BTP Italia 2025: si avvicina la scadenza

BTP Italia 2025: si avvicina la scadenza

Il BTP Italia 2025 è quasi arrivato a scadenza: il 26 Maggio sarà possibile riscattarlo alla pari, cioè al valore iniziale di acquisto. Qui i dettagli

Il BTP Italia 2025 scadrà il prossimo 26 Maggio, a cinque anni dal lancio: nel Maggio 2020, il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) ha emesso questo speciale BTP con l’obiettivo di raccogliere finanziamenti per far fronte all’emergenza Covid-19. Qui trovi tutti i dettagli 

BTP: cos’è 

Il BTP (Buono del Tesoro Poliennale) è “un Titolo di Stato indicizzato al tasso di inflazione nazionale e pensato come strumento di protezione del risparmio dall’innalzamento dei prezzi“. Si tratta pertanto di un’obbligazione emessa dallo Stato italiano per finanziare il debito pubblico che tiene conto dell’inflazione italiana, misurata dall’Istat attraverso l’indice nazionale dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati (FOI), con esclusione dei tabacchi. 

Ma come funziona un Buono del Tesoro Poliennale? In parole semplici, quando compri un BTP stai prestando dei soldi allo Stato. Lo Stato usa quei fondi per coprire le sue spese – il debito pubblico – e in cambio si impegna a restituirti l’intera somma dopo un certo periodo. Nel frattempo, ogni sei mesi ti paga degli interessi, chiamati “cedole“, come premio per avergli affidato il tuo denaro e per proteggerti dall’inflazione. Queste cedole, infatti, vengono aggiornate semestralmente per preservare il tuo potere d’acquisto: se l’inflazione cresce, anche la cedola aumenta. Alla scadenza, riavrai l’importo che hai investito, oppure puoi decidere di vendere il BTP prima, al prezzo di mercato. Una volta capito il funzionamento del BTP, concentriamoci sul BTP Italia 2025.

BTP Italia 2025: come funziona

Il BTP Italia 2025, presentato nell’introduzione di questo articolo, presenta caratteristiche differenti rispetto al BTP “classico”. Questa speciale emissione è stata concepita per favorire i piccoli risparmiatori individuali, i cosiddetti retailer. Tale tentativo è visibile principalmente nell’importo minimo acquistabile, che per questi strumenti finanziari è pari a 1000€

Il BTP Italia 2025 all’epoca dell’emissione riconosceva un un tasso lordo reale annuo dell’1,40% su base semestrale. In altre parole, chi lo ha sottoscritto, ha ricevuto ogni sei mesi una cedola dello 0,70%, rivalutata in base all’inflazione (aumento dei prezzi) registrato nel periodo di riferimento.

Questo particolare Titolo di Stato prevede poi un premio fedeltà raddoppiato all’8 x mille per coloro che riscatteranno il titolo alla scadenza, tra poco più di un mese. 

Negli ultimi anni sono state emesse diciannove diverse versioni con una durata che va dai 4 agli 8 anni ma, invece che attraverso il meccanismo tradizionale dell’asta, sono stati offerti al pubblico sulla piattaforma MOT di Borsa Italiana – Euronext.

BTP Italia: come e dove acquistarli?

Un’altra caratteristica che rende questi strumenti finanziari più adatti ai retailer è connessa al modo in cui si possono acquistare. A differenza ad esempio dei Buoni Ordinari del Tesoro (BOT) o dei BTP “classici”, sono distribuiti sul Mercato Obbligazionario Telematico (MOT), un portale accessibile attraverso qualsiasi sistema di home banking abilitato alle funzioni di trading. Oppure possono essere acquistati, come tutte le obbligazioni governative italiane, presso la propria banca o un Ufficio Postale Abilitato.
Ora che sai quand’è la scadenza dei BTP Italia 2025 puoi valutare se acquistare nuovamente questi strumenti finanziari durante la prossima emissione. Tuttavia, se intendi costruire un portafoglio di investimento più diversificato, potresti anche avvicinarti ad asset con un diverso bilanciamento tra rischio e rendimento. Per esempio Bitcoin, che negli ultimi anni si è dimostrato altrettanto (o più) efficace per proteggersi dall’inflazione.

Come votare in Italia: la guida

Come votare in Italia: la guida

Come votare in Italia? Quali sono le prossime elezioni? L’Italia è una democrazia e capire bene come e quando votare è fondamentale. Vediamolo insieme

Sapere come votare in Italia è importante per il funzionamento della democrazia: è un diritto sancito dalla Costituzione e il voto è un modo con cui cittadini possono contribuire attivamente al futuro del Paese. Se hai qualche dubbio, in questo articolo troverai tutte le informazioni necessarie per capire come e quando votare in Italia

Come votare in Italia: elezioni amministrative e referendum

Le elezioni amministrative e i referendum sono i primi due appuntamenti elettorali del 2025. Per quanto riguarda le amministrative, i cittadini dovranno recarsi alle urne il 25 e 26 Maggio per il primo turno, con un eventuale ballottaggio previsto per l’8 e il 9 Giugno. L’election day del referendum avrà invece luogo in un unico turno, l’8 e 9 Giugno, in concomitanza coi ballottaggi delle amministrative. In entrambi i casi, i seggi saranno aperti dalle 7 alle 23 di domenica e dalle 7 alle 15 di lunedì

Le elezioni amministrative, anche dette elezioni comunali, si tengono ogni cinque anni per eleggere i rappresentanti degli enti locali, come Sindaci e consiglieri comunali. In questa specifica tornata, andranno al voto 124 comuni. Naturalmente queste elezioni non riguardano tutti i cittadini italiani, ma solo quelli maggiorenni residenti nel comune oggetto di votazione. Non sono previsti voto all’estero né voto fuorisede.

I referendum invece sono cinque e, come anticipato, si terranno l’8 e il 9 Giugno. Quattro di questi si riferiscono a tematiche lavorative, mentre uno tratta il tema della cittadinanza. Se non ne conosci i contenuti, qui troverai i punti fondamentali. I primi quattro quesiti referendari sono stati promossi dalla CGIL e riguardano il mondo del lavoro: con questi si chiederà lo stop ai licenziamenti illegittimi o privi di una giusta causa, la riduzione del lavoro precario in favore di contratti a tempo determinato, maggiore tutela per chi lavora nel mondo delle piccole imprese e più sicurezza sul posto di lavoro. Il referendum sulla cittadinanza, promosso da +Europa, propone il dimezzamento dei tempi di residenza legale in Italia da 5 a 10 anni per la richiesta sulla concessione della cittadinanza italiana. Sono tutti referendum abrogativi – cioè si richiede la rimozione di una legge in vigore – e, in questo caso, il voto è aperto a tutti i cittadini italiani aventi diritto, residenti all’estero e fuorisede. 

Come votare  alle elezioni regionali

Le elezioni regionali sono delle elezioni locali in cui i cittadini residenti in una regione votano per eleggere i propri rappresentanti all’interno del governo regionale: alle urne, dichiarano la preferenza per i componenti del Consiglio regionale e, in alcuni casi, per il Presidente della Regione. Le elezioni regionali del 2025 riguardano sei regioni in totale: Valle d’Aosta, Veneto, Tocana, Marche, Campania e Puglia. La data non è ancora nota dal momento che nel 2020, a causa della pandemia, le elezioni hanno avuto luogo in autunno anziché in primavera. 

Come votare? Per esprimere la preferenza, l’elettore può tracciare il segno sul nome del candidato Presidente o sul candidato Presidente e su una lista a lui collegata o solo su una lista a lui collegata – il voto andrà automaticamente al candidato Presidente. È possibile anche avvalersi del voto disgiunto, votando un candidato Presidente e una lista non collegata. Inoltre è possibile esprimere fino a due preferenze nella stessa lista: se si dichiarano entrambe, queste devono indicare due candidati di sesso diverso. 

