Moody’s declassa le Treasury americane: fuga dal dollaro in arrivo?

Moody’s declassa le Treasury

Moody’s ha appena declassato le treasury americane. Quale sarà l’impatto dell’accaduto? Bitcoin può essere una soluzione?

L’era in cui gli Stati Uniti sembravano possedere una sorta di carta di credito globale illimitata potrebbe davvero essere al capolinea. La notizia è di quelle che scuotono l’economia mondiale: Moody’s ha messo sotto osservazione il debito sovrano americano, declassando di fatto il suo outlook. Non è “solo” una formalità tecnica; è un faro potente acceso su una verità scomoda: i titoli di stato USA, per anni il simbolo della sicurezza finanziaria, non sono più considerati completamente privi di rischio

E questo potrebbe significare che il tempo in cui l’America poteva stampare moneta a piacimento, con il mondo pronto ad assorbirla senza troppe conseguenze, sta per finire. Viene da chiedersi: come si colloca Bitcoin in questo scenario potenzialmente rivoluzionario?

Moody’s declassa le Treasury USA

Sentire che il debito americano non è più intoccabile fa un certo effetto. Dopotutto, per decenni è stata la roccia su cui si è appoggiato l’intero sistema finanziario globale. Ma ecco che le agenzie di rating – questi enigmatici arbitri del credito sovrano come Moody’s, S&P e Fitch – tornano protagoniste, capaci come sono di aprire o chiudere le porte dei mercati a intere nazioni con un semplice cambio di “pagella”.

Dopo questa premessa, che oscilla tra il catastrofico e l’ottimista (soprattutto per chi, come forse anche voi, vede in Bitcoin un’alternativa), cerchiamo di capire cosa è successo davvero. Sostanzialmente, è cambiata una “lettera”, o meglio, la prospettiva su quella lettera. Un avvenimento all’apparenza irrilevante, ma che potrebbe aprire le porte a un cambiamento radicale della finanza come la conosciamo. Moody’s, con il suo recente cambio di outlook (pur mantenendo per ora il rating Aaa), segue le orme di Standard & Poor’s (che declassò da AAA ad AA+ nel 2011) e Fitch (declassamento simile nel 2023), segnalando che la fiducia nel “porto sicuro” per eccellenza non è più incondizionata.

Quali sono i motivi del declassamento?

Le domande sorgono spontanee: perché questo cambio di rotta? Quali saranno le ripercussioni sul dollaro e sui principali indici azionari?

La motivazione principale di questo declassamento “annunciato” la conoscete probabilmente già, se seguite con un minimo di attenzione le dinamiche economiche – e il nostro blog. Il primo, ovvio, colpevole è il debito pubblico USA, la cui crescita può essere definita senza mezzi termini “fuori controllo”. Parliamo di un deficit federale che si avvicina ai 2.000 miliardi di dollari all’anno, circa il 6% del PIL – cifre mai viste, nemmeno durante le crisi più acute degli anni ’70. E questo senza contare il fardello crescente degli interessi su tale debito.

A ciò si aggiunge quella che Moody’s definisce una palese “incapacità politica di invertire la rotta”, ovvero una paralisi decisionale che impedisce di attuare riforme fiscali sostenibili. In breve: “la traiettoria fiscale statunitense è compromessa”. Il vero problema è che la situazione che abbiamo appena descritto sembra destinata a peggiorare. Secondo le stesse proiezioni di Moody’s (e di altri enti come il CBO), il deficit potrebbe schizzare al 9% del PIL entro il 2035, e questo nello scenario più ottimista, senza considerare shock esterni come pandemie, guerre o recessioni. Queste cifre proietterebbero il debito pubblico complessivo verso un terrificante 180% del PIL.

Gli USA non sono più intoccabili?

Il CBO (Congressional Budget Office), per sottolineare la gravità, ha addirittura tracciato un parallelo con il disastroso mini-budget proposto da Liz Truss nel Regno Unito nel 2022, che gettò nel panico i mercati finanziari.

Nel frattempo, come logica conseguenza, i rendimenti dei titoli di stato americani crescono: quello del trentennale ha già toccato o superato il 5%, e il decennale si attesta su livelli simili (es. 4,517% o più). Il motivo è semplice: più uno strumento finanziario è percepito come rischioso, più alto deve essere il suo rendimento per attrarre investitori. Questo, però, significa anche che gli USA dovranno sborsare più soldi per pagare gli interessi ai propri creditori, alimentando un circolo vizioso del debito. E attenzione, perché i rendimenti potrebbero salire ancora: il mercato obbligazionario è spesso più reattivo di quello azionario, e i famosi “bond vigilantes” (grandi investitori che “puniscono” i governi con politiche fiscali allegre vendendone i titoli) agiscono in fretta.

Il CBO stima che entro il 2030, ben il 22% di tutto il gettito fiscale USA (i soldi incassati con le tasse) sarà divorato dal solo pagamento degli interessi sul debito.

La domanda sorge quindi spontanea: l’eccezionalismo del debito USA è al capolinea? Anche gli Stati Uniti dovranno affrontare lo stesso scrutinio e gli stessi problemi di bilancio che noi italiani conosciamo fin troppo bene? La famosa “spending review” busserà anche alle porte di Washington? Bisogna ammettere che il dollaro USA non è una valuta qualsiasi: è la valuta di riserva mondiale, il linguaggio universale della finanza globale, la moneta che le banche centrali di tutto il mondo accumulano. Ma il giochino per cui gli USA stampano denaro senza limiti, sicuri che gli altri Paesi glielo comprino (un concetto legato al Dilemma di Triffin), potrebbe davvero finire.

Come se non bastasse, indiscrezioni recenti suggeriscono che nelle ultime settimane la FED potrebbe aver acquistato ben 43,6 miliardi di dollari di Treasury USA, di cui 8,8 miliardi di titoli di stato con scadenza a 30 anni l’8 maggio. Ciò che preoccupa maggiormente gli analisti non è tanto l’acquisto in sé, quanto il fatto che sarebbe avvenuto in sordina, non supportato da alcun annuncio ufficiale. Un’operazione del genere, se confermata, potrebbe segnalare l’inizio di una nuova fase in cui la banca centrale americana tenta di controllare i rendimenti dei bond (una sorta di yield curve control mascherato) per evitare un cosiddetto “bear steepener” – ovvero una situazione in cui la differenza di rendimento tra obbligazioni a breve e lunga durata diventa eccessivamente marcata. Evitare tale scenario è cruciale: un’eccessiva divergenza nei rendimenti potrebbe infatti costringere la FED ad alzare ulteriormente i tassi di interesse, aggravando il costo del debito e intensificando il circolo vizioso di cui abbiamo parlato.

Bitcoin può essere la soluzione?

E qui arriviamo al nocciolo della questione per molti osservatori attenti. In uno scenario dove la fiducia nella principale valuta di riserva mondiale e nei suoi titoli di stato inizia a incrinarsi, dove il debito sembra una voragine senza fondo e la capacità di ripagarlo senza svalutare la moneta è messa in dubbio, quale ruolo può giocare Bitcoin

In questo senso risuonano quanto mai attuali le dichiarazioni che Larry Fink, il CEO di BlackRock ha inserito nella sua lettera annuale agli shareholders del più grande fondo di investimento al mondo. In quel documento Fink dichiara che “Bitcoin ha le carte in regola per rimpiazzare il dollaro americano, proprio a causa dell’irreversibile situazione legata al debito statunitense.”

Insomma, per chi sostiene Bitcoin, la risposta è quasi ovvia. Di fronte a debiti sovrani fuori controllo e a valute fiat a rischio inflazione per “monetizzare” quei debiti, Bitcoin si propone come:

  1. Una riserva di valore alternativa, un “oro digitale” con un’offerta limitata e prevedibile (massimo 21 milioni di unità), non manipolabile da decisioni politiche o da banche centrali;
  2. Un asset intrinsecamente scarso;
  3. Un sistema di pagamento globale, decentralizzato e resistente alla censura.

Certo, Bitcoin ha la sua volatilità e le sue sfide, ma in un contesto di crescente preoccupazione per la stabilità del sistema finanziario tradizionale, la sua narrativa come potenziale scudo o diversificatore di valore acquista sempre più forza.Il cambio di outlook di Moody’s non è la fine del mondo, ma è un segnale potente. E mentre i pilastri della finanza tradizionale mostrano qualche crepa, un’alternativa digitale, un tempo considerata di nicchia, si fa sempre più strada. Staremo a vedere cosa emergerà dal discorso della FED, ma una cosa è chiara: le fondamenta stanno tremando e il dibattito su cosa verrà dopo è più vivo che mai.


Spese condominiali: manuale di sopravvivenza

Spese condominiali: manuale di sopravvivenza

Le spese condominiali rientrano nell’immenso insieme di seccature tipiche del condominio. Tuttavia, sapere cosa pagare è cruciale. Qui il manuale

Le spese condominiali sono solo una delle numerose noie che costellano la vita di chi vive in un condominio. Naturalmente, il primo posto spetta di diritto alle fatidiche riunioni: luoghi immortali di scontro verbale e fisico che tormentano le sere di madri e padri di famiglia. È nato prima l’uomo o la riunione condominiale? In ogni caso, in questo articolo purtroppo (o per fortuna) ci occuperemo solo delle cose da pagare, senza toccare altro. Chi prima inizia prima conclude no? E allora partiamo!

