Risiko bancario: che cos’è e perché si innesca?

Risiko bancario: che cos’è e come si innesca?

Scopri cos’è il risiko bancario, un’attività giustificata dagli extra-profitti delle banche

Che cos’è il risiko bancario? No, non è l’ultima espansione del vostro gioco da tavolo preferito, anche se le dinamiche di conquista e strategia che lo regolano ci assomigliano parecchio. Questo termine, mutuato con arguzia dal celebre gioco da tavolo, descrive la recente e vivace tendenza degli istituti di credito, specialmente quelli con qualche “carrarmatino” in più, a lanciarsi in operazioni di fusione, acquisizione (M&A) e accorpamento. Un po’ come quando, nel gioco, hai accumulato abbastanza armate da guardare con interesse i territori del vicino.

La prima misura macroeconomica che possiamo associare al risiko bancario è la modifica dei tassi di interesse, un argomento molto frequente nei nostri articoli per via della sua influenza sui mercati, anche su quello crypto. L’innalzamento del costo del denaro, deciso dalle banche centrali per domare l’inflazione (mentre noi comuni mortali vedevamo lievitare le rate dei mutui), ha fatto la gioia dei bilanci bancari. Questi extraprofitti verranno reinvestiti per crescere ed espandersi. Preparate i pop-corn perché la stagione 2025-2026 del risiko bancario, si preannuncia scoppiettante.

Lo stato di salute delle banche italiane

Prima di approfondire il tema principale, è utile una breve analisi dello stato di salute degli istituti di credito, per comprendere il contesto in cui si sviluppa il fenomeno del risiko. Negli ultimi anni, le banche hanno beneficiato significativamente delle decisioni delle banche centrali sui tassi di interesse.

Durante il 2023, le maggiori banche italiane quotate in borsa hanno registrato utili netti aggregati per 21,9 miliardi di euro, cifra che è ulteriormente salita a 31,4 miliardi nel 2024. A livello europeo, i profitti dei venti istituti più importanti hanno raggiunto circa 100 miliardi di euro.

Il principale motore di questa crescita è stato l’incremento dei tassi di interesse operato dalla Banca Centrale Europea per contrastare l’inflazione (da luglio 2022 a ottobre 2023, i tassi di riferimento sono passati dallo 0% al 4,5%). Ciò ha provocato un aumento del margine netto di interesse, ovvero la differenza tra gli interessi attivi riscossi sui prestiti e gli interessi passivi corrisposti sulla raccolta. Semplificando, si può dire che le banche hanno adeguato più rapidamente i tassi attivi sui finanziamenti concessi ai clienti rispetto alla remunerazione offerta sui depositi.

Tuttavia, i risultati positivi non derivano soltanto da questa dinamica. Si è registrata anche una crescita delle commissioni nette, prevalentemente dalla gestione patrimoniale. Queste componenti hanno contribuito alla situazione attuale, in cui le banche, grazie ai consistenti profitti accumulati (assimilabili, nella metafora del Risiko, a territori conquistati o carte bonus), dispongono di significativa liquidità (o “armate”). Il passo successivo, in entrambi gli scenari, è l’investimento di queste risorse per l’espansione.

Il risiko bancario

La metafora del risiko bancario è particolarmente calzante poiché, in questo periodo, il settore è sempre più simile ad una arena competitiva. Tuttavia, a differenza del gioco da tavolo, la spinta al consolidamento tra banche è alimentata da una serie di motivazioni strategiche fondamentali per la loro crescita e stabilità. Ecco le principali:

  1. Ricerca di economie di scala: l’obiettivo primario è unificare le strutture operative, ottimizzare i costi attraverso la razionalizzazione dei processi interni e l’integrazione delle piattaforme tecnologiche.
  2. Diversificazione geografica e di prodotto: espandere la presenza territoriale e ampliare la gamma di servizi offerti permette alle banche di ridurre i rischi legati alla concentrazione su specifici mercati o segmenti di clientela, e al contempo di aumentare le opportunità di cross-selling e, di conseguenza, i ricavi.
  3. Aumento della competitività: banche di maggiori dimensioni dispongono generalmente di un maggior potere negoziale e di una capacità superiore di investire in nuove tecnologie, nello sviluppo delle risorse umane e in iniziative di marketing, rafforzando così la loro posizione sul mercato.
  4. Risposta strategica alle sfide del settore: le operazioni di M&A sono viste come una risposta all’accelerazione della digitalizzazione, alla necessità di conformarsi a una regolamentazione sempre più stringente (ad esempio in materia di requisiti patrimoniali e di liquidità) e all’urgenza di affrontare tematiche trasversali come la sostenibilità ambientale e sociale.
  5. Pressione degli azionisti: un fattore rilevante è la costante pressione esercitata dagli azionisti per massimizzare il valore delle azioni e dei dividendi, e per attrarre nuovi investitori.

Il risiko bancario: i casi più emblematici

Il panorama italiano ha già assistito a casi emblematici di M&A che hanno ridisegnato la mappa del credito. L’operazione Intesa Sanpaolo / UBI Banca, finalizzata nel 2021, è considerata un punto di svolta che ha effettivamente dato il via alla più recente ondata di “risiko bancario”. Questa fusione ha consolidato la leadership di Intesa Sanpaolo e ha agito da catalizzatore per ulteriori aggregazioni.

Un altro esempio significativo è stata l’acquisizione del Credito Valtellinese (CreVal) da parte di Crédit Agricole Italia (2020-2021), che testimonia l’interesse di gruppi esteri a rafforzare la propria presenza in aree strategiche del paese. Anche BPER Banca si è dimostrata un attore attivo, con l’acquisizione di Banca Carige (2022) e le ricorrenti discussioni su una potenziale integrazione con la Banca Popolare di Sondrio.

Sullo sfondo, rimangono le ipotesi che coinvolgono i principali player: si è molto discusso di un interesse di UniCredit per incrementare la sua quota nella tedesca Commerzbank, così come di passate interlocuzioni per un’aggregazione tra la stessa UniCredit e Banco BPM. Quest’ultima è attualmente impegnata nel tentativo di concludere l’offerta pubblica d’acquisto su Anima SGR, che è contemporaneamente oggetto di interesse da parte di Unicredit con un’offerta superiore ai 10 miliardi di euro. Nel frattempo, Unipol, dopo l’esclusione dall’ultima vendita di quote pubbliche di Monte dei Paschi di Siena, sembra mirare a favorire un’integrazione tra Bper e Popolare di Sondrio, di cui detiene una quota rilevante.

Banca Monte dei Paschi di Siena (MPS) continua a essere un elemento centrale nelle dinamiche di M&A, con il governo italiano alla ricerca di soluzioni di mercato per la sua definitiva stabilizzazione e privatizzazione; in questo contesto, si è nuovamente ipotizzato un possibile coinvolgimento di UniCredit.

Quali saranno i prossimi sviluppi?

Quali saranno gli esiti di questa fase del risiko bancario? È complesso fornire una risposta univoca, anche perché, non verrà incoronato un vincitore assoluto e definitivo. Il risiko bancario – e questa è una notevole differenza rispetto alle dinamiche del gioco da tavolo – è un processo continuo, che si adatta alle mutevoli stagioni dell’economia e della finanza.

Il periodo attuale è certamente cruciale. Con i tassi d’interesse in discesa, i margini di guadagno eccezionali registrati dalle banche negli ultimi anni potrebbero subire una normalizzazione. Questo scenario, naturalmente, spinge gli istituti di credito a rimescolare le carte e a studiare nuove strategie per mantenere la redditività e rafforzare la propria posizione competitiva.

Vedremo quindi, con ogni probabilità, ulteriori operazioni di consolidamento. I grandi gruppi bancari potrebbero puntare a irrobustirsi ulteriormente per competere efficacemente su scala globale, mentre gli altri istituti lavoreranno per non restare indietro, magari attraverso alleanze strategiche o fusioni mirate a creare campioni nazionali o specializzati.

E per i clienti e il sistema economico nel suo complesso? Le argomentazioni a favore di queste operazioni evidenziano spesso i benefici attesi in termini di maggiore stabilità, efficienza e capacità di investimento. Sarà importante osservare se a queste grandi manovre corrisponderanno poi benefici tangibili in termini di effettiva concorrenza, qualità dei servizi offerti e supporto all’economia reale. La partita del risiko bancario, insomma, è ancora in pieno svolgimento e le sue prossime mosse continueranno a disegnare il futuro del settore creditizio.