Votare alle elezioni politiche in Italia

Le elezioni politiche sono quelle che determinano la composizione del Parlamento italiano, vale a dire della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Le ultime elezioni politiche risalgono al 2022 e hanno visto la vittoria del centro-destra, alleanza di governo che ha portato Giorgia Meloni a ricoprire il ruolo di Presidente del Consiglio. Le prossime sono previste nel 2027, a meno che non si verifichi lo scioglimento delle Camere prima della fine della legislatura – e dunque cada il Governo. Possono votare tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto 18 anni, tanto per eleggere i deputati (Camera) quanto i senatori (Senato). Si può votare per il candidato o per la lista collegata e non è previsto il voto disgiunto: pena l’annullamento della scheda elettorale. 

Come votare alle elezioni europee in Italia e all’estero

Con le elezioni europee, i cittadini europei votano per determinare la composizione del Parlamento europeo che ha sede a Strasburgo. L’Italia è rappresentata all’interno del Parlamento da 76 membri, che gli italiani eleggono in occasione delle europee. Le ultime hanno avuto luogo l’8 e il 9 Giugno 2024 mentre le prossime si svolgeranno fra cinque anni, nel 2029. 

Quindi come si vota alle elezioni europee? Possono esprimere il voto tutti i cittadini italiani maggiorenni residenti in Italia o all’estero e, anche in questo caso come nei precedenti, in Italia non è possibile votare online, per corrispondenza e per procura. Se sei un cittadino italiano residente all’estero, è necessario essere iscritti all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) e recarsi presso i seggi allestiti nelle sedi diplomatiche. Si può votare per il partito preferito e – come solo in Danimarca, Belgio e Paesi Bassi – esprimere fino a 3 preferenze, indicando nome e cognome dei candidati, purchè di sesso diverso. Anche qui, non è previsto il voto disgiunto. 

Votare è un diritto, ma anche un dovere

Ora che conosci i prossimi appuntamenti elettorali e sai come votare in Italia, non resta che recarti al seggio elettorale per esprimere il tuo voto. Nota Bene: per votare è necessario presentarsi al seggio con documento di identità e tessera elettorale validi, altrimenti non potrai esercitare il tuo diritto di voto!

Il consiglio finale è di informarti costantemente sulla politica – se non ti occupi della politica, la politica si occuperà di te! – per essere un cittadino attento a quello che succede. Qui vedrai molti contenuti a sfondo politico ed economico, inizia iscrivendoti a Young Platform!

Azioni Nintendo: Switch 2 traina il titolo

Azioni Nintendo: Switch 2 traina il titolo

Le azioni Nintendo, quotate al Tokyo Stock Exchange (TSE), hanno raddoppiato il loro valore in due anni, mettendo a segno un +93%. Il trend continuerà?

A quasi 8 anni dal lancio della Switch, Nintendo annuncia ufficialmente l’uscita della Switch 2, prevista per il 5 Giugno. Trainato dai rumor sull’arrivo della nuova console, il titolo ha messo a segno un +93% negli ultimi due anni, passando da circa 5.600 yen (38,6$) al prezzo attuale di 10.040 (70,5$). Quali sono le previsioni future?

Azioni Nintendo: il rally comincia con la Switch

Col lancio della prima Nintendo Switch nel 2017, il colosso giapponese ha scacciato gli spettri del fallimento che hanno colpito molte società iconiche del periodo 1990/2010, penalizzate dall’incapacità di adattamento ai cambiamenti – vedi Blockbuster. La Nintendo era sull’orlo del precipizio a causa dell’insuccesso di Wii-U e sembrava arrivata ad un vicolo cieco: il mondo del gaming stava attraversando un periodo di rivoluzione e il mercato non aveva più tanto spazio per le console “vecchio stile” simbolo dell’infanzia di intere generazioni. Ai vertici dell’azienda giapponese era chiaro che serviva un cambio netto, uno “switch”. Iniziano i lavori sul nuovo prodotto, circolano i primi rumor e a Luglio 2016 il titolo fa +74%. Meno di un anno dopo, a Marzo, arriva il momento del lancio e le azioni Nintendo passano dal valore di 2.300 yen ai circa 7.800 yen (+190%) di Giugno 2021, quando comincia il declino: in un mondo in cui l’innovazione viaggia alla velocità della luce, la Switch stava diventando obsoleta e la richiesta di un upgrade si faceva sempre più forte. 

Switch 2: la ripartenza del titolo

Le azioni Nintendo smettono di crescere e tra il 2021 e il 2023 arrivano a perdere fino al 25%, toccando il prezzo minimo di 5.000 yen (33,8$). La Switch stava andando molto bene, con più di 120 milioni di unità vendute alla fine del 2022 e l’ingresso nella top 3 delle console più vendute di tutti i tempi, dopo il Nintendo DS e la PlayStation 2. Tuttavia erano già passati sei anni dal lancio e la platea di gamer chiedeva qualcosa di nuovo. Iniziano a circolare voci sul prossimo prodotto e da Aprile a Luglio 2023 il titolo registra un +30%, assestandosi fra i 6.000 e i 6.500 yen (tra i 40$ e i 45$). Il rally prosegue alimentato dall’hype di alcune dichiarazioni, dai leaks e da notizie rilevanti, come la riduzione della partecipazione del fondo sovrano saudita (PIF), che migliora la percezione di stabilità finanziaria della Nintendo, considerata meno esposta a speculazioni. Il 21 Gennaio 2025 la Switch 2 viene finalmente rivelata su Youtube e le azioni Nintendo toccano l’ATH (All Time High) il 19 Febbraio, raggiungendo il valore massimo assoluto di 11.800 yen (78,7$). 

Azioni Nintendo e il futuro: i dazi potrebbero complicare la situazione

Dall’ATH del 19 Febbraio le azioni Nintendo hanno perso poco più del 12% del loro valore e, al momento in cui scriviamo, viaggiano intorno ai 10.000 yen. Ciò è dovuto a più fattori: da un lato, le notizie negative come il rinvio della data di vendita al 5 Giugno (era prevista a inizio primavera) e il prezzo di 469€/530$ considerato troppo alto; dall’altro, la politica economica trumpiana e i dazi, che potrebbero far lievitare ulteriormente il prezzo soprattutto in Cina, uno dei mercati del gaming più importanti e remunerativi al mondo. 

Per quanto riguarda il futuro prossimo, Tradingview ha chiesto a 23 analisti di dare una proiezioni a un anno sulla performance delle azioni Nintendo: il prezzo massimo stimato è 16.000 yen (+59%), mentre quello minimo 6.000 yen (-39%), con un prezzo medio di 11.530 yen (+14%). Nintendo riuscirà a battere le previsioni anche stavolta? Iscriviti per non perderti gli aggiornamenti!

Scommesse Roland Garros 2025: statistiche, quote e un’alternativa più valida

Paris Roland-Garros 2025 : statistiques et alternative intelligente aux paris

Scopri se ha senso scommettere sul Roland Garros 2025 o se è meglio investire quei soldi. Dati, statistiche e alternative per farli fruttare davvero.

Il secondo grande slam dell’anno, che apre la “stagione di fuoco” del tennis mondiale, è alle porte. I principali bookmaker e siti di scommesse danno come favorito lo spagnolo Carlos Alcaraz, soprattutto perché il nostro Jannik Sinner rientrerà solo poco prima dell’inizio del torneo, quando avrà scontato la discussa squalifica per doping che lo tiene fermo ai box. In terza posizione nelle quote troviamo Novak Djokovic, leggenda vivente di questo sport.

Ma dopo aver passato in rassegna i favoriti, è il momento di alzare lo sguardo: quanto è davvero possibile guadagnare con le scommesse sul tennis? E se ci fosse un modo più intelligente per usare quei soldi?