Spese condominiali: come non farsi fregare

Le spese condominiali sono una fra le principali cause di discussione fra gli inquilini di un condominio: le epiche dispute verbali volte a identificare chi non ha messo i soldi per la potatura delle siepi in cortile si susseguono senza fine, perse nelle pieghe della storia. Scherzi a parte, sapere cosa si paga e perché è importante per evitare guai legali e, soprattutto, per non rischiare di sostenere spese inutili. Con questo manuale di sopravvivenza, scopriremo insieme il mondo delle spese condominiali in modo da non rimanere fregati di fronte al temibile e tenebroso amministratore di condominio. Nello specifico, vedremo come si calcolano, quali possono essere detratte, quali spettano al proprietario e quali all’inquilino e, infine, cosa succede in caso di mancato pagamento.  

Ripartizione delle spese condominiali: il calcolo in base ai millesimi

La ripartizione delle spese condominiali è la modalità attraverso cui si assegna a ciascun condomino una quota della totalità delle spese comuni. Il sistema adottato è quello del calcolo in base ai millesimi, che definisce in modo proporzionale l’importo dovuto da ciascun residente. Questo calcolo viene effettuato utilizzando uno strumento, detto tabella millesimale, elaborato considerando la superficie e il volume di ogni singolo appartamento. 

La logica dietro questo sistema concepisce il condominio come diviso in mille parti: ogni unità, in funzione dei parametri esposti prima, equivale a una parte di queste mille. A questo punto, ogni residente dovrà pagare una quota proporzionale alla fetta di condominio di cui è proprietario. Facciamo un esempio. Se per assurdo un condominio ha cinque appartamenti uguali – stesse metrature e stessi volumi – allora ognuno di questi equivale a 200 su 1000 (mille parti diviso cinque). Al pagamento delle spese condominiali, che ipotizziamo essere di 1000€ per semplicità di calcolo, ogni condomino pagherà 200€, ovvero un quinto delle spese comuni totali. Alcune di queste, però, sono detraibili dalle tasse

Spese condominiali detraibili: quali sono?

Le spese condominiali detraibili sono quelle incluse negli interventi di natura straordinaria: la riqualificazione dell’immobile, il miglioramento della classe energetica, la messa in sicurezza antisismica e la manutenzione delle aree verdi condominiali. Insomma, la detrazione fondamentalmente riguarda i lavori che rientrano nei vari bonus erogati a pioggia in questi ultimi anni, come il Superbonus, l’Ecobonus, il Sismabonus e chi più ne ha più ne metta. Non sono invece detraibili le spese ordinarie comuni come quelle relative alla pulizia e alla manutenzione o al consumo di energia elettrica delle aree condivise. Queste spese, per essere scalate dalle tasse, devono essere inserite all’interno del modello 730, cioè del modello per la dichiarazione dei redditi.

Ma cosa succede se chi vive nell’appartamento è in affitto? E se invece è proprietario? Nella prossima sezione esamineremo quali spese condominiali deve pagare uno e quali l’altro. 

Proprietario vs inquilino: a chi tocca pagare?

Fin dai tempi dei primi insediamenti umani, fin dalle prime capanne di legno e argilla, si consuma l’eterna lotta tra inquilino e proprietario. Due entità incompatibili, legate da un contratto firmato e false cortesie: “spese straordinarie, non di mia competenza!” dice il primo, “il regolamento condominiale parla chiaro!” ribatte il secondo, indicando il comma 3-ter/bis dell’articolo 12, scritto in corpo 3 con inchiostro grigio chiarissimo, visibile solo al microscopio ottico. Un’iperbole di fantozziana memoria che ci ricorda quanto il terreno della ripartizione delle spese condominiali sia spinoso e fonte di controversie. Cerchiamo quindi di chiarire una volta per tutte chi paga che cosa. 

Spese condominiali: l’inquilino 

Le spese condominiali che spettano all’inquilino fanno parte della categoria che comprende la manutenzione ordinaria e i consumi. A livello concettuale, l’inquilino è responsabile di ciò che utilizza e lo riguarda durante la sua permanenza: tinteggiatura delle pareti, pulizia delle grondaie, manutenzione di corrimano e ringhiere, disinfestazione, derattizzazione, riparazione dell’impianto elettrico, di riscaldamento e di condizionamento – quest’ultima solo se ordinaria, quindi relativa a piccoli interventi. In sintesi, l’inquilino deve farsi carico dei costi connessi alla gestione e al mantenimento dell’appartamento e del condominio al momento in cui è presente. Per capirci, potrebbe essere utile il paragone con l’affitto di una macchina. Se noleggi un’auto per qualche giorno dovrai occuparti del carburante o delle gomme in caso di foratura, ma non della sostituzione del motore o dell’assicurazione RCA. 

Spese condominiali: il proprietario

Il proprietario invece si occupa delle spese di manutenzione straordinaria, cioè degli interventi riguardanti tutto ciò che viene installato in modo stabile nel tempo, al di là della presenza del coinquilino. Alcuni di questi possono essere l’allacciamento alla rete fognaria, l’installazione della caldaia nuova, la sostituzione integrale di pavimenti e rivestimenti e l’acquisto di bidoni della spazzatura. Quindi, per riassumere, il proprietario deve pagare per tutte le spese che riguardano l’alloggio a prescindere dal coinquilino. 

Esiste poi una serie di costi condivisi fra i due, come le questioni attinenti al portiere del palazzo, se esiste. In questo caso, la spesa è per il 90% a carico dell’inquilino, mentre il restante 10% è compito del proprietario. 

Passiamo ora all’ultimo paragrafo, quello relativo al mancato pagamento delle spese condominiali. 

Spese condominiali non pagate: scatta la prescrizione

La leggenda narra che l’inquilino dell’interno 22, terzo piano, si dimenticò di pagare le spese del condominio di via Roma 35: arrivò l’avviso, poi la raccomandata, infine la condanna unanime da parte dei membri dell’assemblea condominiale, con messa al bando e foto segnaletica. Nessuno sa che fine abbia fatto. Voci dicono che il suo fantasma continui ad aggirarsi fra i contatori, armato di torcia e regolamento. 

La realtà, naturalmente, è ben diversa. Secondo il codice civile, in caso di mancato pagamento è previsto un limite di tempo entro il quale l’amministratore può richiedere il pagamento degli arretrati: cinque anni per le spese ordinarie e dieci anni per le spese straordinarie. Se tale richiesta, sotto forma di domanda formale o azione legale, non ha luogo, il debito va in prescrizione e il condomino moroso non è più legalmente obbligato al pagamento. Nel caso in cui, invece, l’amministratore richieda ufficialmente il rimborso, al momento stesso della presentazione della domanda riparte il conto alla rovescia. Tradotto, significa che il condominio ha più tempo per recuperare la somma mancante perché il limite di cinque o dieci anni si azzera e il timer ricomincia da capo. 

Tutto questo, però, si riferisce al proprietario dell’immobile, che è l’unico vero responsabile per i debiti dell’inquilino. Il primo deve quindi sollecitare il secondo all’estinzione del debito e può avvalersi del diritto di sfratto qualora la cifra arretrata sia pari o superiore a due mensilità di affitto.  

Condomini e blockchain: la tokenizzazione

Per concludere questo viaggio nel fantastico mondo dell’amministrazione condominiale, è interessante collegare la blockchain e i suoi casi d’uso alla semplificazione e all’ottimizzazione delle procedure. Nello specifico, genera molta curiosità la tokenizzazione immobiliare. Tokenizzare un immobile significa rappresentarlo – o frazionarlo – digitalmente attraverso dei token emessi su blockchain, affinché ognuno di questi corrisponda a una parte dell’edificio. Il token, poi, acquisisce o perde valore in funzione dell’aumento o riduzione del prezzo dell’intero stabile. 

Nel caso del condominio, l’associazione immediata è fra token e calcolo in base ai millesimi, di cui abbiamo parlato sopra: essendo “fisicamente” in possesso di un numero di token proporzionale al valore dell’appartamento, i proprietari potrebbero essere più incentivati a collaborare per gestire in modo efficiente gli affari condominiali e prendersi cura delle aree comuni. Una cooperazione di questo tipo, avrebbe ripercussioni positive sul prezzo del token e, conseguentemente, sulla valutazione del complesso condominiale. 

Se hai trovato utile questo vademecum per la sopravvivenza nella giungla delle spese condominiali, faresti bene a iscriverti qui sotto: noi di Young, oltre alle notizie di attualità economica e geopolitica, pubblichiamo spesso guide simili, funzionali alla vita quotidiana, come quella sulla tassazione del TFR o sul bonus bollette. Alla prossima!

Risiko bancario: che cos’è e perché si innesca?

Risiko bancario: che cos’è e come si innesca?

Scopri cos’è il risiko bancario, un’attività giustificata dagli extra-profitti delle banche

Che cos’è il risiko bancario? No, non è l’ultima espansione del vostro gioco da tavolo preferito, anche se le dinamiche di conquista e strategia che lo regolano ci assomigliano parecchio. Questo termine, mutuato con arguzia dal celebre gioco da tavolo, descrive la recente e vivace tendenza degli istituti di credito, specialmente quelli con qualche “carrarmatino” in più, a lanciarsi in operazioni di fusione, acquisizione (M&A) e accorpamento. Un po’ come quando, nel gioco, hai accumulato abbastanza armate da guardare con interesse i territori del vicino.

