L’oro crolla: è il peggior crash dal 2013

L'oro crolla: è il peggior crash dal 2013

L’oro inverte la rotta? Il 21 ottobre segna il calo peggiore degli ultimi anni e sorprende gli investitori. Cos’è successo e perché?

Il prezzo dell’oro, nella giornata di martedì 21 ottobre, è sceso in un modo che non si vedeva da circa 12 anni. L’evento ha lasciato gli investitori di tutto il mondo a bocca aperta: all’entità della perdita si è aggiunta quella sensazione di shock data dal fatto che il valore del nobile metallo cresceva imperterrito da mesi. Quindi? È tempo di analizzare i fatti. 

La quotazione dell’oro precipita: cos’è successo?

L’oro, in poco più di 24 ore, ha messo a segno la peggiore performance dal 2013, arrivando a perdere quasi l’8,3%, toccando i 4.000$, per poi recuperare leggermente e assestarsi – almeno fino al momento della scrittura – nel range fra i 4.050$ e i 4.150$. 

Un dato incredibile che testimonia la portata dell’evento, è connesso alla perdita, in termini di market cap, del più nobile fra i metalli: questo -8,3% corrisponde, milione più milione meno, a circa 2,2 bilioni (trillion) di dollari o, per dirla in un altro modo, all’intera capitalizzazione di mercato di Bitcoin

Il crollo dell’oro, inoltre, ha colpito anche le aziende connesse al settore del mining – qualcuno potrebbe notare delle interessanti analogie. Le due compagnie di estrazione più grandi al mondo, Newmont Corporation e Agnico Eagle Mines Limited, infatti, hanno registrato dei forti cali: dall’apertura delle borse di martedì 21 al momento in cui scriviamo, le due società stanno perdendo più del 10%.

L’oro, in tutto ciò, non è l’unico metallo prezioso in difficoltà: l’argento, attualmente, sta cedendo l’8,6% mentre il platino, che in realtà se la passa un po’ meglio, è giù del 7,2%.

Le cause

Se la quotazione dell’oro è in picchiata, come affermano molti analisti, le cause sarebbero prevalentemente tecniche. In due parole, il sell-off potrebbe essere una conseguenza necessaria del rally che, da gennaio 2025, ha portato il metallo giallo a guadagnare più del 50%: molto semplicemente, se un asset cresce per tanto tempo è probabile che, prima, o poi qualcuno deciderà di prendere profitto

A questo discorso, che sicuramente ha un peso, data la scalata di cui l’oro si è reso protagonista, si potrebbero aggiungere due variabili di natura più politico-economica

La prima è connessa al rapporto fra Stati Uniti e Cina, in apparente distensione: dopo gli scontri a distanza del weekend 11 e 12 ottobre, che hanno innescato la peggiore liquidazione nella storia delle crypto, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e quello cinese Xi Jinping dovrebbero incontrarsi a Seoul il prossimo 31 ottobre. Il condizionale è d’obbligo, perché The Donald ha dimostrato più volte di cambiare idea all’ultimo. 

Ecco un esempio. Il POTUS, proprio martedì 21, ha confermato l’intenzione di trovare un accordo col supremo Leader: “Ho un ottimo rapporto col Presidente Xi. Mi aspetto di riuscire a concludere un buon accordo con lui”, salvo poi aggiungere che l’incontro “Forse non avverrà, possono succedere cose, per esempio qualcuno potrebbe dire “Non voglio incontrarmi, è troppo spiacevole.” Ma in realtà non è spiacevole. È solo business”. Imprevedibilità pura. 

La seconda, invece, potrebbe essere intesa in parte come una conseguenza della prima: il rafforzamento del dollaro USA. Il DXY, che misura il valore del dollaro rispetto a un paniere formato dalle sei più importanti valute estere, dalla metà di settembre ha guadagnato l’1,3%

Inversione di tendenza o un ritracciamento temporaneo?

Il trend rialzista dell’oro è arrivato al termine oppure stiamo assistendo a un semplice stop temporaneo? È la domanda delle domande a cui, ovviamente, nessuno può rispondere.

Ciò che potremmo dire, però, è che un cambio di rotta potrebbe essere un’ottima notizia per Bitcoin. Un precedente interessante lo possiamo ritrovare nel 2020: quando l’oro ha raggiunto il top di mercato ad agosto a quota 2.080$, Bitcoin toccava il bottom a 12.250$ – che tempi. 

Da quel momento, l’oro ha lateralizzato per circa tre anni, prima di cominciare il movimento al rialzo che l’ha portato a raddoppiare il suo valore, mentre per Bitcoin è partita l’epica bull run del 2020-2021: dai 10.000$ di settembre 2020 ai 65.000$ di aprile 2021. Una vera e propria rotazione di capitali a favore del Re delle Crypto. 

Citigroup assegna un forte rating “Buy” a Strategy

Nel caso di un’inversione di tendenza, il pattern oro-BTC si ripeterà anche nel 2025? Anche qui, non è dato saperlo. Tuttavia, il colosso di investimenti bancari Citigroup ha iniziato a seguire ufficialmente il titolo Strategy (MSTR), cioè l’azienda di Michael Saylor che detiene 640.418 BTC: la sua prima raccomandazione per gli investitori è stata “Buy”, pronosticando un prezzo target per l’azione a 485$

La cosa interessante è che la quotazione di Strategy – mentre scriviamo – si aggira sui 280$: se Citi pone un target price a 485$, significa che prevede una crescita del titolo pari al 70% circa. L’analista di Citi che sta monitorando MSTR, Peter Christiansen, ha affermato che un simile rialzo del prezzo “si basa sulla previsione di base di Citi per Bitcoin nei prossimi 12 mesi, fissata a 181.000 dollari, un potenziale rialzo del 65% rispetto ai livelli attuali”.

Oro e Bitcoin, testa a testa? Restiamo in attesa

Sarà molto interessante scoprire cosa ci accadrà nele prossime settimane. I dati ci dicono che, negli ultimi tre anni, sempre più istituzioni finanziarie – banche centrali in primis – hanno iniziato a fare scorta di oro fisico, anche al fine di proteggersi dalla svalutazione del dollaro, accentuata dalla gestione dell’amministrazione Trump. 

Dall’altro lato, stiamo assistendo a una crescita pressoché quotidiana delle entità, sia pubbliche sia private, che decidono di inserire Bitcoin nella propria tesoreria e che, in generale, vedono l’asset non più come un’alternativa – un piano B – ma come una scelta.  

Chi vincerà il testa a testa? Lo scopriremo solo vivendo. Nel mentre, continueremo ad osservare e a raccontare gli eventi più rilevanti: per non perderti nulla, iscriviti al nostro canale Telegram e a Young Platform.

Infine, come sempre, ricordiamo che le informative contenute in questo articolo hanno finalità esclusivamente divulgative. Non costituiscono in alcun modo una consulenza finanziaria, legale o fiscale, né una sollecitazione o offerta al pubblico di strumenti o servizi di investimento, ai sensi del D. Lgs. 58/1998 (TUF). L’investimento in cripto-attività comporta un rischio elevato di perdita – anche totale – del capitale investito. Le performance passate non garantiscono risultati futuri. L’utente è invitato a compiere valutazioni autonome e consapevoli prima di assumere decisioni economiche e/o di investimento.

Giappone: perché dovrebbe interessarci

Giappone: perché dovrebbe interessarci

Giappone, si è dimesso il primo ministro Shigeru Ishiba. Al suo posto è stata nominata Sanae Takaichi. La questione merita un focus. Perchè?

Il Giappone, in questo momento, merita un approfondimento. Qui ci occuperemo di una figura nuova della politica giapponese, Sanae Takaichi, possibile futura prima ministra, soprattutto a causa delle sue idee in materia di politica economica. Non dimentichiamoci, infatti, che il Giappone è la quarta economia del mondo, con un peso importante a livello globale. 

Giappone: diamo rapidamente un po’ di contesto

Agli inizi di settembre, il Giappone ha vissuto un momento delicato per quanto riguarda la politica nazionale: il primo ministro Shigeru Ishiba, leader del Partito Liberal Democratico (PLD), ha rassegnato le dimissioni

I membri del PLD hanno scelto al suo posto Sanae Takaichi, la quale potrebbe essere la prima donna in Giappone a ricoprire il ruolo di primo ministro. Prima, però, il PLD deve trovare uno o più partner con cui formare la coalizione che governerà il paese. Questo perché il Komeito, letteralmente il “partito del governo pulito”, che da più di vent’anni era alleato di governo col PLD, ha dichiarato di voler rompere l’intesa. Tutto ciò renderà leggermente più complessa la nomina di Takaichi a primo ministro. 

Vediamo ora, più nel dettaglio, chi è Sanae Takaichi e perché queste dinamiche politiche dovrebbero interessarci. 

Chi è Sanae Takaichi? 

Figlia di un impiegato e una poliziotta, Sanae Takaichi nasce nella prefettura di Nara nel 1961. Prima di entrare in politica, Takaichi è stata batterista heavy metal, esperta subacquea e conduttrice televisiva. 

Matura l’interesse per la politica intorno agli anni ‘80 e entra nel gioco politico nel 1992, quando prova a candidarsi in parlamento come indipendente. L’impresa fallisce, ma lei non demorde: quattro anni dopo si ricandida col PLD e viene eletta. Da quel momento è considerata una delle figure più conservatrici del partito liberal democratico

Passando alle sue posizioni in materia di politica economica, Takaichi è una fan assoluta di Margaret Thatcher. Il suo obiettivo, come lei stessa ha dichiarato, è diventare l’Iron Lady – soprannome dato alla Thatcher ai tempi in cui governava – del Giappone. Inoltre, è stata una pupilla dell’ex premier giapponese Shinzo Abe, una figura molto influente nella sua formazione. 