USA e Cina: la guerra commerciale verso la tregua?

USA e Cina: la guerra commerciale verso la tregua?

USA e Cina stabiliscono una tregua di 90 giorni alla guerra commerciale: sospesa parte dei dazi a partire dal 14 maggio. Le reazioni dei mercati

USA e Cina hanno pubblicato una dichiarazione congiunta nella mattinata di lunedì 12 maggio: nella nota, si comunica la sospensione di parte dei dazi reciproci per 90 giorni a partire dal 14 maggio. La tregua alla guerra commerciale arriva dopo due giorni di intensi colloqui a Ginevra fra Scott Bessent e Jamieson Greer, rispettivamente il segretario al Tesoro e il rappresentante per il Commercio statunitensi, e il vicepremier cinese, He Lifeng. Come hanno reagito i mercati a questa notizia?

USA e Cina mettono temporaneamente in pausa la guerra commerciale 

Ginevra, lunedì 11 maggio. USA e Cina hanno comunicato in una dichiarazione congiunta di aver raggiunto una tregua temporanea nella guerra commerciale cominciata più di un mese fa. Le due superpotenze sospenderanno parte dei dazi reciproci a partire da mercoledì 14 maggio, per un periodo di 90 giorni. Nello specifico, la Casa Bianca fa sapere che gli Stati Uniti abbasseranno le tariffe doganali sulle merci cinesi dal 145% al 30%, mentre la Cina ridurrà i dazi sulle importazioni americane dal 125% al 10%.

La decisione arriva dopo due giorni di intensi colloqui tra il segretario al Tesoro e il rappresentante per il Commercio statunitensi Scott Bessent e Jamieson Greer e il vicepremier cinese He Lifeng. Già nella serata di sabato il presidente degli USA Donald Trump aveva dichiarato sul social Truth che la trattativa stava andando nella giusta direzione e che “molte cose sono state discusse, molte concordate” per “un reset totale negoziato in modo amichevole, ma costruttivo”. 

USA e Cina fanno pace e i mercati ringraziano

La tregua, seppur temporanea, nella guerra commerciale fra le due superpotenze economiche rassicura i mercati finanziari di tutto il mondo. Per quanto gli analisti ritengono che un accordo commerciale vero e proprio sia ancora lontano, la sospensione dei dazi reciproci fra USA e Cina viene letta come un allentamento della tensione e, soprattutto, un’apertura al dialogo. Il verde domina i principali listini di tutto il mondo e il dollaro torna a crescere dopo settimane in calo: il cambio euro/dollaro, al momento in cui scriviamo, si attesta sul valore di 1.112, in ribasso dello 0,8% dal momento dell’annuncio della tregua. 

Il mercato delle criptovalute continua a dare segnali positivi e Bitcoin sembra voler proseguire la sua scalata verso l’ATH: nella mattinata, più o meno verso le ore 7 italiane, BTC è arrivato a sfiorare i 106.000$, per poi ritracciare e assestarsi sui 104.400$. Lato altcoin, all’annuncio della pausa delle tariffe Ethereum ha reagito positivamente passando da quota 2.500$ a 2.600$ per poi scendere a 2.550$. La dominance di Bitcoin giù dello 0,4% circa, a quota 62,7%. Per quanto riguarda la market cap totale del mercato crypto, siamo sui 3,31 trilioni di dollari, in crescita dello 0,5% dal momento della pubblicazione del comunicato della Casa Bianca. 

Cosa aspettarsi dal futuro?

USA e Cina sembrano indirizzati verso un accordo commerciale stabile che porti beneficio a entrambi ma Donald Trump, in questi quasi quattro mesi di presidenza, ci ha abituato all’imprevedibilità: come abbiamo più volte sottolineato, attualmente ci troviamo in una fase caratterizzata dall’estrema incertezza sugli scenari economici futuri, stando anche a quanto riferito dalla FED in occasione del FOMC di maggio. In ogni caso, questa tregua – insieme al recente accordo stipulato col Regno Unito – sembra testimoniare un sostanziale cambio di atteggiamento da parte dell’amministrazione USA, che potrebbe iniziare a muoversi con più cautela e razionalità nei confronti dei partner commerciali. 

Se ti interessa questo tipo di notizie, il consiglio è di iscriverti qui sotto: noi di Young pubblichiamo quotidianamente aggiornamenti simili, come l’indice dei prezzi al consumo USA previsto per martedì 13 maggio. Alla prossima!

La quotazione dell’oro alle stelle: cosa succede?

La quotazione dell’oro alle stelle: cosa succede?

La quotazione dell’oro prosegue il suo viaggio verso la Luna: dopo aver rotto i 3.500$/oncia, ora si aggira sui 3.300$. Cosa succede?

Nell’ultimo anno, la quotazione dell’oro è passata da circa 2.300$ ai 3.300$ per oncia di questi giorni, mettendo a segno un +42% e rompendo la soglia psicologica dei 3.500€. La pandemia e le guerre hanno contribuito a generare una situazione estremamente instabile che terrorizza gli investitori, i quali fuggono verso soluzioni più sicure. Ma nello specifico, cosa è successo? E soprattutto, il trend rialzista è destinato a continuare? 

Capire la quotazione dell’oro: una premessa che potrebbe aiutarti

I movimenti della quotazione dell’oro non possono essere compresi a pieno senza conoscere il significato storico e le caratteristiche che rendono prezioso questo metallo. L’oro è una materia prima quasi unica nel suo genere poiché è presente da millenni nella cultura umana: le prime tracce del suo utilizzo come mezzo di scambio risalgono addirittura alle antiche civiltà egizia e sumera, mentre le prime monete d’oro furono coniate già nell’ottavo secolo a.C. Una presenza così continuativa nel tempo è motivata dalle proprietà fisiche intrinseche che possiede, come la malleabilità, la durabilità, la divisibilità e la rarità, che lo rendono un materiale particolarmente richiesto e desiderato in modo trasversale. Con l’avvento dell’industria elettronica, inoltre, si sfruttano anche le sue capacità di conduzione termica ed elettrica. 

L’oro, nel corso dei secoli, è stato costantemente e universalmente riconosciuto come riserva di valore, vale a dire come un modo per mantenere intatta la propria ricchezza nel tempo. Cigni neri come crolli di monarchie e imperi, guerre, pandemie e crisi finanziarie, hanno provocato la fine di epoche storiche e sistemi economici, ma non hanno mai intaccato la percezione collettiva nei confronti di questo metallo: l’associazione dell’oro con la sicurezza, la stabilità e la conservazione della ricchezza è profondamente e storicamente radicata nella coscienza comune. Per questi motivi, gode di estrema fiducia da parte degli investitori.

L’insieme di questi elementi fa sì che l’oro, come abbiamo anticipato, sia un materiale molto richiesto. L’alta richiesta, però, deve fare i conti con una quantità limitata disponibile sul nostro pianeta. Il risultato è che il prezzo dell’oro – o anche la quotazione dell’oro – sui mercati è motivato dall’incontro tra domanda e offerta

Una volta capito come “funziona” l’oro, è il momento di analizzare le ragioni dietro questa performance spaziale. 

Cosa spinge la quotazione dell’oro verso l’alto?

Come abbiamo detto, la quotazione dell’oro è il prodotto della legge della domanda e dell’offerta sulla materia prima e di dinamiche sottostanti molto complesse e ricche di variabili da prendere in considerazione. Tuttavia, tale complessità fatta di astruse formule matematiche e interminabili file excel la lasciamo a chi fa questo di mestiere. A noi piace semplificare la questione, affermando che la quotazione dell’oro è direttamente proporzionale al grado di instabilità – o incertezza – percepita o reale: più la situazione economica, geopolitica, sanitaria e quello che vuoi, è instabile, più ci sarà richiesta e più il prezzo salirà. Al contrario, più la situazione è stabile, più la quotazione sarà uniforme e organica, non soggetta ad aumenti o cali repentini della domanda. 

Ti ricordi l’assalto ai supermercati all’annuncio del lockdown? In quell’assurdo momento di panico, la gente è corsa a comprare i legumi, perché sono i viveri perfetti per l’apocalisse: scadono dopo anni, si conservano facilmente, sono nutrienti. In situazioni di normalità, hai la scorta di fagioli borlotti in casa? Improbabile. Quindi, con le dovute proporzioni, l’oro è come i legumi – non masticarlo – ed è il bene rifugio per eccellenza nei periodi di forte stress. Ma perchè questa volta ha rotto ogni record?  