La prima misura macroeconomica che possiamo associare al risiko bancario è la modifica dei tassi di interesse, un argomento molto frequente nei nostri articoli per via della sua influenza sui mercati, anche su quello crypto. L’innalzamento del costo del denaro, deciso dalle banche centrali per domare l’inflazione (mentre noi comuni mortali vedevamo lievitare le rate dei mutui), ha fatto la gioia dei bilanci bancari. Questi extraprofitti verranno reinvestiti per crescere ed espandersi. Preparate i pop-corn perché la stagione 2025-2026 del risiko bancario, si preannuncia scoppiettante.

Lo stato di salute delle banche italiane

Prima di approfondire il tema principale, è utile una breve analisi dello stato di salute degli istituti di credito, per comprendere il contesto in cui si sviluppa il fenomeno del risiko. Negli ultimi anni, le banche hanno beneficiato significativamente delle decisioni delle banche centrali sui tassi di interesse.

Durante il 2023, le maggiori banche italiane quotate in borsa hanno registrato utili netti aggregati per 21,9 miliardi di euro, cifra che è ulteriormente salita a 31,4 miliardi nel 2024. A livello europeo, i profitti dei venti istituti più importanti hanno raggiunto circa 100 miliardi di euro.

Il principale motore di questa crescita è stato l’incremento dei tassi di interesse operato dalla Banca Centrale Europea per contrastare l’inflazione (da luglio 2022 a ottobre 2023, i tassi di riferimento sono passati dallo 0% al 4,5%). Ciò ha provocato un aumento del margine netto di interesse, ovvero la differenza tra gli interessi attivi riscossi sui prestiti e gli interessi passivi corrisposti sulla raccolta. Semplificando, si può dire che le banche hanno adeguato più rapidamente i tassi attivi sui finanziamenti concessi ai clienti rispetto alla remunerazione offerta sui depositi.

Tuttavia, i risultati positivi non derivano soltanto da questa dinamica. Si è registrata anche una crescita delle commissioni nette, prevalentemente dalla gestione patrimoniale. Queste componenti hanno contribuito alla situazione attuale, in cui le banche, grazie ai consistenti profitti accumulati (assimilabili, nella metafora del Risiko, a territori conquistati o carte bonus), dispongono di significativa liquidità (o “armate”). Il passo successivo, in entrambi gli scenari, è l’investimento di queste risorse per l’espansione.

Il risiko bancario

La metafora del risiko bancario è particolarmente calzante poiché, in questo periodo, il settore è sempre più simile ad una arena competitiva. Tuttavia, a differenza del gioco da tavolo, la spinta al consolidamento tra banche è alimentata da una serie di motivazioni strategiche fondamentali per la loro crescita e stabilità. Ecco le principali:

  1. Ricerca di economie di scala: l’obiettivo primario è unificare le strutture operative, ottimizzare i costi attraverso la razionalizzazione dei processi interni e l’integrazione delle piattaforme tecnologiche.
  2. Diversificazione geografica e di prodotto: espandere la presenza territoriale e ampliare la gamma di servizi offerti permette alle banche di ridurre i rischi legati alla concentrazione su specifici mercati o segmenti di clientela, e al contempo di aumentare le opportunità di cross-selling e, di conseguenza, i ricavi.
  3. Aumento della competitività: banche di maggiori dimensioni dispongono generalmente di un maggior potere negoziale e di una capacità superiore di investire in nuove tecnologie, nello sviluppo delle risorse umane e in iniziative di marketing, rafforzando così la loro posizione sul mercato.
  4. Risposta strategica alle sfide del settore: le operazioni di M&A sono viste come una risposta all’accelerazione della digitalizzazione, alla necessità di conformarsi a una regolamentazione sempre più stringente (ad esempio in materia di requisiti patrimoniali e di liquidità) e all’urgenza di affrontare tematiche trasversali come la sostenibilità ambientale e sociale.
  5. Pressione degli azionisti: un fattore rilevante è la costante pressione esercitata dagli azionisti per massimizzare il valore delle azioni e dei dividendi, e per attrarre nuovi investitori.

Il risiko bancario: i casi più emblematici

Il panorama italiano ha già assistito a casi emblematici di M&A che hanno ridisegnato la mappa del credito. L’operazione Intesa Sanpaolo / UBI Banca, finalizzata nel 2021, è considerata un punto di svolta che ha effettivamente dato il via alla più recente ondata di “risiko bancario”. Questa fusione ha consolidato la leadership di Intesa Sanpaolo e ha agito da catalizzatore per ulteriori aggregazioni.

Un altro esempio significativo è stata l’acquisizione del Credito Valtellinese (CreVal) da parte di Crédit Agricole Italia (2020-2021), che testimonia l’interesse di gruppi esteri a rafforzare la propria presenza in aree strategiche del paese. Anche BPER Banca si è dimostrata un attore attivo, con l’acquisizione di Banca Carige (2022) e le ricorrenti discussioni su una potenziale integrazione con la Banca Popolare di Sondrio.

Sullo sfondo, rimangono le ipotesi che coinvolgono i principali player: si è molto discusso di un interesse di UniCredit per incrementare la sua quota nella tedesca Commerzbank, così come di passate interlocuzioni per un’aggregazione tra la stessa UniCredit e Banco BPM. Quest’ultima è attualmente impegnata nel tentativo di concludere l’offerta pubblica d’acquisto su Anima SGR, che è contemporaneamente oggetto di interesse da parte di Unicredit con un’offerta superiore ai 10 miliardi di euro. Nel frattempo, Unipol, dopo l’esclusione dall’ultima vendita di quote pubbliche di Monte dei Paschi di Siena, sembra mirare a favorire un’integrazione tra Bper e Popolare di Sondrio, di cui detiene una quota rilevante.

Banca Monte dei Paschi di Siena (MPS) continua a essere un elemento centrale nelle dinamiche di M&A, con il governo italiano alla ricerca di soluzioni di mercato per la sua definitiva stabilizzazione e privatizzazione; in questo contesto, si è nuovamente ipotizzato un possibile coinvolgimento di UniCredit.

Quali saranno i prossimi sviluppi?

Quali saranno gli esiti di questa fase del risiko bancario? È complesso fornire una risposta univoca, anche perché, non verrà incoronato un vincitore assoluto e definitivo. Il risiko bancario – e questa è una notevole differenza rispetto alle dinamiche del gioco da tavolo – è un processo continuo, che si adatta alle mutevoli stagioni dell’economia e della finanza.

Il periodo attuale è certamente cruciale. Con i tassi d’interesse in discesa, i margini di guadagno eccezionali registrati dalle banche negli ultimi anni potrebbero subire una normalizzazione. Questo scenario, naturalmente, spinge gli istituti di credito a rimescolare le carte e a studiare nuove strategie per mantenere la redditività e rafforzare la propria posizione competitiva.

Vedremo quindi, con ogni probabilità, ulteriori operazioni di consolidamento. I grandi gruppi bancari potrebbero puntare a irrobustirsi ulteriormente per competere efficacemente su scala globale, mentre gli altri istituti lavoreranno per non restare indietro, magari attraverso alleanze strategiche o fusioni mirate a creare campioni nazionali o specializzati.

E per i clienti e il sistema economico nel suo complesso? Le argomentazioni a favore di queste operazioni evidenziano spesso i benefici attesi in termini di maggiore stabilità, efficienza e capacità di investimento. Sarà importante osservare se a queste grandi manovre corrisponderanno poi benefici tangibili in termini di effettiva concorrenza, qualità dei servizi offerti e supporto all’economia reale. La partita del risiko bancario, insomma, è ancora in pieno svolgimento e le sue prossime mosse continueranno a disegnare il futuro del settore creditizio.

Cos’è la BCE e di cosa si occupa?

Cos’è la BCE: significato, sede, presidente e importanza della Banca Centrale Europea?

Che cos’è la BCE? Di cosa si occupa e qual è la sua struttura?

Che cos’è la BCE e qual è il suo significato? La sigla sta per “Banca Centrale Europea”, ovvero la principale istituzione monetaria dell’Eurozona fondata nel 1998 per garantire la stabilità dei prezzi e una crescita economica sostenibile. La sua sede si trova a Francoforte, e in questo periodo è stata ancor più al centro dell’attenzione per via della decisione comunicata dalla presidente di aumentare nuovamente i tassi di interesse, una politica monetaria utile a contrastare l’inflazione. Scopri che cos’è la BCE e tutti gli aspetti che la riguardano, dal presidente dell’Istituto ai suoi compiti e alla sua struttura.

Che cos’è la BCE?

La BCE è la Banca Centrale dell’Unione Monetaria Europea (UME) composta da tutti gli Stati che hanno adottato l’euro come valuta comune. Ma quali sono i compiti della Banca Centrale Europea? Questa istituzione innanzitutto è responsabile della gestione delle politiche monetarie dell’area, al fine di mantenere i prezzi stabili, promuovere la crescita economica e l’occupazione. La BCE si occupa di emettere e gestire la circolazione dell’euro, la valuta comune dell’UME. Quindi se ti chiedevi “chi stampa gli euro per l’Italia e gli altri paesi dell’unione Europea?” Ora hai la risposta. Ecco dunque cos’è la BCE.

