ufficialmente iniziata. Cosa si può fare ora con Bard? Quali sono le differenze con la principale competitor?

Google Bard: cos’è e come funziona la nuova intelligenza artificiale

Cos’è dunque Google Bard? Si tratta di una chatbot ovvero una chat che sfrutta l’intelligenza artificiale per dialogare con gli utenti, fornendo risposte o creando contenuti su richiesta utilizzando il linguaggio naturale. Insomma Google Bard funziona come una chat di botta e risposta a cui porre delle richieste, l’interfaccia è simile a quello di un’app di messaggistica. 

Vediamo ora come funziona Google Vard dal punto di vista tecnico. Questa intelligenza artificiale si basa sul modello di apprendimento chiamato Language Model for Dialogue Application (LaMDA) sviluppato dall’azienda stessa. 

Google non è nuova allo sviluppo di tecnologie per l’AI ma in questo periodo pare aver accelerato il suo lavoro, minacciata dai competitor che propongono sempre più alternative pronte a sostituire i motori di ricerca

Google Bard viene presentata come un’intelligenza artificiale in pieno sviluppo, che ha di fronte diversi miglioramenti per il futuro. L’azienda insomma ci tiene a farci sapere che il suo prodotto non è ancora al massimo della forma

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Google Bard: cosa si può fare ora 

Sapere cos’è Google Bard e come funziona, può far crescere la curiosità sulle sue applicazioni. 

Nello specifico l’intelligenza artificiale Google Bard ora può essere usata come un “consulente personale” pronto a eseguire ogni richiesta. Ad esempio dare consigli e suggerimenti (come posso raggiungere il mio obiettivo di leggere più libri quest’anno?), spiegare argomenti complessi come la fisica quantistica oppure per creare contenuti come post per i social network. Pare che Google Bard mostrerà tre diverse bozze per ogni risposta, questa funzionalità è stata voluta per aumentare il senso di autorevolezza. 

Google ha spiegato che per ogni query, Google Bard includerà un pulsante “Google it” per collegare una sessione di ricerca, e che sarà possibile dare feedback con “pollice in su” o “pollice in giù”. 

L’azienda aveva messo le mani avanti durante la fase di test, Google Bard può commettere errori e sarà normale imbattersi in risposte inappropriate: “poiché [le chatbot] imparano da un’ampia gamma di informazioni che riflettono i pregiudizi e gli stereotipi del mondo reale, questi a volte si manifestano nei loro risultati. E possono fornire informazioni imprecise, fuorvianti o false, pur presentandole con sicurezza”.

Al momento la chatbot non può essere usata nel nostro paese, se vuoi provare Google Bard in Italia devi utilizzare un Virtual Private Network (VPN). L’intelligenza artificiale infatti non è disponibile per i problemi di conformità sollevati dal Garante della Privacy. 

Google Bard: le differenze con ChatGPT

Cos’è Google Bard se non la concorrente per eccellenza di ChatGPT? Il progetto di OpenAI è molto avanti nel campo delle chatbot: lanciato a dicembre 2022, è arrivato ora alla versione 4 e nel frattempo è stato integrato da un altro motore di ricerca, Bing di Microsoft

Google Bard per molti è arrivato troppo tardi nella gara dell’intelligenza artificiale. Secondo alcuni dipendenti e investitori invece, il lancio è stato troppo frettoloso e motivato dall’ansia di rimanere indietro. Mai sentito parlare di FOMO?

Ma quali sono le principali differenze tra le due intelligenze artificiali Google Bard e ChatGPT? Paragonando le due chatbot bisogna tenere presente che da un lato abbiamo un progetto appena entrato nel mercato, e dall’altro uno che è in circolazione da mesi e ha avuto tutto il tempo di rodarsi. 