Quest’ultimo punto è molto importante: Shinzo Abe, infatti, è stato autore e forte sostenitore di una politica economica basata su una forte iniezione di denaro attraverso stimoli fiscali e aumento della spesa pubblica. Lo scopo era rivitalizzare l’economia giapponese, in quel momento in una crisi profonda causata anche dallo shock della crisi finanziaria del 2008.

Nello specifico, l’Abenomics – crasi tra Abe e Economics – si fondava su tre direttrici: politica monetaria espansiva per aumentare l’inflazione (il giappone era in uno stato deflattivo cronico) e deprezzare lo yen giapponese, favorendo l’export nazionale; tassi di interesse negativi per incentivare la circolazione del denaro nell’economia e riforme strutturali per accrescere la competitività del Giappone. Sanae Takaichi ha promesso di rilanciare la sua visione dell’Abenomics

Veniamo dunque al nucleo centrale dell’articolo. 

Con Sanae Takaichi il Giappone potrebbe entrare nel club degli stimoli fiscali

L’Iron Lady giapponese sembra avere le idee chiare: “Non ho mai negato la necessità di un risanamento fiscale, che naturalmente è importante. Ma la cosa più importante è la crescita. Renderò il Giappone di nuovo una terra vigorosa del Sol Levante”. In altre parole, la crescita economica viene prima dell’equilibrio dei conti pubblici.  

Sanae Takaichi, infatti, ha promesso ingenti finanziamenti pubblici per iniziative guidate dal governo in settori come intelligenza artificiale, semiconduttori e batterie. Ha poi dichiarato di voler aumentare la spesa per la difesa e ha annunciato nuovi crediti d’imposta – cioè bonus fiscali – per incrementare il reddito netto dei lavoratori, detrazioni per i servizi domestici e altre agevolazioni fiscali per le aziende che offrono servizi di assistenza all’infanzia interni. Infine, il suo programma prevede forti investimenti pubblici nelle infrastrutture. 

Ai mercati finanziari, naturalmente, tutto questo piace moltissimo: stimoli fiscali e politica espansiva sono una manna dal cielo per le imprese, le quali possono accedere più facilmente al credito, investire, innovare e, in ultima istanza, accrescere gli utili, con conseguenze più che positive per il valore delle azioni. E gli effetti si sono già fatti sentire.

Le reazioni dei mercati: il “Takaichi trade”

Il Nikkei, il principale indice azionario giapponese, si è dimostrato particolarmente sensibile agli sviluppi relativi alla nomina di Takaichi a primo ministro. Ripercorrendo la sequenza di eventi, si nota palesemente come il Japan 225 – altro nome per il Nikkei – desideri fortemente l’Iron Lady al governo del Paese del Sol Levante. 

Per esempio, Sanae Takaichi è stata scelta dal PLD come erede del primo ministro dimissionario Ishiba nel weekend del 4 e 5 ottobre, a borse chiuse. Lunedì 6, il Nikkei ha guadagnato più del 5,5% in una sola seduta – arrivando fino all’8% se contiamo anche venerdì 3, quando i rumors iniziavano già a circolare. Il “Takaichi trade”, in questo senso, ha portato il principale indice giapponese a toccare nuovi massimi.  

In modo uguale ma contrario, quando il Komeito si è staccato dalla coalizione, minando la nomina di Takaichi, il mercato ha reagito in modo molto negativo: il 10 ottobre, il Nikkei ha perso più del 5,6% in borsa. 

Dalla rinuncia del Komeito, Sanae Takaichi si è mossa per cercare altri partiti che potessero sostenere l’alleanza di governo, ottenendo buoni risultati. Man mano che uscivano notizie favorevoli, il Nikkei reagiva coerentemente: +5,4% nella settimana compresa fra lunedì 13 e venerdì 17 ottobre. 

Infine, nella giornata di lunedì 20 ottobre, il leader del partito di destra Nippon Ishin – il Partito dell’Innovazione –  ha annunciato che ufficializzerà l’accordo per supportare la scelta di Takaichi a primo ministro. Ancora una volta, l’indice giapponese dimostra di gradire: +2% in una seduta e All Time High aggiornato

Qual è la morale della storia?

Dunque, anche la quarta economia del mondo potrebbe cominciare a spendere, e tanto. Con la nuova leader, il Giappone potrebbe passare a un regime di grande spesa pubblica, grandi deficit e politica monetaria espansiva, aumentando enormemente il debito pubblico. L’obiettivo: fare in modo che la crescita economica superi la crescita del debito. 

Siamo in un momento storico in cui le prime tre economie mondiali, con la quarta in coda, hanno avviato delle politiche di stimoli fiscali fondate su un massiccio aumento del debito pubblico. 

La morale, pertanto, è una sola e molto semplice: se il pensiero principale è “spendere”, il metodo per realizzarlo è stampare moneta. La conseguenza necessaria è la svalutazione del denaro – o, in altre parole, l’inflazione. In scenari simili, gli strumenti di protezione principali, i cosiddetti debasement hedge, storicamente hanno rappresentato una via di uscita valida per la salvaguardia del capitale

E quando si parla di debasement hedge, la mente corre immediatamente verso due asset: oro e Bitcoin. Tutto ciò vale ancora di più se ripensiamo alle recentissime dichiarazioni di Larry Fink, CEO di BlackRock, rilasciate durante un’intervista all’emittente CBS: “i mercati ti insegnano che devi sempre rimettere in discussione le tue convinzioni. Bitcoin e le criptovalute hanno un ruolo, proprio come l’oro: rappresentano un’alternativa”. 

Cosa ci attenderà nel futuro prossimo? Se non sai come rispondere, non ti preoccupare, non lo sa nessuno. Però, per non perderti gli aggiornamenti, potresti iscriverti al nostro canale Telegram e a Young Platform, dato che ci occupiamo spesso e molto volentieri di queste tematiche. 

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Vitalik Buterin: il manifesto della società futura

Vitalik Buterin: il manifesto della società futura

Vitalik Buterin ha pubblicato un articolo in cui spiega l’importanza di un futuro fondato su una tecnologia aperta e verificabile. Vediamo i dettagli

Vitalik Buterin, il fondatore di Ethereum, ha pubblicato un articolo molto interessante in cui argomenta la seguente tesi: la società del futuro, affinchè sia utopica e non distopica, dovrà fondarsi su una tecnologia aperta e verificabile. Nel testo, con fonti a supporto, l’autore dimostra l’importanza di questi valori nei principali ambiti della vita quotidiana e conclude con una risposta pragmatica. Vediamo insieme di che si tratta.  

Vitalik Buterin: “L’importanza dell’apertura e della verificabilità a ogni livello della tecnologia”

È il titolo dell’articolo e, allo stesso tempo, la sua tesi – originale: “The importance of full-stack openness and verifiability”. Il testo comincia con una frase ad effetto che rappresenta anche il punto di partenza del discorso: “the internet has become real life”. 

Sostanzialmente, con questa affermazione, Vitalik riassume tutto il processo di digitalizzazione che sta rivoluzionando le nostre vite: conversazioni private, finanza e sanità, una volta dipendenti da carta, penna e calcolatrici, adesso sono totalmente digitalizzate. Per estensione, continua Vitalik, è ragionevole pensare che un’evoluzione simile colpirà tutti gli ambiti della nostra esistenza

È un trend che non può essere bloccato perché i benefici sono troppo grandi

Questo è il secondo punto: la rivoluzione sta avvenendo ed è impossibile fermarla e, in un mondo così competitivo, le “civiltà” che restano indietro rischiano di essere dominate da quelle che, al contrario, si adattano e governano il cambiamento. Infatti, chi ha tratto i maggiori benefici da questi trent’anni di rivoluzione tecnologica è chi produce le tecnologie, non chi le utilizza”.   

Il tema, qui, è relativo anche alla proprietà della tecnologia, nel senso che il dominio esclusivo su un software consente al proprietario di fare il bello e il cattivo tempo. Un esempio calzante e attuale possiamo identificarlo in Starlink, la società di Elon Musk che fornisce la copertura internet su scala globale tramite i satelliti.

In particolare, nella guerra tra Russia e Ucraina, Musk ha messo a disposizione la sua flotta di satelliti all’esercito di Kyiv per potersi difendere dagli attacchi russi che, in precedenza, avevano messo KO le infrastrutture ucraine. Allo stesso tempo, però, ha rifiutato di estendere la disponibilità di Starlink ai territori dell’Ucraina occupati dalla Russia, come la Crimea, annullando la possibilità di contrattacchi in quelle aree e influenzando le sorti del conflitto.  

Questa società del futuro dovrebbe basarsi sulla trustlessness

È il terzo punto. Vitalik, in questo modo, intende porre l’attenzione su un argomento spinoso. Infatti, le soluzioni per i problemi che abbiamo appena esposto – e qui torniamo alla tesi dell’autore – le fornirebbe una tecnologia fondata su due caratteristiche interconnesse: l’apertura “sincera, cioè priva di tornaconti personali, e la verificabilità. Ciò dovrebbe riguardare tutti i livelli: hardware, software e bio (nel caso di interfacce cervello-macchina come Neuralink).