Roland Garros: storia, fascino e i favoriti

Se segui il tennis con costanza lo sai bene: il Roland Garros è uno dei quattro tornei più importanti al mondo, nonché il secondo più prestigioso in Europa dopo Wimbledon. Si gioca a Parigi, nello storico stadio dedicato a Roland Garros, aviatore ed eroe della Prima Guerra Mondiale, noto per essere stato il primo a sorvolare il Mar Mediterraneo e a installare una mitragliatrice sugli aerei da combattimento.

Il Roland Garros è anche l’unico Slam su terra rossa, una superficie che rende il gioco particolarmente fisico e imprevedibile. Dal 1891 si disputa con cadenza annuale, e dal 2005 è stato il regno incontrastato di Rafael Nadal, che lo ha vinto 15 volte in 19 anni.

Nel circuito femminile, invece, la situazione è stata più aperta. Ma negli ultimi anni si è imposta Iga Świątek, che ha vinto 4 delle ultime 5 edizioni.

Essendo uno dei quattro tornei di tennis più importanti al mondo, le scommesse sul vincitore del Roland Garros attirano, ogni anno, milioni di appassionati. 

Secondo i dati dell’Agenzie delle Dogane e dei Monopoli (ADM), solo nel 2023 sono stati scommessi oltre 2 miliardi di euro su eventi sportivi in Italia, con il tennis stabilmente nella top 3 degli sport più giocati. Ma a questo punto sorge una domanda fondamentale: quante sono davvero le probabilità di vincere?

Solo il 5% dei giocatori guadagna davvero dalle scommesse sportive

Se stai valutando se fare una scommessa sul vincitore del Roland Garros, devi sapere una cosa: secondo uno studio pubblicato dal Journal of Gambling Studies, meno del 5% degli scommettitori sportivi riesce a ottenere un profitto duraturo.

E no, il motivo non è (solo) la fortuna: è matematica. Si chiama payout atteso, un concetto che abbiamo già affrontato più volte sul nostro blog. In pratica, ogni quota che vedi è stata calcolata tenendo conto del margine applicato dal bookmaker, che è sempre a suo favore.

Cosa significa in breve? Che le scommesse sportive sono giochi a somma negativa per il giocatore. In media, solo l’85–88% del capitale giocato viene redistribuito tra gli scommettitori, mentre il resto finisce direttamente nelle casse dei bookmaker.

E no, nemmeno conoscere bene il tennis o essere convinto che Jannik Sinner vincerà il Roland Garros ti mette al riparo da questa legge.

E se invece investissi quei soldi?

Ora immagina di prendere i 50€ che stai per puntare su una multipla con Alcaraz, Sinner e Djokovic. Invece di scommetterli, li investi in un ETF azionario diversificato, che storicamente ha reso in media tra il 6% e l’8% annuo.

Al contrario delle scommesse sportive, gli investimenti (se fatti con criterio e orientati al lungo termine) sono un gioco a somma positiva, perché il valore dei mercati, nel tempo, tende a crescere.

Non stiamo demonizzando il gioco d’azzardo. Il Roland Garros è un torneo storico e bellissimo da seguire. E giocare una schedina ogni tanto per rendere più coinvolgenti le partite non è un crimine. Ma ogni azione che facciamo con i nostri soldi dovrebbe partire dalla consapevolezza.

Se il tuo obiettivo è mettere da parte qualcosa, far crescere il tuo denaro, non puoi affidarti alla fortuna o alla tua conoscenza sportiva. Devi giocare una partita diversa, quella sul lungo termine. E come abbiamo visto, non ha senso puntare su qualcosa che restituisce un valore negativo nel tempo per definizione.


BTCFi: cos’è e come funziona la Defi su Bitcoin

BTCFi: cos'è e come funziona la Defi su Bitcoin

Taproot ha permesso a Bitcoin di aumentare la sua competitività aprendo a nuove funzionalità: smart contract e DeFi. Nasce la BTCFi. Di cosa si tratta?

L’aggiornamento Taproot del 2021 ha permesso a Bitcoin di aumentare la sua competitività migliorando efficienza e privacy e di aprire a nuove funzionalità storicamente estranee al protocollo: smart contract e DeFi. Da quel momento, sono stati fatti numerosi passi avanti tanto che oggi si parla di BTCFi (Bitcoin + DeFi). Di cosa si tratta?

DeFi: la finanza per tutti

La DeFi, sintesi fra Decentralized e Finance (Finanza Decentralizzata) è un universo di servizi finanziari che punta ad escludere gli intermediari tradizionali – propri della finanza centralizzata – e i relativi costi. Ciò è possibile perché la DeFi è costruita su blockchain e funziona grazie agli smart contract, accordi digitali auto-eseguibili, scritti in codice e registrati su una blockchain, che si attivano automaticamente al verificarsi di condizioni predefinite, senza bisogno di intermediari. 

Si parla di finanza decentralizzata dal 2015, quando Ethereum ha lanciato gli smart contract che, come abbiamo visto, sono fondamentali per il suo funzionamento. Se ti interessa approfondire l’argomento, in questo articolo trovi tutto ciò che ti serve.

Oggi il TVL (Total Value Locked, indicatore che misura il valore totale degli asset depositati in un protocollo di finanza decentralizzata) complessivo nella DeFi si aggira intorno ai 90 miliardi di dollari e più del 50% risulta bloccato proprio su Ethereum. Tuttavia negli ultimi mesi qualcosa è cambiato.

Taproot: che la DeFi su BTC abbia inizio!

L’aggiornamento Taproot è considerato un upgrade significativo per il network di Bitcoin, dal momento che ne aumenta l’efficienza, la privacy e soprattutto estende le capacità degli smart contract. Ciò è reso possibile da due funzioni principali, il MAST e le firme di Schnorr, e da Tapscript, l’aggiornamento del linguaggio di programmazione di Bitcoin: ne abbiamo parlato in modo approfondito qui.

Taproot ha abilitato nuove possibilità di programmabilità e privacy all’interno del protocollo e la conseguenza di queste novità riguarda naturalmente anche Bitcoin, che guadagna casi d’uso

Bitcoin domina il mercato, ma è poco sfruttato nella DeFi

Com’è noto, BTC rappresenta circa il 63% della Market Cap totale del mondo cripto, con un controvalore di circa 1.6 trilioni di dollari. Tuttavia, a causa dell’incompatibilità tra la sua blockchain e quella di Ethereum, risulta abbastanza complesso per gli holder trovare una soluzione sicura che permetta di far fruttare l’asset detenuto. Esistono ovviamente dei modi, come il wrapping e il bridging, processi che consentono di “trasferire” Bitcoin dalla blockchain nativa ad altre chain, come quella di Ethereum. 

Wrapping e bridging: soluzioni rischiose

Il problema principale risiede nella sicurezza delle operazioni, dal momento che ci si espone ai rischi legati alle entità che intervengono in questi processi: merchants, servizi di custody e bridge potrebbero subire attacchi ed exploit, a cui si aggiunge il rischio intrinseco delle singole piattaforme che operano nella DeFi. Ma forse il deterrente principale è uno solo e cioè il fatto che solitamente chi holda Bitcoin non vuole separarsene per nessun motivo al mondo, e queste operazioni passano per forza attraverso i wallet custodial

Da qui il bisogno di implementare qualcosa che soddisfi queste richieste: la DeFi su Bitcoin o BTCFi.

Cos’è la Bitcoin DeFi?