Essa ha anche il compito di controllare le banche dell’eurozona, attraverso il meccanismo di supervisione unico (SSM), un sistema di sorveglianza creato per garantire la stabilità del sistema bancario europeo, prevenire le bolle speculative e ridurre il rischio di crisi finanziarie. Per questo motivo è importante che sia imparziale, indipendente e autonoma; la Banca Centrale Europea deve favorire l’interesse generale e non quello di una particolare nazione o gruppo di interesse. 

Infine la BCE si occupa di rappresentare l’Eurozona in diverse sedi internazionali, come i summit del G20 o nelle riunioni del Fondo Monetario Internazionale e collabora con le banche centrali dei paesi del mondo per promuovere la stabilità finanziaria a livello globale.

Le politiche monetarie della BCE

Quando si risponde alla domanda “che cos’è la BCE”, è necessario citare anche gli strumenti che questa istituzione utilizza per adempiere ai suoi compiti riguardanti le politiche monetarie. Quelle più popolari e conosciute riguardano l’innalzamento o l’abbassamento dei tassi di interesse che hanno delle conseguenze sulle banche e i cittadini dell’Eurozona

La BCE però utilizza anche altri strumenti per influenzare l’offerta di denaro, ad esempio le operazioni di mercato aperto. Queste sono prevalentemente l’acquisto e la vendita di titoli di stato dei paesi europei, attraverso i quali la Banca Centrale Europea regola la quantità di moneta in circolazione. Una di queste è, ad esempio, il quantitative easing. Un tipo di politica monetaria che prevede l’acquisto di titoli di Stato che la BCE ha attuato in più occasioni negli ultimi anni.

La struttura della BCE

Ora che sai cos’è la BCE, vediamo come è composta. La Banca Centrale Europea è formata da tre organi principali: il Consiglio dei governatori, il Comitato esecutivo e il Consiglio generale.

  • Il Consiglio direttivo è formato dai presidenti delle banche centrali nazionali dei paesi della zona euro, nel caso dell’Italia Fabio Panetta, e dai membri del Comitato esecutivo. Esso è responsabile di stabilire la politica monetaria della zona euro e di decidere sui tassi di interesse e sulle operazioni di mercato aperto;
  • Il Comitato esecutivo è composto dal presidente e dal vicepresidente della BCE, attualmente Christine Lagarde e Luis de Guindos e da altri quattro membri nominati dal Consiglio europeo, con il consenso del Parlamento europeo. Il Comitato esecutivo è responsabile dell’attuazione delle politiche monetarie della BCE;
  • Il Consiglio generale riunisce i presidenti e i vicepresidenti delle banche centrali nazionali dell’Eurozona, inclusi quelli dei paesi che non hanno ancora adottato l’euro. Esso è responsabile di assistere il Consiglio direttivo e il Comitato esecutivo nella gestione della BCE e di svolgere altre funzioni consultive e di coordinamento.

Il consiglio direttivo della Banca Centrale Europea in genere si riunisce otto volte all’anno: qui puoi consultare il Calendario completo degli appuntamenti per il 2025.

Sapere cos’è la BCE e conoscerne il funzionamento è molto importante. Le decisioni che questa istituzione prende, in particolare scegliendo quale politica monetaria attuare, influenzano l’economia europea, i mercati finanziari ma anche la quotidianità di tutti i cittadini dell’Eurozona.

Aumento tassi di interesse BCE: quali conseguenze e per chi?

BCE e aumento tassi di interesse: quali conseguenze?

Come funzionano i tassi di interesse? Perché la BCE li aumenta e quali sono le conseguenze

Quali sono le conseguenze dell’aumento dei tassi di interesse della BCE? Può sembrare impercettibile, ma l’impatto di questa politica è molto forte e coinvolge tutti, sia le imprese che i singoli risparmiatori. Cosa succede quando la Banca Centrale Europea prende questa decisione durante le sue riunioni di politica monetaria?

Calendario completo delle riunioni della Banca Centrale Europea per il 2025.

Cosa sono i tassi di interesse 

Prima di parlare delle conseguenze dell’aumento dei tassi di interesse  BCE occorre effettuare dei chiarimenti concettuali. In generale i tassi di interesse sono delle percentuali che indicano quanto costa prendere in prestito denaro, ovvero il pagamento che devi alla banca quando chiedi un finanziamento. Allo stesso tempo stabiliscono quanto fruttano i tuoi risparmi, ovvero il rendimento di eventuali somme depositate in banca. 

Ad esempio, se chiedi in prestito 10.000€ con un tasso di interesse del 3%, devi restituire alla banca la somma iniziale più il 3% (300€). 

Se al contrario depositi 10.000€ con un tasso di interesse del 3%, ogni anno ricevi 300€.

I tassi di interesse della BCE invece sono come delle “tariffe” che l’istituzione applica alle banche commerciali dell’Eurozona quando concede loro prestiti. E funzionano da standard per quelli che queste banche a loro volta propongono ai clienti.

Tassi di interesse della BCE: le tipologie 

I tassi BCE sono di tre tipologie: 

  1. Sulle operazioni di rifinanziamento principale: è il tasso che grava sulle banche che assumono prestiti da Francoforte per la durata di una settimana.
  2. Su operazioni di rifinanziamento marginale: in riferimento ai prestiti overnight, (negoziazione con rientro nella giornata lavorativa seguente).
  3. Sui depositi presso la banca centrale: attinenti alle somme che le banche depositano overnight alla banca centrale. 

Sono tre tassi d’interesse distinti ma collegati e di solito la Banca Centrale Europea procede con il loro aumento (o decremento) nello stesso momento. Consulta questa sezione, per seguire ogni mese le previsioni e i risultati delle riunioni di politica monetaria della BCE.

Aumento tassi di interesse BCE: a cosa serve?

Per la BCE i tassi d’interesse sono uno strumento di politica monetaria per assolvere al suo principale compito: mantenere stabili i prezzi

La stabilità è intaccata principalmente dall’inflazione, che fa lievitare i prezzi in maniera esponenziale. Quando linflazione è alta, il potere d’acquisto delle persone diminuisce. In altre parole, rispetto a dei periodi di ridotta inflazione, si possono comprare meno cose con una stessa quantità di denaro. 

Per alzare il potere d’acquisto delle persone, la BCE ricorre all’aumento dei tassi d’interesse. Ma in che modo sono collegati questi due aspetti e quali le conseguenze di questa decisione di politica monetaria? 

BCE e aumento tassi d’interesse: quali sono le conseguenze

Prestiti più costosi e riduzione della spesa

La prima fra le conseguenze dell’aumento dei tassi d’interesse è un aumento dei costi necessari a richiedere prestiti. Così facendo  siamo incentivati a risparmiare e si riduce il denaro circolante (perché chiedere in prestito soldi e investire è più costoso). 

Aumento dei rendimenti per i risparmiatori

Insomma quando la BCE compie questa scelta, per le banche diventa più costoso finanziarsi, quindi per i clienti è svantaggioso chiedere prestiti. I mutui sono meno convenienti e per le imprese è più difficile ottenere finanziamenti. Tuttavia si riceve un rendimento maggiore per i risparmi. 

Apprezzamento della valuta

Tassi più alti possono attirare investimenti esteri, rafforzando l’euro. Può rendere le importazioni più economiche e contribuire ulteriormente alla riduzione dell’inflazione.

Queste sono le conseguenze più immediate dell’aumento dei tassi di interesse della BCE. Tuttavia l’istituto prende questa decisione per mettere in atto una strategia più ampia. Alzare i tassi di interesse serve anche a diminuire l’aspettativa di inflazione e quindi a moderare la domanda salariale, che porta i lavoratori a chiedere stipendi più alti. La Banca Centrale Europea ha l’obiettivo di evitare anche la spirale salari-prezzi e tutelare il mercato del lavoro. 

Situazione attuale: il 2025

Dopo un periodo di aumenti dei tassi per combattere l’inflazione, la BCE ha iniziato a ridurli nel 2025. Il 17 aprile 2025, la BCE ha tagliato i tassi di interesse di 25 punti base, portando il tasso sui depositi al 2,25%, quello sulle operazioni di rifinanziamento principali al 2,40% e quello sulle operazioni di rifinanziamento marginale al 2,65% .

Questa decisione è stata presa in un contesto di inflazione in calo e crescita economica debole, con l’obiettivo di stimolare l’economia dell’Eurozona.

Impatto sui mutui

Il taglio dei tassi ha avuto effetti positivi sui mutui:

  • Mutui a tasso variabile: le rate mensili sono diminuite; ad esempio, per un mutuo medio da 126.000 euro a 25 anni, la rata è scesa di circa 17 euro .
  • Mutui a tasso fisso: le offerte sono diventate più competitive, con tassi che si aggirano tra il 2,19% e il 3,85% .

Le banche stanno adeguando le loro offerte in risposta alle politiche della BCE, rendendo questo un momento favorevole per chi desidera sottoscrivere un mutuo.

La BCE ha programmato la prossima riunione di politica monetaria per il 5 giugno 2025, durante la quale potrebbe decidere ulteriori tagli dei tassi, a seconda dell’andamento dell’inflazione e della crescita economica.

MiCA: il nostro percorso verso la piena conformità normativa

young platform mica

Con l’entrata in vigore del Regolamento (UE) 2023/1114 sui mercati delle cripto-attività (MiCA), l’Unione Europea ha introdotto un quadro normativo armonizzato che disciplinerà l’emissione, l’offerta al pubblico e l’ammissione alla negoziazione di cripto-attività, nonché i servizi ad esse relativi. Questo rappresenta un importante passo avanti per l’intero settore, volto a garantire maggiore trasparenza, tutela dei consumatori e stabilità del mercato.

