Le previsioni sul prezzo del petrolio per il 2025/2026. Cosa ci dicono gli esperti? Quale sarà il prezzo del Brent e del WTI nel prossimo biennio?
Le previsioni per il prezzo del petrolio nel 2025/2026 sono formulate dagli esperti sulla base di diversi fattori come l’andamento dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente e le relative sanzioni dell’Unione Europea e degli Stati Uniti. Inoltre, il prezzo del barile dipende dall’offerta, che può essere modificata artificialmente dai membri dell’OPEC+, l’organizzazione di esportatori di petrolio che controlla il 40% della produzione mondiale. Vediamo insieme cosa ci dicono gli analisti
Prezzo del petrolio oggi: qual è la quotazione?
Qual è il prezzo del petrolio oggi? È la prima domanda da porsi, perché conoscere il presente – e il passato – è il modo migliore, se non l’unico, per cercare di capire cosa succederà nel prossimo futuro. In questa sezione, pertanto, daremo uno sguardo alla quotazione del petrolio greggio prendendo i due benchmark di riferimento a livello mondiale, ovvero il WTI e il Brent.
Qual è il prezzo del petrolio WTI?
Il prezzo del WTI (West Texas Intermediate) – al momento in cui scriviamo – oscilla fra i 71 e i 72 dollari per barile. Se prendiamo in considerazione la storia recente di questo petrolio estratto negli USA, noteremo che, in realtà, il prezzo attuale è determinato quasi esclusivamente dagli ultimissimi eventi geopolitici, che tratteremo in un paragrafo specifico. Il prezzo del WTI, infatti, era in discesa dal maggio del 2022: dai circa 113$/barile di tre anni fa, aveva toccato i 57$ ad aprile di quest’anno, per poi ricominciare a salire leggermente a causa dei dazi di Trump e guadagnare 10$ negli ultimi tre giorni.
Qual è il prezzo del petrolio Brent?
Il prezzo del Brent (estratto dai giacimenti nel Mare del Nord) – al momento in cui scriviamo – si attesta sui 73,7 dollari per barile. Guardando anche qui al quadro generale, la storia del prezzo del Brent è praticamente identica a quella del WTI: dopo tre anni di declino, dai 115$/barile di maggio 2022 ai 60$ di aprile 2025, il petrolio del Mare del Nord ha ripreso a crescere dopo l’annuncio dei dazi per poi schizzare verso l’alto a giugno.
Ora che abbiamo dato un’occhiata ai movimenti di prezzo, è ora di farsi la domanda delle domande: Cosa determina i movimenti verso l’alto e verso il basso? E quindi:
Da cosa dipende il prezzo del petrolio?
Il prezzo del petrolio, fondamentalmente, dipende da tre fattori decisivi: le decisioni dell’OPEC+, il valore del dollaro e la domanda globale. Analizziamoli uno per uno.
Chi stabilisce il prezzo del petrolio? L’OPEC+ (ma non solo)
L’OPEC+ è l’organizzazione che riunisce i paesi esportatori di petrolio (Organization of the Petroleum Exporting Countries) e viene considerata, proprio in virtù della sua capacità di stabilire i prezzi, una sorta di cartello. L’OPEC+ nasce nel 2016 ed è l’estensione dell’OPEC, attiva dal 1960. La principale differenza fra le due, risiede nel numero degli stati membri: la primissima formazione dell’OPEC includeva Arabia Saudita, Iran, Iraq, Kuwait e Venezuela. Nel tempo, si sono aggiunti otto stati produttori di petrolio, tra cui Libia, Algeria ed Emirati Arabi Uniti. Infine l’OPEC+, la versione allargata dell’OPEC, include altri dieci paesi come Russia, Messico. Barhein, Brunei, Oman e Azerbaijan.
