Oracle, azioni su del 43%: cos’è successo?

Oracle, azioni su del 43%: cos'è successo?

Oracle, azioni impazzite: salgono del 43% arrivando a toccare i 346$, il prezzo più alto di sempre. Cosa ha innescato il rialzo?

Le azioni Oracle, nella seduta di mercoledì 10 settembre, hanno lasciato tutto il mondo a bocca aperta a causa di un rialzo definito “storico”: in poche ore, il prezzo per azione è passato da 241$ a quasi 346$, con un guadagno superiore al 40%. I motivi dietro questa impennata sono da ricercare soprattutto nel nuovo contratto fra Oracle stessa e OpenAI, la nota azienda leader nell’intelligenza artificiale. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta. 

Oracle, azioni e il contratto da 300 miliardi di dollari con OpenAI (ma non solo)

Andiamo subito al punto: alla base della crescita improvvisa delle azioni Oracle c’è un contratto di dimensioni enormi stipulato con OpenAI, l’azienda proprietaria di ChatGPT  guidata da Sam Altman. Secondo il Wall Street Journal, testata autrice dello scoop, OpenAI avrebbe firmato un contratto con Oracle per l’acquisto di 300 miliardi di potenza di calcolo in cinque anni – la bellezza di 60 miliardi all’anno – a partire dal 2027.

In altre parole, questo significa che OpenAI e Oracle si sono messe d’accordo affinché la prima società possa avere accesso al computing power fornito dalla seconda: ciò equivale a circa 4,5 gigawatt di energia elettrica necessaria a far lavorare i data center per addestrare l’IA e per portare avanti il processo innovativo – cioè ricerca e sviluppo. Oracle, inoltre, avrebbe chiuso altri contratti multimiliardari con xAI, proprietaria di Grok, e Meta Platforms

In ogni caso, questa serie di notizie ha messo gli investitori in FOMO totale e le azioni di Oracle sono schizzate alle stelle: come abbiamo anticipato, in poco più di due ore l’azienda fondata da Larry Ellison ha guadagnato il 43%, la sua market cap è cresciuta di 270 miliardi raggiungendo i 943 miliardi, e il valore delle sue azioni è salito di più di 100$, passando da 241$ a 346$. In tutto questo caos, il patrimonio di Ellison, che detiene ancora più del 40% della società che ha fondato, è aumentato di oltre 100 miliardi: improvvisamente si gioca il primo posto nella classifica dell’uomo più ricco del mondo con Elon Musk.

Poco più tardi, come è naturale quando si verificano rialzi simili, c’è stato un ritracciamento che ha portato il valore delle azioni a quota 328$ – una crescita finale del 36%. Al momento in cui scriviamo, Oracle si aggira sui 319$.  

Concludiamo con qualche dubbio 

L’operazione tra Oracle e OpenAI, secondo il Wall Street Journal, è una scommessa rischiosa per almeno tre motivi. 

In primo luogo, viene da chiedersi come farà l’azienda madre di ChatGPT a pagare la mostruosa cifra di 60 miliardi di dollari all’anno, dal momento che a giugno ha dichiarato di aver guadagnato “solo” 10 miliardi nei precedenti dodici mesi – in gergo, l’annual recurring revenue (ARR). 

In secondo luogo, Oracle deve costruire il data center e, molto probabilmente, si indebiterà chiedendo prestiti per produrre i chip e l’infrastruttura necessari. Dunque Oracle sta legando una grandissima parte dei suoi guadagni futuri ad un solo cliente, ovvero OpenAI – tradendo una delle regole fondamentali degli investimenti, la diversificazione. Per comprendere il peso di questo fattore, tornare alla prima domanda. 

Infine, si parla spesso della AI Bubble. Ci sono pareri contrastanti in merito, tra chi pensa che il mercato collasserà, come nel caso della bolla delle DotCom, e chi invece dice che la bolla non esiste – questo contratto da 300 miliardi sembrerebbe dar ragione ai secondi. Ma se questa fantomatica bolla esistesse e, a un certo punto, esplodesse


Qualsiasi cosa succeda, noi saremo qua a raccontarla: iscriviti al nostro canale Telegram e a Young Platform per non perderti le notizie che muovono i mercati!