Pandemia, guerre e inflazione: la tempesta perfetta

Da marzo 2024 la quotazione dell’oro è passata dai 2.000€ ai 3.300€ l’oncia – al momento in cui scriviamo – registrando un aumento del 63% e arrivando a rompere la soglia psicologica dei 3.500€. Impressionante se pensiamo che venti anni fa il suo prezzo oscillava fra i 400$ e i 500$. Ma questo comportamento, sulla base di quanto detto finora, non dovrebbe stupire. Infatti se ci concentriamo sui singoli eventi macro negativi, possiamo trovare conferma di questa correlazione diretta tra instabilità e prezzo: con la crisi del 2008, l’oro passa da 711$ l’oncia a 1820$ in tre anni; da gennaio 2020 a luglio 2020, la pandemia e i lockdown spingono la quotazione verso l’alto del 30%; infine, dal febbraio 2022 ad oggi, l’invasione russa dell’Ucraina, la riapertura del conflitto israelo-palestinese e l’elezione di Donald Trump hanno portato l’oro a un passo dal raddoppio del prezzo (+85%). 

Nuvole nere si addensano all’orizzonte: scoppia il Covid-19

In questo lasso di tempo, specialmente negli anni del Covid-19, i governi le banche centrali di tutto il mondo sono stati obbligati a lanciare misure fiscali espansive senza precedenti per sostenere le economie, le imprese e i cittadini: per esempio in Europa, il NextGenerationEU equivale a 806 miliardi di euro – ma è parte di un pacchetto di aiuti di 2 trilioni di euro – mentre negli Stati Uniti, l’insieme degli stimoli fiscali approvati in quel periodo ammonta a circa 6,9 trilioni di dollari. In tutto ciò, i tassi di interesse erano vicini allo zero. Cosa succede quando la quantità di moneta circolante aumenta in maniera così imponente? Risposta esatta, l’inflazione cresce. E cosa fanno i grandi player quando l’inflazione cresce? Altra risposta esatta, si rifugiano nell’oro per evitare la svalutazione del proprio capitale.

Inizia a diluviare: la Russia invade l’Ucraina

Nonostante tutto, l’economia riparte, le banche centrali possono finalmente cominciare la lotta all’inflazione e nel 2022 la FED alza i tassi di interesse, seguita in scia dalla BCE e da altre banche. Ma Vladimir Putin in quel momento decide di invadere l’Ucraina: si verifica un potente shock sull’offerta dell’energia e delle materie prime, soprattutto di tipo alimentare, perché la Russia è uno dei principali esportatori di gas e petrolio, mentre l’Ucraina – il Granaio d’Europa – rifornisce il mondo di cereali. Ciò si traduce in un ulteriore shock dei prezzi che, a catena, si ripercuote sul costo della vita: ti ricordi quanto costava fare benzina nell’estate del 2022? Circa 2€ al litro. Ora, lasciando da parte il discorso sulle imprese energivore, il solo aumento delle spese legate al trasporto su strada ha provocato un rialzo dei prezzi a 360 gradi. Sappiamo che la salita dei prezzi corrisponde alla perdita di potere d’acquisto la quale, a sua volta, implica l’aumento dell’inflazione. Cosa succede quando aumenta l’inflazione? Esatto, parte la corsa all’oro neanche fossimo nel Klondike di Paperon de’ Paperoni. 

Fulmini e saette: il Medio-Oriente si infiamma

La situazione geopolitica è molto instabile, ma tutto sommato le economie reggono, anche grazie alla spinta delle politiche espansive dell’era Covid. Tuttavia, a neanche un anno dall’invasione, si apre un altro fronte di guerra: il conflitto israelo-palestinese esplode per l’ennesima volta e il Medio-Oriente si infiamma. Tra le cose che accadono, il gruppo terroristico degli Houthi inizia a lanciare missili per ritorsione sullo stretto di Bab-el-Mandeb, un collo di bottiglia tra Yemen e Corno d’Africa che conduce al Canale di Suez e da cui passava circa il 15% del commercio marittimo globale. Le navi cargo commerciali, obiettivo primario dell’attacco degli Houthi, sono tuttora costrette ad evitare Suez e circumnavigare l’Africa per raggiungere l’Europa, aggiungendo 10-15 giorni di navigazione. Ciò, naturalmente, ha prodotto un rincaro generalizzato dei prezzi. E cosa succede se i prezzi salgono? L’inflazione cresce e…sì, si corre a guardare la quotazione dell’oro per comprare qualche oncia

La tempesta ora è perfetta: Donald Trump annuncia i dazi doganali 

E quando sei li a pensare che non potrebbe andare peggio, Donald Trump vince le elezioni e decide di scatenare il panico nelle istituzioni economiche e finanziarie di tutto il mondo, pronunciando una sola parola: tariffs, dazi. In un mercato estremamente globalizzato e connesso come quello del XXI secolo, se la principale economia del pianeta impone dazi altissimi – poi sospesi fino a luglio – la situazione diventa grave. Infatti oltre al rischio inflazione, con le barriere all’ingresso che gonfiano i prezzi finali delle merci importate, in questo caso si aggiunge anche il timore della recessione perché l’economia rallenta pesantemente. Dal 9 aprile, giorno in cui Trump ha annunciato i dazi, la quotazione dell’oro ha sfondato il tetto psicologico dei 3.500$ l’oncia mettendo a segno un +15%, per poi ritracciare e lateralizzare intorno ai 3.300$. 

La quotazione dell’oro nel futuro: il trend proseguirà?

Un report di Goldman-Sachs ci fornisce un dato interessante circa l’interesse per l’oro da parte delle banche centrali mondiali: dal congelamento degli asset della banca centrale russa nel 2022 (a seguito dell’invasione dell’Ucraina), la richiesta media mensile è passata da 17 a 108 tonnellate. Goldman-Sachs stessa prevede che alla fine del 2025 la quotazione dell’oro si aggirerà nel range compreso tra i 3.650$ e i 3.950$ per oncia, mentre JP Morgan stima una crescita oltre i 4.000$ per oncia nel 2026. Insomma, secondo molti pareri autorevoli la tempesta perfetta fatta di pandemie, guerre e tariffe doganali continuerà a spingere l’oro nel suo viaggio in direzione Luna. 

Ora che conosci questo prezioso metallo, la sua storia e le sue caratteristiche di bene rifugio anti-inflattivo, ti consigliamo di informarti su quello che viene chiamato “oro digitale”, Bitcoin. Potresti cominciare dall’articolo in cui spieghiamo come proteggersi dall’inflazione proprio grazie a Bitcoin, può essere un ottimo punto di partenza. Poi, potresti iscriverti qui sotto, per non perdere il ritmo!

Crollo in Borsa: cosa sta succedendo?

Crollo in Borsa: cosa sta succedendo?

Panico nella finanza mondiale: Trump annuncia i dazi, Wall Street perde 5.000 miliardi di dollari. Cosa succede? Ecco una panoramica dei principali listini

Mercoledi 2 Aprile il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato i temuti dazi reciproci: oggi il rosso domina i grafici dei principali (e non solo) indici e listini mondiali. Il sentiment è fortemente negativo e il panic selling sta generando una cascata di vendite che sembra decisa a non arrestarsi.

Scopri le performance dei principali titoli e l’impatto di questa crisi sulle principali crypto. 

Wall Street: tempesta improvvisa senza scialuppe di salvataggio

Situazione tesa dalle parti di New York. Dal fatidico “Liberation Day”, la Borsa più famosa del mondo ha registrato perdite comparabili ai PIL di Italia e Francia sommati: dal 2 Aprile sono andati in fumo almeno 5.000 miliardi di dollari, con l’S&P500 che perde più del 10%, così come il Nasdaq (-10,3%) e il Dow Jones il 9,6%. Situazione ancora più critica se si prendono in esame le singole azioni: Apple perde il 19%, Meta l’11,5% e Nvidia il 12,6%. Trend fortemente ribassista che sembra confermarsi anche per questa settimana, dal momento che lunedì mattina i futures sull’S&P500 cedevano il 3,39%, quelli sul Nasdaq il 3,41% e quelli sul Dow Jones il 3,09%. Domenica notte il Presidente Trump ha minimizzato il panico sui mercati azionari: “A volte è necessario prendere dei farmaci per curarsi”, ha dichiarato. Intanto Goldman Sachs aumenta la probabilità di recessione, alzandola al 45%. Oggi però il sentiment sembra differente: sempre lato futures, S&P500, Nasdaq e Dow Jones guadagnano rispettivamente l’1,5%, l’1,3% e il 2%.