  • Database di riferimento: la prima principale differenza tra Google Bard e Chat GPT è la fonte da cui estraggono le informazioni. Mentre Bard si appoggia direttamente alla rete e alle risorse di Google, ChatGPT utilizza un database interno a OpenAi. Questo archivio è aggiornato solo a Settembre 2021 e non riesce a soddisfare le ricerche più recenti. Le informazioni in tempo reale sono sicuramente uno dei vantaggi di Google Bard. 
  • Integrazione delle immagini: Google Bard, essendo collegato direttamente al motore di ricerca, può fornire delle risposte anche sotto forma di immagini. ChatGPT invece propone solo risultati testuali. 
  • Lingua: Google Bard può parlare solo inglese, mentre ChatGPT comprende ed elabora risposte in diverse lingue, compreso l’italiano, seppur in livelli diversi. 
  • Risposte: mentre di fronte a una query, Bard propone tre bozze, ChatGPT comunica una sola opzione che può essere eventualmente rigenerata. 

Una volta capito cos’è e come funziona Google Bard, la domanda sorge spontanea: reggerà il confronto con gli altri esperimenti sull’intelligenza artificiale? Nelle prossime settimane avremo i risultati e la soddisfazione dei primi utenti, nel frattempo si fa strada la consapevolezza che le chatbot saranno la nuova frontiera delle ricerche sul web. I motori di ricerca devono solo decidere se stare al passo o combatterle. 

Sei sul blog di Young Platform, la piattaforma italiana per comprare criptovalute. Qui puoi trovare le ultime novità su blockchain, Bitcoin e Web3. Raccontiamo da vicino questa economia emergente con un occhio alla finanza tradizionale, così hai tutto quello che ti serve per entrare nella nuova era del denaro. 

Tassazione TFR: guida al calcolo delle imposte sulla liquidazione

Tassazione TFR: guida al calcolo delle imposte sulla liquidazione

Guida al calcolo della tassazione del TFR: spiegazione ed esempio

Come funziona la tassazione del TFR e con quale calcolo si può trovare? Se sei alle prime armi con contratti di lavoro e contributi, forse non sai che quando decidi di incassare il TFR ovvero il “Trattamento di Fine Rapporto” devi pagare delle tasse. Se invece lo stai accumulando già da qualche anno, può esserti d’aiuto leggere questa breve guida al calcolo della tassazione TFR!

Cos’è il TFR e come si calcola

Prima di addentrarci nel calcolo della tassazione TFR, chiariamo innanzitutto cosa si intende per “Trattamento di Fine Rapporto”. In pratica è una somma di denaro che viene riconosciuta a tutti i lavoratori dipendenti alla risoluzione di un contratto di lavoro (sia a tempo determinato che indeterminato). 

IL TFR viene chiamato anche “liquidazione”, “buonuscita” o “retribuzione differita” ed è un compenso erogato con l’ultima busta paga solo alla fine del rapporto lavorativo che sia in caso di dimissioni che di licenziamento o pensionamento.

Per il calcolo della tassazione TFR è indispensabile conoscere l’importo della liquidazione. Il primo passo da fare per trovare questo valore è dividere la propria RAL (retribuzione annua lorda) per 13,5. A questo punto bisogna aggiungere: 

  • il coefficiente di rivalutazione complessivo che corrisponde al 75% dell’indice di inflazione calcolato dall’ISTAT. 
  • Un tasso fisso dell’1,5%. 

Calcolo tassazione TFR: i fattori da cosa considerare 

Il calcolo della tassazione del TFR dipende da diversi fattori come l’ammontare accumulato dal lavoratore ma anche “dove” è stato conservato nel corso del rapporto lavorativo. 

Quando si inizia un nuovo impiego, con la firma del contratto, viene chiesto al lavoratore se intende far maturare il TFR in azienda o destinarlo a un fondo pensione. Questa scelta dipende dalle considerazioni personali di ciascuno dal momento che esistono pro e contro per entrambe le opzioni. In ogni caso questo influenza il calcolo della tassazione TFR come vedremo nell’esempio. 

Un altro aspetto da considerare è un eventuale anticipo del TFR, i lavoratori del settore privato a certe condizioni possono richiedere una quota della loro liquidazione prima della risoluzione del rapporto per far fronte a spese mediche, all’acquisto della prima casa, alla nascita di un figlio. 