Mercosur: dall’UE via libera all’Accordo

Mercosur: dall'UE via libera all'Accordo

Mercosur e Unione Europea sono sempre più vicini a stipulare un partenariato strategico dopo 25 anni di trattative. Cosa significa tutto ciò?

Mercosur e Unione Europea potrebbero essere a un passo dal firmare un accordo commerciale definito dalla stessa Commissione europea come “la maggiore intesa di libero commercio mai siglata”. L’accordo UE-Mercosur, infatti, coinvolge paesi che rappresentano circa 20 trilioni di dollari di PIL e 700 milioni di consumatori. Di cosa si tratta? 

Mercosur: cos’é? 

Il MercosurMercado Común del Sur – è un’organizzazione istituita nel 1991 col Trattato di Asunciòn, che ha lo scopo di “promuovere uno spazio comune che generi opportunità di business e investimento attraverso l’integrazione competitiva delle economie nazionali nel mercato internazionale”. I membri a pieno titolo sono il Brasile, l’Argentina, il Paraguay, l’Uruguay e il Venezuela – quest’ultimo sospeso nel 2016 per pratiche antidemocratiche – mentre la Bolivia è in fase di adesione come quinto membro a pieno titolo. Ci sono poi i membri associati, privilegiati ma esterni al blocco, come il Cile, la Colombia, l’Ecuador e il Perù. 

Il Mercosur è quindi un mercato comune che ha l’obiettivo di aumentare gli scambi commerciali di beni e servizi e il libero movimento delle persone sia a livello regionale, cioè fra i vari paesi del Sud America, sia a livello internazionale, attraverso accordi con altri blocchi – come quello con l’Unione Europea. Affinché ciò si realizzi, col Mercosur i paesi membri lavorano per ridurre reciprocamente le barriere doganali favorendo, in questo modo, l’integrazione economica. 

Per dare un paio di dati al volo, il blocco del Mercosur, nel 2023, ha generato un volume di 447 miliardi di dollari per l’export e di 357 miliardi per l’import, equivalente al 10,9% del commercio internazionale – con questi numeri si fa riferimento sia agli scambi interni, quindi tra membri del blocco, sia esteri. 

Accordo UE-Mercosur: cosa prevede?

I negoziati tra UE e Mercosur vanno avanti da circa 25 anni, con un susseguirsi di momenti di tensione e distensione. Finalmente, il 6 dicembre 2024 a Montevideo, in Uruguay, i vertici dell’Unione Europea riescono a trovare un’intesa coi paesi del blocco sudamericano: questo mercoledì la Commissione europea ha presentato i trattati che definiranno l’accordo commerciale raggiunto, compiendo un ulteriore passo avanti verso l’ufficializzazione.

L’accordo è frutto della volontà di abbattere gli ostacoli commerciali, assicurare un accesso responsabile ed eco-compatibile a materie prime – con un occhio di riguardo alla deforestazione dell’Amazzonia – e lanciare un chiaro messaggio a favore del commercio internazionale regolamentato e contro ogni forma di protezionismo

Nello specifico, l’intesa si basa su un principio di reciprocità: l’industria europea con auto, macchinari, alcolici in primis, guadagnerà un maggiore accesso al mercato del Mercosur, che a sua volta potrà esportare più facilmente in Europa i suoi prodotti agroalimentari, tra cui carne, zucchero, caffè e soia. Quest’ultimo punto, in particolare, ha causato qualche malumore tra le imprese della filiera agroalimentare francesi, polacche e, in parte, anche italiane. 

Il timore principale, infatti, è relativo alla concorrenza sleale: i paesi sudamericani dispongono di normative ambientali e alimentari più permissive rispetto a quelle previste dall’UE, che permettono l’uso di antibiotici, pesticidi e ormoni vietati nel Vecchio Continente.  