La creazione di un “cartello del petrolio” è stata frutto della necessità dei paesi fondatori di contrastare l’egemonia delle cosiddette Sette Sorelle, vale a dire di quelle compagnie che per tutto il ‘900 hanno avuto il monopolio del mercato: le europee British Petroleum e Royal Dutch Shell insieme alle statunitensi Exxon, Texaco, Mobil, Gulf Oil e Standard Oil of California. L’estensione a OPEC+ nel 2016, invece, è stata dettata dalla necessità di contrastare l’aumento delle estrazioni di petrolio negli Stati Uniti, per ritornare ad avere in mano una quota rilevante di mercato.
L’OPEC+ quindi, avendo il controllo di metà della produzione mondiale e dell’80% delle riserve di greggio, è in grado di influenzare il prezzo del petrolio in modo arbitrario, gestendone i livelli di produzione. In parole semplici, ciò significa che questa alleanza si accorda per aumentare o ridurre la produzione di barili al fine di mantenere i prezzi stabili: ad alta domanda, sale il prezzo per barile e l’offerta viene adeguata; a bassa domanda, il prezzo scende e l’offerta viene tagliata.
Il comportamento dell’Organizzazione negli ultimi mesi, però, è stato diverso dal solito: al calo dei prezzi del petrolio, la produzione di barili è rimasta stabile. Secondo gli analisti, l’Arabia Saudita, che può essere considerata il paese leader fra i membri, si sarebbe “stancata” di sostenere i costi maggiori di questa strategia di equilibrio dei prezzi. Questo perché è il paese che, più degli altri, rinuncia ad esportare greggio proprio nell’ottica di mantenere la quotazione a un livello profittevole per tutti. Il problema è che, allo stesso tempo, tale impegno non viene rispettato da alcuni fra i paesi membri (Kazakistan e Iraq), i quali hanno costantemente sforato il tetto accordato. Inoltre, ci sarebbe anche la volontà di “accontentare” Donald Trump, mantenendo il petrolio economico, con lo scopo di rafforzare l’alleanza strategica con gli Stati Uniti. Infine, nonostante le recenti tensioni, il mercato è stato valutato come “sano”, dal momento che nel Q1 del 2025 il consumo di petrolio è aumentato di 1,2 milioni di barili, ai massimi dal 2023.
Fuori dall’ecosistema OPEC, i maggiori estrattori di greggio sono Stati Uniti, Canada, Cina e i paesi parte dell’OECD (Organization for Economic Co-operation and Development, in Italia conosciuta come OCSE), organizzazione che conta 36 stati membri.
Il valore del dollaro statunitense
Negli ultimi cinquant’anni, il dollaro statunitense è stata la valuta di riferimento per la compravendita del petrolio in giro per il mondo. Non a caso, è stato coniato ad hoc il termine petrodollaro, proprio per indicare le immense riserve di valuta che i paesi produttori incassano con la vendita di questo combustibile fossile. Conseguentemente, il valore del dollaro USA influenza in modo diretto il prezzo del barile di petrolio. Facciamo un esempio pratico: quando l’Italia compra un barile di Brent, che abbiamo visto aggirarsi sui 74$ dollari per barile, deve convertire gli euro in dollari. Il prezzo del singolo barile, quindi, è influenzato dal cambio euro/dollaro e risente della forza o debolezza della valuta statunitense. Volendo riassumere con uno slogan, più il dollaro è forte nei confronti dell’euro, più il prezzo del petrolio sale, e viceversa. Naturalmente, questo discorso vale per tutte le valute.
Gli Stati Uniti e il dollaro continuano ad avere un ruolo dominante in queste dinamiche, data la potenza economica e militare del paese a stelle e strisce. Tuttavia, qualcosa sta cambiando. Innanzitutto la Cina, di gran lunga il paese che importa più fossile, ha iniziato a comprare barili attraverso la sua valuta, lo yuan. In secondo luogo, l’Arabia Saudita non ha rinnovato l’accordo cinquantennale che nel 1974 aveva siglato con gli USA e che prevedeva la vendita del petrolio in dollari e l’investimento dei proventi in debito americano, in cambio di protezione militare e vendita di armi. Con Trump, come abbiamo anticipato, si sta verificando un riavvicinamento fra i due paesi, ma è innegabile che molte potenze nel mondo stiano cercando di attuare politiche di dedollarizzazione.