Tassazione TFR: il calcolo con un esempio

La tassazione TFR  viene imposta nell’ultima busta paga del dipendente. Tornando ai casi citati in precedenza, se il lavoratore ha mantenuto l’importo in azienda la tassazione prevista va dal 17% fino al 23% (per le imprese con più di 50 dipendenti). Se invece il TFR è stato maturato in un fondo pensione, la tassazione va dal 9% al massimo del 15%

Per chi ha chiesto un anticipo, il calcolo della tassazione TFR è più complesso. La tassazione arriva al 23% per chi ha usato la liquidazione per comprare casa, al 15% se richiesto per spese mediche o motivi personali. In questo caso influiscono anche gli anni di lavoro maturati alla richiesta dell’anticipo. 

Per ricapitolare come si calcola la tassazione TFR, vediamo un esempio. 

TFR di 10.000€:

  • Se in azienda: l’importo finale già tassato varia da un massimo di 8.300€ (17%) a un minimo di 7.770€ (23%);
  • Se in un fondo pensione: l’importo finale già tassato varia da un massimo di 9.100€ (9%) a un minimo di 8.500€ (15%).

La tassazione TFR tuttavia tiene conto di diversi casi particolari, per questo è bene rivolgersi a dei professionisti per effettuare il calcolo della liquidazione in maniera precisa. 

Chi sono i campioni europei del risparmio? La classifica dei paesi

Chi risparmia di più in Europa? La classifica dei paesi

Scopri la classifica dei paesi dove si risparmia di più in Europa

Chi risparmia di più in Europa? Tra la maggior parte degli abitanti del “vecchio continente” c’è la convinzione che i cittadini dei paesi del nord Europa, tra i quali spicca la Germania, siano più propensi al risparmio rispetto a quelli della parte meridionale del continente. Sarà davvero così? Ecco la classifica dei 6 paesi europei in cui si risparmia di più redatta utilizzando i dati dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE).

6° – Austria

Al sesto posto della classifica dei paesi europei in cui si risparmia di più troviamo l’Austria. Uno studio del Vienna Institute for International Economic ha dimostrato come gli austriaci spendono per i loro bisogni primari (casa, trasporti, educazione e salute) soltanto il 30% del loro reddito mensile. Un dato considerevolmente inferiore rispetto alla media europea, che si attesta attorno al 50%. Al contempo però probabilmente si concedono qualche lusso in più dato che mettono da parte, ogni mese, “solo” l’8% circa del loro stipendio.

5° – Belgio

La propensione al risparmio degli abitanti del Belgio è in parte dovuta agli elevati salari percepiti. Il salario medio in questo paese è di circa 1.600€, superiore a quello della maggior parte dei paesi dell’Unione Europea, compresa la Germania. Inoltre in Belgio vi è un elevato grado di consapevolezza finanziaria e un sistema fiscale che offre importanti vantaggi ai contribuenti e attua politiche che incentivano il risparmio a lungo termine. Secondo i dati dell’OCSE, in Belgio le famiglie riescono a risparmiare il 5% di quello che guadagnano al mese. 

I dati della ricerca però non si concentrano soltanto sulla quantità di denaro che le famiglie riescono a mettere da parte. Ma analizzano tanti altri fattori come i debiti che i cittadini contraggono con le istituzioni finanziarie (mutui e finanziamenti), il costo della vita e dei generi alimentari e quanto attentamente le famiglie valutino ogni spesa.

4° – Norvegia

Al quarto posto della classifica dei paesi più risparmiatori d’Europa troviamo la Norvegia. Un paese in cui il reddito pro capite medio è di circa 69.600€ all’anno. La ricchezza dei Norvegesi deriva principalmente dai giacimenti petroliferi presenti sul suo territorio e dalla produzione di energia rinnovabile.

La Norvegia ha un efficiente sistema di previdenza sociale che offre servizi e sussidi generosi per la popolazione. Le famiglie norvegesi riescono a risparmiare circa l’8% del reddito che percepiscono mensilmente.