Per concludere, la FED ha indetto una riunione a porte chiuse per la “Revisione e determinazione da parte del Consiglio dei Governatori dei tassi di anticipo e di sconto da applicare dalle Banche della Riserva Federale” lunedì 7 Aprile alle 17:30 ora italiana. Per ora sappiamo che nella giornata di venerdì scorso il presidente Jerome Powell ha affermato che “non sembra ci sia bisogno di avere fretta” e che occorre osservare “come si evolve la situazione prima di iniziare ad apportare modifiche“. Riguardo il taglio dei tassi, l’idea condivisa fra i trader vede maggiori possibilità nel meeting di Giugno (al 70%) piuttosto che a Maggio (al 30%). Dall’altro lato Donald Trump, in un tweet di ieri sera, consiglia alla “slow moving” FED di tagliare i tassi, dal momento che non ci sarebbe inflazione. Quale sarà la prossima mossa?

Asia ed Europa: follow the leader

Sul fronte orientale la situazione è molto simile, esacerbata dalla risposta della Cina che ha imposto dei controdazi speculari al 34% sui prodotti USA: gli indici di Shanghai e Shenzhen cedono rispettivamente il 7,17% e il 10,79%, l’indice Hang Seng di Hong Kong mette a segno la peggiore seduta dalla crisi finanziaria del 1997 perdendo il 13,22%, mentre la Borsa di Taiwan aggiorna il record assoluto in negativo, arrivando a registrare cali per il 9,7%

Stesso identico discorso per i listini europei che seguono la scia le chiusure dei mercati asiatici. Le variazioni a una settimana vedono il DAX di Francoforte è giù del 10,8%, il CAC 40 di Parigi del 11,1% così come il FTSE 100 di Londra, che registra perdite per il 10,3%. In casa nostra, il FTSE MIB di Milano attualmente è in negativo del 13,7%,: a pesare, le forti perdite – fino al 12% – che hanno investito il comparto bancario. Discorso leggermente diverso per la seduta odierna, che vede i principali indici europei recuperare mediamente tra l’1% e il 2%

Il mercato crypto si allinea: liquidazioni per 1.4 miliardi

La pioggia di vendite ha investito anche il mercato delle criptovalute, che vede la Market Cap totale scendere del 6,7%, recuperando la soglia dei 2,4 trilioni di dollari, persa durante la giornata di lunedì. L’alta incertezza dettata da questa situazione è riscontrabile nel Fear and Greed Index, in Extreme Fear, oltre che dal crollo notturno di Bitcoin: nella notte fra domenica e oggi, la regina delle criptovalute sta perdendo circa il 5,2% e – al momento in cui scriviamo – viaggia intorno ai 79.000$. Come si legge su NY Times, “the man nicknamed the first Bitcoin president is presiding over a Bitcoin crash”.

Lasciando da parte le emozioni, dal punto di vista dell’analisi tecnica BTC scende per la prima volta sotto la soglia dei 75.000$ da Novembre e va a “sbattere” contro supporti che non si vedevano dal 2021: il principale, la linea dei 69.000$. A proposito, un interessante tweet da parte dell’analista noto su X (ex Twitter) con l’handle @KevinSvenson_ ribalta completamente la narrazione: secondo lui, stiamo assistendo a un retest dei massimi del 2024, localizzati appunto nella zona dei 75.000$. Il tweet continua con uno statement lapidario che recita “questa è l’ultima occasione per $BTC di mantenere la sua macrostruttura rialzista”. 

Per quanto riguarda il fronte Altcoin, Ethereum è arrivato al minimo di 1.415$ nei pressi dello storico supporto dei 1.400$, toccato l’ultima volta nel Marzo 2023. Stesso discorso per Solana, arrivata a toccare il supporto del range 85$-95$ dopo circa un anno. Reazioni decise per entrambe le coin, che per ora si aggirano rispettivamente intorno ai 1550$ e ai 105$.

Però c’è un però, anzi due. Oltre la classica scuola di pensiero che vede le opportunità migliori durante i momenti di crisi, molti analisti offrono uno spunto interessante: il comportamento di Bitcoin potrebbe essere diverso dal solito, forse più maturo. BTC infatti sembra dare segnali di autonomia contro QQQ, l’ETF che replica le 100 aziende dell’NDX, a cui nel breve termine è solitamente correlato. Questa decorrelazione, se confermata, potrebbe indicare forte indipendenza dagli eventi che generalmente turbano il mercato azionario e permettere a Bitcoin di fare un salto di qualità, come asset “diverso”. Tenere d’occhio i grafici in questo periodo può essere una mossa azzeccata e il mercato in questi giorni può regalare emozioni.
Inizia da qui! 

Crypto-asset: dalla MiCAR al fisco italiano

mica stablecoin

L’adozione del Regolamento MiCA (Markets in Crypto-Assets) segna un importante passo avanti nella regolamentazione delle cripto-attività all’interno dell’Unione Europea. Tra le novità più rilevanti vi è la classificazione delle stablecoin, che ha conseguenze dirette sulla loro tassazione. In particolare, MiCA introduce una chiara distinzione tra token di moneta elettronica (EMT) e token collegati ad attività (ART), con implicazioni fiscali diverse per chi opera nel settore crypto.

Crypto-asset: che cosa vuol dire?

l termine crypto-asset è utilizzato nel regolamento europeo MiCAR (Markets in Crypto-Assets) per identificare qualsiasi forma di asset digitale basato su tecnologie di registro distribuito (DLT), come la blockchain.

Nella classificazione MiCAR, i crypto-asset si dividono in tre categorie principali, ognuna con caratteristiche e trattamenti normativi (e potenzialmente fiscali) distinti:

1. Asset-Referenced Tokens (ART)

Token il cui valore è ancorato a un paniere di asset sottostanti, come valute fiat, criptovalute o materie prime.

Esempio: un token ancorato a un mix di dollaro, oro e Bitcoin.

2. Electronic Money Tokens (EMT)

Token il cui valore è stabilmente ancorato a una singola valuta fiat, come l’euro o il dollaro.
Questi token sono progettati per replicare il comportamento del denaro elettronico, e sono equiparati a valuta tradizionale ai fini fiscali.

Esempi: USDC (classificato ufficialmente come EMT), USDT (considerato EMT secondo interpretazione diffusa).

3. Utility Tokens

Token che danno accesso a un prodotto o servizio all’interno di un ecosistema digitale specifico.
Non sono pensati come mezzo di pagamento, ma come “chiave” d’accesso a funzionalità.

Esempio: token per accedere a servizi su una piattaforma DeFi o a un videogioco web3.

Trattamento fiscale dei crypto-asset

Dal punto di vista fiscale, tutti i crypto-asset possono generare plusvalenze imponibili nel momento in cui:

  • Vengono venduti in cambio di euro o altra valuta fiat
  • Oppure vengono scambiati con EMT, considerati equivalenti a valuta fiat

La categorizzazione MiCAR non ha ancora un impatto diretto unificato sulla normativa fiscale italiana, ma contribuisce a interpretare la natura delle operazioni:

  • Gli EMT, essendo assimilabili a moneta legale, rendono fiscalmente rilevante lo scambio come se fosse una vendita.
  • Gli NFT, anch’essi crypto-asset secondo MiCAR, sono fiscalmente rilevanti solo se ceduti con profitto, anche se manca ancora una disciplina dettagliata su di essi.

In sintesi, “Crypto-asset” è un termine ombrello che copre ogni forma di criptovaluta o token digitale. Qualunque operazione che generi un guadagno da questi asset – indipendentemente dalla loro categoria – può dar luogo a plusvalenze soggette all’imposta del 26%,.

Quando uno scambio è fiscalmente rilevante?

In linea generale, la normativa fiscale italiana – in linea con l’interpretazione del regolamento europeo MiCAR – considera fiscalmente rilevante solo lo scambio tra crypto-asset con caratteristiche e funzioni diverse.

“Non si considerano realizzati i redditi diversi qualora le cripto-attività oggetto di permuta abbiano le medesime caratteristiche e funzioni.

Cosa significa?