Con questa dichiarazione, Vitalik fa riferimento al fatto che la tecnologia debba essere controllabileverifiable – da parte di ogni singola entità, dagli user singoli alle istituzioni, in quanto trasparente e open source al 100% openness. Solo in questo modo è possibile creare una società veramente democratica, spinta verso il benessere dall’interesse collettivo.

Senza le pressioni dei proprietari che, legittimamente, ricercano il profitto e proteggono i loro interessi col segreto industriale, l’openness può essere un driver di innovazione: un codice totalmente pubblico e replicabilelicense free – stimola la partecipazione e la collaborazione, favorendo il raggiungimento del bene comune, cioè il perfezionamento del prodotto o la creazione di qualcosa di nuovo, partendo da ciò che già esiste. La storia è piena di esempi a conferma: dal sistema operativo Linux alla finanza decentralizzata.  

Inoltre, continua Vitalik, la tecnologia dovrebbe essere così aperta e verificabile da non richiedere la supervisione di entità terze: il valore risiede nella trustlessness, cioè nell’assenza del bisogno di fiducia. Qui arriva la parte “spinosa”: nel momento in cui si verificasse un problema, come un bug, la trustlessness verrebbe minata per sempre e si tornerebbe al vecchio “questo l’ha creato lui, quindi mi fido”. Per quale motivo?

Facciamo un esempio: Bitcoin possiede un capitale di fiducia altissimo perché, riassumendo, il meccanismo di consenso Proof-of-Work e la sua infrastruttura, aperta e verificabile, lo rendono immutabile e trustless: gli user non hanno bisogno di terze parti che vigilino perché conoscono il funzionamento del protocollo. Il valore, dunque, è giustificato da questi sottostanti, oltre che dalla legge della domanda e dell’offerta

Però, se si scoprisse un bug critico nel codice o un attacco di alto livello (come il 51%), crollerebbe tutto: verrebbe meno la fiducia di cui parlavamo prima e, molto probabilmente, il suo valore scenderebbe a zero. Certo, orde di programmatori potrebbero mettersi all’opera per risolvere e anche rinforzare il protocollo, ma la sua reputazione verrebbe compromessa per sempre. 

Come si applica questo paradigma nella vita quotidiana?

L’importanza dell’apertura e della verificabilità nella sanità

Vitalik comincia la sua analisi utilizzando come esempio la recente pandemia da Covid-19. Sostanzialmente, riprende il punto precedente relativo alla differenza di posizione tra chi produce le tecnologie e chi invece le utilizza. Tale disparità si è manifestata appieno nel caso dei vaccini: le nazioni più ricche, con più strumenti a disposizione per produrre il farmaco, hanno dato avvio alle campagne di vaccinazione con due anni di anticipo rispetto alle nazioni più povere. 

Tocca anche la questione della fiducia, spiegando come la strategia comunicativa adottata dalle istituzioni, molto opaca e fondata sulla narrazione del “vaccino completamente sicuro”, abbia generato l’effetto opposto: gli effetti collaterali esistevano – come esistono per ogni farmaco – e la gente se n’è accorta. La fiducia è stata tradita e il tradimento ha dato avvio a una diffidenza diffusa che “si è trasformata in qualcosa che sembra un rifiuto di mezzo secolo di scienza”. 

Infine, approfondisce il discorso sulla medicina del futuro, che sarà sempre più personalizzata e basata sui dati: se le infrastrutture che raccolgono e processano i big data sono private, i proprietari hanno il dominio totale delle informazioni e, in sintesi, possono farci ciò che vogliono. Così il potere e il beneficio economico, spiega Vitalik, si concentrerebbero nelle mani di pochissimi soggetti. 

Le soluzioni

L’autore dell’articolo menziona PopVax, un’azienda che sviluppa vaccini e terapie finanziata dallo stesso Buterin tramite il fondo Balvi. Questi sieri sono prodotti con processi fondati, appunto, sull’openness: i costi si riducono e, con essi, la disuguaglianza di accesso tra le varie nazioni, mentre la trasparenza – senza brevetti – rende più semplice verificarne la sicurezza e l’efficacia.

Sul tema della raccolta dati, invece immagina un mondo in cui ognuno indossa un’attrezzatura per il monitoraggio della salute personale attiva 24 ore su 24, 7 giorni su 7, che sia ovviamente open-source e ispezionabile solo dal singolo individuo. 

L’importanza dell’apertura e della verificabilità nella tecnologia digitale personale e commerciale

In questa sezione, Vitalik elenca un paio di situazioni tipiche della vita quotidiana in cui ci troviamo a dover utilizzare la nostra identità per confermare operazioni di varia natura: firma di documenti e pagamenti. Affinchè queste operazioni possano essere eseguite, prosegue, c’è bisogno di software e hardware che conservino e possano processare i dati personali. E se venissero hackerati? 

Le soluzioni 

Anche qui, apertura e verificabilità avrebbero un ruolo importante nella riduzione dei rischi: un sistema totalmente aperto e verificabile consentirebbe un’ispezione completa volta a individuare e risolvere le vulnerabilità a monte: bug, backdoor ma anche firmware obsoleti e difetti nei componenti fisici. Naturalmente, non mancano i riferimenti a Ethereum e alla blockchain in generale. 

L’importanza dell’apertura e della verificabilità nella tecnologia civica digitale

Forse la parte più interessante dell’articolo. Qui, Vitalik parla della vita civica dei cittadini, dunque della loro appartenenza al sistema democratico, e delle alternative che alcuni intellettuali stanno studiando per migliorarla. Citando alcuni studi, tra cui quello di Audrey Tang sul potenziamento delle comunità open-source, Vitalik evidenzia un tratto comune: tutte le ipotesi proposte prevedono una forte partecipazione popolare. È quindi necessario implementare delle soluzioni digitali attraverso cui gestire una tale quantità di informazioni. 

Prima di tutto, però, è necessario risolvere dei problemi. Prendiamo ad esempio il voto elettronico: lo scetticismo, giustamente, è motivato dal fatto che il software deputato al conteggio dei voti è una “scatola nera”, nel senso che il pubblico non ha modo di esaminare la correttezza degli scrutini – come abbiamo ricordato sopra, le aziende hanno tutto l’interesse del mondo nel proteggere i propri prodotti col segreto industriale. Inoltre, chi garantisce che il risultato finale non venga manipolato? 

Le soluzioni  

L’apertura e la verificabilità, argomenta Vitalik, rendono i meccanismi di voto totalmente trasparenti e ispezionabili da parte dei cittadini e delle autorità: non c’è nessuna scatola nera perché non c’è nessun interesse commerciale in ballo. È la pura esecuzione delle funzioni democratiche, libera da scopi particolari finalizzati al profitto personale. Le DAO, ad esempio, ne hanno già dimostrato la fattibilità.  

Il fondatore di Ethereum, in questo caso, aggiunge un’altra variabile all’equazione: la conoscenza condivisa della sicurezza. In breve, questa caratteristica fa riferimento al fatto che tutti devono essere consapevoli dell’affidabilità di quel dato sistema. Per comprendere bene questo punto, immagina cosa potrebbe succedere se i cittadini di Roma, al termine del conteggio dei voti, non si fidassero del software utilizzato dai cittadini di Milano.

Il risultato: una società retro-futuristica 

Non poteva mancare lo spunto sognatore e sci-fi tipico di Vitalik Buterin. L’articolo, appunto, si conclude con un “what if”, cioè con l’immaginazione di uno scenario in cui la tesi dell’autore si realizza: “Se riuscissimo a raggiungere questa visione”, scrive Vitalik, “un modo per capire il mondo che otterremmo è che si tratterebbe di una sorta di retro-futurismo: da un lato, godremmo dei benefici di tecnologie molto più potenti che ci permetterebbero di migliorare la nostra salute, organizzarci in modi molto più efficienti e resilienti e proteggerci dalle minacce. Dall’altro lato, avremmo un mondo che riporterebbe in vita proprietà che erano una seconda natura per tutti nel 1900”. Cosa intende con quest’ultima frase?

Vitalik si sta riferendo al concetto filosofico di Seconda Natura, che rappresenta l’insieme di abitudini, pratiche, costumi e oggetti artificiali – cioè gli elementi culturali – che si acquisiscono attraverso l’esperienza o l’educazione e di cui si ha padronanza assoluta. In parole semplici, è un modo complesso per riassumere tutte quelle attività che impariamo vivendo e che diventano parte integrante di noi stessi
Respirare, mangiare, bere e dormire sono attività innate, quindi della Prima Natura, che sapremmo eseguire anche se nessuno ce lo insegnasse; parlare in italiano, scrivere e andare in bicicletta, dall’altro lato, sono pratiche che rientrano nel concetto di Seconda Natura perché le apprendiamo, con l’educazione o con l’esperienza, e le facciamo completamente nostre. 

E cosa c’entra col discorso? È presto detto: nel 1900 la tecnologia – motori, macchine da scrivere e via dicendo – era quasi interamente meccanica e non era previsto alcun software o “componente invisibile” all’occhio nudo. Quindi, nel caso di difetti o malfunzionamenti, era possibile aprire e ispezionare – suona familiare? – i meccanismi per individuare i problemi. 

Le conseguenze? In primo luogo, la comunità era molto più coinvolta nei processi di sviluppo dal momento che chiunque, con un minimo di competenza, poteva smontare, modificare e migliorare. In secondo luogo, la fiducia in un oggetto derivava dalla possibilità di verificare direttamente la sua funzione – nessun codice segreto. 