In ogni caso, si parla di un graduale allentamento delle tariffe doganali sul 90% dei beni scambiati tra i due blocchi, di canali preferenziali per le imprese europee e sudamericane, le quali avrebbero un maggiore accesso agli appalti e alla possibilità di investire. Il risultato finale, in base a quanto dichiarato dalla Commissione Europea, determinerà un incremento dell’export dell’Unione Europea verso il Mercosur pari al 39% con un aumento occupazionale stimato di 440.000 posti di lavoro

Ma non c’è ancora nulla di ufficiale

L’accordo UE-Mercosur, come anticipato, non è ancora ufficiale ma rappresenta una fase fondamentale nel processo di avvicinamento tra i due blocchi commerciali, che devono tutelarsi dai costosi dazi trumpiani

Si tratta di un accordo commerciale ad interim, cioè provvisorio, che non necessita dell’approvazione dei 27 stati membri ma solamente della ratifica della maggioranza qualificata del Consiglio UE – quindi di almeno 15 paesi su 27 (il 55%) i quali devono rappresentare almeno il 65% della popolazione. 

È l’inizio di una fruttuosa collaborazione fra due continenti? Oppure questo accordo si tradurrà in un nulla di fatto? Noi, naturalmente, seguiremo l’evoluzione della situazione. Tu, nel mentre, iscriviti al nostro canale Telegram per non perdere gli aggiornamenti o a Young Platform cliccando qui sotto!

Cosa ha detto Jerome Powell a Jackson Hole?

Cosa ha detto Jerome Powell a Jackson Hole?

Questa settimana nel Wyoming, USA, avrà luogo una delle conferenze più Perché il discorso del Presidente della FED è stato interpretato positivamente dai mercati? Che significa che ha “aperto a un taglio dei tassi”?

Il discorso di venerdì 22 del Presidente della FED Jerome Powell ha riportato euforia tra gli investitori, generando forti rialzi un po’ ovunque. In questo articolo vedremo brevemente il perché di questo entusiasmo e daremo un’occhiata alle reazioni dei mercati.

Il discorso di Powell in breve

Al Jackson Hole Economic Symposium, tenutosi dal 21 al 23 agosto nello stato del Wyoming, USA, il Presidente della FED Jerome Powell, nel suo intervento di circa venti minuti, ha toccato tre temi principali.

In primo luogo, ha descritto lo stato attuale dell’economia americana, definendola resiliente nonostante il rallentamento di PIL e occupazione, con un’inflazione elevata ma in progressivo calo. Ha, inoltre, evidenziato una dinamica “curiosa che sta caratterizzando il mercato del lavoro: questo rimarrebbe stabile nonostante i recenti dati, con una disoccupazione al 4,2%, perché sarebbe in atto un rallentamento tanto dell’offerta quanto della domanda. In parole semplici, ci sarebbero meno assunzioni sia perché le imprese offrono meno posti, sia perché diminuisce il numero di persone in cerca di lavoro – a causa, soprattutto, di un brusco calo dell’immigrazione. 

In secondo luogo, ha illustrato le modifiche al quadro di politica monetaria della Fed, pensate per renderlo più flessibile e adatto a diversi scenari economici. Ciò ha segnato un distacco dall’impostazione precedente, centrata soprattutto sui rischi legati ai tassi prossimi allo zero. Questo significa che, secondo Powell, è necessario un cambio netto rispetto al paradigma vigente dal periodo successivo alla crisi del 2008: se prima la preoccupazione era relativa ai tassi di interesse troppo bassi – ai tempi della crisi, negli USA, l’inflazione era molto bassa e i tassi di interesse vicini allo zero – adesso il mondo è cambiato. È quindi fondamentale essere reattivi e adattarsi agli eventi che, come ha dimostrato la pandemia del 2020, possono causare cambiamenti repentini.

Terzo, ha ribadito che la banca centrale manterrà un approccio equilibrato nel perseguire il duplice obiettivo di piena occupazione e stabilità dei prezzi, in particolare quando questi due traguardi risultano in tensione. In chiusura, Powell ha sottolineato che la politica monetaria non seguirà un percorso prestabilito, ma sarà guidata dai dati e dalla valutazione complessiva dei rischi – il classico wait and see.

Il passaggio chiave

Un punto in particolare del discorso ha catturato l’attenzione degli analisti e degli investitori: “nel breve termine”, dice Powell, “i rischi per l’inflazione sono orientati al rialzo e i rischi per l’occupazione al ribasso: una situazione difficile. Quando i nostri obiettivi sono in tensione come in questo caso, il nostro quadro di riferimento ci chiede di bilanciare entrambi i lati del nostro doppio mandato”. 

