Zealy: la chiave “segreta” per il concorso The Unbox

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Il tuo asso nella manica per il concorso The Unbox di Young Platform? La campagna di interazione social su Zealy. Scopri come ottenere il massimo delle Gemme

Zealy è una piattaforma leader nel community engagement, utilizzata dai migliori progetti Web3 per coinvolgere gli utenti e premiarli per il loro contributo alla crescita, prevalentemente sui social network. Collegando i tuoi account Discord e X (ex Twitter) a Zealy, puoi guadagnare punti completando missioni semplici come:

  • Seguire Young Platform, per esempio su X o Instagram;
  • Mettere “mi piace” ai post e commentare;
  • Leggere articoli educativi e rispondere a quiz;
  • Invitare amici nel server Discord;
  • Creare contenuti che promuovano l’ecosistema Young Platform;
  • Partecipare a sfide tematiche.

Il funzionamento è molto semplice: completa un compito (o task), ricevi i punti e convertirli in Gemme sull’app di Young Platform (Missioni “Crew”); la risorsa chiave per salire nella classifica di The Unbox!

Perché Zealy è fondamentale per The Unbox?

In primo luogo perché mentre alcune missioni nell’app richiedono azioni finanziarie (come acquistare crypto), Zealy ti permette di guadagnare Gemme in modo gratuito, accessibile e alla portata di tutti

Inoltre, se conosci il regolamento di The Unbox saprai che ogni volta che accumuli 100 Gemme (anche quelle guadagnate via Zealy!), sblocchi Ticket aggiuntivi. Più ne hai, più alte saranno le probabilità di vincere all’interno dell’estrazione finale, dove non conta la tua posizione in classifica!

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Iscriversi a Zealy è semplice!

Iscriversi a Zealy è molto semplice, ecco i sei passi da compiere.

  1. Visita questo link e registrati con la tua email (usa la stessa del tuo account Discord, se già ne hai uno);

2. Conferma l’account con il codice ricevuto via email e scegli un username.

3. Vai su ‘Account settings’ (in alto a destra) e collega Discord e X.

4. Completa le Missioni: ogni like, contenuto creato o quiz completato ti regala punti. Per le task automatiche questi ti vengono accreditati subito, mentre devi aspettare che un admin approvi quelle che necessitano di un controllo. P.S. Controlla spesso: nuove sfide vengono aggiunte regolarmente!

5. Converti i Punti in Gemme: nella sezione Missioni “Crew” di Young Platform, trasforma i punti Zealy in Gemme e scala la classifica!

Non hai ancora Discord o X?

Discord è il cuore della community di Young Platform. Sul nostro server gli utenti più attivi discutono di crypto, finanza e macroeconomia, condividono strategie e si aiutano a vicenda.

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X (ex Twitter) è il social di riferimento per il Web3. Se ti definisci un crypto investitore non puoi non avere un’account.

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Cosa aspetti? Il tempo è Gemme!

The Unbox è l’occasione per divertirsi, imparare e vincere premi straordinari. Con Zealy, anche un like o un invito a un amico ti possono aiutare a raggiungere la vittoria.

Agisci ora:

  • Unisciti alla Campagna Zealy
  • Accumula Gemme, sblocca Ticket e conquista i premi!

PS: Ricorda di completare la nuova verifica del tuo account Young Platform per ricevere i premi, disponibile da metà maggio. Senza di essa, anche le Gemme più brillanti resteranno nel scrigno!

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La lettera di Trump all’UE: da agosto dazi al 30%

La lettera di Trump all'UE: da agosto dazi al 30%

Donald Trump torna al centro della scena con una lettera alla presidente UE von der Leyen. Il tema? I dazi, come sempre. I mercati tengono, BTC vola! 

Donald Trump ha spedito una lettera intestata personalmente alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, arrivata nella giornata di sabato 12 luglio. L’oggetto, naturalmente, i dazi: a partire dall’1 agosto, si legge, gli USA applicheranno una tariffa del 30% sui prodotti UE. Come hanno reagito i mercati? E Bitcoin? Scendiamo nel dettaglio. 

La lettera di Donald Trump: UE c’è posta per te 

Come nel famoso programma condotto dall’eterna Maria de Filippi, Donald Trump bussa alla porta dell’Unione Europea con un “toc-toc, cara Ursula c’è posta per te”. In effetti, la lettera è intestata proprio alla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, “Her Excellency”. Almeno sulla forma ci siamo. Ma concentriamoci sul contenuto

Il tono non è proprio quello trumpiano da social, deciso e aggressivo, ma sembra più accomodante e allo stesso tempo passivo-aggressivo, nel senso che si percepisce la solita tecnica del “noi stiamo bene con voi e non volevamo farlo eh, ma ci avete costretto e quindi vi beccate i dazi”. 

Infatti, la lettera inizia con un invito, quasi gentile, a collaborare insieme sui temi commerciali, seguito però da un secco “dobbiamo allontanarci da questi deficit commerciali di lungo termine”. Poi la botta: “a partire dal 1° agosto 2025, applicheremo all’Unione Europea un dazio del solo 30% sui prodotti europei esportati negli Stati Uniti, separato da tutti i dazi settoriali”.  

La storia non finisce qua, perchè qualche riga dopo Trump specifica che, nel caso di ritorsioni, contromisure e controdazi, qualsiasi percentuale decisa “verrà sommata al 30% già applicato. Occhio per occhio, dente per dente. 

Il testo si conclude, infine, con una sorta di richiesta condita da lacrime di coccodrillo: “per favore”, si legge, “vi preghiamo di comprendere che questi dazi sono necessari” a causa di anni e anni di tariffe e politiche commerciali che l’UE avrebbe imposto alle merci USA in entrata. “Non vediamo l’ora di collaborare con voi come partner commerciali!”. Sarà vero? 

La reazione dell’Unione Europea

Ursula von der Leyen ha risposto con un atteggiamento alla Mario Brega in “Bianco, Rosso e Verdone” – sta mano po’ esse ferro e po’ esse piuma. Per i non avvezzi alla commedia italiana, ciò significa che la Presidente della Commissione UE ha proposto una sorta di approccio a doppio binario: l’Unione Europea predilige la soluzione diplomatica e dunque si prenderà tutto il tempo necessario, fino al primo agosto, per giungere ad un accordo – la piuma. Nel caso in cui questa strategia dovesse fallire, si passerà alle maniere “forti”, dunque a delle contromisure adeguateil ferro.

In ogni caso, in virtù della preferenza per il primo metodo, l’Unione Europea ha posticipato al 1° agosto l’entrata in vigore dei controdazi per 21 miliardi di euro sui beni statunitensi – in risposta alle tariffe del Liberation Day – prevista per la mezzanotte di lunedì 14 luglio. Intanto, il Commissario europeo per il commercio Maroš Šefčovič ha espresso la volontà di organizzare un incontro con gli omologhi americani, per cominciare le negoziazioni. 

Come hanno reagito i mercati finanziari?

Diciamo subito che poteva andare molto peggio. I motivi, apparentemente, sono semplici. In primo luogo, Donald Trump ha dato prova in più occasioni di non essere una persona così fedele alla parola data. Non a caso, è stato soprannominato il TACO President – Trump Always Chickens Out, “Trump si tira sempre indietro”. Coerentemente, in pochi credono che The Donald arriverà a mantenere l’impegno. 

Poi, anche se strettamente legata al primo motivo, c’è la convinzione diffusa che si giungerà a un accordo prima della deadline: i due mercati, europeo e statunitense, sono troppo intrecciati e vedono il coinvolgimento di numerosi interessi particolari, che faranno una forte pressione. Basti pensare che il commercio fra le due sponde dell’Atlantico, stando alle parole dello stesso Šefčovič, vale circa 4,4 miliardi di dollari al giorno

Partendo dai listini europei – al momento in cui scriviamo – in ultima posizione troviamo Francoforte, col DAX che perde lo 0,30%. Leggermente meglio il CAC 40 di Parigi, con un -0,24%. In positivo Milano (FTSE Mib) dello 0,27%, mentre la prima posizione se la prende Londra, col FTSE 100 che guadagna lo 0,66%

Diamo ora uno sguardo rapido all’altro attore coinvolto, gli Stati Uniti. Reazione più contenuta ma tutta in territorio positivo per i principali indici americani: terzo posto per l’S&P500, che al momento guadagna lo +0,04%, preceduto dal Dow Jones con un +0,07%. Meglio il Nasdaq, su dello 0,20%

In tutto ciò volano le crypto 

Beh, lato crypto sembra di essere nelle Highlands scozzesi in primavera: verde ovunque. Bitcoin ha raggiunto un nuovo ATH a 123.000$ nella giornata di martedì 14 luglio e sembra fregarsene totalmente di ciò che sta succedendo: da una settimana non fa altro che toccare nuovi massimi. Nella giornata di oggi c’è stato un po’ di scarico, ma siamo comunque sul +1,2%

Situazione rosea – o per meglio dire, verde smeraldo – anche per le altcoin. Cominciando con la regina delle alt, Ethereum oggi viaggia sui 3.026$, a +1,11% rispetto alla giornata di ieri, così come Solana, su dell’1,22%, a 164,7$. 

Menzione di merito al nostro toker, Young (YNG), che sta facendo il panico: dall’annuncio della data del listing su Uniswap, il 14 luglio, YNG ha messo a segno il 21% (!!!). Adesso si aggira sui 0,39€ (0,45$) – mentre il primo luglio era a quota 0,21€ (0,24$). Complessivamente, se guardiamo il timeframe mensile, YNG è su del 74,35%.

Quindi, gli USA e l’Unione Europea arriveranno a un accordo? O è l’inizio di una guerra commerciale fra alleati? Iscriviti al nostro canale Telegram per restare aggiornata/o sulle notizie che contano. In alternativa, puoi anche registrarti direttamente a Young Platform cliccando qui sotto!

Il 17 luglio Young (YNG) sbarca nel mondo DeFi: il listing su Uniswap

Young (YNG) arriva in DeFi: listing su Uniswap

Dopo anni di crescita all’interno del nostro ecosistema, siamo pronti per uno dei passi più importanti della nostra storia. Ecco perché il lancio di YNG su Uniswap non è un punto di arrivo, ma un nuovo, entusiasmante inizio.

Il 17 luglio avverrà qualcosa che stiamo aspettando da tempo, una tappa fondamentale nel nostro viaggio. Siamo incredibilmente emozionati di annunciare che il nostro token, Young (YNG), verrà ufficialmente lanciato sulla blockchain di Ethereum, nello specifico sull’exchange decentralizzato Uniswap e in contemporanea anche listato su CoinMarketCap

Ma non solo! Nei prossimi giorni daremo anche il via a un nuovo, incredibile concorso a premi in cui YNG sarà uno dei principali protagonisti. Questo non è solo un listing. È il momento in cui apriamo le porte del nostro ecosistema al mondo intero.

Cosa significa questo lancio per la Community e per YNG?

Fin dalla sua nascita nel 2018, YNG ha vissuto e prosperato all’interno del nostro ecosistema. È stato lo strumento per premiare l’educazione con Step, la chiave per accedere ai vantaggi esclusivi dei Club e il simbolo della fiducia della nostra community.

Fino ad oggi, però, era un tesoro condiviso solo tra i nostri utenti.