La BTCFi è un ecosistema di applicazioni decentralizzate (DApps) di natura finanziaria costruite su Bitcoin. Per quanto possa sembrare una definizione semplice, in realtà porta con sé conseguenze complesse, soprattutto se si fa il rapporto con le “vecchie” modalità d’uso di BTC nella DeFi. Le principali differenze:

  • Network: Se nell’ecosistema DeFi di Ethereum occorre utilizzare WBTC per operare, esponendosi ai rischi che abbiamo visto poco fa, sulla BTCFi le operazioni vengono processate direttamente con BTC.
  • Sicurezza: se nel wrappare BTC occorre fidarsi del custodian, del mechant, del bridge, delle piattaforme DeFi e dell’infrastruttura sottostante, la BTCFi si fonda sulla blockchain di Bitcoin, unica al mondo per sicurezza e decentralizzazione.
  • Uso: se WBTC su Ethereum (o su altre chain) viene usato principalmente come collaterale o mezzo di scambio nei DEX, la BTCFi apre potenzialmente a tutti i casi d’uso propri della DeFi tradizionale, come vedremo di seguito.
  • Custodia: se Bitcoin wrappato è detenuto da un custode come BitGo, che è un’entità centralizzata, la BTCFi è nativamente non custodiale poiché gestita esclusivamente da protocolli decentralizzati. 

I vantaggi di una DeFi nativa su Bitcoin sono evidenti e i bitcoiner sembrano averlo compreso bene, i grafici di Defillama parlano chiaro: da Aprile 2024, il TVL sulla chain di Bitcoin è aumentato da 490 milioni di dollari a 5 miliardi, equivalenti a 63.000 Bitcoin. 

Al momento, i protocolli che sono riusciti a catalizzare più BTC sono Babylon, Lombard e Solv Protocol, col primo dei tre a dominare la classifica con quasi 4 miliardi di dollari (su 5) di Bitcoin presenti sulla chain. Seguono Lombard e Solv Protocol.

BTCFi: come si usa?

Come abbiamo detto poco fa, con Taproot Bitcoin guadagna casi d’uso simili a quelli della DeFi tradizionale, con la differenza che è tutto costruito e sviluppato sulla blockchain nativa, senza necessità di wrapping o bridging. Vediamo alcuni casi d’uso pratici introdotti da protocolli nativi della blockchain di BTC.

Restaking con Babylon

Babylon, per esempio, permette di mettere bloccare i BTC sulla rete Bitcoin per garantire e partecipare attivamente alla sicurezza di altre reti Proof-of-Stake. Questo meccanismo, da tempo popolare sulla mainnet di Ethereum, prende il nome di restaking e, in questo caso, sfrutta la potenza di calcolo dedicata al mining di BTC trasferendola, in modo indiretto, su network proof of stake. Tutto questo accade senza che l’utente se ne accorge, dato che è come se ricevesse ricompense mettendo in staking i suoi BTC, mentre sul fronte opposto le blockchain Proof-of-Stake possono sfruttare i Bitcoin bloccatiper migliorare la loro sicurezza sistemica. 

Liquid staking con Lombard e LBTC

Anche Lombard offre un servizio simile, ma con una caratteristica in più, il liquid staking. Una volta bloccati i propri BTC si potrà mintare LBTC, un asset collateralizzato 1:1 con Bitcoin, per generare un’ulteriore rendita. Grazie alla sua natura cross-chain è possibile usare LBTC “in giro” per la DeFi, come collaterale per lending and borrowing o anche per fornire liquidità ai DEX. Insomma LBTC è l’equivalente di stETH per la BTCFi.

Solv Protocol: verso una liquidità unificata

Infine Solv Protocol, che allo stesso modo offre servizi di restaking, emette una versione di BTC chiamata SolvBTC. Questa rappresenta un tentativo interessante di wrapping di BTC, perchè vuole risolvere il problema della liquidità frammentata di Bitcoin: le varie versioni wrappate di BTC – WBTC, BTCB, BTC.b, ecc. – sono proprie di chain specifiche e presentano scarsa interoperabilità cross-chain, risultando di fatto “siloed”, isolate. 

SolvBTC punta ad unificare la liquidità di Bitcoin su più chain in qualità di riserva universale di BTC per gli user della DeFi, in modo da consentire un utilizzo più agile dell’asset su protocolli diversi. 

Liquid staking avanzato: SolvBTC.LSTs

Inoltre Solv Protocol, come Lombard, presenta anche la funzionalità del liquid staking, poiché bloccando SolvBTC si ottengono in cambio i SolvBTC.LSTs (SolvBTC Liquid Staking Tokens). Questi, a loro volta si dividono in Pegged LSTs, ancorati 1:1 al valore di Bitcoin, e Yield-Bearing LSTs, che invece crescono di valore nel tempo perchè le revenues ottenute con lo stake vengono automaticamente reinvestite nel token.

Siamo solo all’inizio della BTCFi

Come avrai capito, si tratta di un mondo di recente sviluppo con un numero potenzialmente infinito di opportunità di rendimento: utilizzare i propri Bitcoin nella DeFi mantenendo la custodia, senza dover necessariamente utilizzare WBTC, era una possibilità attesa da tempo. Se vuoi essere partecipe del cambiamento che investirà BTC e la DeFi su BTC, clicca qui sotto!

I paesi più ricchi del mondo: la classifica del 2025

I paesi più ricchi del mondo: la classifica aggiornata

Quali sono i paesi più ricchi del mondo? Scopri la classifica

Per stilare la classifica dei paesi più ricchi del mondo si utilizza il PIL (Prodotto Interno Lordo) pro capite aggiustato al PPA (Parità di Potere d’Acquisto), uno dei parametri più efficaci e utilizzati per misurare la ricchezza di un paese. Questo indicatore rappresenta il valore totale dei beni e servizi prodotti in un paese in un anno, diviso per il numero di abitanti e corretto per le differenze di costo della vita tra un paese e l’altro. 
Il PIL a PPA, rispetto al PIL nominale, è un indicatore più preciso poiché misura la quantità di beni acquistabili in diversi paesi utilizzando la stessa quantità di denaro.

Nell’economia globale, la ricchezza è distribuita in modo molto disomogeneo, con alcuni paesi che vantano un PIL pro capite estremamente elevato. Le economie di questi stati sono spesso caratterizzate da settori industriali avanzati, una forte innovazione tecnologica e un elevato livello di istruzione.

Torniamo però al tema centrale di questo articolo: quali sono i paesi più ricchi del mondo? Ecco la classifica aggiornata al 2025.

La classifica dei paesi più ricchi del mondo

Ecco la classifica dei paesi con il PIL pro capite più alto nel 2025, basata sui dati del Banca Mondiale (World Bank). Alcune di queste economie avanzate sono, da tempo, attive nel settore delle criptovalute e della tecnologia blockchain. Il Lussemburgo e Singapore, ad esempio, sono noti per essere hub finanziari innovativi che stanno esplorando attivamente questo mondo. Conoscere Bitcoin, e le altre principali crypto, potrebbe essere un’opportunità per emergere in un contesto economico globale sempre più digitalizzato.

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1. Singapore (141.553$)

Singapore è un hub finanziario e commerciale globale, con una economia forte, basata su servizi finanziari, tecnologie avanzate e commercio internazionale​. In molti sottovalutano l’impatto dell’industria navale della Città-stato, favorita dalla posizione geografica al centro di importanti rotte sulla direttrice est-ovest.

2. Lussemburgo (139.106$)

Con un PIL pro capite di quasi 140.000 dollari, il Lussemburgo si prende il secondo posto nella classifica dei paesi più ricchi del mondo. La sua economia è caratterizzata da un settore finanziario robusto e da un copioso e costante afflusso di capitali esteri.

3. Qatar (128.919$)

Il Qatar deve la sua ricchezza alle enormi riserve di gas naturale liquefatto (GNL), che rappresentano circa il 14% di quelle mondiali. La maggior parte del gas del Qatar si trova offshore nel North Field, immenso giacimento che contiene circa 25,4 trilioni di metri cubi di gas naturale.