Che se scambi due crypto-asset simili – cioè appartenenti alla stessa categoria MiCAR – non realizzi una plusvalenza, e quindi non devi pagare imposte su quell’operazione.

Esempi di operazioni non rilevanti fiscalmente:

  • Bitcoin → Ethereum
    Entrambe sono criptovalute native con funzione di scambio → nessuna imposizione
  • USDC → USDT
    Entrambi sono EMT, ovvero stablecoin ancorate a valute fiat → nessuna imposizione
  • USDT → euro
    Equiparati in funzione e valore → nessuna imposizione
  • DAI → PAXG (entrambi sono classificati ART) → nessuna imposizione

Quando l’operazione diventa rilevante fiscalmente?

Lo scambio diventa fiscalmente rilevante quando coinvolge crypto-asset di categoria diversa, perché in questo caso si considera che tu abbia realizzato un guadagno o una perdita.

Esempio:

Vendi un NFT per degli ETH
L’NFT ha una funzione completamente diversa da Ethereum (non è mezzo di scambio, ma oggetto digitale unico, quindi questo scambio è fiscalmente rilevante. Se lo scambio genera una plusvalenza, cioè il controvalore degli ETH ottenuti dalla vendita è maggiore del valore dell’NFT al momento dell’acquisto, questo guadagno è soggetto a un’imposta del 26%.

Manca una classificazione ufficiale (per ora)

Ad oggi, non esiste una classificazione pubblica, completa e vincolante che assegni ogni singolo token a una delle categorie previste dalla MiCAR (EMT, ART, utility, ecc.).

Questo significa che la categorizzazione è soggetta a interpretazione, e può variare tra operatori, fiscalisti e Stati membri.

Tuttavia, esistono consensi diffusi su alcuni casi pratici:

  • USD Coin (USDC) è stato ufficialmente certificato come EMT, dopo aver completato il processo di due diligence previsto da MiCAR.
  • Tether (USDT) è generalmente considerato un EMT, anche se la certificazione formale è ancora in fase di adeguamento.
  • Bitcoin, Ethereum, Ripple, Uniswap, Litecoin, ecc. sono comunemente trattati come crypto-asset generici, e gli scambi tra loro non sono fiscalmente rilevanti.
  • Token come PAX Gold (PAXG) sono generalemente considerati ART, perché ancorato a un paniere di asset o un asset, come l’oro, diverso dalla valuta fiat.

Come semplifica tutto questo il report fiscale di Young Platform?

Comprendere la categorizzazione dei crypto-asset può essere complesso, soprattutto quando si detengono asset su più piattaforme o wallet.

Per questo, il servizio fiscale di Young Platform applica automaticamente un’interpretazione coerente con la normativa MiCAR, classificando le criptovalute in tuo possesso sia all’interno della nostra piattaforma, sia su altri exchange o wallet esterni.

Tutte le operazioni vengono:

  • Analizzate e categorizzate automaticamente
  • Tracciate con precisione
  • Inserite nel report fiscale completo, con plusvalenze e imposte già calcolate

Hai criptovalute anche su altri wallet o exchange?

Nessun problema: ti basta importare i file CSV delle transazioni, e il sistema genererà un report fiscale unico, consolidato e conforme, pronto per essere utilizzato nella tua dichiarazione dei redditi.

Tutto in pochi clic, senza bisogno di interpretazioni manuali o competenze tecniche.

Acquista il Report Fiscale

Come sono stati calcolati i dazi di Donald Trump?

Dazi di Trump: come sono stati calcolati e l’impatto

Donald Trump ha annunciato i dazi verso tutti i paesi. A quanto ammontano e come sono stati calcolati? Spoiler: male

I dazi annunciati martedì da Donald Trump hanno scosso tutti: politici, cittadini, imprese, ma soprattutto i mercati per via di diversi aspetti. Su tutti, alcuni sono stati evidenziati particolarmente. Uno riguarda i Paesi bersagliati dalla decisione del presidente americano: praticamente tutti, inclusa un’isola dell’Australia abitata soltanto da pinguini, fatta eccezione per Russia, Cuba, Corea del Nord e Bielorussia.

Ma la componente più curiosa di questa decisione dal sapore sovranista e anti-globalizzazione è la modalità in cui i dazi sono stati calcolati. Approfondiamo questo aspetto all’interno di questo articolo.

Un’ondata di tariffe globali

L’offensiva commerciale targata Trump prevede dazi aggiuntivi su praticamente ogni merce importata negli Stati Uniti, con aliquote variabili a seconda del Paese di provenienza. Ecco alcuni numeri chiave del piano tariffario trumpiano:

  • Dazio base universale: +10% su tutte le importazioni verso gli USA​;
  • “Peggiori trasgressori”: circa 60 Paesi accusati di pratiche commerciali sleali subiranno tariffe ben più alte dal 9 aprile. Tra questi, la Cina (+34%, che si somma al 20% già in vigore portando il totale al 54%), il Vietnam (+46%), la Thailandia (+36%), il Giappone (+24%), e tutti i Paesi dell’Unione Europea (+20%) – nel prossimo paragrafo affronteremo questo tema e ci renderemo conto di come sia fuorviante questa classificazione.
  • Stangata sulle auto: confermato un dazio speciale del 25% su tutte le automobili straniere e relativi componenti, un colpo diretto alle case automobilistiche estere.

Trump non ha risparmiato nessuno: dall’Europa alla Cina, dal Giappone al Brasile, tutti “pagheranno dazio”. Persino microstati e territori sperduti compaiono nella lista: dalle isole Svalbard nel Circolo Artico alle remote isole Heard e McDonald (disabitate e popolate solo da pinguini).

“Ci hanno derubato per più di 50 anni, ma non succederà più”, ha tuonato Trump, sostenendo che posti di lavoro e fabbriche torneranno a ruggire negli USA grazie a questi dazi​. Ha persino invitato le imprese estere: “Se volete dazi zero, venite a produrre in America”​. Insomma, America First versione 2.0: questa volta puntando il dito contro praticamente chiunque viva oltre i confini, anche i pinguini.

Come sono stati calcolati i dazi? La confusione tra dazi e IVA

Come avrai notato dalle citazioni, la narrazione di Donald Trump si è sempre basata sulla supposta reciprocità dei dazi. L’ex presidente ha definito i suoi dazi “tariffe reciproche”, sostenendo che gli USA non faranno altro che pareggiare ciò che gli altri Paesi già impongono sui prodotti americani. Detta così, suona quasi ragionevole – peccato che il metodo di calcolo adottato dalla Casa Bianca sia assurdo.

In pratica, Washington ha conteggiato qualsiasi balzello esistente all’estero pur di giustificare dazi elevati, confondendo allegramente l’IVA con i dazi. Per quanto riguarda l’Europa, Donald Trump ha affermato: “L’UE ci fa pagare il 39%!”. Ma questo numero salta fuori dalla somma dei dazi effettivi che l’Europa applica su alcuni prodotti americani (meno del 3%) con l’IVA europea, che però è una tassa sui consumi che varia a seconda del Paese, e persino eventuali tasse ambientali o tecniche di regolamentazione.

In termini ancora più semplici, l’amministrazione USA ha preso ogni tassa esistente su un prodotto in Europa e l’ha interpretata come se fosse una tariffa punitiva contro gli Stati Uniti. Poi, attraverso l’utilizzo creativo di semplici operazioni matematiche, ha calcolato i dazi per come li conosciamo. 

Nessun economista serio metterebbe sullo stesso piano l’IVA (che pagano tutti i consumatori, anche quelli europei) con un dazio mirato alle sole merci straniere – ma evidentemente, nella “realtà alternativa” della guerra commerciale trumpiana, funziona così.

Reverse engineering sul deficit commerciale

La seconda parte del creativo procedimento tramite il quale l’amministrazione Trump ha calcolato i dazi da imporre agli altri Paesi del mondo è ancora più curiosa. Il punto centrale in questo caso è il deficit commerciale. Trump ha sempre visto questo disavanzo come una sorta di score di partita: se gli Stati Uniti importano più di quanto esportano da un Paese, per lui significa che “stiamo perdendo” e che l’altro ci sta imbrogliando.

È noto, ad esempio, che gli USA hanno un deficit di circa 2,5 miliardi di dollari con la Russia (importano da Mosca più di quanto esportino), un dato che in passato Trump sottolineava spesso per giustificare misure punitive.