Per concludere, è questo quello a cui Vitalik Buterin, nel suo articolo (e con la creazione dell’ecosistema di Ethereum), aspira: un mondo in cui si recupera questo senso di piena comprensione e controllo della tecnologia, che è alleata dell’umanità, verificabile da tutti e proprietà di nessuno. È un futuro plausibile? O è solo tanta fantascienza? 

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Oracle, azioni su del 43%: cos’è successo?

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Oracle, azioni impazzite: salgono del 43% arrivando a toccare i 346$, il prezzo più alto di sempre. Cosa ha innescato il rialzo?

Le azioni Oracle, nella seduta di mercoledì 10 settembre, hanno lasciato tutto il mondo a bocca aperta a causa di un rialzo definito “storico”: in poche ore, il prezzo per azione è passato da 241$ a quasi 346$, con un guadagno superiore al 40%. I motivi dietro questa impennata sono da ricercare soprattutto nel nuovo contratto fra Oracle stessa e OpenAI, la nota azienda leader nell’intelligenza artificiale. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta. 

Oracle, azioni e il contratto da 300 miliardi di dollari con OpenAI (ma non solo)

Andiamo subito al punto: alla base della crescita improvvisa delle azioni Oracle c’è un contratto di dimensioni enormi stipulato con OpenAI, l’azienda proprietaria di ChatGPT  guidata da Sam Altman. Secondo il Wall Street Journal, testata autrice dello scoop, OpenAI avrebbe firmato un contratto con Oracle per l’acquisto di 300 miliardi di potenza di calcolo in cinque anni – la bellezza di 60 miliardi all’anno – a partire dal 2027.

In altre parole, questo significa che OpenAI e Oracle si sono messe d’accordo affinché la prima società possa avere accesso al computing power fornito dalla seconda: ciò equivale a circa 4,5 gigawatt di energia elettrica necessaria a far lavorare i data center per addestrare l’IA e per portare avanti il processo innovativo – cioè ricerca e sviluppo. Oracle, inoltre, avrebbe chiuso altri contratti multimiliardari con xAI, proprietaria di Grok, e Meta Platforms

In ogni caso, questa serie di notizie ha messo gli investitori in FOMO totale e le azioni di Oracle sono schizzate alle stelle: come abbiamo anticipato, in poco più di due ore l’azienda fondata da Larry Ellison ha guadagnato il 43%, la sua market cap è cresciuta di 270 miliardi raggiungendo i 943 miliardi, e il valore delle sue azioni è salito di più di 100$, passando da 241$ a 346$. In tutto questo caos, il patrimonio di Ellison, che detiene ancora più del 40% della società che ha fondato, è aumentato di oltre 100 miliardi: improvvisamente si gioca il primo posto nella classifica dell’uomo più ricco del mondo con Elon Musk.

Poco più tardi, come è naturale quando si verificano rialzi simili, c’è stato un ritracciamento che ha portato il valore delle azioni a quota 328$ – una crescita finale del 36%. Al momento in cui scriviamo, Oracle si aggira sui 319$.  

Concludiamo con qualche dubbio 

L’operazione tra Oracle e OpenAI, secondo il Wall Street Journal, è una scommessa rischiosa per almeno tre motivi. 

In primo luogo, viene da chiedersi come farà l’azienda madre di ChatGPT a pagare la mostruosa cifra di 60 miliardi di dollari all’anno, dal momento che a giugno ha dichiarato di aver guadagnato “solo” 10 miliardi nei precedenti dodici mesi – in gergo, l’annual recurring revenue (ARR). 

In secondo luogo, Oracle deve costruire il data center e, molto probabilmente, si indebiterà chiedendo prestiti per produrre i chip e l’infrastruttura necessari. Dunque Oracle sta legando una grandissima parte dei suoi guadagni futuri ad un solo cliente, ovvero OpenAI – tradendo una delle regole fondamentali degli investimenti, la diversificazione. Per comprendere il peso di questo fattore, tornare alla prima domanda. 

Infine, si parla spesso della AI Bubble. Ci sono pareri contrastanti in merito, tra chi pensa che il mercato collasserà, come nel caso della bolla delle DotCom, e chi invece dice che la bolla non esiste – questo contratto da 300 miliardi sembrerebbe dar ragione ai secondi. Ma se questa fantomatica bolla esistesse e, a un certo punto, esplodesse


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Mercosur: dall’UE via libera all’Accordo

Mercosur: dall'UE via libera all'Accordo

Mercosur e Unione Europea sono sempre più vicini a stipulare un partenariato strategico dopo 25 anni di trattative. Cosa significa tutto ciò?

Mercosur e Unione Europea potrebbero essere a un passo dal firmare un accordo commerciale definito dalla stessa Commissione europea come “la maggiore intesa di libero commercio mai siglata”. L’accordo UE-Mercosur, infatti, coinvolge paesi che rappresentano circa 20 trilioni di dollari di PIL e 700 milioni di consumatori. Di cosa si tratta? 

Mercosur: cos’é? 

Il MercosurMercado Común del Sur – è un’organizzazione istituita nel 1991 col Trattato di Asunciòn, che ha lo scopo di “promuovere uno spazio comune che generi opportunità di business e investimento attraverso l’integrazione competitiva delle economie nazionali nel mercato internazionale”. I membri a pieno titolo sono il Brasile, l’Argentina, il Paraguay, l’Uruguay e il Venezuela – quest’ultimo sospeso nel 2016 per pratiche antidemocratiche – mentre la Bolivia è in fase di adesione come quinto membro a pieno titolo. Ci sono poi i membri associati, privilegiati ma esterni al blocco, come il Cile, la Colombia, l’Ecuador e il Perù. 

Il Mercosur è quindi un mercato comune che ha l’obiettivo di aumentare gli scambi commerciali di beni e servizi e il libero movimento delle persone sia a livello regionale, cioè fra i vari paesi del Sud America, sia a livello internazionale, attraverso accordi con altri blocchi – come quello con l’Unione Europea. Affinché ciò si realizzi, col Mercosur i paesi membri lavorano per ridurre reciprocamente le barriere doganali favorendo, in questo modo, l’integrazione economica. 

Per dare un paio di dati al volo, il blocco del Mercosur, nel 2023, ha generato un volume di 447 miliardi di dollari per l’export e di 357 miliardi per l’import, equivalente al 10,9% del commercio internazionale – con questi numeri si fa riferimento sia agli scambi interni, quindi tra membri del blocco, sia esteri. 

Accordo UE-Mercosur: cosa prevede?

I negoziati tra UE e Mercosur vanno avanti da circa 25 anni, con un susseguirsi di momenti di tensione e distensione. Finalmente, il 6 dicembre 2024 a Montevideo, in Uruguay, i vertici dell’Unione Europea riescono a trovare un’intesa coi paesi del blocco sudamericano: questo mercoledì la Commissione europea ha presentato i trattati che definiranno l’accordo commerciale raggiunto, compiendo un ulteriore passo avanti verso l’ufficializzazione.

L’accordo è frutto della volontà di abbattere gli ostacoli commerciali, assicurare un accesso responsabile ed eco-compatibile a materie prime – con un occhio di riguardo alla deforestazione dell’Amazzonia – e lanciare un chiaro messaggio a favore del commercio internazionale regolamentato e contro ogni forma di protezionismo

Nello specifico, l’intesa si basa su un principio di reciprocità: l’industria europea con auto, macchinari, alcolici in primis, guadagnerà un maggiore accesso al mercato del Mercosur, che a sua volta potrà esportare più facilmente in Europa i suoi prodotti agroalimentari, tra cui carne, zucchero, caffè e soia. Quest’ultimo punto, in particolare, ha causato qualche malumore tra le imprese della filiera agroalimentare francesi, polacche e, in parte, anche italiane. 

Il timore principale, infatti, è relativo alla concorrenza sleale: i paesi sudamericani dispongono di normative ambientali e alimentari più permissive rispetto a quelle previste dall’UE, che permettono l’uso di antibiotici, pesticidi e ormoni vietati nel Vecchio Continente.  

In ogni caso, si parla di un graduale allentamento delle tariffe doganali sul 90% dei beni scambiati tra i due blocchi, di canali preferenziali per le imprese europee e sudamericane, le quali avrebbero un maggiore accesso agli appalti e alla possibilità di investire. Il risultato finale, in base a quanto dichiarato dalla Commissione Europea, determinerà un incremento dell’export dell’Unione Europea verso il Mercosur pari al 39% con un aumento occupazionale stimato di 440.000 posti di lavoro

Ma non c’è ancora nulla di ufficiale

L’accordo UE-Mercosur, come anticipato, non è ancora ufficiale ma rappresenta una fase fondamentale nel processo di avvicinamento tra i due blocchi commerciali, che devono tutelarsi dai costosi dazi trumpiani

Si tratta di un accordo commerciale ad interim, cioè provvisorio, che non necessita dell’approvazione dei 27 stati membri ma solamente della ratifica della maggioranza qualificata del Consiglio UE – quindi di almeno 15 paesi su 27 (il 55%) i quali devono rappresentare almeno il 65% della popolazione. 

È l’inizio di una fruttuosa collaborazione fra due continenti? Oppure questo accordo si tradurrà in un nulla di fatto? Noi, naturalmente, seguiremo l’evoluzione della situazione. Tu, nel mentre, iscriviti al nostro canale Telegram per non perdere gli aggiornamenti o a Young Platform cliccando qui sotto!

Cosa ha detto Jerome Powell a Jackson Hole?

Cosa ha detto Jerome Powell a Jackson Hole?