Noi ci impegniamo con serietà e responsabilità ad allinearci completamente a questa nuova cornice regolamentare. L’obiettivo di questo articolo è informare i nostri utenti del percorso intrapreso, nel rispetto dell’articolo 45, comma 5, D.Lgs. 129/2024, il decreto legislativo di adeguamento della normativa nazionale al Regolamento MiCA, rassicurandoli al contempo sulla continuità dei nostri servizi e sull’assenza di cambiamenti immediati per la loro esperienza.

Cosa prevede l’articolo 45, comma 5, D.Lgs. 129/2024

L’articolo 45, comma 1 del D.Lgs. 129/2024 prevede un regime transitorio per i soggetti che già operano legalmente all’interno dell’Unione Europea prima della data di applicazione del Regolamento, ovvero il 30 dicembre 2024.

In pratica, questa disposizione consente ai soggetti già attivi nel settore di continuare a prestare i propri servizi in regime di continuità sino al 30 dicembre 2025, anche senza aver ancora ottenuto la nuova autorizzazione prevista da MiCA, purché presentino la domanda di autorizzazione entro il 30 giugno 2025.

Questa norma ha lo scopo di garantire un passaggio ordinato al nuovo regime, evitando interruzioni improvvise per gli operatori e disagi per gli utenti finali.

Il nostro impegno verso la conformità

In ottemperanza al Regolamento MiCA e all’articolo 45, comma 5, del D.Lgs. 129/2024, desideriamo comunicare ufficialmente la nostra intenzione di adeguarci pienamente alla nuova normativa europea e, in particolare, al Regolamento MiCA.

Abbiamo già avviato tutte le attività necessarie alla predisposizione dell’istanza di autorizzazione che presenteremo a breve all’Autorità competente. Questo processo include l’adeguamento dei nostri processi interni, dei requisiti organizzativi e delle politiche di gestione del rischio, come previsto dal nuovo quadro normativo.

Il nostro team legale e normativo sta lavorando intensamente per assicurarci di soddisfare tutti i requisiti imposti da MiCA, al fine di operare in modo conforme e continuare a offrire ai nostri clienti servizi sicuri, affidabili e trasparenti.

Avvio del processo di autorizzazione

Possiamo confermare che la Società sta lavorando per presentare l’istanza di autorizzazione secondo quanto richiesto da MiCA.

Nelle prossime settimane, dunque, inoltreremo la documentazione necessaria all’Autorità competente. Questo rappresenta un passaggio fondamentale nel nostro percorso di adeguamento e riflette il nostro impegno a operare in piena conformità normativa, non solo per obbligo, ma per responsabilità nei confronti dei nostri utenti.

Precisiamo che, nelle more del rilascio dell’autorizzazione, l’attività svolta nei confronti dei clienti continua a essere regolata dalla normativa applicabile ai prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valute virtuali e ai prestatori di servizi di portafoglio digitale e non è sottoposta alla disciplina del Regolamento MiCA.

Continuità dei servizi per i nostri clienti

Vogliamo rassicurare tutti i nostri utenti che i nostri servizi continueranno a essere pienamente operativi durante l’intero periodo transitorio previsto dal citato articolo 45.

Non ci saranno interruzioni nei servizi a cui siete abituati, né modifiche unilaterali nei rapporti contrattuali in essere. La continuità operativa è per noi una priorità assoluta, e continueremo a garantire il livello di qualità, affidabilità e sicurezza che ci contraddistingue.

Nessun impatto immediato sull’esperienza utente

A oggi, e fino a nuovo avviso, non sono previste modifiche sostanziali nel modo in cui interagite con la nostra piattaforma. Le funzionalità, i servizi disponibili e le condizioni di utilizzo rimarranno invariati.

Questo significa che potrete continuare a utilizzare i nostri strumenti come sempre, senza dover intraprendere alcuna azione specifica da parte vostra. Eventuali cambiamenti futuri saranno comunicati in modo chiaro, anticipato e trasparente.

Il nostro impegno alla trasparenza e agli aggiornamenti 

Riteniamo fondamentale mantenere con voi un dialogo aperto e trasparente. Per questo, ci impegniamo a tenervi costantemente aggiornati sull’avanzamento del processo di autorizzazione e su qualsiasi sviluppo normativo che possa avere un impatto sui nostri servizi.

Qualora emergessero novità rilevanti sarete i primi a saperlo, attraverso i nostri canali ufficiali di comunicazione. In caso di domande o dubbi, il nostro servizio di supporto clienti è sempre a vostra disposizione.

Come creare immagini con l’intelligenza artificiale

Creare immagini con l'intelligenza artificiale

Come creare immagini con l’intelligenza artificiale, a che punto siamo? Scopri tutti i passaggi in questa guida completa

Se hai visto anche tu le immagini create dall’intelligenza artificiale – e se non le hai viste chi chiediamo dove vivi – il tuo crevello si sara avventurato in un ragionamento tipo questo. C’era un tempo, non così lontano, in cui per creare un’immagine servivano matite, pennelli, macchine fotografiche o, per i più moderni, tavolette grafiche e ore di certosina pazienza. Poi, quasi dal nulla è esplosa l’intelligenza artificiale generativa. Improvvisamente, i nostri feed social, le presentazioni aziendali e persino le chat di gruppo si sono riempite di immagini sognanti, iperrealistiche e bizzarre, tutte partorite da un algoritmo. “Vuoi un gatto astronauta in stile Van Gogh che mangia un gelato su Marte? Dammi due minuti.”

Questa nuova frontiera della creatività digitale ha scatenato un misto tra meraviglia e apprensione. Da un lato, la promessa di democratizzare l’arte, di dare a chiunque il potere di visualizzare l’impossibile; dall’altro, il timore di un futuro dove gli artisti veri, quelli in carne e ossa, finiscono per chiedere l’elemosina ai robot. Ma prima di farci prendere dal panico o dall’euforia, cerchiamo di capire come fa l’intelligenza artificiale a creare immagini.

Creare immagini con l’intelligenza artificiale: cosa c’è dietro questa magia?

Dietro l’apparente stregoneria di un’immagine che nasce da una semplice frase, c’è un concentrato di tecnologia che fino a pochi anni fa era roba da film di fantascienza. Parliamo di machine learning e reti neurali, ovvero software che cercano di imitare il funzionamento del cervello umano. Questi sistemi vengono “addestrati” su database sterminati contenenti miliardi di immagini esistenti, ciascuna accompagnata da una descrizione testuale.

I modelli più in voga oggi, come quelli basati sulle architetture “Diffusion” (tipo Stable Diffusion, DALL-E 3, Midjourney), imparano ad associare le parole ai concetti visivi. In pratica, partono da un “rumore” digitale, una specie di nebbia indistinta, e, guidati dal nostro input testuale (il famoso “prompt”), iniziano a “scolpire” questo rumore, un passettino alla volta, fino a far emergere l’immagine richiesta. Immaginate uno scultore che da un blocco di marmo informe tira fuori una statua, solo che il marmo è digitale e lo scalpello è un algoritmo che ha visto più opere d’arte di qualsiasi critico vivente. Il risultato? A volte un capolavoro, altre volte qualcosa che sembra uscito da un incubo di Dalì dopo una cena pesante.

Come generare immagini con l’AI: istruzioni per l’uso

Se pensate che basti scrivere “gatto” per fare creare all’intelligenza artificiale l’immagine di un felino che fa le fusa dallo schermo, rimarrete delusi. L’arte di dialogare con queste IA, nota con il termine anglofono un po’ pretenzioso di prompt engineering, è una disciplina sottile, a metà tra la poesia e la programmazione.

Bisogna essere specifici, quasi pedanti. Volete un “cane”? Bene, ma di che razza? Cosa sta facendo? Dove si trova? Con che luce? In che stile pittorico? “Un golden retriever cucciolo che dorme beatamente su una poltrona di velluto rosso, illuminato da una luce calda pomeridiana, stile dipinto a olio rinascimentale”. Ecco, così iniziamo a ragionare. 

Poi ci sono i negative prompts, ovvero le istruzioni su cosa NON fare: “niente doppie code, per favore”, “evita quell’effetto plasticoso”, “ti scongiuro, non più di cinque dita per mano!”. Il processo è iterativo: si genera, si osserva il risultato, si affina il prompt, si rigenera, e così via, in un loop che può portare all’immagine perfetta o a decidere che, forse, era meglio un disegno fatto a mano. All’inizio, è facile ottenere abomini digitali: quel “gatto su una bicicletta” potrebbe trasformarsi in un groviglio lovecraftiano di pelliccia e metallo a pedali. Ma con un po’ di pratica (e molta pazienza), si può iniziare a domare la bestia algoritmica e iniziare a creare immagini con l’intelligenza artificiale (AI) di qualità.

 Luci e ombre: i pro e i contro delle immagini generate dall’AI

Come ogni tecnologia che si rispetti, anche l’AI generativa di immagini porta con sé un bel bagaglio di opportunità e qualche scheletro nell’armadio. Ecco un breve riassunto di quelli che, almeno secondo noi, sono i pro e i contro di questa svolta tecnologica.