Tuttavia, durante la sua narrazione, il presidente ha fatalmente confuso questo deficit commerciale con i sussidi, integrandolo nella formula di cui abbiamo parlato sopra. Il risultato? Che i dazi pubblicati ieri dall’amministrazione Trump non sono altro che il risultato del deficit commerciale diviso per l’esportazione del Paese in questione verso gli States.

Ma facciamo un esempio pratico, calcolando al contrario il dazio applicato all’Indonesia. Gli americani hanno un deficit commerciale di 17 miliardi di dollari nei confronti di questo Paese, mentre le esportazioni indonesiane negli Stati Uniti ammontano a 28 miliardi di dollari.
17 / 28 = 0,64 → 64%, proprio il numero che appare sulla tabella di Donald Trump.

Questo è esattamente ciò che riassume la formula pubblicata sulla pagina “Reciprocal Tariff Calculations” del governo: si prende il deficit commerciale degli Stati Uniti in termini di beni con un determinato Paese, lo si divide per il totale delle importazioni di beni da quel Paese, e poi si divide il numero per due. Un deficit commerciale si verifica quando un Paese acquista (importa) più prodotti fisici da altri Paesi di quanti ne venda (esporti) a questi ultimi.

Il possibile impatto di queste decisioni

L’impatto dei dazi imposti da Donald Trump lo abbiamo già visto, almeno superficialmente: durante il primo giorno dalla decisione, il mercato azionario americano è crollato dell’8% circa rispetto a martedì (S&P 500), mentre il NASDAQ ha perso circa il 9% dall’inizio della settimana.

Bitcoin, invece, ha resistito un po’ di più e sta perdendo, per ora, il 7% circa, anche se è ancora in positivo rispetto alla scorsa settimana.

Dal punto di vista geopolitico, invece, la situazione appare ancora più critica. Nello specifico non si comprende il motivo che sta dietro alle decisioni prese dal presidente degli Stati Uniti. Trump sembra voler abolire la globalizzazione, cioè quel processo che ha progressivamente eliminato le barriere al libero commercio, facilitando l’integrazione economica tra Paesi. 

In questo senso possiamo citare un paradosso interessante: in realtà, vendere all’estero dove le merci valgono di più è stato, per molti Paesi, un modo per accelerare l’accumulazione di capitale e avvicinarsi economicamente alle nazioni più ricche. È così che la Cina è decollata. E anche l’Europa, in parte, ha beneficiato dello stesso meccanismo. Ma il vero vincitore della globalizzazione è stato… proprio l’America. Perché?

  • Perché ha conquistato la simpatia di mezzo mondo, sbaragliando il sistema sovietico, che non offriva né consumi né crescita.
  • Perché ha guidato il processo, abbandonando per prima i dazi e mostrando i muscoli dell’economia di mercato.

Il libero commercio ha permesso agli Stati Uniti di emergere come superpotenza culturale, tecnologica ed economica, contribuendo al tramonto dell’Unione Sovietica e della Cina maoista. Ha generato ricchezza.

E oggi? Il commercio globale non danneggia affatto gli USA, al contrario di quanto vuole far credere Trump. Gli Stati Uniti, forti del loro vantaggio tecnologico, si sono concentrati su settori ad alta produttività e valore aggiunto. Il risultato? Il Paese è più ricco, produce meno beni a basso costo (che importa), ma li compra a prezzi convenienti, mantenendo reddito pro capite molto elevato. Questo deriva principalmente dall’egemonia americana nei servizi. Basta pensare a quanti dei servizi digitali che usiamo ogni giorno – da social media a motori di ricerca, da piattaforme di streaming a software – sono progettati, gestiti e monetizzati negli Stati Uniti.

Bonus bollette 200 euro: da domani arriva il nuovo contributo

Bonus bollette 200 euro: come funziona e chi lo riceverà da aprile 2025

Dal 1° aprile 2025 parte il bonus bollette da 200 euro. Scopri chi può riceverlo, come funziona il nuovo contributo extra e in che modo si somma al bonus bolletta sociale

Il ‘bonus bollette’ è in arrivo. Il governo ha approvato un contributo da 200 euro per aiutare le famiglie in difficoltà a far fronte ai rincari dell’energia elettrica. Il nuovo contributo, previsto dal decreto Bollette 2025, verrà erogato a partire da domani (martedì 1° aprile 2025) e si aggiungerà al tradizionale bonus bolletta sociale.

La novità più importante? Il bonus extra sarà esteso anche a chi ha un ISEE fino a 25.000 euro, allargando così la platea dei beneficiari.

Bonus bollette: chi ha diritto al contributo straordinario

First things first: il nuovo bonus bolletta 200 euro sarà riconosciuto:

  • automaticamente a chi già riceve il bonus sociale elettrico (ISEE sotto i 9.530 euro);
  • su richiesta, per chi presenta un ISEE fino a 25.000 euro, con verifica dei requisiti da parte dell’INPS e degli enti competenti.

Ma andiamo con ordine cercando di capire prima che cos’è il bonus sociale elettrico, per poi approfondire i requisiti specifici necessari per rientrare in uno di questi due gruppi di beneficiari.

Bonus sociale elettrico: cos’è e come funziona?

Come anticipato il bonus bolletta verrà automaticamente erogato a chi riceve il bonus sociale elettrico. Si tratta di una misura, prevista dal Governo e resa operativa dall’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, che mira a ridurre la spesa sostenuta dalle famiglie in condizione di disagio economico e fisico per il consumo dell’energia elettrica. 

Questa si divide, a sua volta, in due tipologie di bonus sociale:

  • Bonus sociale per disagio economico: destinato ai nuclei familiari con un indicatore ISEE non superiore a 9.530€, oppure percettori di Reddito o Pensione di Cittadinanza o ai nuclei familiari con almeno quattro figli a carico. Il bonus viene riconosciuto in automatico in bolletta senza necessità di fare domanda, a condizione che l’ISEE sia aggiornato e corretto.
  • Bonus sociale per disagio fisico: riservato a chi si trova in gravi condizioni di salute e necessita di apparecchiature elettromedicali salvavita alimentate dall’energia elettrica. In questo caso è necessario presentare apposita domanda presso il Comune o un Centro di Assistenza Fiscale (CAF), allegando la certificazione sanitaria e la documentazione richiesta.

Come funziona il bonus bollette “extra” 200 euro

Dopo aver chiarito cos’è e come funziona il bonus bollette classico è il momento di approfondire quello extra. Si tratta di un contributo straordinario che scatterà da domani: martedì 1° aprile 2025, e sarà erogato a chi ha un ISEE al di sotto dei 25.000$. 

ARERA, l’Autorità per l’Energia, ha fatto sapere che il nuovo bonus bollette sarà distribuito in rate giornaliere da 1,64 euro, per un totale di circa 200 euro nel trimestre aprile–luglio 2025. Il contributo sarà sommato al bonus bolletta esistente, che varia in base alla composizione del nucleo familiare. Per chi lo ho già ricevuto in passato il processo di validazione sarà automatico, mentre gli altri dovranno presentare l’ISEE e attendere le verifiche.

Chi nel 2025 ha ancora in corso l’erogazione del bonus in base all’ISEE del 2023 (tra 9.530€ e 15.000€), riceverà l’80% dell’importo riconosciuto ai beneficiari “ordinari”. Con l’arrivo del bonus straordinario da 200 euro, questi utenti potranno cumulare i due contributi, ottenendo così un aiuto maggiore.


Criptovalute e politica: tra propaganda elettorale e strategie economiche globali

propaganda politica criptovalute

Tra promesse di innovazione e paura del caos finanziario: il ruolo delle criptovalute nelle campagne elettorali, nelle politiche economiche nazionali e nel dibattito tra destra e sinistra.

Negli ultimi dieci anni, le criptovalute sono passate dall’essere un fenomeno finanziario sperimentale a un tema centrale nel dibattito politico globale. Da simbolo di libertà economica a minaccia alla stabilità finanziaria, Bitcoin e le altre valute digitali sono diventate strumenti nelle mani di governi e candidati, con implicazioni che vanno ben oltre il settore tecnologico.

L’uso delle criptovalute nella politica non si limita più al loro ruolo come asset finanziario: sono diventate un’arma retorica nelle campagne elettorali, un mezzo per bypassare restrizioni economiche e una leva per la sovranità monetaria. Ma quali sono le reali implicazioni di questo fenomeno?