Questa settimana nel Wyoming, USA, avrà luogo una delle conferenze più Perché il discorso del Presidente della FED è stato interpretato positivamente dai mercati? Che significa che ha “aperto a un taglio dei tassi”?

Il discorso di venerdì 22 del Presidente della FED Jerome Powell ha riportato euforia tra gli investitori, generando forti rialzi un po’ ovunque. In questo articolo vedremo brevemente il perché di questo entusiasmo e daremo un’occhiata alle reazioni dei mercati.

Il discorso di Powell in breve

Al Jackson Hole Economic Symposium, tenutosi dal 21 al 23 agosto nello stato del Wyoming, USA, il Presidente della FED Jerome Powell, nel suo intervento di circa venti minuti, ha toccato tre temi principali.

In primo luogo, ha descritto lo stato attuale dell’economia americana, definendola resiliente nonostante il rallentamento di PIL e occupazione, con un’inflazione elevata ma in progressivo calo. Ha, inoltre, evidenziato una dinamica “curiosa che sta caratterizzando il mercato del lavoro: questo rimarrebbe stabile nonostante i recenti dati, con una disoccupazione al 4,2%, perché sarebbe in atto un rallentamento tanto dell’offerta quanto della domanda. In parole semplici, ci sarebbero meno assunzioni sia perché le imprese offrono meno posti, sia perché diminuisce il numero di persone in cerca di lavoro – a causa, soprattutto, di un brusco calo dell’immigrazione. 

In secondo luogo, ha illustrato le modifiche al quadro di politica monetaria della Fed, pensate per renderlo più flessibile e adatto a diversi scenari economici. Ciò ha segnato un distacco dall’impostazione precedente, centrata soprattutto sui rischi legati ai tassi prossimi allo zero. Questo significa che, secondo Powell, è necessario un cambio netto rispetto al paradigma vigente dal periodo successivo alla crisi del 2008: se prima la preoccupazione era relativa ai tassi di interesse troppo bassi – ai tempi della crisi, negli USA, l’inflazione era molto bassa e i tassi di interesse vicini allo zero – adesso il mondo è cambiato. È quindi fondamentale essere reattivi e adattarsi agli eventi che, come ha dimostrato la pandemia del 2020, possono causare cambiamenti repentini.

Terzo, ha ribadito che la banca centrale manterrà un approccio equilibrato nel perseguire il duplice obiettivo di piena occupazione e stabilità dei prezzi, in particolare quando questi due traguardi risultano in tensione. In chiusura, Powell ha sottolineato che la politica monetaria non seguirà un percorso prestabilito, ma sarà guidata dai dati e dalla valutazione complessiva dei rischi – il classico wait and see.

Il passaggio chiave

Un punto in particolare del discorso ha catturato l’attenzione degli analisti e degli investitori: “nel breve termine”, dice Powell, “i rischi per l’inflazione sono orientati al rialzo e i rischi per l’occupazione al ribasso: una situazione difficile. Quando i nostri obiettivi sono in tensione come in questo caso, il nostro quadro di riferimento ci chiede di bilanciare entrambi i lati del nostro doppio mandato”. 

Il numero uno della FED ha poi riferito che “il nostro tasso di riferimento è ora 100 punti base più vicino al livello neutro – il tasso d’interesse teorico che non stimola né rallenta l’economia – rispetto a un anno fa e la stabilità del tasso di disoccupazione e di altre misure del mercato del lavoro ci consente di procedere con cautela mentre consideriamo i cambiamenti alla nostra posizione di politica monetaria”. 

Poi la frase cruciale: “Ciononostante, con una politica in territorio restrittivo, le prospettive di base e il mutato equilibrio dei rischi potrebbero giustificare un aggiustamento della nostra posizione di politica”. 

Cosa vogliono dire, nel concreto, queste dichiarazioni? Molto semplicemente che, attualmente, l’inflazione potrebbe aumentare e, al contrario, l’occupazione diminuire. Il punto fondamentale, stando alle parole di Powell, risiede nell’espressione “mutato equilibrio dei rischi”: se, un anno fa, la preoccupazione principale era un’inflazione fuori controllo, oggi mantenere un tasso di disoccupazione a livelli bassi diventa la priorità.  

Dunque, potrebbe essere necessario concentrarsi sul mercato del lavoro piuttosto che sul rialzo dei prezzi: mantenere i tassi ai livelli odierni, infatti, potrebbe soffocare ancora di più un’economia già in forte rallentamento. È, perciò, di vitale importanza scongiurare i rischi di una recessione. Come? Abbassando i tassi di interesse. Boom, mercati in estasi. 

Le reazioni dei mercati

Come anticipato, i mercati hanno reagito in modo marcatamente positivo alle parole di Powell: per quanto già ci si aspettasse almeno un taglio nell’ultimo trimestre del 2025, le dichiarazioni al Jackson Hole Economic Symposium hanno dato qualche sicurezza in più.

Vediamo nel dettaglio come ha reagito la Borsa nella giornata di venerdì 22 agosto: il Dow Jones e il Nasdaq hanno guadagnato l’1,7%, mentre l’S&P500 è cresciuto dell’1,5%. Altra storia se parliamo del Russell 2000 – indice che raggruppa le 2.000 aziende statunitensi a minore capitalizzazione — che ha registrato un aumento di quasi il 3,5%. Se invece guardiamo le singole azioni, Tesla ha messo a segno un interessante +5,8%, Nvidia il 3% e Amazon il 2,7%

Per concludere, il dollaro USA: a causa delle future pressioni inflazionistiche, la valuta statunitense ha perso terreno contro le principali valute mondiali. Il DXY, che misura il valore del dollaro statunitense rispetto a un paniere di sei valute principali (euro, yen, sterlina, dollaro canadese, corona svedese e franco svizzero), ha perso lo 0,9% in una sola seduta. 

Mercato Crypto

Dopo le dichiarazioni di Jackson Hole, Bitcoin ha guadagnato il 4% arrivando a toccare i 117.000$– anche se ad oggi è tornato sui 111.000$. Ethereum, invece, continua a macinare record: dopo aver guadagnato più del 15% in un solo giorno, ETH ha sfruttato la spinta per attaccare la resistenza dei 5.000$ e mettere a segno l’All Time High a 4.950$ nella giornata di domenica, per poi ritracciare leggermente – al momento in cui scriviamo viaggia sui 4.620$. Grandi performance anche per Solana, che da venerdì a domenica passa dai 180$ ai 212$, registrando un +17,7%.

What’s next?

Moltissimi esperti ritengono iper probabile almeno un taglio dei tassi prima della fine del 2025, proprio perché l’interpretazione che abbiamo dato qui sopra è quella più accreditata. Anche gli utenti di Polymarket sembrano condividere: il 78% degli scommettitori ha puntato sul taglio di 25 punti base a settembre, contro il 17% che ha votato “no change”. Aspettiamo la prossima riunione prevista per il 16-17 settembre prossimi. 
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Perché il prezzo del pane aumenta?

Perché il prezzo del pane aumenta?

Il prezzo del pane è lievitato negli ultimi anni: un chilo, in Italia, costa mediamente il 33% in più rispetto al 2021. Per quale motivo?

Il pane comune, essendo un bene di prima necessità, in Italia è sottoposto a una tassazione super-ridotta, con l’IVA al 4%. Nonostante ciò, negli ultimi anni abbiamo assistito a un rialzo sul prezzo euro/chilo che ha avuto effetti netti sulla spesa media delle famiglie italiane. Quali sono le ragioni dietro questo aumento? 

Il prezzo del pane in Italia: la differenza fra Nord, Centro, Sud e Isole

Il prezzo del pane, come quello di molti beni di consumo, cambia di in base alla parte della Penisola in cui ci troviamo, a causa delle differenze relative al costo della vita: nel Nord Italia vivere costa mediamente di più rispetto al Sud, anche se poi esistono variazioni di carattere regionale e persino cittadino. 

Per capire quanto effettivamente sia cresciuto il prezzo di un chilo di pane, abbiamo analizzato i cambiamenti dal 2021 al 2025 – forniti dall’Osservatorio Prezzi del Ministero delle Imprese e del Made in Italy – prendendo in considerazione le due città più rilevanti dell’area geografica in questione: Milano e Torino per il Nord, Roma e Firenze per il Centro, Napoli e Bari per il Sud e Palermo e Cagliari per le Isole. 

Nord Italia

Nel giugno del 2021, a Torino e a Milano un chilo di pane costava rispettivamente 3,03€ e 4,20€, mentre nel giugno del 2025 erano necessari 3,98€ e 4,93€. Ciò equivale a un aumento del prezzo medio del 31,35% a Torino e del 17,38% a Milano. Nel complesso, se volessimo utilizzare queste due città per fotografare i cambiamenti nel Nord Italia, il prezzo del pane in questa area è salito del 23,24%

Centro Italia 

Per il Centro, come anticipato, abbiamo preso in considerazione le città di Firenze e Roma: nel giugno del 2021, un chilo di pane costava 2,22€ nel capoluogo toscano e 2,65€ nella Capitale. Cinque anni dopo, la stessa quantità viene esposta, nell’ordine, al prezzo di 3,33€ e 3,41€. La città di Dante ha visto un rialzo mostruoso, pari al 50%, mentre l’Urbe se l’è cavata un po’ meglio, con aumenti del 28,68%. Complessivamente, nel Centro Italia un chilo di pane costa il 38,40% in più rispetto al 2021. 