Con il lancio su Uniswap, tutto cambia. YNG diventa un asset globale, accessibile a chiunque, ovunque, senza barriere. Entra nel mondo della finanza decentralizzata (DeFi) su Ethereum, aprendosi a un universo di nuove possibilità e a un pubblico internazionale. Per te, che sei parte della nostra community o che ti avvicini a YNG per la prima volta, questo significa più visibilità e la prima, vera interazione del nostro token con il mercato globale.

Le fondamenta che sostengono il lancio

Arriviamo a questo momento dopo oltre sei anni di lavoro e di scelte strategiche pensate per la stabilità a lungo termine. Questo lancio non è il passo successivo di un percorso costruito su pilastri solidi.

  • Una filosofia “Community-First”: la nostra crescita aziendale è stata supportata da partner istituzionali di primo livello come Azimut, che hanno investito nell’equity della nostra società, non nel token. Abbiamo consapevolmente scelto di non vendere YNG a fondi di Venture Capital per proteggere la nostra community dalla diluizione e da vendite speculative.
  • Una tokenomics basata sulla scarsità: la forza di YNG risiede in un assetto economico progettato per creare valore reale. La scarsità è uno dei suoi punti cardine: una porzione enorme della sua offerta circolante (attualmente più del 70%) è bloccata nei nostri Club, su Step o nelle pool di liquidità.
  • Un modello economico sostenibile: il meccanismo economico che integreremo a breve, alimentato da buyback finanziati dai ricavi della piattaforma e da iniezioni di liquidità, ci permetterà di sostenere attivamente il valore del token.

Perchè Uniswap?

Per un evento così importante, abbiamo scelto non solo la piattaforma migliore, ma la tecnologia migliore. Il lancio avverrà su Uniswap V3. Questa scelta tecnica è stata fatta per un motivo preciso: proteggere e stabilizzare il mercato di YNG fin dal primo minuto.

Il raggiungimento di questa milestone non è un traguardo, ma un nuovo punto di partenza. È il momento in cui il progetto che abbiamo coltivato con cura insieme alla nostra community si presenta al mondo.

Siamo orgogliosi del percorso fatto e incredibilmente entusiasti per il futuro che costruiremo, ora più che mai, insieme a voi. Il prossimo capitolo della nostra storia sta per iniziare.

Ma il bello deve ancora arrivare…

L’utilità di YNG è in continua espansione. Oltre ai vantaggi reali già disponibili per i membri dei Club, come lo sconto fino al 90% sulle commissioni di trading e il boost sui rendimenti dello staking, abbiamo stretto partnership esclusive con brand di successo come WeRoad, Serenis e Milano Finanza, per offrire un valore che va oltre il mondo crypto.

Coerentemente con quanto previsto dalla nostra roadmap, i membri dei Club otterranno privilegi come il cashback sulla carta di debito (fino al 3,6%) e vantaggi esclusivi sul trading di Futures. E non è tutto: YNG sarà uno dei protagonisti all’interno del nuovo concorso a premi che lanceremo nei prossimi giorni.

Il raggiungimento di questa milestone non è un traguardo, ma un nuovo punto di partenza. Siamo orgogliosi del percorso fatto e incredibilmente entusiasti per il futuro che costruiremo, ora più che mai, insieme a voi.

E tu sei già un YNG hodler? Compra Young (YNG) e unisciti ai Club ora!

Nasce l’America Party: Elon Musk, crypto e IA

Nasce l'America Party: Elon Musk, crypto e IA

Elon Musk fa sul serio: nasce l’America Party. L’idea di un nuovo partito, risalente a un mese fa, ora prende forma. Tra i temi centrali crypto e IA

Elon Musk sembra intenzionato a scardinare il sistema politico americano a due partiti con la creazione dell’America Party, una formazione nata “per gli americani”, in risposta alla nuova legge fiscale approvata definitivamente giovedì 3 luglio. Il partito, che avrà in Musk il suo massimo rappresentante, dovrebbe portare avanti un programma visionario, incentrato su Bitcoin e mondo crypto, riduzione del debito pubblico, intelligenza artificiale e libertà di parola. Vediamo insieme cos’è successo e cosa ha in mente l’uomo più ricco del pianeta.   

Elon Musk, prima braccio destro di Trump, ora fonda il suo partito: cos’è successo?

Con la nascita dell’America Party comincia un nuovo capitolo della saga tra Elon Musk e Donald Trump: l’uomo più ricco del mondo contro quello più potente. I due, che adesso sembrano la versione istituzionale di Tom e Jerry, non sono stati sempre così distanti, anzi. Come è noto, il multimiliardario di origini sudafricane è stato fra i maggiori supporter della candidatura a Presidente degli USA di Donald Trump, con centinaia di milioni di dollari donati in campagna elettorale. Ma com’è possibile che, nell’arco di un mese, la situazione sia degenerata nel caos più totale?

Capitolo 1: Elon Musk alza il sopracciglio e inizia a sospettare

Tutto parte il 2 aprile, il Liberation Day, ovvero il giorno in cui The Donald ha trionfalisticamente annunciato i dazi lasciando a bocca aperta i governi di tutto il mondo. A quanto pare, anche il nostro amico anarco-tecno-capitalista Elon Musk ci sarebbe rimasto molto male: per un imprenditore come lui, le tasse sono fondamentalmente quanto di più malvagio la mente umana possa concepire. Nel semi-silenzio, il seme della rivincita muskiana cominciava a germogliare. Passano due mesi, arriva il 5 giugno

Capitolo 2: la goccia che ha fatto traboccare il vaso

Donald Trump, nel prestigioso studio ovale della Casa Bianca, dice di essere “molto deluso” da Elon Musk a causa dei commenti di quest’ultimo – “è un disgustoso abominio!” – sull’imponente legge di bilancio One Big Beautiful Bill Act (OBBBA). E non ha tutti i torti: per finanziare l’OBBBA, il tetto del debito pubblico americano deve essere alzato di 5 trilioni di dollari. Parliamo di una cifra mostruosa che andrebbe a gravare su un debito pubblico già spaventosamente alto – 36,2 trilioni. Che lo spettacolo abbia inizio.

Capitolo 3: lo scontro frontale e la pace apparente

Inizia una guerra a colpi di tweet impazziti carichi di risentimento, con accuse reciproche e minacce neanche troppo velate – qui abbiamo trattato lo scontro fra Musk e Trump in modo approfondito. Inoltre, il 5 giugno stesso, il Tony Stark di Pretoria posta su X un sondaggio chiedendo ai suoi 221 milioni di follower: “È arrivato il momento di creare un nuovo partito politico in America che rappresenti davvero l’80% che sta nel mezzo?”. L’80% risponde affermativamente, il 20% no, e il 7 giugno arriva il secondo tweet: “Il popolo si è espresso. In America serve un nuovo partito politico che rappresenti davvero l’80% che sta nel mezzo!”. Intanto Musk, che era già uscito dall’amministrazione trumpiana dimettendosi dal DOGE (Department of Government Efficiency), raffredda i toni del confronto e torna a concentrarsi su Tesla e Space X. Ma la pace era solo apparente.

Capitolo 4, parte 1: l’OBBBA passa al Senato prima e alla Camera poi. Musk non ci vede più 

Siamo finalmente arrivati ai giorni nostri. Il One Big Beautiful Bill Act viene approvato dal Senato (51 a 50) e dalla Camera (218 a 214) con una maggioranza risicatissima. Elon Musk ritorna prepotentemente al centro del dibattito con una serie di tweet incandescenti: “È evidente, con la spesa folle prevista da questo disegno di legge — che innalza il tetto del debito di ben CINQUE MILA MILIARDI DI DOLLARI, un record assoluto — che viviamo in un Paese a partito unico: il PORKY PIG PARTY!!”, per citarne uno. Continuerà in questo modo per quasi una settimana, sottolineando la gravità di un debito pubblico così alto. Fino al 4 luglio.

Capitolo 4, parte 2: la nascita dell’America Party

È l’Indipendence Day negli Stati Uniti, festa nazionale importantissima che celebra l’adozione della Dichiarazione d’Indipendenza dalla Gran Bretagna e, di conseguenza, la nascita della nazione. Il nostro eroe coglie la palla al balzo per sottoporre al popolo di X un sondaggio molto simile a quello del mese prima: “Il Giorno dell’Indipendenza è il momento perfetto per chiederci se vogliamo davvero liberarci dal sistema bipartitico (o, come direbbero alcuni, monopartitico)! Dovremmo creare l’America Party?”. A cui segue il relativo esito: “Con un rapporto di 2 a 1 – 65,4% si, 34,6% no – volete un nuovo partito politico e lo avrete!” aggiungendo anche “Oggi nasce l’America Party, per restituirvi la vostra libertà”. 

Il dado è tratto. Vedremo se questo partito avrà effettivamente un peso all’interno del sistema americano o se sarà un buco nell’acqua che determinerà la fine dell’esperienza politica muskiana. Quel che è certo, è che storicamente il terzo partito ha avuto un ruolo molto poco rilevante nella politica USA e Donald Trump lo sa bene: “Penso sia ridicolo fondare un terzo partito”, ha dichiarato il POTUS nella giornata di lunedì 7 luglio. Ai posteri l’ardua sentenza. 

America Party: qual è il programma di questa nuova formazione politica?

Prima di scendere in profondità, corre l’obbligo di fare una premessa: ad oggi, l’America Party rimane un progetto, più concreto rispetto a un mese fa, ma comunque un progetto. Ogni informazione sull’ideologia, sul programma politico e sulle intenzioni deriva soprattutto dalle dichiarazioni di Musk e dal profilo “America Party” su X, account creato ai tempi del primo sondaggio e dunque non (ancora) ufficiale. Allo stesso tempo, però, riteniamo che le posizioni politiche ufficiali – nel caso in cui veramente si passasse dalle parole ai fatti – non si discosteranno troppo da quello che leggiamo ora. 

Un secondo dettaglio, importante, è relativo agli obiettivi elettorali: con l’America Party, Elon Musk non punta a diventare il 48esimo Presidente degli USA, anche perché non potrebbe, essendo nato fuori dal suolo americano. L’obiettivo è diventare l’ago della bilancia, la forza che sposta gli equilibri: “Il modo in cui romperemo il sistema monopartitico è ispirato a come Epaminonda infranse il mito dell’invincibilità spartana a Leuttra: una forza estremamente concentrata in un punto preciso del campo di battaglia”. Che cinema. In che modo? Concentrandosi sulla conquista di due o tre seggi al Senato e otto-dieci alla Camera

Il programma: riduzione del debito, deregolamentazione, nascite, IA e free speech

In ogni caso, questo partito “di centro” dovrebbe concentrarsi su sei punti in particolare, tutti estremamente coerenti con l’ideologia tecno-capitalista o tecno-libertaria, di cui Musk è uno dei massimi rappresentanti. Il primo punto riguarda la riduzione del debito pubblico e non potrebbe essere altrimenti, dato che rappresenta il fondamento stesso del partito. In secondo luogo, deregolamentare: meno impedimenti, meno burocrazia, meno Stato. Anche qui, l’indole anarco-liberista di Elon Musk lascia nettamente il segno. Tanta attenzione, poi, verrà dedicata al tema della natalità, che al nostro futuro capo popolo sta molto a cuore – così tanto da essere diventato padre di Romulus a settembre per la 14esima volta. 