I pro:

  • Democratizzazione della creatività: chiunque, anche chi disegna come un bambino di tre anni, può dare forma visiva alle proprie idee. Serve un logo al volo? Un’illustrazione per un post? Un’ispirazione per un tatuaggio? Chiedi e (forse) ti sarà dato;
  • Velocità ed efficienza: per designer, creativi e marketer, è uno strumento pazzesco per il brainstorming, per creare moodboard, concept art, prototipi rapidi. Ore di lavoro condensate in pochi minuti;
  • Nuovi orizzonti estetici: l’IA può mescolare stili, inventare prospettive, creare immagini che un umano potrebbe non concepire, aprendo a forme d’arte inedite;
  • Divertimento puro: ammettiamolo, richiedere all’IA di disegnare robe assurde è spesso spassoso;

I contro:

  • L’incubo delle sei dita (e altre amenità): la famigerata “uncanny valley” è sempre in agguato. Mani con troppe o troppo poche dita, volti che si sciolgono come cera, prospettive da mal di mare, oggetti che sfidano le leggi della fisica. A volte, i risultati sono talmente surreali da diventare essi stessi una forma d’arte involontaria.
  • La fiera del generico: con la facilità d’uso, il rischio è una marea montante di immagini esteticamente piacevoli ma prive di anima, tutte un po’ uguali, un po’ “effetto Midjourney”. Il mondo è ora invaso da gattini cyberpunk con un numero variabile (ma quasi mai corretto) di zampe.
  • La crisi dell’originalità: se tutti usano gli stessi strumenti e magari anche prompt simili, non rischiamo un appiattimento stilistico?
  • Ma è arte questa?: il dibattito è aperto e infuocato. Se l’opera la “fa” una macchina, è ancora arte? Chi è l’artista? Colui che scrive il prompt, o l’algoritmo? Mio cugino, che fino a ieri faceva solo meme di dubbia qualità, ora si definisce “un prompt artist internazionale”, con tanto di portfolio su LinkedIn.

E dal punto di vista filosofico?

E qui la faccenda si fa seria, perché le implicazioni vanno ben oltre il numero di dita. Il primo problema, già da tempo centrale all’interno del dibattito sull’intelligenza artificiale, non solo quando viene utilizzata per creare immagini è connesso al Copyright e alla domanda: di chi è l’immagine generata? Dell’utente che ha scritto il prompt? Della società che ha creato l’IA? O è un’opera derivata dalle miriadi di immagini usate per l’addestramento, molte delle quali magari protette da copyright? Al momento, è un Far West legale. E che dire del prompting “nello stile di [artista famoso vivente]”? È omaggio o furto?

C’è poi il tema connesso al lavoro. L’intelligenza artificiale distruggerà il mercato di illustratori, fotografi, grafici o lo renderà soltanto più produttivo. A noi piace essere ottimisti è immaginare un mondo dove l’IA è un potentissimo “assistente creativo”, che libera gli esseri umani dalle task superficiali e ci permette di concentrarci sui compiti di maggior valore.

Chiudiamo con i due principali dilemmi etici. Il primo è spaventoso e riguarda la facilità con cui si possono creare immagini con l’intelligenza false ma realistiche. Foto di eventi mai accaduti, volti di persone appiccicati su corpi di altre. Le implicazioni per quanto riguarda il tema della disinformazione, della manipolazione dell’opinione pubblica e della fiducia nelle fonti sono enormi. Distinguere il vero dal verosimile diventerà sempre più un’impresa.

Infine va ribadito che le IA sono addestrate su dati creati dagli esseri umani. Se questi dati contengono pregiudizi (di genere, etnici, culturali), l’IA li imparerà e li replicherà, magari creando immagini stereotipate o escludendo determinate rappresentazioni. L’algoritmo, insomma, può essere razzista o sessista tanto quanto le società che lo hanno nutrito.

Insomma, la possibilità creare immagini con l’intelligenza artificiale è sicuramente rivoluzionaria, tanto quanto l’invenzione della fotografia o del fotoritocco digitale. Come ci stiamo accorgendo sempre di più l’AI è uno strumento incredibilmente potente, capace di democratizzare la creatività, di accelerare i processi produttivi, ma anche di sollevare interrogativi profondi sulla natura dell’arte, sul lavoro e sulla verità stessa. Come ogni strumento, il suo impatto – benefico o malefico – dipenderà da come sceglieremo di usarlo, di regolarlo e di integrarlo nelle nostre vite. Non è né un demone da esorcizzare né una bacchetta magica che risolverà ogni problema. È, più prosaicamente, un nuovo, potentissimo set di pastelli digitali a disposizione dell’umanità. Preparatevi a un futuro dove, per capire se la foto delle vacanze del vostro amico è reale o “promptata”, servirà un occhio allenato, un secondo caffè e, forse, una laurea honoris causa in filosofia della percezione. Il bello (e il brutto) è appena cominciato.

Referendum 2025: guida completa al voto

Referendum dell'8 e 9 giugno: per cosa si vota?

I referendum dell’8 e 9 giugno si avvicinano e gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi su cinque quesiti. Di cosa si tratta? La guida

I referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno sono alle porte e circa 47 milioni di italiane e italiani saranno chiamati alle urne per decidere in merito a cinque quesiti referendari: uno sulla cittadinanza e quattro sul tema del lavoro. In questo articolo troverai gli elementi necessari per poter esprimere il tuo voto nel modo più informato possibile.

Referendum abrogativo: che cos’è e come funziona 

Il referendum abrogativo è definito come uno strumento col quale i cittadini hanno la possibilità di richiedere la revoca totale o parziale di una legge. Può essere un’iniziativa che parte dal basso, nel caso in cui venga proposto dalla cittadinanza, o dall’alto, quando invece sono i promotori sono gli organi rappresentativi, come i consigli regionali. Se il referendum ha esito positivo, dunque se la maggioranza voterà “sì” alla domanda “volete voi abrogare…”, la legge oggetto della votazione verrà eliminata. Per essere valido, però, è necessario raggiungere il quorum: ciò significa che il referendum avrà valore legale solo se il 50% più uno degli aventi diritto al voto si recherà effettivamente alle urne – un po’ come il 51% attack. I referendum abrogativi più famosi della storia della Repubblica italiana sono quello sul divorzio del 1974, quello sull’interruzione di gravidanza del 1978 e quello sull’aborto del 1981.  

Vediamo ora nello specifico quali sono i referendum dell’8 e del 9 giugno 2025

Referendum sulla cittadinanza italiana

Il referendum sulla cittadinanza – scheda gialla – propone il dimezzamento degli anni di residenza legale previsti per poter presentare la domanda di cittadinanza italiana. Attualmente, gli anni necessari per questa richiesta sono dieci, mentre il referendum mira a ridurli a cinque. Secondo i promotori, tra cui spicca Riccardo Magi di +Europa, i cittadini di origine straniera interessati dall’approvazione di questo referendum sarebbero circa 2,5 milioni, a cui andrebbe aggiunto un altro mezzo milione di persone rappresentato da figli e figlie minorenni.

Il tema della cittadinanza è tornato di attualità nel periodo successivo alle Olimpiadi di Parigi,  dove un gran numero di atleti e atlete italiani di origine straniera è tornato a casa con una medaglia al collo. Molte di queste personalità sportive hanno colto il momento di popolarità per porre l’attenzione sull’argomento, sottolineando quanto sia lungo e complesso l’iter burocratico per essere ufficialmente riconosciuti come cittadini italiani. 

Referendum sul lavoro

I referendum sul lavoro sono quattro e sono stati promossi dalla CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro), il più antico sindacato italiano, guidato da Maurizio Landini. Analizziamo i quesiti referendari uno per uno. 

1. Contratto di lavoro a tutele crescenti e disciplina dei licenziamenti illegittimi

Questo referendum – scheda verde – propone la revoca di un decreto relativo al contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, introdotto nel marzo 2015 dal Governo Renzi col Jobs Act. Questa tipologia di contratto, infatti, impedisce il reintegro del lavoratore in azienda in caso di licenziamento illegittimo, prevedendo invece un risarcimento economico compreso fra le sei e le trentasei mensilità. Va precisato che il quesito riguarda le imprese con più di 15 dipendenti. Se vincesse il Sì, si tornerebbe alla situazione normativa precedente al decreto, che infatti verrebbe abrogato: si ristabilirebbe l’obbligo di reintegro nel caso in cui il datore di lavoro avesse licenziato un lavoratore in modo irregolare o senza valide motivazioni. 

2. Indennità in caso di licenziamento nelle piccole imprese

Il secondo referendum – scheda arancione – riguarda sempre i licenziamenti illegittimi, ma è relativo alle “piccole imprese”, cioè a quelle realtà con meno di 16 dipendenti. Nello specifico, si chiede l’eliminazione dei limiti massimi di risarcimento previsti nel caso in cui la cessazione del rapporto di lavoro avvenisse in modo irregolare, lasciando invece al giudice la facoltà di stabilire l’importo. Attualmente, nelle piccole imprese, se il datore di lavoro licenzia l’impiegato senza una giusta causa, il rimborso non può superare le sei mensilità: se vincesse il Sì, questo tetto verrebbe abrogato e la decisione finale spetterebbe alla magistratura.   