Sud Italia

Nel Sud il costo della vita è tendenzialmente più basso: un’indagine del 2024 del Codacons ha classificato Napoli come la città più economica d’Italia (e Bari la più costosa del Sud). In ogni caso, nel giugno del 2021 a Napoli il pane costava 1,88€/kg contro i 2,90€ di Bari. Nel 2025, invece, si parla di 2,42€ e 4€. Siamo dunque di fronte ad aumenti pari al 28,72% nel primo caso e 37,93% nel secondo, mentre a livello globale il rincaro ammonta al 34,31%

Isole

Nonostante finora abbiamo utilizzato le due città più popolose dell’area geografica in questione per descrivere i cambiamenti di prezzo, per le Isole abbiamo fatto un’eccezione: Cagliari infatti possiede meno abitanti di altre città siciliane, come Catania o Messina, ma era necessario rappresentare la Sardegna. Ma andiamo avanti.

A Palermo nel 2021 un chilo di pane veniva venduto a un prezzo medio di 2,96€, mentre a Cagliari la cifra si attestava sui 3,12€. Nel giugno del 2025, per la stessa quantità i siciliani dovevano spendere 4,4€ e i sardi 4,11€. Si tratta di rialzi del 48,65% e del 31,73%. In generale, nelle Isole si spende il 39,97% in più rispetto a quattro anni fa.  

Quali sono le cause?

Come è ovvio, non esiste un’unica causa dietro a un rincaro così importante. Si tratta di una serie di fattori interconnessi che vanno a impattare, in modo diretto e indiretto, la produzione del grano duro, fondamentale per la panificazione.

Cambiamento climatico tra siccità e alluvioni

Per esempio, il cambiamento climatico agisce direttamente sulla produzione del cereale, dal momento che i raccolti dipendono soprattutto dalla qualità del clima: siccità o, al contrario, alluvioni più frequenti e devastanti, hanno un impatto notevole sulla quantità di grano che la terra può produrre. Meno grano a disposizione si traduce in un rialzo dei prezzi, come vuole la legge della domanda e dell’offerta

Guerra in Ucraina: impatto diretto e indiretto

Anche la guerra in Ucraina, iniziata nel 2022 in seguito all’invasione russa, ha un ruolo di primo piano nell’aumento dei prezzi, per motivi diretti e indiretti.

L’Ucraina, infatti, è chiamata il “granaio d’Europa” proprio grazie al suo ruolo storico di esportatrice di prodotti agricoli, in particolare cereali. Allo stesso modo, la Russia produce grandissime quantità di cereali, che poi vende al resto del mondo. È chiaro, perciò, come un conflitto così totalizzante e prolungato nel tempo abbia una responsabilità diretta sulla riduzione delle tonnellate di grano raccolto. 

Questa guerra, però, ha influenzato il costo del grano anche in modo indiretto, colpendo il settore energetico, elemento chiave nella produzione agricola. Con l’inizio degli scontri e l’affrancamento dell’Unione Europea dal gas russo, il prezzo dell’energia è salito in modo quasi incontrollato. Quando l’energia costa di più, crescono di conseguenza i costi di trasporto, marittimo e su gomma, e di produzione, fra macchine agricole e forni. Chi paga questi incrementi di prezzo? Il consumatore finale.

Ma alla fine si parla sempre di inflazione 

Eh si, si torna sempre alla nemica numero uno dei nostri risparmi: se il consumatore spende di più per comprare la stessa quantità di un bene, significa che il denaro vale di meno rispetto al passato  – nel caso che abbiamo appena analizzato, il 33% in meno. 

Purtroppo non finisce qui, perché l’inflazione, oltre ad agire in modo diretto sui prezzi, presenta anche degli effetti collaterali. Cosa significa? Molto semplicemente potremmo parafrasare il famoso detto “vincere aiuta a vincere” con la nostra originale versione l’inflazione aiuta l’inflazione: se il costo di un bene aumenta a causa di fattori come quelli precedentemente descritti, è molto probabile che produca delle conseguenze anche su beni che, in realtà, non avrebbero ragione di crescere di prezzo.   

Banalmente, quanto detto vuol dire che, da una parte c’è un fornaio obbligato ad alzare il prezzo del pane, poiché a monte paga di più il grano stesso e l’energia per mandare avanti l’azienda. Ma dall’altra, potrebbe esserci un dentista – esempio casuale, amiamo i dentisti – che aumenta di un tot% la fattura perché ha bisogno di più soldi per vivere (tutto costa di più) o perché… tanto lo fanno tutti. Si instaura un circolo vizioso che, nel tempo, è destinato a diventare la normalità: una tazzina di caffè al bar, che prima costava 1€, adesso vale 1,20€. Pensi che torneremo al prezzo di qualche anno fa? No, non ci torneremo mai. Anzi, l’obiettivo sarà evitare che arrivi a 1,50€ troppo in fretta.

Una soluzione necessaria

Dobbiamo proteggerci e trovare una soluzione per impedire che l’inflazione eroda lentamente e inesorabilmente il nostro denaro. Come? A noi, per esempio, piace molto Bitcoin. Siamo talmente convinti di questa scelta che ci abbiamo costruito sopra una campagna dal titolo “Bitcoin Protegge”. Magari ci hai visto nelle principali spiagge italiane, dalla costiera amalfitana alla riviera romagnola. 
Siamo arrivati alla fine di questo mini viaggio alla scoperta dell’economia del pane: ti eri accorta/o di questa situazione? O hai preso consapevolezza della realtà leggendoci? In ogni caso, seguici sul nostro canale Telegram per restare aggiornata/o sulle notizie che contano, dall’economia alla geopolitica, con un occhio sempre attento sui mercati.

Come funziona la Borsa spiegato semplice

Come funziona la Borsa spiegato semplice

NYSE, Nasdaq, LSE: cosa significano questi termini? Sono i nomi di alcune fra le principali Borse mondiali. Ma cos’è una Borsa Valori? Come funziona?

La Borsa Valori, chiamata comunemente Borsa, è un mercato finanziario dove si comprano e si vendono azioni, obbligazioni e altri strumenti. Se la Borsa, in passato, era un argomento riservato agli addetti ai lavori, adesso è un elemento che appartiene all’immaginario collettivo, grazie soprattutto a numerosi film cult che hanno riempito le sale dei cinema dagli anni ‘70 in poi. Ma qual è la storia della Borsa? Quali sono le sue componenti fondamentali? Chi sono gli attori che vi operano? Vediamolo insieme. 

Come e quando nasce la Borsa Valori?

Le prime evidenze scritte di operazioni di cambio, prestiti e depositi risalgono al secondo millennio a.C. e sono incise sul codice babilonese di Hammurabi. Attività simili furono comuni anche fra gli antichi greci, gli etruschi e i romani. Queste antiche operazioni finanziarie, tuttavia, non possono ancora essere definite “borsistiche”: la Borsa vera e propria nascerà in Olanda, ad Amsterdam, intorno al ‘600. 

Il Medioevo

In ogni caso, nel tardo Medioevo, il mondo della finanza iniziò ad acquisire una dimensione più strutturata, con la nascita dei primi organismi bancari: l’Italia, soprattutto dalle parti di Genova, Venezia e Siena, fu per anni il principale centro finanziario dell’Europa. 

Intorno al ‘300, sorse una nuova piazza di scambio che attirò commercianti da tutto il continente, contribuendo notevolmente allo sviluppo di un sistema finanziario ancora troppo rudimentale. Ci troviamo a Bruges, in Belgio, precisamente nel Palazzo Ter Buerse, costruito dalla famiglia aristocratica Van der Bourse: è esattamente da questo posto, in cui i commercianti si riunivano per scambiare merci e valute, che deriva il nome “Borsa”. Successivamente, sorsero altre Borse importanti ad Anversa, Lione e Francoforte e si passò gradualmente da una gestione privata a una pubblica, con regolamentazioni via via più nitide ma anche più stringenti.

L’Età Moderna

Nel ‘600 la Borsa di Amsterdam divenne la Borsa più importante del continente europeo – e, probabilmente, del mondo. In questo periodo nascono le prime società per azioni: di conseguenza, le attività di contrattazione e di scambio di titoli (tra cui i titoli di stato) e merci ricevettero un grande impulso.

Il secolo successivo fu quindi segnato da un’espansione dei traffici, ma anche da una lunga serie di bolle speculative. La più famosa fu la South Sea Bubble in Inghilterra, intorno al 1710-1720, in cui il prezzo delle azioni di una compagnia commerciale – la South Sea Company appunto – salì alle stelle per poi crollare, rovinando migliaia di investitori. Questo evento portò all’introduzione del Bubble Act (abolita circa un secolo dopo), una legge che limitò la creazione di società anonime, nel tentativo di controllare la speculazione. Contemporaneamente, a New York, i primi mercanti si incontravano sotto un albero di platano a Wall Street per negoziare titoli. 

La Rivoluzione Industriale e la Borsa moderna

In questa fase storica, la Borsa si avvia a diventare un elemento cruciale non solo per lo sviluppo delle singole imprese, ma anche per la crescita economica delle nazioni. Londra e Parigi diventano i principali mercati europei, in cui si finanzia la costruzione di fabbriche e infrastrutture, ma anche l’attività coloniale e militare. Nel 1817 nasce ufficialmente il NYSE (New York Stock Exchange), che diventerà la principale Borsa al mondo per capitalizzazione di mercato.