Tantissimo spazio anche alla tecnologia e all’intelligenza artificiale. Cosa potevamo aspettarci, d’altronde, dal proprietario di Tesla, SpaceX, Neuralink e X? Dal real-life Tony Stark che va in giro con la maglietta “Occupy Mars” e che aveva nella bio di X “Futuro Imperatore di Marte”? Nello specifico, il percorso immaginato dovrebbe essere questo: tanta ricerca e sviluppo per migliorare la tecnologia al fine di vincere la sfida del secolo sull’IA. E tanta IA super efficiente per potenziare le capacità militari e aerospaziali. Immancabile, poi, il rimando al free speech, cioè alla libertà di parola, cavallo di battaglia della campagna MAGA di Donald Trump. E il sesto punto?

America Party e Bitcoin: una cotta che potrebbe diventare Amore con la A maiuscola

Proprio così, l’America Party e Bitcoin potrebbero dar vita a una sinergia molto interessante. Come lo sappiamo? Beh, l’ha scritto lo stesso Musk su X: alla domanda di un utente “l’America Party sosterrà/adotterà Bitcoin?”, ha risposto con un lapidario “La valuta fiat è senza speranza, quindi si”. 

La questione, va detto, non è “limitata” a Bitcoin, ma potrebbe riguardare il mondo crypto in generale. Innanzitutto, lo stretto legame tra il protagonista di questa storia e Dogecoin è di dominio pubblico, tanto che i suoi endorsement alla prima memecoin della storia hanno stravolto il mercato più e più volte – senza dimenticarci che un apparato governativo ufficiale è stato chiamato letteralmente D.O.G.E

Inoltre, l’account America Party su X segue delle personalità molto importanti all’interno dell’universo crypto, il che potrebbe già segnalarci qualcosa: tolti i vari profili collegati a Dogecoin, tra i following spiccano Michael Saylor (MicroStrategy), Arkham e Autism Capital. Infine, è già stata lanciata la crypto $AP, che dal 5 luglio al momento in cui scriviamo (7 luglio), ha messo a segno un +1200% circa, passando da 0,0025$ agli attuali 0,03$.

Ma quanto ci fanno divertire? 

Concludiamo questa ricostruzione degli eventi con una domanda semplice: ma quanto ci fanno divertire ‘sti due? Sicuramente tanto, due personaggi come Elon Musk e Donald Trump non smetteranno mai di riempire il palinsesto, come direbbe qualcuno. A parte gli scherzi, se il progetto America Party andrà in porto, sarà un’estate interessante, con continui colpi di scena, di quelli possibili solo grazie a piattaforme come X e Truth – e ai relativi fondatori, Musk e Trump.

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Energie rinnovabili: lo stato dell’arte

Investire nelle energie rinnovabili: opportunità e strategie

Le energie rinnovabili sono un tema centrale dagli anni ’70. Qui capiremo insieme di cosa si parla, a che punto siamo e se ha senso investirci

Le energie rinnovabili, tema ormai all’ordine del giorno, sono entrate pesantemente nel dibattito pubblico per la prima volta intorno agli anni ‘70, in occasione delle varie crisi petrolifere. In quel momento, coi prezzi del petrolio alle stelle, l’opinione pubblica ha iniziato seriamente a domandarsi se un sistema fondato esclusivamente sul combustibile fossile potesse essere davvero sostenibile. La risposta, ovviamente negativa, ha sollevato una serie di riflessioni sulla necessità di diversificare l’approvvigionamento energetico. Da quel momento sono passati quasi cinquant’anni: a che punto siamo adesso? In che direzione ci stiamo muovendo?

Cosa sono le energie rinnovabili?

Le energie rinnovabili, molto semplicemente, sono quelle fonti di energia non soggette a esaurimento: sono considerate inesauribili perché si rigenerano allo stesso ritmo, o anche a ritmo superiore, a quello con cui vengono consumate. Alcune fonti rinnovabili, tuttavia, presentano una capacità rigenerativa limitata. Le foreste, ad esempio, necessitano di un intervallo di tempo definito prima di poter essere nuovamente sfruttate, perché banalmente occorre aspettare che gli alberi ricrescano. Questi tipi di energia, pertanto, possono essere sfruttati senza negare le stesse possibilità alle generazioni future. 

Le energie rinnovabili, dal momento che dipendono direttamente dalle condizioni ambientali, non sono disponibili in modo uniforme in tutto il mondo. Come è evidente, è necessario che l’ambiente presenti determinate caratteristiche “energetiche”, come la quantità di luce solare disponibile e l’intensità del vento, ma anche spaziali dato che si tratta, spesso, di impianti molto invasivi. Tra le economie avanzate, solo Islanda e Norvegia riescono a soddisfare la totalità del fabbisogno energetico attraverso questa tipologia di energie, con Svezia e Danimarca subito dietro. 

Le energie rinnovabili, ovviamente, si basano sulle risorse rinnovabili, cioè sulle risorse che hanno un tasso di rigenerazione maggiore o uguale al tasso di consumo. Possono essere materiali o energetiche e coltivate o naturali: il legno, per esempio, è una risorsa materiale coltivata, mentre il vento rientra nelle energetiche naturali. 

Quali sono le energie rinnovabili?

Le principali energie rinnovabili sono sei e, ad eccezione dell’energia geotermica e marina, dipendono tutte dal Sole. Senza l’irraggiamento solare, infatti, non avremmo il vento, che è prodotto dalle differenze di pressione generate dal riscaldamento non omogeneo delle masse d’aria; non avremmo neanche l’idroelettrico perchè, logicamente, il Sole è responsabile del ciclo dell’acqua – dall’evaporazione alla pioggia; anche l’energia delle biomasse, che vedremo fra poco, deriva in parte dalla fotosintesi clorofilliana, irrealizzabile senza la luce solare. Entriamo al volo nel dettaglio:

Energia solare

L’energia solare può essere sfruttata in almeno tre modi diversi. Quello sicuramente più conosciuto fa riferimento all’energia solare fotovoltaica, cioè quella raccolta attraverso i pannelli solari. Gli impianti fotovoltaici, appunto, catturano la radiazione elettromagnetica emessa dal Sole – ovvero i raggi solari – e la convertono in energia elettrica: questa può essere impiegata sia per il riscaldamento dell’acqua, sia per l’illuminazione

Si parla poi di energia solare termica. Qui, la luce del Sole diventa calore perché viene usata per scaldare un liquido speciale, detto “termovettore” (cioè che trasporta energia termica), che a sua volta trasferisce il calore all’acqua che utilizziamo quotidianamente. 

Infine, l’energia solare termodinamica viene generata semplicemente direzionando la luce solare verso le caldaie, attraverso degli specchi montati sui tetti.  

Energia eolica

L’energia eolica, come tutti sanno, si ottiene attraverso il movimento delle gigantesche turbine eoliche, tipo quelle che vediamo dall’autostrada quando andiamo in vacanza in Puglia. Queste turbine, dette anche aerogeneratori, trasformano l’energia cinetica del vento in movimento rotatorio e azionano un generatore. Per semplificare: hai presente le torce dinamo che ti porti in campeggio? Quelle che si accendono dopo aver girato la manovella? Stessa cosa. 

Energia idroelettrica 

L’energia idroelettrica si ottiene con lo stesso principio dell’energia eolica. Si basa sul movimento – dunque sull’energia cinetica – dell’acqua, ottenuto solitamente sfruttando il dislivello fra due punti: l’acqua, cadendo da un punto alto a uno più basso, mette in moto delle turbine che, proprio come quelle eoliche, azionano dei generatori i quali producono elettricità. Il modo più comune per produrre energia idroelettrica è con le dighe e coi bacini idrici. 

Energia delle biomasse

L’energia delle biomasse deriva dalla combustione, gassificazione o fermentazione di materia organica di origine animale o vegetale, come rifiuti urbani o scarti agricoli. Con la combustione si produce calore, con la gassificazione elettricità e con la fermentazione i biocarburanti, come il bioetanolo e il biogas, utilizzati anche per alimentare le auto. 

Energia geotermica

L’energia geotermica è il calore naturale immagazzinato nel sottosuolo, prodotto dai processi geologici interni. La conversione del calore geotermico in energia elettrica si basa anch’essa sui movimenti delle turbine e sui relativi generatori

Per esempio, si perforano dei pozzi naturali dove è presente vapore ad alta pressione, per estrarlo e convogliarlo verso una turbina, che conseguentemente mette in moto il generatore. Oppure, nel caso in cui i pozzi non fossero abbastanza caldi da generare calore in modo efficiente, si estrae l’acqua naturalmente calda per riscaldare un secondo fluido, detto fluido di lavoro, che ha temperature di ebollizione più basse. Si sfrutta poi il vapore generato da questo secondo fluido per azionare le turbine, eccetera eccetera. 

Energia marina

Anche l’energia marina, o mareomotrice, sfrutta il movimento, in questo caso delle correnti, delle maree e delle onde. Come nel caso dell’eolico e dell’idroelettrico, i moti delle masse d’acqua fanno girare delle turbine che attivano i relativi generatori. L’energia meccanica viene quindi convertita in energia elettrica. Nonostante sia molto promettente, per ora trova poche applicazioni in quanto fortemente invasiva a livello ambientale.

Chi spende di più in energia rinnovabile?

Giusto per dare un’idea complessiva dei cambiamenti in atto, l’AIE (Agenzia Internazionale per l’Energia), nel suo report “World Energy Investment 2025”, ci dà una panoramica della situazione attuale: gli investimenti globali nel settore energetico alla fine del 2025 ammonteranno a 3,3 trilioni di dollari, di cui 2,2 trilioni – il 66,7% – destinati a energie rinnovabili, con le relative infrastrutture, e al nucleare, concettualmente molto più vicino alle rinnovabili che ai combustibili fossili. 

Inoltre, sempre l’AIE ci dice che, se dieci anni fa le spese per la produzione di energia dalle fonti fossili era superiore del 30% rispetto a quella ottenuta dalle rinnovabili, oggi la situazione è invertita: gli investimenti nel settore elettrico dovrebbero raggiungere la cifra di 1,5 trilioni di dollari per il 2025, ovvero il 50% in più rispetto agli investimenti totali per i combustibili fossili. Questa crescita, spiega l’AIE, è stata spinta dagli ingenti aiuti che le istituzioni hanno erogato soprattutto negli ultimi 5-10 anni, ma anche riduzione del costo delle tecnologie chiave per la transizione energetica, in calo del 60% rispetto a un decennio fa. 

Tra le motivazioni principali dietro questa tendenza troviamo sia la necessità di porre un freno al cambiamento climatico, sia le varie considerazioni in materia di sicurezza energetica, tornate al centro dell’attenzione in seguito all’invasione russa dell’Ucraina e ai conflitti in Medio Oriente: i governi si sono resi conto che è imprescindibile diversificare l’approvvigionamento energetico, per mitigare i rischi ed evitare un blocco delle forniture. Ora un breve recap sul comportamento delle principali economie mondiali. 