3° – Germania

La Germania è nota per la sua stabilità economica e anche per la cultura del risparmio condivisa da tutti i suoi cittadini. Al Museo di Storia Tedesca di Berlino dal 2018 è possibile assistere ad una mostra dal titolo “Il risparmio – storia di una virtù tedesca”. Oltre a essere spunto di auto-riflessione per i tedeschi in visita, la mostra offre anche una finestra sulle radici storiche della prudenza finanziaria che caratterizza la nazione. 

Secondo i dati dell’OCSE, negli ultimi due decenni le famiglie tedesche hanno risparmiato costantemente più dell’8% del loro reddito fino a riuscire a mettere da parte circa il 10% delle loro entrate negli ultimi anni.

2° – Irlanda

Gli irlandesi stanno scalando la classifica dei paesi che risparmiano di più in Europa, in particolare dopo la pandemia di COVID-19. Secondo i dati dell’Ufficio Centrale di Statistica gli abitanti dell’Irlanda mettono da parte il 25% di quello che guadagnano, nel 2021 hanno risparmiato quasi 3,9 miliardi di euro, circa il 20% del reddito totale del paese. Prima della pandemia le famiglie irlandesi mettevano da parte in media il 10% del loro salario.

1° – Francia

Siamo arrivati in vetta alla classifica dei paesi che risparmiano di più in Europa, dove troviamo la Francia. Come già anticipato, la classifica stilata dall’OCSE non si concentra soltanto sulla quantità di denaro che le famiglie riescono ad accumulare. Se si guarda soltanto quel dato la Francia occuperebbe una posizione inferiore rispetto alla Germania, dato che i francesi riescono a risparmiare il 9% del loro reddito mentre i tedeschi l’11%.

Tuttavia l’OCSE ha considerato anche che il 94% dei francesi pondera attentamente ogni acquisto ed è alla costante ricerca di offerte e sconti soprattutto per quanto riguarda il denaro speso in generi alimentari. Il che fa di loro un popolo risparmiatore. 

E l’Italia?

Che posizione occupa l’Italia nella classifica dei paesi che risparmiano di più in Europa? Secondo la ricerca dell’OCSE il nostro paese occupa la 12° posizione.

I cittadini italiani riescono a mettere da parte, in media, il 4% del loro reddito mensile e solamente il 68% delle famiglie ha dichiarato di effettuare un’attenta valutazione prima di acquistare un prodotto.

E tu rifletti attentamente e analizzi tutte le offerte prima di comprare qualcosa o spendi i tuoi risparmi senza farti troppi problemi? 

Pianificare le spese mensili e accumulare qualcosa è una vera e propria arte che richiede costanza e forza di volontà. Il risparmio ha diverse sfaccettature, se vuoi mettere da parte anche i tuoi asset digitali, dai un’occhiata alla nuovissima funzione Salvadanaio! Che ti aiuta ad acquistare in maniera automatica e ricorrente le tue criptovalute preferite.

Cos’è il Lipstick effect? Ecco perché nelle crisi economiche si vendono più rossetti

Lipstick effect: cos’è

Diminuisce il potere d’acquisto dei cittadini e schizzano alle stelle le vendite dei rossetti. Ecco cos’è lipstick effect, un fenomeno paradossale che si verifica durante le crisi economiche

Che cos’è il lipstick effect e cosa ha a che vedere con le crisi economiche? Sembra un paradosso ma quando il potere di acquisto si riduce, cresce il consumo di cosmetici e di altri beni economici ma non necessari.

L’origine del lipstick effect risale ad Alan Lauder, figlio degli imprenditori del marchio cosmetico Estée Lauder e primo a parlare di questo effetto. Per corroborare la sua tesi sulle impennate delle vendite dei rossetti, ha creato anche un indice borsistico ad hoc per analizzare il movimento del prezzo dei cosmetici: il lipstick index o “l’indice del rossetto”. Scopri che cos’è il lipstick effect in tempo di crisi, quando è stato teorizzato e i fattori psicologici che lo causano.