4. Irlanda (124.578$)

L’Irlanda, il cui PIL pro capite si aggira intorno ai 125.000$, si posiziona quarta. Il suo successo è dovuto, in gran parte, alla presenza delle sedi europee di multinazionali tecnologiche e farmaceutiche. Questo paese ha attirato, negli ultimi anni, molte imprese di successo, grazie a una situazione fiscale molto favorevole. Da valutare se riuscirà a mantenere questa posizione, dal momento che l’Unione europea vuole rispondere ai dazi imposti da Trump con controdazi sui servizi online

5. Macao (116.491$)

Macao è una regione amministrativa speciale cinese, definita anche “Città-stato”, situata sulla costa sud della Cina continentale e separata da Hong Kong dal Fiume delle Perle. Soprannominata la “Las Vegas d’Oriente”, Macao va avanti affidandosi soprattutto al gioco d’azzardo: secondo il Gaming Inspection and Coordination Bureau, le entrate provenienti da questo settore nel 2024 ammontavano a 28,35 miliardi di dollari (+ 23,9% rispetto al 2023).   

6. Norvegia (100.668$)

Al sesto posto della classifica dei paesi più ricchi del mondo troviamo la Norvegia, prevalentemente grazie alle risorse naturali presenti sul territorio, in particolare petrolio e gas. Anche le imprese norvegesi sono molto sviluppate, all’avanguardia a livello mondiale in diversi campi, anche grazie al grande lavoro svolto dai ricercatori norvegesi.

7. Svizzera (89.315$)

La Svizzera è conosciuta, soprattutto, per la sua elevata qualità della vita e l’efficienza dei servizi, forniti sia dagli enti pubblici che dalle imprese private. Inoltre, il paese dei cantoni, va molto forte nel settore della finanza e in quello industriale.

8. Brunei (85.268$)

SItuata sull’isola del Borneo, nel Sud-est asiatico, il Brunei – ufficialmente Brunei Darussalam, Dimora della Pace – è una monarchia assoluta di stampo islamico che deve la sua ricchezza a ingenti giacimenti di petrolio, sfruttati dal 1929. Inoltre, a causa della bassissima imposizione fiscale attuata unita all’assenza di norme restrittive sul versante delle transazioni finanziarie, rientra tra i cosiddetti paradisi fiscali

9. Stati Uniti (82.769$)

All’ultimo posto della classifica dei paesi più ricchi del mondo ci sono gli Stati Uniti, con un PIL pro capite che si aggira intorno agli 83.000$, gli States sono ancora una delle economie più potenti del mondo. A pesare sul bilancio americano c’è l’enorme mercato interno alimentato dalle aziende tech, finanziarie e industriali più grandi del mondo.
Singapore e gli Stati Uniti sono anche i paesi efficacemente inseriti all’interno del settore delle criptovalute. Se vuoi approfondire questa innovativa branca della finanza, puoi scaricare la nostra app!

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La classifica dei paesi più ricchi del mondo offre uno spaccato interessante su come la ricchezza globale sia distribuita. Questi paesi non solo vantano un elevato PIL pro capite, ma spesso offrono anche una qualità della vita elevata, con accesso a servizi avanzati, infrastrutture moderne e opportunità economiche.

Se vuoi saperne di più sull’economia globale e sui fattori che influenzano la ricchezza di un paese, continua a seguirci per ulteriori approfondimenti.

Crollo in Borsa: cosa sta succedendo?

Crollo in Borsa: cosa sta succedendo?

Panico nella finanza mondiale: Trump annuncia i dazi, Wall Street perde 5.000 miliardi di dollari. Cosa succede? Ecco una panoramica dei principali listini

Mercoledi 2 Aprile il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato i temuti dazi reciproci: oggi il rosso domina i grafici dei principali (e non solo) indici e listini mondiali. Il sentiment è fortemente negativo e il panic selling sta generando una cascata di vendite che sembra decisa a non arrestarsi.

Scopri le performance dei principali titoli e l’impatto di questa crisi sulle principali crypto. 

Wall Street: tempesta improvvisa senza scialuppe di salvataggio

Situazione tesa dalle parti di New York. Dal fatidico “Liberation Day”, la Borsa più famosa del mondo ha registrato perdite comparabili ai PIL di Italia e Francia sommati: dal 2 Aprile sono andati in fumo almeno 5.000 miliardi di dollari, con l’S&P500 che perde più del 10%, così come il Nasdaq (-10,3%) e il Dow Jones il 9,6%. Situazione ancora più critica se si prendono in esame le singole azioni: Apple perde il 19%, Meta l’11,5% e Nvidia il 12,6%. Trend fortemente ribassista che sembra confermarsi anche per questa settimana, dal momento che lunedì mattina i futures sull’S&P500 cedevano il 3,39%, quelli sul Nasdaq il 3,41% e quelli sul Dow Jones il 3,09%. Domenica notte il Presidente Trump ha minimizzato il panico sui mercati azionari: “A volte è necessario prendere dei farmaci per curarsi”, ha dichiarato. Intanto Goldman Sachs aumenta la probabilità di recessione, alzandola al 45%. Oggi però il sentiment sembra differente: sempre lato futures, S&P500, Nasdaq e Dow Jones guadagnano rispettivamente l’1,5%, l’1,3% e il 2%.

Per concludere, la FED ha indetto una riunione a porte chiuse per la “Revisione e determinazione da parte del Consiglio dei Governatori dei tassi di anticipo e di sconto da applicare dalle Banche della Riserva Federale” lunedì 7 Aprile alle 17:30 ora italiana. Per ora sappiamo che nella giornata di venerdì scorso il presidente Jerome Powell ha affermato che “non sembra ci sia bisogno di avere fretta” e che occorre osservare “come si evolve la situazione prima di iniziare ad apportare modifiche“. Riguardo il taglio dei tassi, l’idea condivisa fra i trader vede maggiori possibilità nel meeting di Giugno (al 70%) piuttosto che a Maggio (al 30%). Dall’altro lato Donald Trump, in un tweet di ieri sera, consiglia alla “slow moving” FED di tagliare i tassi, dal momento che non ci sarebbe inflazione. Quale sarà la prossima mossa?

Asia ed Europa: follow the leader

Sul fronte orientale la situazione è molto simile, esacerbata dalla risposta della Cina che ha imposto dei controdazi speculari al 34% sui prodotti USA: gli indici di Shanghai e Shenzhen cedono rispettivamente il 7,17% e il 10,79%, l’indice Hang Seng di Hong Kong mette a segno la peggiore seduta dalla crisi finanziaria del 1997 perdendo il 13,22%, mentre la Borsa di Taiwan aggiorna il record assoluto in negativo, arrivando a registrare cali per il 9,7%

Stesso identico discorso per i listini europei che seguono la scia le chiusure dei mercati asiatici. Le variazioni a una settimana vedono il DAX di Francoforte è giù del 10,8%, il CAC 40 di Parigi del 11,1% così come il FTSE 100 di Londra, che registra perdite per il 10,3%. In casa nostra, il FTSE MIB di Milano attualmente è in negativo del 13,7%,: a pesare, le forti perdite – fino al 12% – che hanno investito il comparto bancario. Discorso leggermente diverso per la seduta odierna, che vede i principali indici europei recuperare mediamente tra l’1% e il 2%

Il mercato crypto si allinea: liquidazioni per 1.4 miliardi

La pioggia di vendite ha investito anche il mercato delle criptovalute, che vede la Market Cap totale scendere del 6,7%, recuperando la soglia dei 2,4 trilioni di dollari, persa durante la giornata di lunedì. L’alta incertezza dettata da questa situazione è riscontrabile nel Fear and Greed Index, in Extreme Fear, oltre che dal crollo notturno di Bitcoin: nella notte fra domenica e oggi, la regina delle criptovalute sta perdendo circa il 5,2% e – al momento in cui scriviamo – viaggia intorno ai 79.000$. Come si legge su NY Times, “the man nicknamed the first Bitcoin president is presiding over a Bitcoin crash”.