Cina

Nel 2025, la Repubblica Popolare Cinese guida gli investimenti nelle energie pulite, tra cui le rinnovabili, con circa 630 miliardi di dollari – quasi il 30% del totale globale. In merito, i cinesi vantano ben tre record: il parco eolico, il parco fotovoltaico e la diga più grandi del mondo. Il primo, situato nel deserto del Gobi, è ancora in fase di completamento ma presenta più di 7.000 turbine. Il secondo, conta quasi 5,3 milioni di pannelli solari ed ha un’estensione di 133 km quadrati – per fare un paragone, il comune di Torino ha una superficie di 130,2 km quadrati. La terza, chiamata Diga delle Tre Gole, è talmente grande che il bacino d’acqua generato rallenta la rotazione della Terra – parliamo di un rallentamento totalmente impercettibile, ma comunque reale.

Stati Uniti d’America

Gli Stati Uniti, in costante competizione con la Cina, si stanno gradualmente orientando verso le fonti di energia rinnovabile, nonostante siano il più grande produttore al mondo di petrolio, con 13,2 milioni di barili al giorno nel 2024. Nello specifico, la quota di investimenti in energie pulita – termine che include, oltre alle rinnovabili, anche il nucleare e altre forme a bassa emissione – sul totale degli investimenti energetici, è passata dal 59% del 2015 al 68% nel 2025. L’AIE, inoltre, prevede che la percentuale raggiungerà l’81% entro il 2035

Gli Stati Uniti sono anche particolarmente attenti all’efficienza energetica e sono leader nel campo dell’ottimizzazione dei processi energetici basati su intelligenza artificiale. Questo campo, in futuro, sarà cruciale soprattutto per l’enorme quantità di energia che verrà richiesta dai data center, alla base del funzionamento proprio dell’IA.

Unione Europea

Come anticipato, l’invasione russa dell’Ucraina e il successivo stop ai rifornimenti di petrolio e gas russi hanno dato uno scossone all’UE, che ha finalmente compreso l’importanza della diversificazione. Nel 2025, riporta l’AIE, gli investimenti in energia pulita raggiungeranno i 390 miliardi di dollari, subito dopo Cina e Stati Uniti, mentre nel 2024 il 50% dell’energia elettrica di tutto il Vecchio Continente è stata prodotta con fonti di energia rinnovabile.

Un’altro dato, che dimostra l’effettivo cambio di corsia, riguarda il rapporto tra investimenti in produzione di energia elettrica da rinnovabile e da combustibile fossile: nel 2015 la proporzione era 6 a 1, mentre nel 2025 è 35 a 1. Una crescita di quasi il 500%.

Sarebbe interessante parlare anche di India, America Latina e Caraibi, Africa e Sud-Est Asiatico, ma quest’articolo poi diventerebbe un episodio di Noos e non abbiamo per niente voglia di rubare il lavoro al mitico Alberto Angela – è passato troppo tempo per fare la gag con Super Quark. Ti basta sapere che il trend è confermato in tutto il mondo e la spesa in tutto ciò che è relativo alle energie rinnovabili cresce con percentuali a due cifre: i leader di tutti i cinque continenti sono perfettamente consapevoli della necessità di differenziare l’approvvigionamento di energia in nome della sicurezza energetica. 

Ma quindi, conviene investire nell’energia rinnovabile?

Il discorso qui è abbastanza complesso. In passato, abbiamo già trattato un tema molto simile, quando ci siamo occupati dei fondi ESG: abbiamo notato una tendenza al disinvestimento nel breve termine, motivata soprattutto dalla fine dell’infallibilità del green, simbolicamente sancita dall’elezione di Donald Trump – ricorderai il drill baby, drill. Anche se “ESG” ed “energia rinnovabile” non sono sinonimi, l’andamento di questi fondi potrebbe riflettere un sentiment negativo, o comunque di “fine del sogno”, nei confronti di tutto ciò che è relativo ai concetti di sostenibilità e, in generale, di ambientalismo

Tuttavia, nella finanza tradizionale il tema dell’energia pulita e delle rinnovabili sembra recuperare terreno. A noi, però, piacciono molto i dati, quindi vediamo come si stanno comportando i tre principali ETF sull’energia rinnovabile.

Premessa: per semplificare, prenderemo in esame le performance degli ETF a 3 anni, 1 anno, 6 mesi, 3 mesi, 1 mese. 

  • iShares Global Clean Energy Transition UCITS ETF (replica fisica dell’indice S&P Global Clean Energy Transition creato da S&P Global): se avessi investito in questo fondo tre anni fa, ora saresti in perdita del 36%; se invece avessi iniziato un anno fa, saresti giù del 6,7%. Discorso opposto per quanto riguarda il brevissimo termine. In sei mesi, questo ETF ha messo a segno un +3,8%, in tre mesi un +11%, infine in un mese un +5,6%.
  • Amundi MSCI New Energy UCITS ETF (replica fisica dell’indice MSCI ACWI IMI New Energy Filtered creato da Morgan Stanley): anche qui, se avessi iniziato a investirci tre anni fa, saresti sotto del 25,6%; il trend positivo, però, parte già a un anno, poiché l’ETF ha registrato un guadagno del 3,2%. In sei mesi, il profitto è dello 0,6%, mentre a tre mesi è esploso con un +14,8%. Sul mese, infine, notiamo il +2,47%.
  • L&G Clean Energy UCITS ETF (replica fisica dell’indice Solactive Clean Energy creato da Solative): anticipiamo che questo ETF si è comportato molto meglio dei precedenti due e ha messo a segno ottime performance. A tre anni, anche qui siamo in negativo, ma di poco cioè dell’1,6%; a un anno, l’ETF è in positivo dell’8,16%. In sei mesi ha registrato un +7,9%, mentre in tre mesi la performance è stata incredibile: +24%. Infine, sul mese parliamo di un onestissimo +6,86%.

Due considerazioni finali rapide rapide: questi ETF, proprio come i fondi ESG di cui parlavamo prima, sono stati pesantemente condizionati dalle dichiarazioni di Donald Trump. Infatti, hanno raggiunto il bottom nel periodo tra fine marzo e inizio aprile 2025, momento in cui il Presidente USA dichiarava di voler imporre i dazi – come poi ha fatto –  e di eliminare i crediti fiscali e gli incentivi federali per l’energia eolica e solare. Seconda cosa: il primo ETF, che ha registrato il rendimento peggiore, è l’unico che include sia energia rinnovabile, sia energia pulita. Gli altri due, invece, sono composti al 100% da società che lavorano esclusivamente con le rinnovabili. É chiaro che – come ripetiamo sempre – la correlazione non giustifica la causalità, però vale comunque la pena sottolineare questo aspetto. 

E quindi? Cos’hai deciso? Energie rinnovabili si o energie rinnovabili no? Sulla base dei dati che abbiamo riportato, il tema dell’energia rinnovabile è molto interessante e siamo sicuri che, prima o poi, la civiltà umana sarà costretta a prendere una decisione e abbandonare il vecchio combustibile fossile. 

Ultima informazione prima di salutarci: Bitcoin e le energie rinnovabili sono più connessi di quanto si possa pensare. Ce lo dice il CCAF (Cambridge Center for Alternative Finance) dell’Università di Cambridge, con un report di aprile 2025 in cui ha stimato che, attualmente, il 52,4% dell’energia utilizzata per il mining proviene da fonti sostenibili – di cui il 23,4% dall’idroelettrico, 15,4% dall’eolico e il 9,8% dal nucleare. 

Sapevi queste cose? Eri a conoscenza dei miliardi di dollari che le principali economie del mondo stanno destinando al settore delle rinnovabili? Avevi idea del fatto che il mining di Bitcoin deriva per il 52,4% – per ora – da fonti energetiche sostenibili? Se la risposta è no, iscriviti al nostro canale Telegram per non perderti le notizie che contano. Se la risposta invece è sì, si vede che ti piace informarti per cui iscriviti a Young Platform cliccando qui sotto!

Cosa sono i Labubu e perché sono virali

Labubu: cosa sono e perché sono virali?

Cosa sono i Labubu? I peluche virali amati dalle star. È corretto parlare di Lipstick Effect?

Avete presente quei trend che esplodono dal nulla sui social? Ecco, i Labubu sono l’ultimo grido in fatto di “ma cosa sta succedendo?”. Questi animaletti pelosi sono comparsi all’improvviso e hanno preso la residenza permanente sulle borse delle dive più famose del pianeta, diventando i protagonisti indiscussi di TikTok e delle sfilate più cool delle Fashion Week.

Ma cosa sono esattamente questi Labubu? Come hanno fatto a raggiungere l’incredibile popolarità di cui godono oggi, trasformandosi da semplici portachiavi a status symbol ambitissimi? E, soprattutto, cosa c’entra tutto questo con la teoria economica del “lipstick effect?

La storia dei Labubu

Per capire fino in fondo chi o cosa siano i Labubu, questi pupazzetti di peluche nati originariamente come simpatici portachiavi da attaccare a zaini, borse o ovunque ci sia spazio per un tocco di stravaganza, possiamo partire da un episodio emblematico avvenuto qui da noi, in Italia. Immaginate la scena: Milano, Corso Buenos Aires, uno dei templi dello shopping. Davanti al negozio di Pop Mart – un colosso cinese nel mondo dei giocattoli da collezione – si forma, fin dalle prime luci dell’alba, una coda chilometrica, degna del lancio di un iPhone o del concerto di una rockstar. Il motivo? L’arrivo dell’ultima, attesissima collezione di Labubu. Un evento che ha scatenato la curiosità anche in chi, fino a quel momento, di questi mostriciattoli pelosi non aveva mai sentito parlare.

Ma chi ha dato vita a questi oggetti del desiderio ormai virali? Il padre dei Labubu è Kasing Lung, un artista originario di Hong Kong. Questi pupazzi non sono creature solitarie, ma fanno parte di un universo ben più ampio, popolato da una miriade di mostriciattoli noti collettivamente come “The Monsters”. Dal punto di vista artistico, ciò che rende i Labubu particolarmente interessanti è la loro capacità di fondere due stili apparentemente agli antipodi: da un lato, le influenze orientali, proprie delle radici dell’artista; dall’altro, l’immaginario delle fiabe nordiche europee, un mondo che Kasing Lung ha conosciuto da vicino avendo trascorso parte della sua infanzia in Belgio. In realtà i Labubu non sono una novità dell’ultima ora: i primi modelli, infatti, risalgono addirittura al 2015, anche se è solo nel 2019 che Pop Mart ne ha fiutato il potenziale, acquistandone i diritti e preparandoli per il grande salto verso la fama globale.

Ma perché tutti impazziscono per un Labubu?

Se la miccia della popolarità dei Labubu era stata accesa da tempo, l’esplosione vera e propria, quello tsunami di cui parlavamo prima, ha un epicentro ben preciso: il profilo social di Lisa Manoban, la carismatica rapper e cantante delle Blackpink, il gruppo femminile K-Pop più famoso e influente del pianeta (nonché una delle attrici protagoniste dell’ultima, acclamata stagione di The White Lotus). È stata lei a dare il la definitivo. Verso la fine del 2024, Lisa ha iniziato a condividere con i suoi milioni di follower la sua passione per questi animaletti, sfoggiandoli regolarmente come accessori fashion agli eventi più glamour, attaccati alle sue borse firmate. Potete immaginare l’effetto: un’onda mediatica inarrestabile, di quelle che solo i social network, con la loro potenza virale, sanno generare e amplificare.