Il XX secolo fra successi e pesanti crisi finanziarie 

Nel 1900 la Borsa diventa il cuore pulsante del sistema capitalistico: economia e finanza  sono ormai interconnesse e inscindibili. È un periodo di alti e bassi, in cui si alternano momenti di grandissima espansione economica, tra cui i Ruggenti Anni ‘20 e il boom economico successivo alla Seconda Guerra Mondiale, e crisi finanziarie pesantissime, come la Grande Depressione del 1929 e il Lunedì Nero del 1987

Una situazione del genere rende necessaria una regolamentazione: vengono creati enti e organismi di controllo come la SEC (Security Exchange Commission) negli USA e la Consob (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa) in Italia, proprio per monitorare le operazioni finanziarie, che ormai muovono quantità di denaro decisamente importanti. Inoltre, nel 1971 nasce il Nasdaq e la Borsa inizia il passaggio da mercato fisico, fatto di urla e gesti, a elettronico, basato su computer e sistemi di calcolo. 

L’era digitale

Siamo arrivati ai giorni nostri. L’avvento di Internet ha rivoluzionato il modo di operare in Borsa: maggiore accessibilità, transazioni istantanee, spostamenti di capitale senza precedenti e nuovi mercati. Ora che conosciamo a grandi linee la storia, vediamo come funziona la Borsa oggi. 

Come funziona la Borsa?

Per capire il funzionamento della Borsa, prima di tutto è fondamentale comprendere che cos’è. La Borsa potrebbe essere definita come il motore finanziario che collega il mondo delle imprese e quello dei risparmiatori. Questo perché le prime cercano capitale per finanziare la propria crescita – costruire nuovi poli industriali, sviluppare nuovi prodotti, assumere personale – mentre i secondi, invece, cercano opportunità per accrescere il proprio capitale. Per questa ragione, si parla di mercato primario e mercato secondario

Il mercato primario è il “luogo” dove si creano le azioni: quando un’azienda si quota in Borsa per la prima volta, vende le sue azioni – di cui parleremo a breve – direttamente agli investitori che, comprandole, permettono all’azienda stessa di raccogliere i fondi per crescere. Il mercato secondario, invece, è quello di “tutti i giorni”, dove gli investitori si scambiano tra loro le azioni già circolanti (che l’azienda ha emesso per il mercato primario), al fine di trarre profitto dalla compravendita. 

Nel mondo della Borsa, però, non esistono solamente le azioni: una parte consistente dei prodotti finanziari circola, infatti, sottoforma di obbligazioni. Cerchiamo di capire bene la differenza, che è fondamentale.

Cosa sono le azioni?

Come abbiamo visto poco fa, le azioni sono “piccoli pezzetti” di azienda che gli investitori comprano nella speranza di venderle in futuro ad un prezzo più alto. Acquistando anche una singola azione, pertanto, l’investitore diventa socio dell’azienda stessa. In questo modo, l’investitore-socio ha una serie di diritti, come la partecipazione agli utili attraverso i dividendi – che non sempre sono garantiti – e alle assemblee societarie

Ma comprare azioni porta con sé anche una serie di contro, primo fra tutti il rischio. Il prezzo dell’azione della società in questione, infatti, è strettamente collegato alla sua performance: se l’azienda va bene, il prezzo sale, se l’azienda va male, il prezzo scende fino anche ad azzerarsi. Questo avviene perché il suo valore è determinato attraverso la legge della domanda e dell’offerta (ma non solo): più l’azione è richiesta, perché l’azienda ha fatto utili record o ha lanciato sul mercato un prodotto disruptive, più costerà e viceversa. La scarsità del bene circolante determina il suo prezzo. Quanto pagheresti una bottiglietta d’acqua in città? Poco, perché in ogni angolo troverai un bar o un supermercato che la vendono. Ma quanto pagheresti la stessa bottiglia in mezzo al deserto?

Cosa sono le obbligazioni?

Le obbligazioni sono sostanzialmente diverse dalle azioni perchè l’investitore che le compra non diventa socio ma creditore. Cosa significa? Detto semplice, l’azienda emette obbligazioni per lo stesso motivo per cui emette le azioni, cioè per raccogliere capitale, ma con modalità diverse. Acquistare un’obbligazione, infatti, è come fare un prestito all’azienda in questione: io, investitore, presto a te, azienda, questa precisa quantità di denaro sapendo che fra X anni mi verrà restituito. Nel mentre, l’azienda paga all’investitore-creditore delle cedole, cioè degli interessi periodici, che rappresentano il profitto alla base di questa operazione.

La cedola pagata dall’azienda, che può essere intesa un po’ come il tasso di interesse, dipende dall’affidabilità dell’azienda stessa. Concretamente, ciò significa che un’azienda strutturata, in profitto, trasparente e coi bilanci in ordine pagherà meno rispetto a un’azienda più “oscura” e in difficoltà. La stessa cosa vale per i titoli di Stato, che sono obbligazioni emesse dal governo o dal Tesoro per finanziare la spesa pubblica di una Nazione: i titoli di Stato italiani, ad esempio, pagheranno tassi di interesse minori rispetto ai titoli di Stato moldavi, proprio perchè l’Italia è considerato un paese più affidabile e, conseguentemente, la componente di rischio si riduce

Rispetto alle azioni, le obbligazioni sono più sicure e garantite e, per questo motivo, presentano margini di guadagno inferiori. La regola è sempre la stessa: ad alto rischio corrisponde alto rendimento e viceversa

Cosa sono gli indici?

Paragrafo bonus, trasversale rispetto alle nozioni di azione e obbligazione. Quindi, che cos’è un indice? Nient’altro che un insieme – un paniere, per utilizzare uno dei termini più abusati nel settore – di società quotate, se parliamo di azioni, o titoli di debito, se invece si tratta di obbligazioni, raggruppate in base a specifici criteri

In che senso “in base a specifici criteri”? Nel senso che l’S&P500, ad esempio, include le 500 società a maggiore capitalizzazione quotate sul mercato americano, il NASDAQ-100 invece rappresenta le 100 maggiori società non finanziarie quotate sulla borsa del NASDAQ, mentre l’S&P Global Clean Energy Transition raggruppa 100 società attive nel settore dell’energia pulita a livello globale. Per le obbligazioni, dall’altra parte, esistono indici che dividono i titoli di Stato secondo la loro durata: tutti quelli con scadenza a 10 anni, a 30 anni eccetera, eccetera, eccetera.

Chi opera sul mercato? Gli attori principali

Una volta chiare le regole e gli strumenti del gioco, è il momento di conoscere chi partecipa. Naturalmente ci sono le società quotate, senza le quali non esisterebbe la Borsa, che, come abbiamo visto, si lanciano sui mercati finanziari al fine di raccogliere fondi. 

Gli investitori: istituzionali e retail

Ci sono poi gli investitori, che comprano azioni e obbligazioni per incrementare il proprio capitale. Gli investitori si dividono in investitori istituzionali e investitori retail. I primi sono considerati i pesi massimi del sistema finanziario, dal momento che spostano enormi quantità di denaro e sono in grado di influenzare l’andamento dei prezzi delle azioni. Tra questi attori troviamo i fondi comuni di investimento, i fondi pensione o i fondi assicurativi, che investono i soldi dei loro clienti, con l’obiettivo di restituirgli un profitto e guadagnare dalle commissioni. I secondi, invece, sono gli investitori individuali, cioè i piccoli risparmiatori, che investono il proprio capitale nella speranza di ottenere un rendimento futuro.

Se sei un investitore retail – e molto probabilmente lo sei o lo sarai –  ti consigliamo di dare un’occhiata al nostro blog, perché troverai molti articoli che ti aiuteranno a non commettere i soliti errori, come quello sull’importanza della diversificazione o quello sui bias cognitivi in finanza

Gli intermediari finanziari

É il momento di parlare di chi rende possibile investire: gli intermediari finanziari. Questi operatori sono il ponte obbligatorio tra chi emette azioni e obbligazioni e chi le compra. Per vari motivi di natura tecnica, legale e di sicurezza, non è possibile operare in Borsa senza passare attraverso queste entità, che vengono appunto chiamate intermediari. Di chi stiamo parlando? Niente meno che di banche e broker online, che offrono la possibilità ai propri clienti di comprare o vendere prodotti finanziari in cambio, ovviamente, di commissioni. 

A questo punto potresti chiederti con una punta di fastidio: “ma per quale motivo sono obbligato a passare per un intermediario finanziario per comprare o vendere le azioni della Coca Cola?” La risposta, in realtà, è abbastanza semplice: per lo stesso motivo per cui hai bisogno di prendere la patente per guidare. Non puoi semplicemente salire in macchina e premere pedali a caso. E allora potresti farci notare che, una volta presa la patente, la macchina te la guidi in autonomia. E avresti anche ragione. Ma sei in grado di costruirla?

Il punto, insomma, è uno solo: costruire quell’auto significa avere i sistemi informatici ultra-sicuri, le autorizzazioni legali, le connessioni dirette con le Borse e via dicendo. È un’attività complessa, costosissima e strettamente regolamentata. Ecco perché le autorità di vigilanza impongono che solo specifici soggetti, gli intermediari finanziari, possano farlo.