Cos’è il lipstick effect e qual è l’origine 

Per capire che cos’è il lipstick effect dobbiamo fare un salto indietro alle origini e tornare ad uno degli anni più difficili della recente storia statunitense, il 2001. Il termine “lipstick effect” infatti è stato coniato durante la crisi economica che ha colpito gli Stati Uniti d’America dopo l’attentato delle torri gemelle e lo scoppio della guerra in Afghanistan. In quel periodo Alan Lauder notò che le vendite dei suoi prodotti aumentavano nei periodi di crisi. La cosa lo stupì perché non si trattava di articoli di necessità. Insomma quando tutti gli altri settori dell’economia vacillavano, le vendite di trucchi e in particolare di rossetti non risentivano del crollo della domanda causato dall’inflazione.

Nonostante Lauder sia stato il primo ad aver spiegato che cos’è il lipstick effect, Winston Churchill probabilmente lo aveva già individuato tempo prima. Durante la Seconda Guerra Mondiale trovandosi costretto a razionare diversi prodotti, escluse categoricamente i cosmetici, secondo lui necessari per tenere alto il morale della popolazione.

Perché i rossetti sono beni “a prova di crisi economica”?

Chiarito che cos’è il lipstick effect e qual è l’origine della teoria possiamo provare a delineare le motivazioni psicologiche e sociologiche che lo provocano. Cosa spinge le persone ad acquistare beni non necessari  il cui simbolo principale è il rossetto? La chiave del fenomeno sta nel la gratificazione che si prova nei momenti successivi all’acquisto di qualcosa che soddisfa qualche nostra vanità. 

In periodi di crisi economica può capitare che il morale sia più basso, fiaccato da continue preoccupazioni per lo stato dei propri risparmi. Così l’acquisto di un prodotto che rimanda alla sfera estetica contribuisce a migliorare nettamente il proprio stato d’animo. 

In questi frangenti comprare rossetti, cosmetici o accessori che per quanto poco costosi non sono davvero necessari, diventa una strategia per sentirsi meglio. Può anche capitare che invece di acquistare il solito lucidalabbra, o lo stesso shampoo di sempre, si opti per un cosmetico di una marca più costosa; In altre parole un rossetto è un lusso accessibile che ci tira su di morale, in periodi in cui si “tira la cinghia” per tutte le altre spese. 

Anche le relazioni sociali contribuiscono ad alimentare il lipstick effect. Durante una crisi economica, le persone possono cercare di mantenere alta la propria autostima attraverso piccoli gesti, come l’acquisto di prodotti di bellezza. 

Infine il lipstick effect è anche un effetto del consumo compensativo, una pratica che spinge le persone a comprare oggetti per la cura personale per compensare l’insoddisfazione che deriva da rinunce più grandi. Durante i periodi più difficili i consumatori riducono nettamente le spese per i beni di alto valore. Non si compra un’abitazione o una macchina o un elettrodomestico, ma oggetti molto più economici ma gratificanti 

Il lipstick effect nel 2023

Perciò il boom delle vendite di cosmetici a cui assistiamo dal 2020 può essere spiegato dal lipstick effect. Secondo una ricerca di mercato di Circana le vendite dei prodotti di bellezza negli Stati Uniti hanno raggiunto i 30 miliardi di dollari lo scorso anno registrando un aumento del 4% rispetto al 2021. Anche i cosmetici di lusso non sono stati da meno, le vendite dei prodotti per la cura personale di Armani e Charlotte Tilbury sono aumentate del 15% rispetto ad un anno fa.

Ora dovresti avere ben chiaro cos’è il lipstick effect e come questo fenomeno porti le persone a farsi dei piccoli regali per sentirsi meglio nei momenti di crisi più duri.
Il lipstick effect racconta quanto le nostre emozioni influenzino il modo in cui gestiamo il denaro. Anche quando la situazione economica ci porta a risparmiare il più possibile, sentiamo il richiamo a concederci un regalo. Bilanciare i nostri desideri alla necessità di mettere da parte qualcosa non è sempre una passeggiata, ma ci sono degli strumenti e delle strategie che ci possono aiutare in questa missione.