Il numero uno della FED ha poi riferito che “il nostro tasso di riferimento è ora 100 punti base più vicino al livello neutro – il tasso d’interesse teorico che non stimola né rallenta l’economia – rispetto a un anno fa e la stabilità del tasso di disoccupazione e di altre misure del mercato del lavoro ci consente di procedere con cautela mentre consideriamo i cambiamenti alla nostra posizione di politica monetaria”. 

Poi la frase cruciale: “Ciononostante, con una politica in territorio restrittivo, le prospettive di base e il mutato equilibrio dei rischi potrebbero giustificare un aggiustamento della nostra posizione di politica”. 

Cosa vogliono dire, nel concreto, queste dichiarazioni? Molto semplicemente che, attualmente, l’inflazione potrebbe aumentare e, al contrario, l’occupazione diminuire. Il punto fondamentale, stando alle parole di Powell, risiede nell’espressione “mutato equilibrio dei rischi”: se, un anno fa, la preoccupazione principale era un’inflazione fuori controllo, oggi mantenere un tasso di disoccupazione a livelli bassi diventa la priorità.  

Dunque, potrebbe essere necessario concentrarsi sul mercato del lavoro piuttosto che sul rialzo dei prezzi: mantenere i tassi ai livelli odierni, infatti, potrebbe soffocare ancora di più un’economia già in forte rallentamento. È, perciò, di vitale importanza scongiurare i rischi di una recessione. Come? Abbassando i tassi di interesse. Boom, mercati in estasi. 

Le reazioni dei mercati

Come anticipato, i mercati hanno reagito in modo marcatamente positivo alle parole di Powell: per quanto già ci si aspettasse almeno un taglio nell’ultimo trimestre del 2025, le dichiarazioni al Jackson Hole Economic Symposium hanno dato qualche sicurezza in più.

Vediamo nel dettaglio come ha reagito la Borsa nella giornata di venerdì 22 agosto: il Dow Jones e il Nasdaq hanno guadagnato l’1,7%, mentre l’S&P500 è cresciuto dell’1,5%. Altra storia se parliamo del Russell 2000 – indice che raggruppa le 2.000 aziende statunitensi a minore capitalizzazione — che ha registrato un aumento di quasi il 3,5%. Se invece guardiamo le singole azioni, Tesla ha messo a segno un interessante +5,8%, Nvidia il 3% e Amazon il 2,7%

Per concludere, il dollaro USA: a causa delle future pressioni inflazionistiche, la valuta statunitense ha perso terreno contro le principali valute mondiali. Il DXY, che misura il valore del dollaro statunitense rispetto a un paniere di sei valute principali (euro, yen, sterlina, dollaro canadese, corona svedese e franco svizzero), ha perso lo 0,9% in una sola seduta. 

Mercato Crypto

Dopo le dichiarazioni di Jackson Hole, Bitcoin ha guadagnato il 4% arrivando a toccare i 117.000$– anche se ad oggi è tornato sui 111.000$. Ethereum, invece, continua a macinare record: dopo aver guadagnato più del 15% in un solo giorno, ETH ha sfruttato la spinta per attaccare la resistenza dei 5.000$ e mettere a segno l’All Time High a 4.950$ nella giornata di domenica, per poi ritracciare leggermente – al momento in cui scriviamo viaggia sui 4.620$. Grandi performance anche per Solana, che da venerdì a domenica passa dai 180$ ai 212$, registrando un +17,7%.

What’s next?

Moltissimi esperti ritengono iper probabile almeno un taglio dei tassi prima della fine del 2025, proprio perché l’interpretazione che abbiamo dato qui sopra è quella più accreditata. Anche gli utenti di Polymarket sembrano condividere: il 78% degli scommettitori ha puntato sul taglio di 25 punti base a settembre, contro il 17% che ha votato “no change”. Aspettiamo la prossima riunione prevista per il 16-17 settembre prossimi. 
Nel frattempo, entra nel nostro canale Telegram per restare sempre aggiornata/o sulle notizie rilevanti: analisi tecniche, mercati, trattative di pace e qualsiasi cosa possa influenzare il prezzo delle nostre crypto preferite!

Perché il prezzo del pane aumenta?

Perché il prezzo del pane aumenta?