Da quel momento in poi, è stato il delirio collettivo. Altre dive di calibro internazionale come Dua Lipa, Kim Kardashian, Selena Gomez e Rihanna hanno iniziato a “indossare” questi curiosi accessori, facendoli penzolare dalle loro it-bag. Risultato? Una caccia al Labubu senza precedenti, con un’inevitabile e vertiginosa esplosione del prezzo degli esemplari più rari e delle edizioni limitate che gli ha trasformati in veri e propri oggetti da collezione e investimento.

Il fenomeno Labubu significa recessione?

Ora passiamo alla parte meno glamour, ma decisamente più intrigante del fenomeno: la sua possibile connessione con il periodo di incertezza economica, se non di vera e propria recessione, che stiamo attraversando. Questo legame, all’apparenza bizzarro, trova una spiegazione piuttosto affascinante in un concetto economico noto come lipstick effect, o “effetto rossetto”. Niente paura, non serve una laurea in economia per capirlo! In breve, questa teoria descrive la tendenza, osservata più volte nella storia, dei consumatori a preferire l’acquisto di beni di lusso più economici e accessibili durante i periodi di crisi economica. Quando il portafoglio piange e i grandi acquisti (come una macchina nuova o una casa) diventano un miraggio, ci si consola con piccole gratificazioni, piccoli lussi che ci fanno sentire meglio senza svuotare il conto in banca.

Ma da dove salta fuori questa idea del rossetto come indicatore economico? Per capirlo, dobbiamo fare un salto indietro. Il termine “lipstick effect” è stato reso popolare da Leonard Lauder (non Alan, ma il figlio di Estée Lauder e presidente emerito di Estée Lauder Companies) durante la recessione che colpì gli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 e l’inizio della guerra in Afghanistan. Lauder notò un fatto curioso: mentre molti settori dell’economia barcollavano e la domanda per beni costosi crollava, le vendite dei suoi prodotti cosmetici, e in particolare dei rossetti, non solo tenevano botta, ma addirittura aumentavano. Strano, no? Dopotutto, un rossetto non è certo un bene di prima necessità.

In realtà, l’intuizione che i piccoli lussi potessero avere un ruolo speciale in tempi duri non era del tutto nuova. Si dice che persino Winston Churchill, durante la Seconda Guerra Mondiale, dovendo razionare una vasta gamma di prodotti, escluse categoricamente i cosmetici dalla lista. La sua motivazione? Erano considerati necessari per tenere alto il morale della popolazione, soprattutto femminile, in un periodo di enormi sacrifici e preoccupazioni. Un piccolo gesto di normalità e cura di sé in un mondo sottosopra.

Ma perché proprio i rossetti (e per estensione, altri piccoli piaceri come i Labubu oggi) diventano beni “a prova di crisi”? La chiave sta nella gratificazione psicologica che deriva dall’acquisto di qualcosa che soddisfa un piccolo desiderio, una piccola vanità, specialmente quando si è costretti a rinunciare a molto altro. In periodi di crisi, con il morale spesso a terra e le preoccupazioni per il futuro dei propri risparmi, l’acquisto di un prodotto che rimanda alla sfera estetica, al piacere personale, può contribuire a migliorare significativamente l’umore. Un rossetto di marca, un profumo, un accessorio carino e alla moda come un Labubu, per quanto non strettamente necessari, diventano una sorta di coccola accessibile, una strategia per sentirsi meglio.

A volte, si rinuncia al solito prodotto economico per concedersi una versione un po’ più costosa e desiderabile di quel piccolo lusso. È il cosiddetto consumo compensativo: non posso permettermi la borsa da sogno da migliaia di euro, ma posso attaccarci un Labubu da collezione che mi dà una simile (anche se minore) scarica di dopamina. Le relazioni sociali giocano anche un ruolo: mantenere un certo standard estetico o possedere l’oggetto del momento può aiutare a preservare l’autostima e il senso di appartenenza. Queste dinamiche psicologiche, molto potenti poiché poco razionali, vengono sfruttate da criminali che, online, hanno iniziato a vedere falsi a prezzi altissimi. Di che si tratta?

Labubu e scam: attenzione alle frodi sempre più numerose!

I Labubu, dato il loro incredibile quanto repentino successo, sono diventati uno degli oggetti preferiti degli scammer online per truffare clienti ignari, convinti di comprare un esemplare originale. Ce lo riferisce Kaspersky, un’azienda di sicurezza informatica e privacy digitale fondata nel 1997, operativa in tutto il mondo. Il modus operandi di questi truffatori, scrive Kaspersky, è sempre lo stesso, vecchio come la storia dell’uomo. Vediamo insieme cosa ha partorito il grande genio di questi venditori di illusioni digitali. 

Come abbiamo anticipato, il gioco si basa sulle dinamiche di gratificazione psicologica e pressione sociale di cui parlavamo nel capitolo precedente. Il punto è che, per molte persone, avere quel modello di iPhone in mano, indossare quel paio di scarpe ai piedi e, come nel nostro caso, appendere un pupazzetto alla borsa o allo zaino diventa questione di vita o di morte. Se a ciò aggiungiamo la dimensione competitiva, basata sul concetto di blind box – non puoi vedere quale Labubu ti è capitato prima di aprire la confezione – e sulla rarità di alcuni esemplari, il gioco è fatto. 

Fondamentalmente, lo scam si costruisce intorno a pochissimi elementi: la creazione di un sito falso ma estremamente simile nell’estetica a quello ufficiale di Pop Mart, Labubu “rari” ma fake in vendita – spesso a prezzi scontati – e furto di dati personali finanziari, che poi utilizzeranno per drenare il conto corrente della vittima. 

Immagina la scena: un appassionato di Labubu che finisce inconsapevolmente su uno di questi siti-truffa. Dà un’occhiata al catalogo, non crede ai suoi occhi. Finalmente ha trovato il Sacro Graal dei Labubu, pure a prezzo scontato! “Non c’è tempo da perdere”, pensa, “devo assolutamente comprarlo prima qualcun altro lo trovi!” e procede a inserire tutti i dati possibili e immaginabili, perché la smania di entrare in possesso di quel simpatico mostriciattolo lo acceca e gli impedisce di ragionare. Pagamento fatto, arriva la mail: “Grazie per l’acquisto! Il tuo Labubu verrà spedito a breve!”. Il nostro appassionato si rilassa e finalmente riprende a respirare. Ma i giorni passano e di Labubu non c’è traccia. Un dubbio lo assale, “fammi andare a controllare”, dice. Si precipita sul sito e legge ciò che sperava di non leggere mai: anzichè Pop Mart, c’è scritto Pop Mert. Apre la sua app di home banking: conto svuotato. Fine della storia. 

I Labubu, tutto sommato, ci hanno insegnato qualcosa 

In primo luogo, sul ruolo del lipstick effect nell’economia, che è oggettivamente interessante e dice molto sul comportamento umano in alcuni tipi di situazione. Questo effetto, poi, sembra manifestarsi ancora oggi. Dati di mercato degli anni scorsi (ad esempio, quelli analizzati da società come Circana per il 2022-2023) hanno mostrato come le vendite di prodotti di bellezza abbiano continuato a crescere, con un aumento significativo anche per i cosmetici di lusso, nonostante un contesto economico globale non proprio roseo.

In secondo luogo, sulla fragilità dell’essere umano che, a prescindere dall’epoca in cui si trova, dalla città in cui vive o dalla cultura a cui appartiene, verrà sempre schiacciato dalle pulsioni emotive che, in determinate condizioni, annebbiano il pensiero razionale: se il nostro amico avesse perso due minuti in più prima di acquistare, avrebbe notato quella E al posto della A e avrebbe evitato di buttare i soldi. 

In ogni caso, ora dovrebbe essere un po’ più chiaro cosa sono questi adorabili (e costosi, per i collezionisti!) pupazzetti Labubu e perché sono diventati virali nel giro di pochissimo tempo. Occorre chiederci, piuttosto, quanto durerà questa moda. Nel dubbio, iscriviti al nostro canale Telegram che ti aggiorniamo noi!


Cobalto: la storia di un metallo artistico

cobalto

Il cobalto è stato utilizzato per creare un colore rivoluzionario amatissimo dai pittori dal 1800 in poi: il blu cobalto. Qual è la sua storia?

Il cobalto, un metallo bianco con riflessi azzurri, ha avuto un ruolo fondamentale nella storia dell’arte. Il monossido di cobalto, infatti, è un ingrediente fondamentale per la realizzazione del blu cobalto, un colore che ha affascinato generazioni intere di pittori, soprattutto quelli della corrente impressionista. Qual è la sua storia? E quali altri casi d’uso possiede?

Cobalto: l’identikit 

In questa sezione, prima di partire con contenuti più leggeri e artistici, forniremo l’identikit di questo particolare metallo: che cos’è, chi lo controlla e perché è importante.

Che cos’è il cobalto?

Il cobalto è un metallo bianco argenteo che, in casi estremi, può essere anche blu. Il nome sarebbe associato al medico e alchimista svizzero Paracelso, che coniò il termine latino cobaltum a partire dal tedesco kobalt. Questa parola veniva utilizzata dai minatori tedeschi per descrivere dei “folletti”, accusati di scambiare i metalli preziosi con dei metalli inutili, come nel caso del cobalto con l’argento (molto simili esteticamente).

Dove si trova il cobalto? 

Il cobalto, tanto nell’estrazione quanto nella raffinazione, è concentrato nelle mani di pochissimi attori. Per quanto riguarda l’estrazione, i top 3 detengono l’81% della quota mondiale delle attività a essa connesse, con la Repubblica Democratica del Congo in prima posizione assoluta. Lo stato centrafricano, infatti, nel 2024 ha prodotto 182 kt (una kilotonnellata equivale a un milione di kg) di cobalto mentre la seconda, cioè l’Indonesia, è arrivata “solo” a 33 kt. In terza e ultima posizione troviamo la Russia, con 6 kt estratte l’anno scorso. 

Una volta estratto, il cobalto deve ovviamente essere raffinato. Qui la concentrazione è ancora maggiore: la top 3 delle nazioni raffinatrici è responsabile dell’89% dei processi di raffinazione. In questa classifica, al primo posto troviamo la Cina, che nel 2024 ha raffinato 196 kt di cobalto, ovvero più del 70% del totale estratto a livello mondiale. Sul secondo gradino del podio c’è la Finlandia, con 20 kt, mentre la terza posizione se la prende il Giappone, con circa 6 kt.  

Sulla base di questi dati, si potrebbero aprire mille discorsi relativi ai rischi di tale accentramento sulla catena di approvvigionamento, di cui parleremo nell’ultimo paragrafo. 

A cosa serve il cobalto?

Tra le principali applicazioni troviamo sicuramente il settore energetico, che attualmente è il traino principale della domanda globale: viene utilizzato principalmente nelle batterie ricaricabili ed è un componente cruciale per le batterie agli ioni di litio, fondamentali per il funzionamento di veicoli elettrici, smartphone e computer portatili. 

Il cobalto viene anche impiegato nel settore aerospaziale e della difesa, poiché le leghe a base di questo metallo sono iper resistenti al calore, alla corrosione e al deterioramento. Nello specifico, sono usate per la progettazione di turbine per motori a reazione, di componenti di veicoli spaziali e, in generale, per i materiali con applicazione militare.  

Un altro caso d’uso è relativo all’ambito medico: le leghe di cobalto-cromo sono biocompatibili e resistenti all’usura, per cui hanno le caratteristiche adatte per essere delle protesi perfette, tanto a livello ortopedico (ginocchio e anca) quanto dentistico (corone e impianti dentali). 