Criptovalute: un nuovo campo di battaglia politico ed economico

L’adozione e il contrasto delle criptovalute da parte dei governi non sono mai casuali, ma rispecchiano precise strategie economiche e visioni politiche.

A destra, le crypto vengono spesso presentate come un baluardo contro l’eccessiva regolamentazione statale, un simbolo della libertà economica e un antidoto contro l’inflazione generata dalle banche centrali. Non a caso, politici conservatori come Donald Trump e Javier Milei hanno assunto una posizione favorevole, vedendo in Bitcoin una forma di denaro al di fuori del controllo delle istituzioni finanziarie tradizionali.

A sinistra, prevale una maggiore diffidenza, con richieste di regolamentazione più stringenti per arginare i rischi di frodi, riciclaggio di denaro e speculazione selvaggia. Figure come Elizabeth Warren hanno dichiarato guerra aperta al settore crypto, sostenendo che la loro crescita senza regole minacci la stabilità del sistema finanziario e favorisca pratiche illecite.

Nel mezzo, troviamo governi che vedono le criptovalute come una possibilità di innovazione finanziaria, ma che al contempo ne temono gli effetti destabilizzanti. L’Unione Europea, ad esempio, ha introdotto il regolamento MiCA per dare un quadro normativo chiaro senza soffocare il settore, mentre paesi come El Salvador e l’Argentina cercano di sfruttare il fenomeno per attirare investimenti e diversificare l’economia.

Le crypto come strumento economico e politico

Le criptovalute non sono solo oggetto di dibattito politico, ma vengono attivamente utilizzate dai governi per scopi economici strategici.

El Salvador è stato il primo stato al mondo ad adottare Bitcoin come moneta legale, cercando di attrarre capitali esteri e ridurre la dipendenza dal dollaro USA. Nonostante l’entusiasmo iniziale, l’adozione tra i cittadini è stata bassa, e le riserve statali in Bitcoin hanno subito forti oscillazioni di valore.

L’Argentina, con l’elezione di Javier Milei, sta aprendo le porte a una politica più favorevole alle criptovalute, vedendole come un’alternativa al peso e alla Banca Centrale. Il nuovo governo ha già iniziato a smantellare le restrizioni sui cambi e potrebbe spingere per un’integrazione più ampia delle crypto nel sistema finanziario.

La Cina, al contrario, ha adottato una strategia opposta: ha vietato completamente le criptovalute nel 2021, sostenendo che rappresentino una minaccia alla stabilità finanziaria e al controllo statale sull’economia. Tuttavia, il ban non ha fermato il mercato nero delle crypto, e molti cittadini continuano a utilizzarle tramite strumenti alternativi come le stablecoin.

Negli Stati Uniti, le criptovalute sono diventate un tema centrale nelle elezioni. Sempre più candidati accettano donazioni in crypto, e mentre alcuni vedono Bitcoin come un’opportunità economica, altri lo considerano una minaccia che necessita di un maggiore controllo normativo.

regolamentazione delle criptovalute nel mondo

Crypto e lobbying: il potere dell’industria nel panorama politico

Con la crescente influenza del settore crypto, le grandi aziende del settore stanno investendo sempre più risorse per influenzare le decisioni politiche. Negli Stati Uniti, gruppi di pressione e lobby crypto hanno versato milioni di dollari nelle campagne elettorali, cercando di spingere regolamenti favorevoli e contrastare le misure restrittive.

Le criptovalute stanno anche diventando uno strumento di potere economico nelle mani di governi che vogliono ridurre la dipendenza dal sistema finanziario tradizionale. Paesi sotto sanzioni, come la Russia e l’Iran, stanno esplorando l’uso delle crypto per aggirare i blocchi finanziari internazionali, mentre alcuni stati emergenti le vedono come un’opportunità per attrarre investimenti e creare nuovi mercati.

Il futuro delle crypto tra regolamentazione e sovranità economica

Il dibattito sulle criptovalute è destinato a rimanere acceso nei prossimi anni. Mentre alcuni governi le abbracciano come opportunità di sviluppo, altri cercano di limitarne la diffusione per mantenere il controllo sull’economia. L’equilibrio tra regolamentazione e innovazione sarà determinante per capire se le criptovalute diventeranno parte integrante del sistema finanziario globale o se continueranno a essere viste come un elemento di disordine economico.

Vuoi approfondire come le criptovalute stanno influenzando la politica globale? 

Leggi la nostra ricerca per scoprire tutti i dettagli sulle strategie dei governi e sulle implicazioni economiche: Criptovalute e potere: il grande scontro tra governi, industria e ideologie politiche.

Stablecoin: la moneta del popolo. Il caso della Turchia.

stablecoin turchia

In Turchia le stablecoin stanno diventando l’alternativa alla lira. Ecco come l’economia reale sta cambiando nelle strade del Gran Bazar di Istanbul.

Se ci si addentra nei vicoli di Istanbul, nel Gran Bazar, in mezzo alla folla, al vociare dei mercanti e alla gente che contratta il prezzo di spezie e oggetti di ogni tipo, si noterà un viavai di persone che entrano ed escono dai retrobottega. Seguendo i loro passi, si scopriranno stanze in cui uomini che si fanno chiamare trader scambiano contanti per stablecoin. Nelle retrovie del Gran Bazar, i negozianti pagano i fornitori in criptovalute, i migranti inviano rimesse bypassando i costi bancari, e chi ha bisogno di proteggere i propri risparmi dall’inflazione usa Tether (USDT) o USD Coin come cassaforte digitale.

Milioni di dollari vengono transati ogni giorno in quella che è l’economia reale della città. Nel 2024, le transazioni in stablecoin hanno raggiunto il 4,3% del PIL turco. In un paese con una valuta volatile e una forte dipendenza dal dollaro, la gente comune ha trovato la sua soluzione. 

Le criptovalute come soluzione tangibile

Il report della Banca Mondiale, Remittance Prices Worldwide, evidenzia che, in gran parte del mondo, l’invio di rimesse tramite transazioni internazionali può costare fino al 7% e richiedere diversi giorni, soprattutto quando coinvolge paesi emergenti. Ancora oggi, milioni di persone sono escluse dai servizi bancari, mentre molte valute nazionali subiscono gli effetti di un’inflazione incontrollabile. In questo scenario, le stablecoin stanno emergendo come una soluzione accessibile e affidabile per milioni di persone che lottano quotidianamente per far fronte alle spese essenziali.

Le criptovalute possono essere fino a 5.000 volte più economiche rispetto ai metodi di pagamento tradizionali e 432.000 volte più veloci, soprattutto per i trasferimenti internazionali, come riportato nella ricerca di The Block, The State of Crypto. Se per un bonifico bancario servono giorni, sulla rete blockchain bastano secondi. Se un trasferimento tradizionale può costare decine o centinaia di euro in commissioni, sulla blockchain bastano pochi centesimi.

Stablecoin: un’economia in crescita

A differenza di Bitcoin e altre criptovalute, le stablecoin – come suggerisce il nome – hanno un prezzo stabile. Questo è possibile perché il loro valore riflette quello di valute fiat (come il dollaro) o materie prime (come l’oro). Le stablecoin sono generalmente garantite da contanti o titoli di Stato e funzionano su blockchain pubbliche.

Il peso delle stablecoin nell’economia digitale è colossale: secondo i dati di Chainalysis, oggi il 40% di tutto il valore trasferito sulle blockchain pubbliche è in stablecoin, in crescita rispetto al 20% del 2020, per un totale di 27,6 trilioni di dollari nel 2023.

In parte, questa crescita riflette il crescente consolidamento del mercato delle criptovalute, ma le stablecoin stanno assumendo un ruolo sempre più rilevante come strumento per affrontare problemi concreti, e non solo come strategia di investimento. I migranti le usano per inviare rimesse, sostituendo i sistemi bancari tradizionali, costosi e lenti. Un sondaggio condotto da Castle Island Ventures e Visa in Turchia e in quattro altri mercati emergenti rivela che quasi la metà degli utenti di stablecoin le utilizza proprio per proteggere i propri risparmi dall’inflazione.

Gli Stati Uniti rimangono il mercato più grande, secondo Chainalysis, poiché le stablecoin sono centrali per il trading crypto. Tuttavia, in rapporto alla dimensione dell’economia, la Turchia è oggi il paese leader nelle transazioni con stablecoin. In Etiopia, invece, si è registrata la crescita più rapida: le transazioni sotto i 10.000 dollari si sono triplicate in un anno, principalmente per rimesse e pagamenti quotidiani.