Lasciando da parte le emozioni, dal punto di vista dell’analisi tecnica BTC scende per la prima volta sotto la soglia dei 75.000$ da Novembre e va a “sbattere” contro supporti che non si vedevano dal 2021: il principale, la linea dei 69.000$. A proposito, un interessante tweet da parte dell’analista noto su X (ex Twitter) con l’handle @KevinSvenson_ ribalta completamente la narrazione: secondo lui, stiamo assistendo a un retest dei massimi del 2024, localizzati appunto nella zona dei 75.000$. Il tweet continua con uno statement lapidario che recita “questa è l’ultima occasione per $BTC di mantenere la sua macrostruttura rialzista”. 

Per quanto riguarda il fronte Altcoin, Ethereum è arrivato al minimo di 1.415$ nei pressi dello storico supporto dei 1.400$, toccato l’ultima volta nel Marzo 2023. Stesso discorso per Solana, arrivata a toccare il supporto del range 85$-95$ dopo circa un anno. Reazioni decise per entrambe le coin, che per ora si aggirano rispettivamente intorno ai 1550$ e ai 105$.

Però c’è un però, anzi due. Oltre la classica scuola di pensiero che vede le opportunità migliori durante i momenti di crisi, molti analisti offrono uno spunto interessante: il comportamento di Bitcoin potrebbe essere diverso dal solito, forse più maturo. BTC infatti sembra dare segnali di autonomia contro QQQ, l’ETF che replica le 100 aziende dell’NDX, a cui nel breve termine è solitamente correlato. Questa decorrelazione, se confermata, potrebbe indicare forte indipendenza dagli eventi che generalmente turbano il mercato azionario e permettere a Bitcoin di fare un salto di qualità, come asset “diverso”. Tenere d’occhio i grafici in questo periodo può essere una mossa azzeccata e il mercato in questi giorni può regalare emozioni.
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Quante sono le probabilità di vincere al SuperEnalotto?

Le probabilità di vincere al SuperEnalotto

Quante probabilità hai di vincere al SuperEnalotto? Spoiler: pochissime. Probabilmente, anzi, da un punto di vista probabilistico, è meglio investire

Se sei arrivato qui cercando “numeri probabili da giocare al SuperEnalotto” sei nel posto giusto. No, non sappiamo quali usciranno alla prossima estrazione ma sappiamo, per esempio, che le probabilità che esca un 22 o un 77 sono esattamente le stesse.

In altre parole, conosciamo il numero delle probabilità che hai di vincere al SuperEnalotto, nonché la quantità di denaro erosa da ogni schedina. Scopri tutto questo e molto di più, in questo articolo.

Probabilità e SuperEnalotto: in ogni caso è una truffa legalizzata

Tutti abbiamo, almeno una volta nella vita, fantasticato di fare Jackpot al SuperEnalotto e vincere una somma dell’ordine di grandezza dei 100 milioni di euro. Ma lo sai che il premio non è, per niente, allineato con le probabilità che ciò accada

Lo stato italiano quando remunera il vincitore del SuperEnalotto con una cifra da capogiro lo sta, in realtà, truffando in termini di valore atteso e probabilità. Per comprendere a pieno cosa stiamo dicendo dobbiamo mostrarti il calcolo delle probabilità di vincere al SuperEnalotto, ma prima potrebbe essere utile ripassare le regole del gioco.

Le regole del SuperEnalotto

Il SuperEnalotto è un dei giochi più diffusi nel nostro paese, soprattutto per la facilità di comprensione delle regole, la frequenza delle estrazioni e il basso costo “d’ingresso”. Anche se non ha troppo senso parlare di costo di un gioco d’azzardo.

Il suo funzionamento è estremamente semplice: si compila una schedina scegliendo 6 numeri compresi tra 1 e 90, più il SuperStar che fa accedere a ulteriori premi. Ogni combinazione che viene registrata costa 1€, mentre se si vuole provare a indovinare il numero SuperStar si devono aggiungere 0,50€. I numeri vincenti vengono estratti quattro volte alla settimana: martedì, giovedì, venerdì e sabato, sempre alle ore 20:00.

Per semplificare il discorso in questo articolo considereremo soltanto la versione standard di questo gioco, escludendo quindi il numero SuperStar e il Jolly.

Le probabilità di vincita al SuperEnalotto

Ma addentriamoci nella sezione più curiosa di questo popolarissimo gioco, cercando di rispondere alle due domande principali: quanto è probabile vincere una consistente somma di denaro al Super? Si tratta di un gioco giusto?

La risposta alla prima domanda è: molto poco, un numero talmente piccolo in termini percentuali che può benissimo essere approssimato allo zero. Che, se ci pensate, è come dire che è impossibile. 

Per dare subito un riferimento numerico possiamo anticipare che ogni schedina ha una probabilità su 622,614 milioni di vincere l’intero jackpot, e quindi di contenere i 6 numeri vincenti. 

Per esempio, è molto più probabile morire in un incidente aereo (1 probabilità su 9 milioni), o non sopravvivere all’attacco di uno squalo (1 su 3 milioni) che vincere; per quanto riguarda quest’ultimo caso stiamo parlando di un avvenimento ben 200 volte più probabile.

Ok ma scendiamo più nel dettaglio analizzando quanto è probabile indovinare ogni gruppo di numeri che coincide con un premio:

  • 6 numeri o jackpot: 1 probabilità su 622.614.630;
  • 5+1 numeri più numero jolly: 1 probabilità su 103.769.105;
  • 5 numeri più numero jolly: 1 probabilità su 1.250.230;
  • 4 numeri più numero jolly: 1 probabilità su 11.907;
  • 3 numeri più numero jolly: 1 probabilità su 327;
  • 2 numeri più numero jolly: 1 probabilità su 22;

Il valore atteso del SuperEnalotto

Ora che abbiamo chiarito quali sono le probabilità reali di vincita al SuperEnalotto, possiamo chiederci: quanto incassa lo Stato, in media, da ogni schedina giocata? La risposta è piuttosto netta: una parte significativa.

Per calcolarlo, è utile richiamare un concetto già introdotto nei paragrafi precedenti: il valore atteso, ovvero la media ponderata dei possibili esiti, ciascuno moltiplicato per la sua probabilità di verificarsi. In parole semplici: quanto “vale”, in media, ogni euro speso in una schedina.

Ogni combinazione giocata al SuperEnalotto costa 1 euro. Le probabilità di vincere il jackpot sono di 1 su 622.614.630. Se ipotizziamo un montepremi da 100 milioni di euro, scopriamo che per coprire tutte le combinazioni possibili bisognerebbe spendere oltre 622 milioni di euro. In cambio, si otterrebbero 100 milioni.

Questo significa che, in media, per ogni euro speso, se ne “perdono” circa 80 centesimi. Il valore atteso, quindi, è pari a -0,80€ per ogni euro giocato. Ovviamente va considerato anche il valore atteso connesso alle altre combinazioni. Per esempio durante l’ultima, avvenuta questa mattina, chi ha indovinato 5 numeri ha ricevuto circa 43.500, una posta totalmente iniqua se analizziamo le probabilità di vincerla: 1 su 1.250.230. Se calcoliamo il valore atteso 

In altre parole possiamo affermare che il SuperEnalotto può essere considerato una forma di tassazione indiretta: non obbligatoria, ma estremamente efficace. A fronte della promessa di un premio straordinario, il giocatore accetta – consapevolmente o meno – una probabilità infinitesimale di vincita e una perdita media garantita.

A questo punto, è lecito chiedersi: esiste un impiego più razionale di quel singolo euro? La risposta è sì. E si chiama investimento. Anche gli strumenti finanziari presentano un valore atteso, ma con una differenza sostanziale: storicamente, questo valore è positivo. Prendiamo ancora una volta come riferimento l’S&P 500, uno degli indici azionari più stabili e analizzati al mondo. Su un orizzonte di lungo termine, il suo rendimento medio annuo – considerando anche i dividendi reinvestiti – si aggira attorno al 10%.