3. Contratti a termine

Il terzo quesito referendario – scheda grigia – riguarda i contratti a termine. In particolare, propone l’eliminazione di alcune norme che stabiliscono quando e perché un’azienda può offrire un contratto a tempo determinato e le condizioni necessarie per il rinnovo o il prolungamento. In Italia, al giorno d’oggi, la normativa vigente permette ai datori di lavoro di assumere risorse mettendo sul tavolo un contratto con durata inferiore ai 12 mesi, senza dover fornire le motivazioni che giustifichino il ricorso a questo strumento: se vincesse il Sì, verrebbe ripristinato l’obbligo di specificare le cause. 

4. Solidarietà giuridica tra committente e appaltatore

L’ultimo referendum abrogativo – scheda rosa – si occupa di salute e sicurezza sul lavoro. In questo caso, si propone la revoca di alcune norme che regolano il campo degli infortuni sul lavoro, nel caso di appalti o subappalti. Per comprendere bene il quesito, è importante conoscere la normativa attuale: quando una società committente appalta un lavoro delega alcune responsabilità all’impresa appaltatrice, tra cui quelle legate agli incidenti derivanti dai rischi connessi all’attività. Un esempio per capire meglio: una società appalta a un’impresa edile la costruzione di un palazzo e un operaio si fa male cadendo dai ponteggi. In questo caso, la colpa ricade esclusivamente su chi esegue il lavoro, quindi sull’azienda appaltatrice (o subappaltatrice). Se vincesse il Sì, anche la società committente dovrebbe rispondere dei danni o, per dirla in un altro modo, la responsabilità per l’incidente verrebbe estesa anche alla società committente. 

Se le urne chiamano, rispondi presente!

Questi referendum abrogativi sono importanti a prescindere dai temi: sono un termometro che misura la partecipazione politica dei cittadini e delle cittadine. I referendum sono anche strumenti di democrazia diretta a disposizione degli elettori e, in quanto tali, è fondamentale rispettarli: sarà possibile votare domenica 8 giugno dalle 7 alle 23 e lunedì 9 giugno dalle 7 alle 15

Se vuoi sapere come e quando si vota in Italia, abbiamo scritto una guida che parla proprio delle prossime elezioni, dagli un’occhiata e poi iscriviti qui sotto per non perderti le ultime notizie!

Gli oggetti di uso comune più costosi al mondo

Quali sono le cose più costose al mondo?

Qual è la macchina più costosa al mondo? E l’orologio o la carta Pokémon più rara? Scopri gli oggetti più cari in assoluto e cosa li rende unici

Ci sono oggetti così rari, esclusivi e fuori scala da sembrare parte di un universo parallelo. E invece esistono davvero. In questo articolo esploreremo gli oggetti più costosi del mondo: auto, orologi, scarpe, carte da gioco e persino profumi da milioni di euro.

Preparati a scoprire quanto può costare il lusso estremo e ha chiederti, tra te e te, “ma come è possibile?!”

La macchina più costosa al mondo

Tra le auto più costose del mondo attualmente in produzione la protagonista è senza dubbio la Rolls-Royce Boat Tail, una macchina brevettata da BMW (che controlla il marchio Rolls-Royce), nonché una fuoriserie di cui sono previsti solo 3 esemplari.

La sua progettazione è frutto del lavoro della divisione Rolls-Royce dedicata alla realizzazione di serie speciali e su misura ed è ispirata agli yacht degli anni ’20 e ’30. Condivide parte del telaio e un motore 6.7 V12 con la Phantom VIII, ma ha una carrozzeria cabriolet e ben 1813 componenti unici rispetto al modello più classico.

Presentata nel 2021, questa vettura include elementi insoliti per un automobile: una tenda parasole automatica, tavolini da cocktail, stoviglie Christofle, due frigoriferi contenenti alcune bottiglie di champagne Armand de Brignac. Tutto bellissimo, ma il prezzo? Oltre 28 milioni di dollari.

Se invece vi state chiedendo qual è la macchina più costosa mai venduta, la risposta è: la Mercedes-Benz 300 SLR Uhlenhaut Coupé, acquistata tramite un’asta che ha avuto luogo nel 2022, per 143 milioni di dollari

L’orologio più costoso al mondo

L’orologio più prezioso al mondo è il Graff Diamonds Hallucination, valutato 55 milioni di dollari. Il suo valore risiede prevalentemente nei diamanti colorati incastonati all’interno del bracciale di platino. Ci sono diamanti gialli, rosa, blu, verdi e arancioni, tagliati in forme diverse, per esempio a cuore, marquise, smeraldo e rotondo.

Il quadrante? Minuscolo, al quarzo, incorniciato da diamanti rosa. Un orologio che assomiglia più ad una scultura.

Le scarpe più costose al mondo

Il prezzo delle The Moon Star Shoes, firmate dal designer italiano Antonio Vietri, si aggira intorno ai 20 milioni di dollari. Sono sandali realizzati in oro e diamanti, e contengono un frammento di meteorite trovato in Argentina nel 1546.

Il tacco è un omaggio al Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo. L’unione tra design, scultura e astronomia le rende una delle calzature più folli mai create.

La carta Pokémon più costosa al mondo

È considerata il “Santo Graal” del collezionismo Pokémon. La Pikachu Illustrator del 1998 è la carta Pokémon più costosa al mondo, venduta per oltre 6 milioni di dollari. Ne esistono meno di 20, distribuite come premio di un concorso artistico.

Il vino più costoso del mondo

Il primato va al Screaming Eagle Cabernet Sauvignon 1992, venduto per 500.000 dollari. È un vino californiano, prodotto in pochissime bottiglie e molto amato dai collezionisti americani.

Altre etichette leggendarie includono Château Margaux 1787 e Romanée-Conti, ma la rarità e il contesto dell’asta hanno fatto lievitare il prezzo dello Screaming Eagle.

Il caffé più costoso al mondo

Il Black Ivory Coffee è il caffè più costoso al mondo, venduto a oltre 2.000 euro al chilo. Viene prodotto in Thailandia, dove i chicchi vengono ingeriti dagli elefanti e poi recuperati, puliti e tostati.

Questo metodo fermenta il caffè in modo naturale, rendendolo meno acido e più morbido. È servito solo in alcuni hotel di lusso nel Sud-Est asiatico.

Il profumo più costoso al mondo

Il titolo spetta a Shumukh, profumo creato a Dubai con un valore di 1,29 milioni di dollari. Il flacone è alto 2 metri, decorato con oro, diamanti, perle e vetro di Murano. È un’opera d’arte tanto quanto una fragranza.

Questi oggetti non sono solo costosi: rappresentano un mix di rarità, design estremo e valore simbolico. Dalle carte da gioco alle automobili, il loro prezzo è giustificato da ciò che evocano: unicità, desiderio e status.

Le probabilità di avere successo con le scommesse sportive

Scommesse sportive: le probabilità di avere successo

Tutto sulle scommesse sportive: uno degli hobby più popolari nel nostro paese. Qual è il loro valore atteso?

Le emozioni che la Champions League, la Serie A, la Premier League, i Mondiali e gli Europei di calcio sanno regalare sono uniche, un collante sociale e culturale per milioni di italiani. Per molti tifosi, l’abitudine domenicale di “piazzare qualche euro” sulla propria squadra del cuore, o su un risultato particolarmente atteso, è diventata quasi un rito, un modo per sentirsi ancora più coinvolti nell’evento sportivo. Questa pratica, alimentata dalla passione e dal desiderio di aggiungere un brivido in più alla partita, è una sorta di estensione naturale del tifo.

Tuttavia, proprio questa commistione tra fede calcistica e gestione delle proprie finanze personali solleva un interrogativo cruciale, un dubbio che si insinua nella mente di ogni tifoso che gioca qualche “bolla” ogni tanto: questo “gioco”, per quanto piacevoli, le scommesse sportive possono essere sostenibili o addirittura vantaggiose dal punto di vista economico nel lungo periodo? Mescolare tifo e denaro è davvero un’abitudine innocua o, come suggerisce il buon senso, un “gioco pericoloso”?

Il mercato italiano delle scommesse sportive

In Italia, dire che il mercato delle scommesse sportive è grande sarebbe un eufemismo. È un vero e proprio colosso, specialmente quando si parla del nostro amato pallone. Gli ultimi dati disponibili (per il 2022 e il 2023, visto che le statistiche viaggiano più lente di un contropiede di Mertesacker ai tempi d’oro) ci raccontano di una crescita che definire esponenziale è quasi riduttivo, soprattutto per la comodità dell’online. Chi non ha mai sognato di trasformare la propria “competenza” da divano in moneta sonante?

Come per i Gratta e Vinci, dove la frase “ma sì, proviamo, non si sa mai” è un mantra nazionale, anche per le scommesse sportive vale l’assunto che quasi tutti, almeno una volta, ci hanno provato. Nel 2022, la raccolta ha superato i 73 miliardi di euro, saliti a ben 82 miliardi nel 2023. Cifre da capogiro, alimentate dal fascino discreto del click online, che permette anche al più timido degli aspiranti “guru” di piazzare la sua giocata senza dover affrontare lo sguardo sornione del ricevitore.

Scommesse calcistiche: come funzionano le quote?

Entriamo ora nel tempio della conoscenza, o almeno, cerchiamo di capire come funziona quel numerino magico che decide le sorti di uno scommettitore: la quota. Nel mondo delle scommesse, la quota è l’inverso della probabilità percepita dal bookmaker che un evento si verifichi, moltiplicata per il nostro sudato importo scommesso per calcolare la potenziale vincita. Più un evento è probabile (Real Madrid in casa contro la Primavera del Pizzighettone), più la quota sarà bassa, rasentando quel teorico “1” che nessuno si filerebbe, perché rischiare per riavere indietro solo la posta non ha alcun senso.