Tether: il colosso delle stablecoin 

Nel regno delle stablecoin, Tether (USDT) è il sovrano assoluto. Domina il mercato con il 70% delle transazioni, rendendolo il punto di riferimento per trader, investitori e cittadini in cerca di una valuta digitale stabile.

Tether guadagna investendo le proprie riserve e afferma di possedere 113 miliardi di dollari di asset, di cui il 72% è in titoli del Tesoro statunitense. Con i rendimenti obbligazionari in crescita, questi investimenti sono diventati una miniera d’oro per l’azienda. Tuttavia, ad oggi Tether (USDT) non si è ancora adeguato alla normariva europea Market in Crypto Asset (MiCA).

Verso la regolamentazione delle piattaforme

Di fronte a questa nuova realtà, anche la Turchia sta prendendo provvedimenti per regolamentare il settore, sulla scia dell’Europa con la MiCAR. A partire dal 25 febbraio 2025, il paese imporrà norme più rigide: le piattaforme di scambio dovranno ottenere una licenza, adottare procedure di verifica KYC (Know Your Customer) e implementare misure più severe contro il riciclaggio di denaro.

Ma la Turchia non è l’unico paese a intervenire. In Nigeria, un giro di vite sulle piattaforme crypto ha portato alla revoca di oltre 4.000 licenze, con un conseguente calo del 38% nelle transazioni in stablecoin. Al contrario, in Etiopia l’uso di questi asset digitali sta esplodendo: nel corso dell’ultimo anno, le transazioni inferiori a 10.000 dollari sono triplicate, segnale che sempre più persone li utilizzano per pagamenti quotidiani e rimesse.

Negli Stati Uniti, invece, l’approccio sembra andare nella direzione opposta. A gennaio, Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per definire un quadro normativo sulle criptovalute entro sei mesi, sostenendo che gli USA dovrebbero diventare la “capitale mondiale delle crypto”. L’iniziativa punta a rafforzare il ruolo delle stablecoin ancorate al dollaro, viste come uno strumento strategico per consolidare la supremazia della valuta americana.

Anche le grandi aziende stanno investendo in questa trasformazione. Stripe, colosso dei pagamenti digitali, ha acquisito Bridge, una startup specializzata in infrastrutture per stablecoin. Visa ha lanciato una piattaforma per facilitare l’emissione di stablecoin da parte delle banche, e BBVA, il secondo istituto di credito più grande di Spagna, sarà tra i primi a sperimentarla, probabilmente per l’ottimizzazione dei trasferimenti di denaro.

Un equilibrio intelligente tra innovazione e regolamentazione

Le stablecoin hanno dimostrato di rispondere a esigenze reali: protezione dall’inflazione, accesso a un sistema finanziario senza barriere e trasferimenti di denaro più veloci ed economici. La regolamentazione è necessaria per garantire trasparenza e sicurezza, ma deve essere costruita tenendo conto della realtà sul campo. Limitare o soffocare questi strumenti con normative eccessivamente restrittive significherebbe penalizzare proprio quelle persone che, nei mercati emergenti, le usano per necessità e non per speculazione. Il futuro delle stablecoin non dipenderà solo dalla tecnologia o dai mercati, ma anche da un equilibrio intelligente tra innovazione e regolamentazione.

DeepSeek: l’AI cinese che ha fatto crollare il mercato

DeepSeek AI: crollo crypto e intelligenza artificiale

Il mercato crolla in seguito al lancio della versione R1 di DeepSeek, un’intelligenza artificiale sviluppata da un’azienda cinese. Cos’è successo?

Nelle ultime ore, i mercati – in particolare il NASDAQ (l’indice dei principali titoli tecnologici) e quello delle criptovalute – hanno subito un forte calo. Secondo molti analisti, parte di questa reazione è attribuibile al lancio della versione R1 di DeepSeek, un’intelligenza artificiale basata su modelli linguistici simili a Chat GPT.

In particolare, ha destato scalpore la rapidità con cui è stato sviluppato DeepSeek e i costi estremamente contenuti, soprattutto considerando che il modello è gratuito e open source. Stando alle dichiarazioni dei suoi sviluppatori, infatti, la realizzazione di DeepSeek R1 avrebbe richiesto soltanto 6 milioni di dollari e 2 mesi di lavoro.

DeepSeek: una minaccia per gli Stati Uniti?

Qual è il principale motivo di preoccupazione legato a questa novità nel campo dell’intelligenza artificiale, che ha contribuito al recente crollo dei titoli tecnologici? È presto detto: DeepSeek sembra funzionare egregiamente e i costi per svilupparlo sono irrisori se paragonati a quelli sostenuti, per esempio, da Google per “allenare” Gemini (191 milioni di dollari) o da OpenAI per il rilascio di Chat GPT 5 (tra 1,7 e 2,5 miliardi di dollari). Tale disparità pone dubbi sulla solidità dell’impressionante crescita delle azioni legate all’AI.

L’ipotesi più diffusa, che è comunque da prendere con cautela, è che DeepSeek possa rivoluzionare il mercato dell’intelligenza artificiale e diminuire drasticamente la domanda di componenti hardware specifici, innescando un’ondata di panic selling. D’altra parte, c’è chi sostiene che si tratti di una semplice narrazione, il classico “catalizzatore” utile a giustificare movimenti che, in realtà, rientrano nelle normali oscillazioni di mercato.

E il mercato crypto?

Come mai anche le criptovalute hanno subito una flessione? Le motivazioni principali sono due. La prima riguarda la correlazione tra mercato azionario e mercato crypto: quando uno scende, spesso trascina con sé anche l’altro. Tuttavia, c’è chi ritiene che ci siano altre ragioni, in particolare di natura macroeconomica: il Federal Open Market Committee (FOMC), nella riunione del 29 gennaio, potrebbe lasciare invariati o persino aumentare i tassi di interesse, nonostante il neo-presidente Donald Trump spinga per una riduzione.

Il mercato e i movimenti di prezzo

Passando ai numeri, l’indice Nasdaq ha registrato una correzione di quasi il 4% prima dell’apertura, mentre il titolo NVIDIA è sceso di oltre il 14% nel pre-market, per poi recuperare leggermente all’avvio degli scambi.

Per quanto riguarda le criptovalute, Bitcoin è scivolato sotto la soglia psicologica dei 100.000 dollari – che alcuni analisti consideravano un supporto cruciale – per poi recuperare. Tuttavia il sentiment per quanto riguarda la crypto più importante del mercato sembra sotto controllo. Analisti di rilievo, come Arthur Hayes, continuano a prospettare un target, per questo bull market, tra i 180.000$ e i 250.000$ per BTC. Inoltre, è necessario aggiungere che febbraio è un mese storicamente rialzista per le criptovalute, con una performance media del +15% circa per quanto riguarda Bitcoin.

Compra Bitcoin!

DeepSeek non è un “cigno nero”

Nonostante l’allarmismo e la ricerca di un capro espiatorio per il calo dei prezzi delle ultime ore, molti esperti ritengono che DeepSeek non sia assolutamente un “cigno nero”. Per definizione, infatti, questa locuzione indica eventi imprevedibili e dirompenti (come guerre, pandemie o il collasso inaspettato di settori o attori chiave) capaci di alterare radicalmente i mercati per lungo tempo. Per esempio i cigni neri dello scorso ciclo sono stati due: il crollo dell’ecosistema Terra-Luna e il fallimento dell’exchange centralizzato FTX.

Nel caso di DeepSeek, invece, ci troviamo di fronte a un’innovazione certamente interessante ma, con ogni probabilità, già ampiamente “prezzata” dai mercati, soprattutto in un periodo in cui l’intelligenza artificiale è al centro dell’interesse mediatico e finanziario. Se tutti parlano di una potenziale bolla, significa che l’informazione è già nota e dunque in buona parte scontata.

Come sottolineano diversi analisti sui social, spesso si costruisce una narrativa ad hoc per giustificare fasi di panico o vendite improvvise. Senza prove concrete di un collasso generalizzato, l’attuale correzione potrebbe essere solo un aggiustamento tecnico all’interno di un trend che rimane ancora rialzista. In un mercato famoso per le sue ampie oscillazioni, concentrarsi sui dati fondamentali e sulle prospettive di lungo termine è la strategia più prudente, evitando di farsi condizionare da ipotesi estreme o “rumori” momentanei.