Crypto-asset: dalla MiCAR al fisco italiano

mica stablecoin

L’adozione del Regolamento MiCA (Markets in Crypto-Assets) segna un importante passo avanti nella regolamentazione delle cripto-attività all’interno dell’Unione Europea. Tra le novità più rilevanti vi è la classificazione delle stablecoin, che ha conseguenze dirette sulla loro tassazione. In particolare, MiCA introduce una chiara distinzione tra token di moneta elettronica (EMT) e token collegati ad attività (ART), con implicazioni fiscali diverse per chi opera nel settore crypto.

Crypto-asset: che cosa vuol dire?

l termine crypto-asset è utilizzato nel regolamento europeo MiCAR (Markets in Crypto-Assets) per identificare qualsiasi forma di asset digitale basato su tecnologie di registro distribuito (DLT), come la blockchain.

Nella classificazione MiCAR, i crypto-asset si dividono in tre categorie principali, ognuna con caratteristiche e trattamenti normativi (e potenzialmente fiscali) distinti:

1. Asset-Referenced Tokens (ART)

Token il cui valore è ancorato a un paniere di asset sottostanti, come valute fiat, criptovalute o materie prime.

Esempio: un token ancorato a un mix di dollaro, oro e Bitcoin.

2. Electronic Money Tokens (EMT)

Token il cui valore è stabilmente ancorato a una singola valuta fiat, come l’euro o il dollaro.
Questi token sono progettati per replicare il comportamento del denaro elettronico, e sono equiparati a valuta tradizionale ai fini fiscali.

Esempi: USDC (classificato ufficialmente come EMT), USDT (considerato EMT secondo interpretazione diffusa).

3. Utility Tokens

Token che danno accesso a un prodotto o servizio all’interno di un ecosistema digitale specifico.
Non sono pensati come mezzo di pagamento, ma come “chiave” d’accesso a funzionalità.

Esempio: token per accedere a servizi su una piattaforma DeFi o a un videogioco web3.

Trattamento fiscale dei crypto-asset

Dal punto di vista fiscale, tutti i crypto-asset possono generare plusvalenze imponibili nel momento in cui:

  • Vengono venduti in cambio di euro o altra valuta fiat
  • Oppure vengono scambiati con EMT, considerati equivalenti a valuta fiat

La categorizzazione MiCAR non ha ancora un impatto diretto unificato sulla normativa fiscale italiana, ma contribuisce a interpretare la natura delle operazioni:

  • Gli EMT, essendo assimilabili a moneta legale, rendono fiscalmente rilevante lo scambio come se fosse una vendita.
  • Gli NFT, anch’essi crypto-asset secondo MiCAR, sono fiscalmente rilevanti solo se ceduti con profitto, anche se manca ancora una disciplina dettagliata su di essi.

In sintesi, “Crypto-asset” è un termine ombrello che copre ogni forma di criptovaluta o token digitale. Qualunque operazione che generi un guadagno da questi asset – indipendentemente dalla loro categoria – può dar luogo a plusvalenze soggette all’imposta del 26%,.

Quando uno scambio è fiscalmente rilevante?

In linea generale, la normativa fiscale italiana – in linea con l’interpretazione del regolamento europeo MiCAR – considera fiscalmente rilevante solo lo scambio tra crypto-asset con caratteristiche e funzioni diverse.

“Non si considerano realizzati i redditi diversi qualora le cripto-attività oggetto di permuta abbiano le medesime caratteristiche e funzioni.

Cosa significa?

Che se scambi due crypto-asset simili – cioè appartenenti alla stessa categoria MiCAR – non realizzi una plusvalenza, e quindi non devi pagare imposte su quell’operazione.

Esempi di operazioni non rilevanti fiscalmente:

  • Bitcoin → Ethereum
    Entrambe sono criptovalute native con funzione di scambio → nessuna imposizione
  • USDC → USDT
    Entrambi sono EMT, ovvero stablecoin ancorate a valute fiat → nessuna imposizione
  • USDT → euro
    Equiparati in funzione e valore → nessuna imposizione
  • DAI → PAXG (entrambi sono classificati ART) → nessuna imposizione

Quando l’operazione diventa rilevante fiscalmente?

Lo scambio diventa fiscalmente rilevante quando coinvolge crypto-asset di categoria diversa, perché in questo caso si considera che tu abbia realizzato un guadagno o una perdita.

Esempio:

Vendi un NFT per degli ETH
L’NFT ha una funzione completamente diversa da Ethereum (non è mezzo di scambio, ma oggetto digitale unico, quindi questo scambio è fiscalmente rilevante. Se lo scambio genera una plusvalenza, cioè il controvalore degli ETH ottenuti dalla vendita è maggiore del valore dell’NFT al momento dell’acquisto, questo guadagno è soggetto a un’imposta del 26%.

Manca una classificazione ufficiale (per ora)

Ad oggi, non esiste una classificazione pubblica, completa e vincolante che assegni ogni singolo token a una delle categorie previste dalla MiCAR (EMT, ART, utility, ecc.).

Questo significa che la categorizzazione è soggetta a interpretazione, e può variare tra operatori, fiscalisti e Stati membri.

Tuttavia, esistono consensi diffusi su alcuni casi pratici:

  • USD Coin (USDC) è stato ufficialmente certificato come EMT, dopo aver completato il processo di due diligence previsto da MiCAR.
  • Tether (USDT) è generalmente considerato un EMT, anche se la certificazione formale è ancora in fase di adeguamento.
  • Bitcoin, Ethereum, Ripple, Uniswap, Litecoin, ecc. sono comunemente trattati come crypto-asset generici, e gli scambi tra loro non sono fiscalmente rilevanti.
  • Token come PAX Gold (PAXG) sono generalemente considerati ART, perché ancorato a un paniere di asset o un asset, come l’oro, diverso dalla valuta fiat.

Come semplifica tutto questo il report fiscale di Young Platform?

Comprendere la categorizzazione dei crypto-asset può essere complesso, soprattutto quando si detengono asset su più piattaforme o wallet.

Per questo, il servizio fiscale di Young Platform applica automaticamente un’interpretazione coerente con la normativa MiCAR, classificando le criptovalute in tuo possesso sia all’interno della nostra piattaforma, sia su altri exchange o wallet esterni.

Tutte le operazioni vengono:

  • Analizzate e categorizzate automaticamente
  • Tracciate con precisione
  • Inserite nel report fiscale completo, con plusvalenze e imposte già calcolate

Hai criptovalute anche su altri wallet o exchange?

Nessun problema: ti basta importare i file CSV delle transazioni, e il sistema genererà un report fiscale unico, consolidato e conforme, pronto per essere utilizzato nella tua dichiarazione dei redditi.

Tutto in pochi clic, senza bisogno di interpretazioni manuali o competenze tecniche.

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Come sono stati calcolati i dazi di Donald Trump?

Dazi di Trump: come sono stati calcolati e l’impatto

Donald Trump ha annunciato i dazi verso tutti i paesi. A quanto ammontano e come sono stati calcolati? Spoiler: male

I dazi annunciati martedì da Donald Trump hanno scosso tutti: politici, cittadini, imprese, ma soprattutto i mercati per via di diversi aspetti. Su tutti, alcuni sono stati evidenziati particolarmente. Uno riguarda i Paesi bersagliati dalla decisione del presidente americano: praticamente tutti, inclusa un’isola dell’Australia abitata soltanto da pinguini, fatta eccezione per Russia, Cuba, Corea del Nord e Bielorussia.

Ma la componente più curiosa di questa decisione dal sapore sovranista e anti-globalizzazione è la modalità in cui i dazi sono stati calcolati. Approfondiamo questo aspetto all’interno di questo articolo.