Domanda globale
Naturalmente, come la legge della domanda e dell’offerta vuole, il prezzo del petrolio è determinato anche e soprattutto dalla richiesta globale. L’offerta, come detto prima, è prerogativa dell’OPEC+ e degli altri attori di mercato, ma la domanda è frutto della somma di più variabili interconnesse. Attualmente, il consumo di petrolio a livello mondiale si aggira sui 100 milioni di barili al giorno, con Cina, Stati Uniti e Unione Europea in testa.
Tra i fattori che incidono sulla domanda di petrolio, al primo posto troviamo la crescita economica globale perché più l’economia mondiale si espande, più aumenta l’energia destinata alla produzione industriale, ai trasporti e alle attività energivore, più c’è richiesta. Ciò vale anche al contrario, come nel caso del periodo del Covid: il mondo si ferma, le industrie si spengono, la domanda diminuisce drasticamente, il prezzo del petrolio crolla.
Un altro fattore determinante è legato alle politiche energetiche e alla transizione ecologica. Questo perché, ovviamente, più ci si affranca dai combustibili fossili, più la domanda si riduce, più il prezzo dovrebbe abbassarsi. Questa correlazione non è sempre così automatica e dipende in parte dalle decisioni dell’OPEC+.
Un terzo fattore riguarda i cosiddetti shock esogeni, vale a dire quegli eventi esterni alle leggi dell’economia come i disastri naturali e le guerre, che potrebbero danneggiare le linee di rifornimento o, in generale, minare gli equilibri di produzione. È stato così nel caso dell’invasione russa dell’Ucraina, che ha causato la cessazione dei rapporti fra Unione Europea e Russia determinando un rialzo dei prezzi di petrolio e gas naturale – e dell’inflazione – durato fino a metà 2022.
Previsioni prezzo del petrolio: cosa prevede il biennio 2025/2026?
Fare previsioni sul prezzo del petrolio in questo periodo è estremamente difficile, a causa degli stravolgimenti di natura geopolica ed economica che, da tre anni ormai, mandano nel caos le istituzioni finanziarie di tutto il mondo. Inoltre, la recentissima escalation del conflitto fra Israele e Iran contribuisce a alimentare la forte incertezza sul futuro a breve e medio termine.
Un’analisi indipendente della EIA (U.S. Energy Information Administration) datata 10 giugno 2025, cioè due giorni prima dell’attacco dell’aviazione israeliana nei confronti degli impianti nucleari iraniani, prevedeva i seguenti prezzi per il prossimo biennio:
- Previsioni prezzo del petrolio Brent: nel Q2 del 2025 le stime indicavano un prezzo di circa 65$ per barile, nel Q3 di 62$ e nel Q4 di 61$, con una media annuale stimata di 66$/barile. Nel 2026 il trend discendente sarebbe dovuto proseguire, con un prezzo di 60$/barile nel Q1 2026, di 60$ nel Q1 e nel Q2, 59$ nel Q3 e 58$ nel Q4. La media annuale: 59,2$ per barile.
- Previsioni prezzo del petrolio WTI: per il 2025 le misurazioni rilevavano un prezzo di 62$ nel Q2, 58,6$ nel Q3, 57$ nel Q4, con media annuale di 62,3$/barile. Anche qui, 2026 all’insegna del ribasso con 56$ per barile nel Q1, 56,6$ nel Q2, 55,6$ nel Q3 e 54$ nel Q4. Media annuale: 55,6$/barile.