Il prezzo del pane è lievitato negli ultimi anni: un chilo, in Italia, costa mediamente il 33% in più rispetto al 2021. Per quale motivo?

Il pane comune, essendo un bene di prima necessità, in Italia è sottoposto a una tassazione super-ridotta, con l’IVA al 4%. Nonostante ciò, negli ultimi anni abbiamo assistito a un rialzo sul prezzo euro/chilo che ha avuto effetti netti sulla spesa media delle famiglie italiane. Quali sono le ragioni dietro questo aumento? 

Il prezzo del pane in Italia: la differenza fra Nord, Centro, Sud e Isole

Il prezzo del pane, come quello di molti beni di consumo, cambia di in base alla parte della Penisola in cui ci troviamo, a causa delle differenze relative al costo della vita: nel Nord Italia vivere costa mediamente di più rispetto al Sud, anche se poi esistono variazioni di carattere regionale e persino cittadino. 

Per capire quanto effettivamente sia cresciuto il prezzo di un chilo di pane, abbiamo analizzato i cambiamenti dal 2021 al 2025 – forniti dall’Osservatorio Prezzi del Ministero delle Imprese e del Made in Italy – prendendo in considerazione le due città più rilevanti dell’area geografica in questione: Milano e Torino per il Nord, Roma e Firenze per il Centro, Napoli e Bari per il Sud e Palermo e Cagliari per le Isole. 

Nord Italia

Nel giugno del 2021, a Torino e a Milano un chilo di pane costava rispettivamente 3,03€ e 4,20€, mentre nel giugno del 2025 erano necessari 3,98€ e 4,93€. Ciò equivale a un aumento del prezzo medio del 31,35% a Torino e del 17,38% a Milano. Nel complesso, se volessimo utilizzare queste due città per fotografare i cambiamenti nel Nord Italia, il prezzo del pane in questa area è salito del 23,24%

Centro Italia 

Per il Centro, come anticipato, abbiamo preso in considerazione le città di Firenze e Roma: nel giugno del 2021, un chilo di pane costava 2,22€ nel capoluogo toscano e 2,65€ nella Capitale. Cinque anni dopo, la stessa quantità viene esposta, nell’ordine, al prezzo di 3,33€ e 3,41€. La città di Dante ha visto un rialzo mostruoso, pari al 50%, mentre l’Urbe se l’è cavata un po’ meglio, con aumenti del 28,68%. Complessivamente, nel Centro Italia un chilo di pane costa il 38,40% in più rispetto al 2021. 

Sud Italia

Nel Sud il costo della vita è tendenzialmente più basso: un’indagine del 2024 del Codacons ha classificato Napoli come la città più economica d’Italia (e Bari la più costosa del Sud). In ogni caso, nel giugno del 2021 a Napoli il pane costava 1,88€/kg contro i 2,90€ di Bari. Nel 2025, invece, si parla di 2,42€ e 4€. Siamo dunque di fronte ad aumenti pari al 28,72% nel primo caso e 37,93% nel secondo, mentre a livello globale il rincaro ammonta al 34,31%

Isole

Nonostante finora abbiamo utilizzato le due città più popolose dell’area geografica in questione per descrivere i cambiamenti di prezzo, per le Isole abbiamo fatto un’eccezione: Cagliari infatti possiede meno abitanti di altre città siciliane, come Catania o Messina, ma era necessario rappresentare la Sardegna. Ma andiamo avanti.

A Palermo nel 2021 un chilo di pane veniva venduto a un prezzo medio di 2,96€, mentre a Cagliari la cifra si attestava sui 3,12€. Nel giugno del 2025, per la stessa quantità i siciliani dovevano spendere 4,4€ e i sardi 4,11€. Si tratta di rialzi del 48,65% e del 31,73%. In generale, nelle Isole si spende il 39,97% in più rispetto a quattro anni fa.  

Quali sono le cause?

Come è ovvio, non esiste un’unica causa dietro a un rincaro così importante. Si tratta di una serie di fattori interconnessi che vanno a impattare, in modo diretto e indiretto, la produzione del grano duro, fondamentale per la panificazione.