Le autorità di vigilanza

A proposito di autorità di vigilanza, parliamo proprio di loro, cioè di chi si occupa che le regole siano giuste e che, soprattutto, vengano rispettate: se investire in Borsa fosse una partita di calcio, le autorità di vigilanza sarebbero precisamente gli arbitri. Questi arbitri finanziari possono avere una dimensione nazionale, come la SEC per gli USA, la CONSOB per l’Italia e la FCA per il Regno Unito, o sovranazionale, come l’ESMA per l’Unione Europea.  Le loro funzioni ruotano principalmente intorno alla

  • protezione degli investitori/consumatori, vigilando sul comportamento degli intermediari finanziari che offrono servizi;
  • trasparenza del mercato, obbligando le aziende quotate a rendere pubbliche tutte le informazioni rilevanti come bilanci, resoconti trimestrali fino anche alle modifiche nel personale di alto livello;
  • correttezza delle negoziazioni, monitorando il mercato per individuare e sanzionare modi scorretti di operare come l’insider trading – comprare o vendere in anticipo perchè si conoscono informazioni private o protette da segreto aziendale. 

Ma non si finisce mai di imparare

In questo articolo abbiamo provato a spiegare lo scheletro della Borsa, elencando i suoi elementi fondamentali. Va detto, però, che quanto scritto sopra è forse la punta della punta dell’iceberg. Se hai letto questa mini guida perché hai appena finito di vedere The Wolf of Wall Street e speri di ritrovarti fra un anno a sorseggiare un Martini, su un lettino in un resort di lusso in mezzo all’Oceano Pacifico come un fuffaguru qualsiasi, il consiglio è di tornare coi piedi per terra e cominciare a studiare seriamente. 
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Guerra Russia-Ucraina: gli aggiornamenti

Guerra Russia Ucraina: aggiornamento post-vertice

Weekend intenso per Donald Trump, che in pochi giorni incontra Putin, Zelensky, i leader europei e della NATO. Cos’è successo? Le reazioni dei mercati

Un weekend decisamente caldo quello appena trascorso: uno scatenato Donald Trump ha accolto negli Stati Uniti, in quattro giorni, il Presidente russo Putin, quello ucraino Zelensky, sei leader europei tra cui Giorgia Meloni e il Segretario della NATO Mark Rutte. L’obiettivo? Trovare una soluzione che possa mettere fine alla guerra cominciata più di tre anni fa con l’invasione russa dell’Ucraina. Qui un breve recap di ciò che è successo, con un focus finale sul comportamento dei mercati. 

Trump e Putin: meeting in Alaska a Ferragosto 

Il 15 agosto, in una base americana nei pressi di Anchorage, in Alaska, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e quello della Federazione russa Vladimir Putin hanno avuto un faccia a faccia per discutere della guerra russo-ucraina. Le scene che hanno preceduto il meeting sono state oggetto di grande dibattito, a causa di una quasi inaspettata cordialità di Trump nei confronti di Putin: tappeti rossi, calorose strette di mano, pacche sulla spalla e amichevoli sorrisoni. 

Ma è un dettaglio particolare a incuriosire i media di tutto il mondo: il Presidente USA, in modo volontario e non previsto, ha offerto un passaggio all’omonimo russo sull’epica e indistruttibile limousine presidenziale – chiamata appunto “The Beast” – al riparo da occhi e orecchie indiscreti. Cosa si siano detti in quei dieci minuti di macchina, nessuno potrà mai saperlo. I due, però, sono stati visti ridere serenamente, come amici di vecchia data.

In ogni caso, dalla “conferenza stampa” successiva all’incontro non è trapelato nulla di significativo. Le virgolette non sono casuali: i due non hanno risposto a praticamente nessuna domanda, ma si sono limitati a fare le solite, vaghe dichiarazioni. 

Ha iniziato Putin, lodando l’atmosfera “di rispetto reciproco” e raccontando come, in realtà, l’Alaska fosse in passato una regione russa. È poi passato al tema centrale del summit, cioè la guerra che sta conducendo contro l’Ucraina. Ancora una volta, lo Zar ha rimarcato la necessità di “eliminare le cause profonde” del conflitto come requisito imprescindibile per parlare di pace: riconoscimento della sovranità russa sulle regioni attualmente contese, smilitarizzazione e neutralità di Kyiv, assenza di coinvolgimento militare straniero e nuove elezioni ucraine.

Arriva, quindi, il momento di The Donald. Come riportano numerosi analisti, il POTUS, che ci ha abituato a lunghe dichiarazioni, è stato stranamente di poche parole: “ci sono stati moltissimi punti su cui siamo stati d’accordo”, “grandi progressi“, “incontro estremamente produttivo“.  Insomma, qualche minuto di fumo con poco arrosto, per poi ammettere che nessun accordo era stato raggiunto ma che, comunque, “abbiamo una grandissima possibilità di arrivarci“. 

Trump, Zelensky, Europa e NATO a Washington D.C.

Tra domenica e lunedì, Donald Trump ha discusso della situazione attuale e futura col Presidente ucraino Zelensky, per poi allargare l’invito a sei leader europei – il francese Macron, il tedesco Mertz, l’italiana Meloni, il britannico Starmer, il finlandese Stubb e la Presidente della Commissione U.E. von der Leyen – e al Segretario generale della NATO Rutte

Il tema centrale del summit è stato chiaramente la sicurezza e l’integrità territoriale dell’Ucraina. Infatti, tanto il Presidente Zelensky quanto i rappresentanti europei e della NATO, da mesi stanno esercitando forti pressioni sul Presidente Trump al fine di ottenere le cosiddette garanzie: la pace fra le due parti deve essere raggiunta senza compromettere la sovranità dell’Ucraina e, in prospettiva futura, deve servire a dissuadere la Russia dal ripetere simili invasioni militari. Come? Permettendo a Kyiv di dotarsi di un esercito competitivo, al passo coi tempi e fortemente specializzato, che funga da deterrente. Il problema è che Putin, come abbiamo visto, non ne vuole sapere e chiede tutt’altro.  

What’s next?  

Difficile a dirsi, data la natura criptica di Vladimir Putin e l’atteggiamento incostante di Donald Trump. Tuttavia, nella giornata del 19 agosto, lo stesso Trump ha dichiarato che il Presidente russo avrebbe accettato di partecipare a un faccia a faccia con Volodymyr Zelensky, a cui dovrebbe seguire un trilaterale USA-Russia-Ucraina

Come si legge da un suo post sul social Truth, “al termine degli incontri, ho chiamato il presidente Putin e ho iniziato a organizzare un incontro, in una sede da definire, tra il presidente Putin e il presidente Zelensky. Dopo che questo incontro avrà luogo, avremo un trilaterale, che comprenderà i due presidenti e me stesso”. La notizia sarebbe stata confermata anche dal Primo Ministro britannico Starmer e dal Cancelliere tedesco Mertz.

Come hanno reagito i mercati? 

Per quanto riguarda i mercati finanziari tradizionali, la risposta è stata tutto sommato positiva. I tre principali indici americani – Nasdaq, Dow Jones, S&P500 – hanno accolto con entusiasmo la notizia dell’incontro Trump-Putin in Alaska, salvo poi perdere un po’ di terreno: molto probabilmente, gli investitori si aspettavano risultati più concreti e informazioni meno vaghe dal summit di Anchorage. Stesso discorso per i tre principali indici europei – Parigi, Francoforte e Londra – che, con diverse intensità, stanno mettendo a segno buone performance dalla prima settimana di agosto.   

Situazione diversa lato crypto. Bitcoin, fra il 13 e il 14 agosto, ha toccato un nuovo All Time High superando quota 124.000$, per poi ritracciare e tornare sui 115.600$ dopo aver fallito, per la seconda volta, l’attacco alla resistenza compresa nel range fra i 121.000$ e i 123.000$.  

Anche Ethereum ha tentato l’assalto all’ATH, arrivando a meno di 100$ dal record toccato nel 2021. Attualmente, si aggira intorno ai 4.300$: potrebbe essere molto probabile un secondo attacco ai massimi, dal momento che – facciamo tutti gli scongiuri del caso – la resistenza situata a quota 4.100$ sembra essersi trasformata in supporto

Per quanto riguarda la Total Market Cap, dal momento dell’annuncio – giovedì 7 agosto – siamo passati dai 3,7 trilioni di dollari agli attuali 3,85 con un aumento del 3,8% circa (più o meno 150 miliardi di dollari). Infine, Bitcoin continua a perdere terreno nei confronti delle altcoin: negli ultimi 12 giorni, la dominance di BTC è calata di più di 3 punti percentuali, arrivando al 59,7% – al momento in cui scriviamo. 

Non solo geopolitica

Occorre anche specificare un dato molto importante: il 12 e il 14 agosto, il BLS (Bureau of Labour Statistics) ha pubblicato i dati relativi all’inflazione negli Stati Uniti, comunicando il CPI e il PPI, ovvero il Consumer Price Index e il Producer Price Index. Il primo valore riflette i prezzi all’acquisto, dalla prospettiva dei consumatori, mentre il secondo mostra le variazioni dei prezzi di vendita, dunque dalla prospettiva dei produttori.

Il PPI è importante perché è considerato un indicatore anticipatore dell’inflazione: se chi produce vende a prezzi più alti, chi acquista compra a prezzi più alti, il potere d’acquisto cala e l’inflazione cresce. Questo mese, il PPI è aumentato dello 0.9% rispetto a luglio, contro le previsioni che stimavano “solo” un +0,2%. Queste rilevazioni hanno sicuramente influenzato il comportamento degli investitori, dal momento che un’inflazione più alta riduce le probabilità di tagli ai tassi futuri da parte della FED.

Si intravede uno spiraglio di luce?

Per concludere, Donald Trump riuscirà a far sedere Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky allo stesso tavolo? Siamo sempre più vicini alla pace o è solamente un’illusione? Che ruolo avrà l’Europa in tutto ciò?


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