In un mondo ideale, un universo parallelo dove i bookmaker sono enti di beneficenza e non aziende con bilanci da far quadrare, le quote sarebbero “eque”. Un 50% di probabilità? Quota 2.00, semplice e pulito. Ma qui, ahinoi, casca l’asino. I bookmaker, infatti, devono pur campare e, possibilmente, prosperare. Per farlo, inseriscono nelle quote un margine, l’elegante “aggio” o “allibramento”. È come se a ogni puntata, una piccola (ma costante) fetta della torta fosse già destinata a loro, prima ancora che l’arbitro fischi l’inizio.

Se la probabilità implicita calcolata sommando l’inverso di tutte le quote su un evento supera il 100%, quella percentuale extra è il loro guadagno garantito, spalmato su tutte le puntate. Questo significa che, anche se siete convinti di aver scovato la “quota d’oro”, state comunque giocando a un tavolo dove il banco ha un vantaggio matematico.

Un gioco a somma negativa?

Al di là della magia delle quote, c’è una cruda realtà finanziaria: le scommesse sportive, per loro natura,sono un gioco a somma negativa. Immaginate un grande calderone dove tutti gli scommettitori, dal “professionista” con tre monitor accesi al novellino che gioca due euro sul marcatore, versano le loro puntate. Da questo calderone, il bookmaker preleva la sua parte (l’aggio di cui sopra, il suo o compenso per il disturbo di offrirci l’illusione della ricchezza), lo Stato la sua (le tasse), e ciò che resta viene distribuito ai fortunati (e spesso inconsapevoli) vincitori. È matematica elementare: il totale restituito è sempre inferiore al totale giocato.

Certo, la Dea Bendata a volte ci vede benissimo e può regalare la gioia di andare “in cassa” con una somma inaspettata. Quella volta che avete preso il pareggio al 93esimo con gol del portiere, ve la ricorderete per anni. Ma la legge dei grandi numeri è una vecchia signora inflessibile: più giocate, più i vostri risultati tenderanno a convergere verso quel valore atteso negativo. Le storie di vincite mirabolanti, quelle da “cambio vita”, sono l’equivalente calcistico del “tiro della domenica” da centrocampo: bellissime da vedere, ma accadono una volta ogni morte di Papa (per collegarci con l’attualità). Per ogni eroe da copertina, ci sono migliaia di onesti lavoratori del clic che, settimana dopo settimana, contribuiscono al fatturato degli operatori, sperando nel colpo che li trasformi da “scommettitori della domenica” a “esperti di settore”

I bias delle scommesse sportive: perché continuiamo a cascarci?

Se la matematica è così chiaramente avversa, perché le sale scommesse (virtuali e non) pullulano di aspiranti veggenti? Qui entra in gioco la finanza comportamentale, che ci spiega come il nostro cervello, soprattutto quando c’è di mezzo il tifo, prenda delle cantonate memorabili.

  • Eccesso di confidenza (overconfidence bias): il “Mister” che è in noi. Dopo due pronostici azzeccati di fila, ci sentiamo pronti per dare lezioni a Guardiola. Sovrastimiamo la nostra abilità di leggere le partite, ignorando che un rimpallo sfortunato può mandare all’aria l’analisi più “scientifica”.
  • Bias di conferma (confirmation bias): cerchiamo solo le notizie che confermano la nostra “geniale” intuizione. La squadra del cuore gioca? L’attaccante ha un leggero raffreddore? “Ma no, è solo pretattica, vedrai che segna una tripletta!”. Le statistiche avverse? “Sono solo numeri, il calcio è un’altra cosa”.
  • Illusione del controllo: passare ore a studiare formazioni, stati di forma, precedenti, condizioni meteo e l’oroscopo dell’allenatore ci dà l’illusione di poter controllare l’esito. Peccato che il risultato finale dipenda da ventidue persone che rincorrono un pallone, e da una miriade di variabili imponderabili.
  • Avversione miope alla perdita e la sindrome del “recupero”: dopo una serie di scommesse andate male, scatta il meccanismo del “ora mi rifaccio!”. Si aumenta la posta, si cercano quote più rischiose, magari puntando sull’ignoto campionato uzbeko. È un attimo arrivare al punto che quello che mangerai a cena dipenderà dal risultato della partita tra l’undicesima e la dodicesima classificata del terzo campionato olandese. Il risultato? Spesso un buco ancora più grande nel portafoglio.
  • Disponibilità euristica (la memoria selettiva): ricordiamo con un sorriso ebete quella volta che siamo andati “in cassa” con 300 euro due anni fa, ma abbiamo convenientemente sviluppato un’amnesia selettiva per tutte le “piccole” giocate da 5, 10, 20 euro perse nel frattempo. È come l’amico che racconta solo delle sue conquiste amorose, mai dei “due di picche”.
  • Scommettere col cuore: la trappola più dolce. Puntare sulla propria squadra “perché ci credo”, anche quando affronta il Barcellona di Messi, Iniesta e Xavi. La fede calcistica è un sentimento genuino, ma trasformare il conto in banca in un’estensione della sciarpa da stadio raramente porta a risultati finanziari esaltanti.

Questi meccanismi, uniti a un marketing che ci bombarda di vincitori sorridenti, creano un cocktail micidiale che rende difficile resistere al canto delle sirene della schedina.

L’alternativa intelligente: e se invece di “puntare”, “costruissimo”?

Se finora il quadro sembra a tinte fosche per il nostro eroe scommettitore, è perché abbiamo analizzato un gioco dove, per definizione, la maggioranza è destinata a cedere risorse a una minoranza (incluso il banco). Ma cosa succederebbe se, invece di cercare il colpo di fortuna, cercassimo di costruire valore nel tempo?

Quando si investe – in azioni, obbligazioni o criptovalute – si sta, in sostanza, partecipando all’economia reale.

Certo, il mondo degli investimenti non è il paese dei balocchi: ci sono rischi, volatilità, e i rendimenti passati non sono garanzia di quelli futuri (ripetetelo come un mantra). Ma la differenza fondamentale con la scommessa sta nel rendimento atteso. Mentre nelle scommesse è strutturalmente negativo, nei mercati finanziari, nel lungo periodo, la tendenza storica è stata quella di una crescita legata allo sviluppo economico globale. Si tratta di mettere il proprio denaro “al lavoro” in attività produttive, non di lanciarlo in un’arena dove l’esito è un terno al lotto truccato a favore del banco.

Inoltre, l’investimento gode di un alleato potentissimo, sconosciuto al mondo delle scommesse: l’interesse composto. Quei rendimenti, se reinvestiti, generano a loro volta altri rendimenti, in un effetto valanga che, nel tempo, può fare miracoli. È la differenza tra sperare in un lampo di genio estemporaneo e costruire, mattone dopo mattone, un edificio solido.

Da una schedina ad un piano d’accumulo è un attimo

Torniamo al nostro tifoso. La passione è sacra, il brivido della partita insostituibile. Ma se l’obiettivo è migliorare la propria situazione finanziaria, forse è il caso di riconsiderare dove finiscono quei “pochi euro” della domenica. La “vera vittoria” non è indovinare l’under 2.5 di una partita del campionato bielorusso, ma raggiungere una serenità finanziaria che permetta di vivere meglio, realizzare progetti, e magari, perché no, godersi lo stadio senza l’ansia della “bolla” che deve entrare per forza. Questo si ottiene con:

  1. Consapevolezza: capire che scommettere è un costo per un intrattenimento, non una strategia finanziaria.
  2. Pianificazione: avere chiari i propri obiettivi di vita e come il denaro può aiutare a raggiungerli.
  3. Disciplina: mettere da parte con costanza, anche piccole somme. Quante schedine “andate male” possono magicamente trasformarsi in un piccolo – a volte anche grande – piano di accumulo?
  4. Pazienza: l’erba del vicino – che ha appena vinto la schedina – sembra sempre più verde, ma la crescita finanziaria solida è una maratona, non uno sprint.

Immaginate se solo una parte di quei 82 miliardi di euro giocati in un anno in Italia venisse indirizzata verso forme di risparmio e investimento produttivo. Forse avremmo meno storie da bar su “quella volta che quasi…”, ma certamente più famiglie con un futuro finanziario più sereno.

La fede calcistica è una cosa meravigliosa. Le emozioni che ci regala sono impagabili. Le scommesse sportive invece, con il loro fascino da “scorciatoia per la felicità”, sono un labirinto dove è facile perdersi. L’alternativa c’è, ed è meno adrenalinica ma decisamente più costruttiva. L’investimento, inteso come partecipazione consapevole all’economia, offre una prospettiva di crescita nel lungo periodo. Non promette miracoli, ma si basa su fondamenta più solide della speranza che il centravanti avversario inciampi sul dischetto al 90esimo.

La scelta finale spetta sempre al singolo tifoso. Continuare a “piazzare qualche euro” sperando nella botta di fortuna, o iniziare a costruire, con pazienza e intelligenza, un percorso verso una maggiore libertà finanziaria? Se vuoi optare sulla seconda fai “un salto” su Young Platform. Oggi il più grande exchange al 100% italiano, domani l’unica piattaforma finanziaria di cui avrai bisogno.