Passiamo adesso a temi più rilassanti: il cobalto nell’arte.

Blu cobalto: un colore che ha fatto la storia

Il blu cobalto è un colore che viene inventato nei primi anni dell’800, in Francia, per motivi artistici, ovviamente, ma anche e soprattutto economici. Fino a quel momento, infatti, il blu non era un colore così “democratico”: il blu più utilizzato – il migliore per qualità e per effetto desiderato – era il cosiddetto blu oltremare. Questa tonalità, considerata il blu per antonomasia, era estremamente costosa poiché ottenuta attraverso la lavorazione dei lapislazzuli, pietre preziose importate dalle miniere afghane – per questo “oltremare” – e pagate letteralmente a peso d’oro

I costi erano tanto proibitivi che i pittori dell’epoca si limitavano ad utilizzarlo per opere importanti e, quando potevano, lo sostituivano con un pigmento simile più economico, l’azzurrite. Naturalmente, l’effetto ottenuto era nettamente differente – come bere un Campari Spritz fatto con un Campari “finto”, pagato un terzo rispetto all’originale. Era quindi necessario trovare un altro blu, che avesse le stesse caratteristiche del blu oltremare ma con costi ridotti. Arriva il momento della svolta

Perché e come nasce il blu cobalto?

Grazie alla richiesta che il Ministro degli Interni francese Jean-Antoine Chaptal fece al celebre chimico Louis-Jacques Thénard. Il ministro chiese al chimico di risolvere questo problema del blu, trovando un equivalente economico al blu oltremare. Thénard si mise all’opera e nel 1802 scoprì che, attraverso la sinterizzazione del monossido di cobalto con l’ossido di alluminio a 1200 °C, si poteva ottenere una miscela che rispondeva al desiderio del Ministro degli Interni. 

Da quel momento, gli artisti dell’epoca ebbero la possibilità di sperimentare utilizzando un colore che, fino a qualche attimo prima, non poteva essere sprecato. L’importanza di avere a disposizione grandi quantità di blu cobalto è tale che il celebre pittore Pierre-Auguste Renoir affermò (o almeno così si crede): “una mattina, siccome uno di noi era senza il nero, si servì del blu: era nato l’Impressionismo”. Una cosa del genere sarebbe stata impossibile col blu oltremare. 

Monet e lo stesso Renoir iniziarono ad utilizzare stabilmente il blu cobalto per le ombre, abbandonando il nero. Oltre l’Impressionismo, altri importanti pittori fecero uso di questa tonalità di blu nei loro capolavori: Van Gogh ne “La Notte Stellata”, Kandinsky ne “Il Cavaliere Azzurro”, Miró nel suo “Figure di Notte guidate da tracce fosforescenti di lumache”, per citarne alcuni. Una vera e propria rivoluzione. 

Una riflessione interessante: cosa lega il cobalto a Bitcoin? 

Al di là dell’arte, la storia del cobalto ci mette di fronte a una riflessione che, per certi versi, potrebbe confermare qualcosa che a noi di Young Platform sta molto a cuore: come anticipato sopra, il tema è relativo all’accentramento della catena di approvvigionamento e ai rischi che tale oligopolio porta con sé. In sintesi, si tratta del parallelismo tra il passaggio dal blu oltremare al blu cobalto e la transizione dal gold standard al sistema a valuta fiat. Ma procediamo per gradi. 

Dal blu oltremare al blu cobalto

Abbiamo visto che l’introduzione del blu cobalto nel 1802 ha avuto ricadute positive sul mondo artistico, dal momento che ha reso possibile la sperimentazione a basso costo di un colore considerato, fino a quel momento, abbastanza elitario. Tuttavia questa gradazione, molto utilizzata anche ai giorni nostri, è fortemente legata all’estrazione e alla raffinazione del cobalto, concentrata nelle mani di pochissimi attori

Tolta la questione etica, importantissima, legata allo sfruttamento del lavoro minorile e alla violazione dei diritti umani, che Repubblica Democratica del Congo e Cina, purtroppo, sembrano ignorare, consideriamo i meri aspetti logistici: quella del cobalto è una filiera in cui la totalità delle attività di estrazione e di raffinazione è concentrata, rispettivamente, per l’81% e per l’89% nelle mani di tre attori. Una situazione del genere, come vuole la teoria della diversificazione, è molto pericolosa perché rende il sistema vulnerabile agli shock, sia endogeni che esogeni. Infatti, eventi legati all’instabilità politica o alle questioni di economia interna da una parte, e ai disastri naturali o alle guerre dall’altra, potrebbero causare l’interruzione della fornitura a livello globale proprio perché i distributori della stragrande maggioranza del prodotto sono letteralmente tre. Il risultato, quindi, è una pesante dipendenza dell’industria globale da pochi attori, capaci di fare il bello e il cattivo tempo. 

Dal Gold Standard al Fiat Standard

Allo stesso modo, con l’annuncio del Presidente americano Richard Nixon il 15 agosto del 1971 – il Nixon Shock – si decretò la fine del Gold Standard, cioè si ebbe la fine della convertibilità del dollaro statunitense in oro, e si passò a un sistema basato sulla valuta fiat. Tale sistema, tuttora vigente, fa sì che il valore della valuta in questione, come potrebbe essere il dollaro USA, sia sostenuto esclusivamente dalla fiducia economica e politica di cui gode il governo emittente, nel nostro caso quello americano.

Questo passaggio, così come nel caso precedente, in qualche modo creò una situazione più “democratica” e discrezionale: se prima i governi facevano molta fatica nel finanziare grandi progetti di spesa pubblica, poiché vincolati al sottostante aureo, adesso hanno il controllo totale della moneta circolante e possono permettersi una maggiore flessibilità nella gestione dell’economia. Ma anche qui, seguendo la stessa logica di prima, c’è un tema legato all’accentramento, dal momento che il potere monetario, inteso come la capacità di controllare e gestire la politica economica, è concentrato nelle mani di pochi attori, le banche centrali – come la Federal Reserve o la Banca Centrale Europea

Tale centralizzazione, per quanto efficace nel regolare inflazione e scenari di crisi, non è assolutamente priva di rischi e, soprattutto, si basa molto sulla componente umana, fallace per definizione, come dimostrato durante la crisi dei mutui subprime del 2008. Il risultato finale è che, spesso, l’economia mondiale può muoversi in diverse direzioni in funzione delle decisioni di un manipolo di alti funzionari. Quando va bene, evviva! Ma quando va male? 

La morale della favola: Bitcoin e decentralizzazione

La concentrazione di tanto potere in poche mani non è mai una cosa buona. Politica, economia, finanza, riunioni di condominio, gruppi di progetti universitari e squadre di calcetto funzionano male quando un’unica entità decide per tutti. Bitcoin nasce proprio per questa ragione: restituire il potere agli individui ed eliminare gli attori centrali ingombranti, o comunque ridurne l’autorità decisionale; sfruttare la decentralizzazione per creare un sistema democratico, dove ci si interfaccia tra pari senza la necessità di intermediari che, in qualche modo, decidano per il singolo o ne condizionino le scelte. Naturalmente, questa è solamente una tra le qualità e i casi d’uso di Bitcoin nel mondo reale. Se questa introduzione ti ha fatto scattare qualcosa, il consiglio è di dare un’occhiata a quanto abbiamo scritto sulla storia e sul funzionamento di BTC, per avere un’idea chiara e completa sulle potenzialità rivoluzionarie della regina delle criptovalute. 

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IA ed energia: l’integrazione del futuro?

IA ed energia: l'integrazione del futuro?

Intelligenza artificiale ed energia insieme potrebbero rivoluzionare il settore energetico. In che modo? Quali sono le previsioni per il futuro? 

L’intelligenza artificiale e l’energia, integrate in modo strategico, potrebbero rivoluzionare il settore energetico sotto tutti i punti di vista: dall’ottimizzazione delle strutture esistenti all’innovazione in aree tecnologiche cruciali. In questo articolo, analizzeremo la situazione attuale, le previsioni degli esperti per il futuro e le sfide che questa interazione dovrà inevitabilmente affrontare. 

Intelligenza artificiale ed energia: perché è necessaria una riflessione? 

Intelligenza artificiale ed energia devono essere pensate insieme, come due facce della stessa medaglia, per via del loro duplice e simbiotico rapporto: l’IA ha bisogno dell’energia, dunque del settore energetico, per esistere e il settore energetico ha bisogno del potenziale dell’IA per evolvere e innovarsi in un contesto in cui la domanda è in costante aumento.  

La rilevanza dell’argomento è tale che l’AIE (Agenzia Internazionale per l’Energia), un’organizzazione intergovernativa che lavora per la sicurezza energetica globale e la promozione di politiche energetiche sostenibili, ha pubblicato ad aprile 2025 un report dal titolo “Energia e IA”. In queste 304 pagine, l’obiettivo è dimostrare al mondo una tesi molto chiara: le potenzialità rivoluzionarie dell’intelligenza artificiale devono essere sfruttate per spingere al massimo l’innovazione e l’efficienza in un settore strategico come quello dell’energia. Questa integrazione, afferma l’AIE, è fondamentale per ottimizzare, ripensare e rinnovare un sistema che, giorno dopo giorno, deve soddisfare le esigenze crescenti della popolazione, dell’universo industriale e dei servizi.

Una volta chiarite le motivazioni, a questo punto è il momento di scendere più in profondità per rispondere a domande precise: quanto consumano – e consumeranno – i data center dedicati all’IA? Come verrà soddisfatta la richiesta? E ancora: in che modo l’IA può aiutare il settore energetico? Quali saranno le sfide principali? Vediamo cosa come hanno risposto gli esperti dell’AIE.

Perché l’intelligenza artificiale ha bisogno del settore energetico?

La risposta a questa domanda, come si può intuire, è semplice: perché consuma – tanto – e consumerà sempre di più, man mano che aumenterà la sua diffusione nei vari ambiti della vita quotidiana. Per dirlo in un altro modo, l’IA potrebbe rappresentare una rivoluzione paragonabile alla scoperta dell’elettricità, proprio a causa di questo status di tecnologia d’uso generale. A quanto pare, dalle parti di Wall Street lo sanno bene, dal momento che dal lancio di ChatGPT nel novembre 2022 fino alla fine del 2024, il 65% circa della crescita in market cap dell’S&P 500 è attribuibile ad aziende legate all’intelligenza artificiale. Questa percentuale, più o meno, equivale a 12 trilioni di dollari (dodici-mila-miliardi) – da segnalare anche l’interesse per la categoria delle Crypto AI, vedi il caso di Grayscale

Come nella più classica delle dinamiche circolari, un’iniezione così imponente di capitale ha provocato la corsa agli investimenti, con le principali aziende tech che prevedono di destinare fino a 300 miliardi di dollari in attività, impianti e attrezzature connesse all’intelligenza artificiale, solo nel 2025. Naturalmente, gran parte di questi finanziamenti viene assorbita dai data center, essenziali per la formazione e l’implementazione dell’IA, ma estremamente energivori. 

Quanto consumano i data center?