Un’ondata di tariffe globali

L’offensiva commerciale targata Trump prevede dazi aggiuntivi su praticamente ogni merce importata negli Stati Uniti, con aliquote variabili a seconda del Paese di provenienza. Ecco alcuni numeri chiave del piano tariffario trumpiano:

  • Dazio base universale: +10% su tutte le importazioni verso gli USA​;
  • “Peggiori trasgressori”: circa 60 Paesi accusati di pratiche commerciali sleali subiranno tariffe ben più alte dal 9 aprile. Tra questi, la Cina (+34%, che si somma al 20% già in vigore portando il totale al 54%), il Vietnam (+46%), la Thailandia (+36%), il Giappone (+24%), e tutti i Paesi dell’Unione Europea (+20%) – nel prossimo paragrafo affronteremo questo tema e ci renderemo conto di come sia fuorviante questa classificazione.
  • Stangata sulle auto: confermato un dazio speciale del 25% su tutte le automobili straniere e relativi componenti, un colpo diretto alle case automobilistiche estere.

Trump non ha risparmiato nessuno: dall’Europa alla Cina, dal Giappone al Brasile, tutti “pagheranno dazio”. Persino microstati e territori sperduti compaiono nella lista: dalle isole Svalbard nel Circolo Artico alle remote isole Heard e McDonald (disabitate e popolate solo da pinguini).

“Ci hanno derubato per più di 50 anni, ma non succederà più”, ha tuonato Trump, sostenendo che posti di lavoro e fabbriche torneranno a ruggire negli USA grazie a questi dazi​. Ha persino invitato le imprese estere: “Se volete dazi zero, venite a produrre in America”​. Insomma, America First versione 2.0: questa volta puntando il dito contro praticamente chiunque viva oltre i confini, anche i pinguini.

Come sono stati calcolati i dazi? La confusione tra dazi e IVA

Come avrai notato dalle citazioni, la narrazione di Donald Trump si è sempre basata sulla supposta reciprocità dei dazi. L’ex presidente ha definito i suoi dazi “tariffe reciproche”, sostenendo che gli USA non faranno altro che pareggiare ciò che gli altri Paesi già impongono sui prodotti americani. Detta così, suona quasi ragionevole – peccato che il metodo di calcolo adottato dalla Casa Bianca sia assurdo.

In pratica, Washington ha conteggiato qualsiasi balzello esistente all’estero pur di giustificare dazi elevati, confondendo allegramente l’IVA con i dazi. Per quanto riguarda l’Europa, Donald Trump ha affermato: “L’UE ci fa pagare il 39%!”. Ma questo numero salta fuori dalla somma dei dazi effettivi che l’Europa applica su alcuni prodotti americani (meno del 3%) con l’IVA europea, che però è una tassa sui consumi che varia a seconda del Paese, e persino eventuali tasse ambientali o tecniche di regolamentazione.

In termini ancora più semplici, l’amministrazione USA ha preso ogni tassa esistente su un prodotto in Europa e l’ha interpretata come se fosse una tariffa punitiva contro gli Stati Uniti. Poi, attraverso l’utilizzo creativo di semplici operazioni matematiche, ha calcolato i dazi per come li conosciamo. 

Nessun economista serio metterebbe sullo stesso piano l’IVA (che pagano tutti i consumatori, anche quelli europei) con un dazio mirato alle sole merci straniere – ma evidentemente, nella “realtà alternativa” della guerra commerciale trumpiana, funziona così.

Reverse engineering sul deficit commerciale

La seconda parte del creativo procedimento tramite il quale l’amministrazione Trump ha calcolato i dazi da imporre agli altri Paesi del mondo è ancora più curiosa. Il punto centrale in questo caso è il deficit commerciale. Trump ha sempre visto questo disavanzo come una sorta di score di partita: se gli Stati Uniti importano più di quanto esportano da un Paese, per lui significa che “stiamo perdendo” e che l’altro ci sta imbrogliando.

È noto, ad esempio, che gli USA hanno un deficit di circa 2,5 miliardi di dollari con la Russia (importano da Mosca più di quanto esportino), un dato che in passato Trump sottolineava spesso per giustificare misure punitive.

Tuttavia, durante la sua narrazione, il presidente ha fatalmente confuso questo deficit commerciale con i sussidi, integrandolo nella formula di cui abbiamo parlato sopra. Il risultato? Che i dazi pubblicati ieri dall’amministrazione Trump non sono altro che il risultato del deficit commerciale diviso per l’esportazione del Paese in questione verso gli States.

Ma facciamo un esempio pratico, calcolando al contrario il dazio applicato all’Indonesia. Gli americani hanno un deficit commerciale di 17 miliardi di dollari nei confronti di questo Paese, mentre le esportazioni indonesiane negli Stati Uniti ammontano a 28 miliardi di dollari.
17 / 28 = 0,64 → 64%, proprio il numero che appare sulla tabella di Donald Trump.

Questo è esattamente ciò che riassume la formula pubblicata sulla pagina “Reciprocal Tariff Calculations” del governo: si prende il deficit commerciale degli Stati Uniti in termini di beni con un determinato Paese, lo si divide per il totale delle importazioni di beni da quel Paese, e poi si divide il numero per due. Un deficit commerciale si verifica quando un Paese acquista (importa) più prodotti fisici da altri Paesi di quanti ne venda (esporti) a questi ultimi.

Il possibile impatto di queste decisioni

L’impatto dei dazi imposti da Donald Trump lo abbiamo già visto, almeno superficialmente: durante il primo giorno dalla decisione, il mercato azionario americano è crollato dell’8% circa rispetto a martedì (S&P 500), mentre il NASDAQ ha perso circa il 9% dall’inizio della settimana.

Bitcoin, invece, ha resistito un po’ di più e sta perdendo, per ora, il 7% circa, anche se è ancora in positivo rispetto alla scorsa settimana.

Dal punto di vista geopolitico, invece, la situazione appare ancora più critica. Nello specifico non si comprende il motivo che sta dietro alle decisioni prese dal presidente degli Stati Uniti. Trump sembra voler abolire la globalizzazione, cioè quel processo che ha progressivamente eliminato le barriere al libero commercio, facilitando l’integrazione economica tra Paesi. 

In questo senso possiamo citare un paradosso interessante: in realtà, vendere all’estero dove le merci valgono di più è stato, per molti Paesi, un modo per accelerare l’accumulazione di capitale e avvicinarsi economicamente alle nazioni più ricche. È così che la Cina è decollata. E anche l’Europa, in parte, ha beneficiato dello stesso meccanismo. Ma il vero vincitore della globalizzazione è stato… proprio l’America. Perché?

  • Perché ha conquistato la simpatia di mezzo mondo, sbaragliando il sistema sovietico, che non offriva né consumi né crescita.
  • Perché ha guidato il processo, abbandonando per prima i dazi e mostrando i muscoli dell’economia di mercato.

Il libero commercio ha permesso agli Stati Uniti di emergere come superpotenza culturale, tecnologica ed economica, contribuendo al tramonto dell’Unione Sovietica e della Cina maoista. Ha generato ricchezza.

E oggi? Il commercio globale non danneggia affatto gli USA, al contrario di quanto vuole far credere Trump. Gli Stati Uniti, forti del loro vantaggio tecnologico, si sono concentrati su settori ad alta produttività e valore aggiunto. Il risultato? Il Paese è più ricco, produce meno beni a basso costo (che importa), ma li compra a prezzi convenienti, mantenendo reddito pro capite molto elevato. Questo deriva principalmente dall’egemonia americana nei servizi. Basta pensare a quanti dei servizi digitali che usiamo ogni giorno – da social media a motori di ricerca, da piattaforme di streaming a software – sono progettati, gestiti e monetizzati negli Stati Uniti.