Le motivazioni dietro queste previsioni sono da ricercare nel fatto che ci si aspetta un surplus, cioè un eccedenza, di offerta rispetto alla domanda, con conseguente accumulo delle scorte globali – e, come abbiamo visto prima, fisiologico calo del prezzo del greggio. Questa argomentazione è sostenuta anche da un report dell’AIE (Agenzia Internazionale dell’Energia), nel quale si evidenzia che, nel 2025, gli investimenti nel settore dei combustibili fossili ammonteranno a 1,1 trilioni di dollari, la metà rispetto al capitale destinato all’energia rinnovabile. A ciò, si aggiunge un crollo del 6% degli investimenti dedicati all’upstream petrolifero, cioè alla ricerca di nuovi giacimenti da sfruttare, e di quelli verso le raffinerie, in calo al livello più basso degli ultimi 10 anni – sotto i 30 miliardi. Tutto questo sembra indicare un chiaro riorientamento dell’allocazione del capitale. Ma c’è un ma.
L’andamento del petrolio nel 2025: occhio all’escalation fra Israele e Iran
I raid dell’aviazione israeliana sugli impianti nucleari iraniani di Natanz e Tabriz del 12-13 giugno, hanno cambiato tutte le carte in tavola nel giro di 24 ore. La risposta della Repubblica Islamica di Teheran è arrivata dopo qualche ora e ha contribuito ad inasprire la già delicatissima situazione. Lasciando un secondo da parte i discorsi relativi alle alleanze geopolitiche nell’ecosistema OPEC+, che potrebbero portare a un taglio netto e coordinato della produzione di petrolio, l’aggravarsi di questo conflitto avrebbe conseguenze dirette sulla circolazione degli idrocarburi e delle merci. Perchè? Perchè da quelle parti sono presenti due stretti di mare fondamentali per il commercio mondiale: lo Stretto di Bab-el-Mandeb e quello di Hormuz.
Per quanto riguarda il primo dei due, abbiamo avuto modo di parlarne quando abbiamo scritto della tempesta perfetta che ha portato al boom del prezzo dell’oro. Lo Stretto di Hormuz, invece, è una novità e lo affrontiamo qui per la prima volta: come ha affermato il Ministro della Difesa Guido Crosetto, questo collo di bottiglia “sarà uno dei punti critici nelle prossime settimane e nel medio-lungo termine”. Per dare qualche informazione di natura geografica, parliamo di un passaggio marittimo strategico situato tra l’Iran (a nord) e l’Oman (a sud), che collega il Golfo Persico a ovest con il Golfo di Oman e, di conseguenza, con il Mare Arabico e l’Oceano Indiano a est.
La sua importanza deriva dal fatto che è il punto di transito obbligato per una porzione enorme del petrolio e del gas naturale liquefatto (il GNL) mondiale esportato dai principali produttori del mondo: Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait, Qatar, Iraq e Iran. Per capirci, si stima che attraverso questo stretto di mare passi ogni giorno circa il 40% della produzione mondiale di petrolio. Lato scambi commerciali, lo Stretto di Hormuz vede il passaggio di oltre 3.000 navi al mese. È dunque evidente come la chiusura di questo passaggio al trasporto marittimo causerebbe un rialzo dei prezzi e danni incalcolabili per l’economia mondiale.
Per concludere, la situazione è così incerta e complicata che perfino gli analisti di settore non vogliono sbilanciarsi e preferiscono monitorare l’evoluzione della crisi. Un articolo di lunedì 16 giugno – targato CNBC – recita letteralmente: “I colossi dell’energia Baker Hughes e Woodside evitano di fare previsioni sul petrolio mentre il conflitto Iran-Israele si intensifica”. Sulla base di ciò, il consiglio è quello di entrare nel nostro canale Telegram e restare sul pezzo, perché questa crisi ci interessa moltissimo e non tarderemo a pubblicare aggiornamenti – oppure puoi iscriverti direttamente su Young Platform qui sotto!