I data center, definibili come un complesso di server e sistemi di archiviazione per l’elaborazione e la conservazione dei dati, attualmente rappresentano circa l’1,5% della quota di consumo mondiale di elettricità, cioè 415 TWh (Terawattora): un data center progettato per l’IA, ad esempio, può richiedere lo stesso quantitativo di elettricità di 100.000 famiglie medie, mentre quelli in costruzione – sensibilmente più grandi – potrebbero arrivare a 20 volte tanto. 

Volendo fare un ragionamento in prospettiva futura, dal 2017 ad oggi i data center hanno incrementato il consumo di elettricità del 12%, cioè quattro volte più velocemente del consumo totale a livello globale. Questo significa che se il Pianeta Terra, dal 2017, ha aumentato il fabbisogno elettrico del 3%, i data center hanno richiesto una quantità di energia quattro volte superiore a quel tasso di crescita. Inutile dirlo, il motore più importante di questo incremento è l’intelligenza artificiale, seguita dai servizi digitali, anch’essi molto richiesti. In tutto ciò, l’AIE comunica che, nel 2024, la top 3 consumatori a livello mondiale vede gli Stati Uniti in testa (col 45% del totale), seguiti dalla Cina (25%) e dall’Unione Europea (15%).

Dunque se, ad oggi, il consumo dei data center equivale a 415 TWh, le previsioni del report dell’AIE stimano che entro il 2030 questa quota raddoppierà, arrivando a circa 945 TWh, un valore di poco superiore a quello che utilizza il Giappone intero. Per quanto riguarda le proiezioni al 2035, il report parla di “forbice”, poiché inserisce nel calcolo variabili legate allo sviluppo di soluzioni efficienti di risparmio energetico. In ogni caso, la forbice va da un minimo di 700 TWh a un massimo di 1.700 TWh

Questo incredibile potenziamento è legato sia alla maggiore “presenza fisica” di data center in giro per il mondo, sia all’intensificazione dell’utilizzo degli stessi, immaginando che, in futuro, l’IA si diffonderà in ogni angolo delle città in cui vivremo. Infatti, a livello di consumi, l’impatto più significativo lo si ha nella fase di funzionamento piuttosto che in quelle di produzione o configurazione: un chip da 3 nanometri di ultima generazione richiede circa 2,3 MWh (Megawattora) per wafer – la fetta circolare di silicio su cui vengono fabbricati i circuiti – per essere prodotto, 10 MWh per essere configurato e 80 MWh per il funzionamento durante un ciclo di vita di cinque anni.  

Come soddisfare questa domanda nel futuro?

Il report risponde nell’unico modo possibile e cioè con una gamma diversificata di fonti energetiche. In particolare, nello scenario base – ottenuto a partire dall’elaborazione delle condizioni attuali, senza inserire variabili ottimistiche o pessimistiche – le rinnovabili e il gas naturale dovrebbero guidare questo mix energetico, con le prime a coprire circa la metà della domanda (450 TWh) e il secondo responsabile per quasi un quarto (175 TWh). A seguire, l’energia nucleare che, con l’implementazione dei piccoli reattori modulari (SMR, small modular reactors), potrebbe contribuire con un apporto di poco inferiore al gas naturale. 

Spostiamo ora il focus sul settore energetico. 

Perché il settore energetico ha bisogno dell’intelligenza artificiale?

Perché, come è evidente, l’intelligenza artificiale è in grado di ottimizzare ogni aspetto dell’ambito energetico: esplorazione, produzione, manutenzione, sicurezza e distribuzione. In due parole, applicare l’IA al settore energetico, come abbiamo anticipato all’inizio di questo articolo, potrebbe tradursi nella sua rivoluzione. Vediamo qualche caso specifico: 

IA ed energia insieme nell’industria del petrolio e del gas

Il report ci informa che in quest’area, l’adozione del connubio vincente intelligenza artificiale-energia si è verificata in anticipo rispetto alla media. Gli utilizzi principali fanno riferimento all’ottimizzazione dei processi di ricerca e identificazione dei giacimenti, all’automatizzazione delle attività legate all’estrazione degli idrocarburi – gestione dei pozzi, controllo dei flussi e separazione dei fluidi – ma anche a tutto ciò che è relativo a sicurezza e manutenzione: rilevazione delle perdite, manutenzione preventiva e riduzione delle emissioni. In futuro, segnala l’AIE, questa integrazione potrebbe tradursi in un risparmio del 10% dei costi operativi in acque profonde. 

Intelligenza artificiale nel settore elettrico

Nel campo dell’energia elettrica, il report dell’AIE prevede che l’IA avrà un ruolo fondamentale nel bilanciamento delle reti, che stanno diventando sempre più digitalizzate e decentralizzate – come avviene nel caso dei pannelli solari sui tetti. Nello specifico, con l’IA sarebbe possibile migliorare la previsione e l’integrazione della generazione di energia rinnovabile riducendo il curtailment – la riduzione forzata – e, quindi, le emissioni. In parole semplici, ciò vuol dire che l’intelligenza artificiale, grazie alla sua capacità di analizzare serie infinite di dati, sarebbe in grado di fare previsioni più accurate sulla produzione di energia rinnovabile (influenzata dal meteo) e sulla domanda media. In questo modo, si riuscirebbe a integrare la rinnovabile con altre fonti di energia in maniera più precisa e intelligente, evitando sprechi inutili connessi al blocco arbitrario dell’elettricità in eccesso (curtailment). 

C’è poi un tema interessante legato all’aumento di efficienza delle reti già esistenti. In due parole, integrare l’IA consentirebbe di sbloccare fino a 175 GW (Gigawatt). Come? Con l’utilizzo di sensori remoti e strumenti di gestione capaci di leggere ed elaborare in tempo reale enormi quantità di dati. Attualmente, le reti – o linee di trasmissione – elettriche trasportano una quantità massima di elettricità stabilita in base a condizioni statiche e prudenti, calcolate con un margine di sicurezza molto ampio: durante la stagione estiva, ad esempio, la temperatura dell’aria o il vento vengono misurate in modo conservativo, per evitare che un flusso elettrico fuori misura provochi la fusione dei cavi o problemi di natura simile. Il risultato è che, per la maggior parte del tempo, le reti lavorano a basso regime. Con una gestione basata sull’intelligenza artificiale, queste condizioni passerebbero da statiche a dinamicheDynamic Line Rating, DLR – e consentirebbero un controllo in real time delle possibilità di carico delle reti stesse, con effetti positivi sulla quantità di energia circolante.   

Infine, l’intelligenza artificiale applicata al settore elettrico potrebbe fornire un contributo concreto al rilevamento dei guasti della rete e alla manutenzione preventiva delle centrali elettriche. Nel primo caso, velocizzando le operazioni di localizzazione dei problemi, con una riduzione della durata delle interruzioni del 30-50%. Nel secondo, ottimizzando le attività di identificazione dei potenziali danneggiamenti, segnalando in anticipo l’eventuale sostituzione di componenti cruciali, con risparmi stimati sui 110 miliardi di dollari entro il 2035.

IA nell’industria, nel trasporto e nel riscaldamento degli edifici

Il report, per concludere questa sezione, tocca rapidamente i tre ambiti appartenenti alla macrocategoria degli “usi finali”, cioè degli impieghi a cui l’energia è destinata dopo la distribuzione agli utilizzatori finali. Per quanto riguarda l’industria, l’AIE quantifica i benefici dell’implementazione di applicazioni IA con risparmi pari al consumo totale del Messico odierno. Poi, sui trasporti, si parla di tagli equivalenti all’energia utilizzata da 120 milioni di auto, grazie all’ottimizzazione del traffico e delle rotte. Infine, l’IA potrebbe migliorare la gestione dei sistemi di riscaldamento negli edifici civili e non, con riduzione dell’utilizzo dell’elettricità previsto pari a circa 300 TWh – quello che Australia e Nuova Zelanda producono in un anno. 

Intelligenza artificiale ed energia: le innovazioni

L’intelligenza artificiale può contribuire notevolmente all’innovazione energetica dal momento che è capace di ricercare, in tempi estremamente rapidi, le molecole in grado di migliorare gli strumenti esistenti. Grazie alla combinazione tra modelli predittivi e generativi e letteratura accademica sterminata, l’IA accelera esponenzialmente il processo di selezione dei candidati e di realizzazione di prototipi adatti. In particolare, quattro aree chiave beneficerebbero del potenziale dell’IA:

  • La produzione di cemento, rendendo più efficiente la ricerca e lo sviluppo di nuove miscele e riducendo l’utilizzo del clinker, componente molto inquinante che costituisce la base del cemento stesso.
  • La ricerca di materiali per la cattura di CO2, come i MOF (Metal Organic Frameworks), riducendo il consumo energetico e i costi associati alla CCUS (Carbon Capture, Utilization and Storage, il processo di cattura di CO2 finalizzato al riutilizzo o allo stoccaggio. 
  • La progettazione di catalizzatori per combustibili sintetici, cioè di sostanze che accelerano le reazioni chimiche per produrre combustibili a basse emissioni. La difficoltà nel progettare questo tipo di catalizzatori risiede nell’infinito numero di combinazioni possibili tra molecole, processo che l’IA è in grado di accelerare di molto. 
  • La ricerca e lo sviluppo delle batterie, facilitando i processi di test dei materiali, di previsione delle prestazioni, di ottimizzazione della produzione e di gestione del fine vita. 

Quali sono le sfide dell’integrazione tra IA e settore energetico?

Il report conclude presentando, come è giusto che sia, anche gli ostacoli che questo ambizioso progetto si troverà ad affrontare. Innanzitutto, l’AIE ci avverte del fatto che la crescente digitalizzazione, che pure ha implicazioni positive sulla sicurezza energetica, porta inevitabilmente con sé anche i rischi specifici, come la vulnerabilità ai cyberattacchi. Un problema fondamentale riguarda anche la sicurezza delle catene di approvvigionamento del settore energetico: i chip, come è noto, richiedono grandi volumi di terre rare e minerali critici, concentrati in poche aree del mondo – la Cina controlla il 98% della raffinazione del gallio. Un terzo tema è relativo al disaccoppiamento fra investimenti nei data center e investimenti nelle infrastrutture energetiche, vitali per il funzionamento del sistema. Infine, c’è il nodo da sciogliere sulla mancanza di competenze digitali e di personale qualificato, in tandem con lo scarso dialogo tra istituzioni, settore tech e settore energetico. 

Non so te, ma noi dopo la lettura e l’analisi di questo report siamo abbastanza convinti che l’intelligenza artificiale detterà legge anche in questo settore: oneri e onori, rischi e opportunità. Ma, d’altronde, chi non risica non rosica.  

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USA-Iran: la guerra si allarga? Occhio ai mercati

USA-Iran: la guerra si allarga? Occhio ai mercati

Gli USA attaccano l’Iran bombardando i siti nucleari: cos’è successo? Cosa ne pensano i mercati? Occhio al comportamento di Bitcoin! Qui il focus

Gli Stati Uniti hanno bombardato i siti nucleari iraniani nella notte italiana tra sabato 21 e domenica 22 giugno, entrando nel conflitto a fianco di Israele. In questo articolo cercheremo di capire cosa è successo, quali potrebbero essere le conseguenze e, soprattutto, come hanno reagito i mercati finanziari. E attenzione a Bitcoin! 

Gli Stati Uniti sono entrati in guerra contro l’Iran? 

Nella notte italiana tra sabato 21 e domenica 22 giugno, gli Stati Uniti hanno portato a termine la missione segreta “Martello di Mezzanotte” (Midnight Hammer), bombardando i siti nucleari iraniani di Fordow, Natanz e Isfahan. L’attacco ha visto l’azione coordinata dell’aviazione e della marina militare americane ed è stato eseguito in circa 18 ore, in modo estremamente chirurgico. Se non hai la minima idea di cosa stiamo parlando, innanzitutto iscriviti al nostro canale Telegram, perché su certe cose occorre essere sul pezzo. Poi, mettiti comoda/o che ora ripercorriamo al volo gli ultimi avvenimenti.   

Perché gli Stati Uniti hanno bombardato l’Iran? 

La risposta è molto semplice: per neutralizzare le strutture in cui la Repubblica islamica dell’Iran, da anni, sta arricchendo l’uranio. Ora, arricchire l’uranio non significa necessariamente costruire un ordigno atomico, dal momento che l’energia nucleare, come sappiamo, viene utilizzata principalmente per scopi civili. 

Per esempio, l’uranio a basso arricchimento (LEU, Low Enriched Uranium), arricchito al 3-5%, è largamente impiegato come combustibile per le centrali nucleari, mentre già l’uranio ad alto arricchimento (HEU, Highly Enriched Uranium), arricchito oltre per oltre il 20%, è considerato weapon-usable”, cioè utilizzabile per le armi o, in generale, per il settore militare. Infatti, i reattori che alimentano la propulsione di sottomarini e portaerei nucleari, spesso fanno uso di uranio arricchito dal 50% al 90%. La Repubblica islamica, secondo l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), aveva raggiunto un livello di arricchimento superiore al 60% – lo standard attuale per le armi nucleari statunitensi è al 93,75% –  soprattutto nella struttura di Fordow, considerata la più importante. Questo impianto, però, era già stato preso di mira dall’IAF (Israeli Air Force) nella notte tra il 12 e il 13 giugno. Allora passiamo alla seconda domanda.

Perché è stato necessario l’intervento degli Stati Uniti?

La risposta qui è un po’ più complessa: a causa dell’architettura della centrale di Fordow. Questo impianto, infatti, è unico nel suo genere e totalmente diverso dagli altri che abbiamo menzionato. Lasciando da parte le specifiche tecniche relative ai processi di arricchimento, la struttura di Fordow differisce dalle altre perché è stata costruita dentro una montagna. Questo dettaglio è cruciale perché, insieme alla contraerea iraniana, protegge gli scienziati nucleari e i costosissimi strumenti dai potenziali raid israeliani. È qui che subentrano gli USA.

L’esercito degli Stati Uniti è l’unico al mondo a possedere delle bombe progettate per penetrare fino a 60 metri di profondità ed esplodere una volta entrate nella struttura sotterranea: pesano circa 30.000 pound – 13.600 kg – e si chiamano GBU-57 MOP “bunker buster” (anti-bunker). Inoltre, la USAF (United States Air Force) è anche l’unica in grado di trasportare questi ordigni, grazie ai celebri bombardieri stealth B-2 Spiritstealth perché sono invisibili ai radar. 

Arriviamo al momento dell’operazione Midnight Hammer. Sette bombardieri B-2 Spirit si alzano in volo verso l’Oceano Pacifico, in quello che poi è stato definito un depistaggio: l’obiettivo era far credere agli iraniani che le destinazioni fossero Guam e Diego Garcia, basi militari americane situate rispettivamente nell’Oceano Pacifico e Indiano. Arriva il cambio di rotta, i B-2 adesso viaggiano verso Est, attraversano l’Oceano Atlantico e giungono sopra l’Iran dopo quasi 18 ore di volo ininterrotto, scortati dai caccia dell’aeronautica americana. Una volta vicini a Fordow e Natanz, i B-2 sganciano 14 di queste letali bombe e, nel mentre, un sottomarino della marina USA appostato nel Golfo Persico lancia 20 missili Tomahawk contro la centrale nucleare di Isfahan. Da quanto si legge, la contraerea iraniana non ha sparato neanche un colpo per difendersi. 

L’esito dell’operazione è ancora incerto. Donald Trump e la sua amministrazione, ovviamente, hanno parlato di successo totale e danni “monumentali”, mentre la controparte iraniana ha dichiarato che gli strumenti per l’arricchimento dell’uranio erano già stati spostati in un altro luogo segreto, sconosciuto a USA, Israele e AIEA. I primi report dell’intelligence americana, però, mostrano come l’attacco non abbia distrutto gli impianti come sperato, ma abbia solamente provocato danni tali da ritardare le operazioni nucleari di qualche mese .  

Cosa è successo dopo i bombardamenti USA?

Gli iraniani, naturalmente, hanno promesso una vendetta eterna e il Ministro degli Esteri ha parlato di “superamento della linea rossa”: le forze militari dell’Ayatollah Khamenei – guida suprema della Repubblica Islamica dell’Iran – hanno reagito con un attacco missilistico alla base americana in Qatar. La cosa curiosa è che prima dell’offensiva, il Qatar è stato avvertito proprio dagli ufficiali iraniani. Gli americani hanno quindi avuto tutto il tempo di evacuare il personale militare e preparare al meglio le difese. La risposta iraniana, infatti, è stata facilmente neutralizzata. 

Lato Stati Uniti, le dichiarazioni di queste ore sembrano indicare la volontà di non essere coinvolti in questa guerra. A quanto sembra, gli USA intendevano eseguire l’operazione Martello di Mezzanotte e ritornare nella loro posizione, senza intraprendere ulteriori azioni militari. Tuttavia, nella giornata di domenica, Donald Trump sul suo social Truth ha parlato di cambio di regime – il rovesciamento della dittatura islamica in Iran – scrivendo che “Non è politicamente corretto usare il termine “cambio di regime”, ma se l’attuale regime iraniano non è in grado di RENDERE L’IRAN DI NUOVO GRANDE, perché non dovrebbe esserci un cambio di regime??? MIGA!!!”. Il giorno dopo, sempre su Truth, il POTUS ha dichiarato al mondo che il cessate il fuoco era in vigore, “ordinando” alle parti in causa di rispettarlo. 

Qualche ora dopo, Israele e Iran hanno ripreso a scambiarsi missili, ignorando totalmente quanto detto dal Presidente degli Stati Uniti, che ha reagito in modo visibilmente arrabbiato: “Sono due nazioni che si combattono da talmente tanto tempo, che non sanno più che c***o stanno facendo!”. Cinema totale. Adesso, però, sembra che effettivamente i due paesi abbiano messo la parola fine agli scontri. 

Il resto del mondo, ovviamente, ha condannato quanto accaduto e sta a guardare nell’attesa di capire come si comporteranno gli attori coinvolti in questa guerra, già ribattezzata la “guerra dei 12 giorni”. 

Come hanno reagito i mercati?

In primo luogo, diamo uno sguardo al petrolio, materia prima che più di tutte subisce gli effetti di quanto accade in Medio Oriente. Il prezzo del Brent e del WTI – per chiarimenti rimandiamo all’articolo sulle previsioni del prezzo del petrolio – all’inizio della giornata di lunedì 23 giugno, subito dopo l’attacco USA, hanno raggiunto i massimi da gennaio 2025, toccando rispettivamente 81,40$ e 78,40$, per poi ritracciare e oscillare fra territorio positivo e negativo.

La cosa incredibile, è che dal 23 al 25 giugno – momento in cui scriviamo — Brent e WTI hanno perso rispettivamente il 17,6% e il 16,6%, attestandosi sui 67$ e i 65,3$ dollari per barile. Movimenti così repentini verso il basso stanno a indicare che gli attori finanziari sono molto ottimisti e non pronosticano un’interruzione forzata delle forniture mondiali di petrolio e gas naturale liquido. Tutto dipenderà dai prossimi avvenimenti. 

Vediamo ora i principali listini in giro per il mondo. 

Le borse asiatiche

Partendo dal Giappone, Tokyo chiude in positivo, mettendo a segno un +0,39%. Stesso discorso per la Cina, con Shanghai e Hong Kong che aprono e terminano la sessione in positivo, chiudendo rispettivamente a +1,04% e +1,23%.

Le borse europee

Un po’ di calma piatta per le borse del Vecchio Continente, che si oscillano fra rosso e verde, rimanendo comunque vicine alla parità. Al momento in cui scriviamo, la peggiore è Francoforte, che nella giornata di oggi viaggia in territorio negativo perdendo lo 0,20%. Seguono Parigi con un +0,03%, Londra con un +0,05% e Milano, che mette a segno un +0,17%.  

Le borse americane

Per quanto riguarda Wall Street, essendo in questo momento ancora chiusa, faremo riferimento alla chiusura di ieri, martedì 24 giugno: l’S&P500 ha guadagnato l’1,11%, il Dow Jones l’1,19% e il Nasdaq, che ha chiuso meglio degli altri, un +1,43%. Anche qui, l’attacco degli Stati Uniti alle strutture nucleari iraniane non sembra aver generato troppa preoccupazione, anzi. 

Come si sta comportando Bitcoin?

Incredibilmente bene, anche se, stando allo storico, dovremmo smettere di utilizzare la parola “incredibile” e, al contrario, iniziare ad abituarci. Bitcoin sta dimostrando, evento dopo evento, di essere un asset che resiste e reagisce alle crisi e agli shock esterni in modo eccezionale. Questa resilienza potrebbe essere la conseguenza di una sempre più diffusa presa di consapevolezza tra singoli individui, aziende e investitori istituzionali, che Bitcoin rappresenti un rifugio – o, per dirla in modo coerente, un ₿unker – contro questo tipo di situazioni.

Volendo prendere giusto un paio di esempi, come il Covid Crash e l’invasione russa dell’Ucraina – trovi più informazioni sul nostro account Instagram – dopo sessanta giorni, Bitcoin aveva rispettivamente guadagnato il 21% e il 15%. Se prendiamo invece S&P500 e oro, a parità di situazioni, in occasione del primo evento, l’uno aveva messo a segno un +2% e l’altro un +3%, mentre nel secondo caso si parla, nell’ordine, di +3% e addirittura -9%

Questo comportamento si sta verificando anche nel caso dell’intervento USA in Iran: un’azione militare di questa portata, in teoria, avrebbe potuto generare il panico nei mercati finanziari, a causa del suo carattere improvviso e fortemente aggressivo. Il grafico, però, parla chiaro. Bitcoin, dopo aver perso circa il 5% nella notte fra domenica 22 e lunedì 23 giugno, arrivando a toccare i 98.000$, adesso si aggira intorno ai 106.000$. Ciò significa che dal bottom di lunedì, BTC ha rimbalzato recuperando la perdita e guadagnando l’8,8%. 

È chiaro che la correlazione non indica necessariamente causalità, dato che è possibile che siano intervenuti altri fattori contestuali. Tuttavia, ha senso iniziare a ragionare in questi termini: Bitcoin si starebbe affermando come un “coltellino svizzero” dell’economia globale, cioè come uno strumento utile per ogni imprevisto, economico o geopolitico. Ci stai facendo un pensiero? Dai un’occhiata a Bitcoin e alle criptovalute cliccando qui sotto.

Non fartelo raccontare, i “te l’avevo detto!!!” non piacciono a nessuno.

Young Platform e Pulsee Luce e Gas: nasce una nuova energia per le tue finanze

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