Cambiamento climatico tra siccità e alluvioni

Per esempio, il cambiamento climatico agisce direttamente sulla produzione del cereale, dal momento che i raccolti dipendono soprattutto dalla qualità del clima: siccità o, al contrario, alluvioni più frequenti e devastanti, hanno un impatto notevole sulla quantità di grano che la terra può produrre. Meno grano a disposizione si traduce in un rialzo dei prezzi, come vuole la legge della domanda e dell’offerta

Guerra in Ucraina: impatto diretto e indiretto

Anche la guerra in Ucraina, iniziata nel 2022 in seguito all’invasione russa, ha un ruolo di primo piano nell’aumento dei prezzi, per motivi diretti e indiretti.

L’Ucraina, infatti, è chiamata il “granaio d’Europa” proprio grazie al suo ruolo storico di esportatrice di prodotti agricoli, in particolare cereali. Allo stesso modo, la Russia produce grandissime quantità di cereali, che poi vende al resto del mondo. È chiaro, perciò, come un conflitto così totalizzante e prolungato nel tempo abbia una responsabilità diretta sulla riduzione delle tonnellate di grano raccolto. 

Questa guerra, però, ha influenzato il costo del grano anche in modo indiretto, colpendo il settore energetico, elemento chiave nella produzione agricola. Con l’inizio degli scontri e l’affrancamento dell’Unione Europea dal gas russo, il prezzo dell’energia è salito in modo quasi incontrollato. Quando l’energia costa di più, crescono di conseguenza i costi di trasporto, marittimo e su gomma, e di produzione, fra macchine agricole e forni. Chi paga questi incrementi di prezzo? Il consumatore finale.

Ma alla fine si parla sempre di inflazione 

Eh si, si torna sempre alla nemica numero uno dei nostri risparmi: se il consumatore spende di più per comprare la stessa quantità di un bene, significa che il denaro vale di meno rispetto al passato  – nel caso che abbiamo appena analizzato, il 33% in meno. 

Purtroppo non finisce qui, perché l’inflazione, oltre ad agire in modo diretto sui prezzi, presenta anche degli effetti collaterali. Cosa significa? Molto semplicemente potremmo parafrasare il famoso detto “vincere aiuta a vincere” con la nostra originale versione l’inflazione aiuta l’inflazione: se il costo di un bene aumenta a causa di fattori come quelli precedentemente descritti, è molto probabile che produca delle conseguenze anche su beni che, in realtà, non avrebbero ragione di crescere di prezzo.   

Banalmente, quanto detto vuol dire che, da una parte c’è un fornaio obbligato ad alzare il prezzo del pane, poiché a monte paga di più il grano stesso e l’energia per mandare avanti l’azienda. Ma dall’altra, potrebbe esserci un dentista – esempio casuale, amiamo i dentisti – che aumenta di un tot% la fattura perché ha bisogno di più soldi per vivere (tutto costa di più) o perché… tanto lo fanno tutti. Si instaura un circolo vizioso che, nel tempo, è destinato a diventare la normalità: una tazzina di caffè al bar, che prima costava 1€, adesso vale 1,20€. Pensi che torneremo al prezzo di qualche anno fa? No, non ci torneremo mai. Anzi, l’obiettivo sarà evitare che arrivi a 1,50€ troppo in fretta.

Una soluzione necessaria

Dobbiamo proteggerci e trovare una soluzione per impedire che l’inflazione eroda lentamente e inesorabilmente il nostro denaro. Come? A noi, per esempio, piace molto Bitcoin. Siamo talmente convinti di questa scelta che ci abbiamo costruito sopra una campagna dal titolo “Bitcoin Protegge”. Magari ci hai visto nelle principali spiagge italiane, dalla costiera amalfitana alla riviera romagnola. 
Siamo arrivati alla fine di questo mini viaggio alla scoperta dell’economia del pane: ti eri accorta/o di questa situazione? O hai preso consapevolezza della realtà leggendoci? In ogni caso, seguici sul nostro canale Telegram per restare aggiornata/o sulle notizie che contano, dall’economia alla geopolitica, con un occhio sempre attento sui mercati.

Come funziona la Borsa spiegato semplice

Come funziona la Borsa spiegato semplice

NYSE, Nasdaq, LSE: cosa significano questi termini? Sono i nomi di alcune fra le principali Borse mondiali. Ma cos’è una Borsa Valori? Come funziona?

La Borsa Valori, chiamata comunemente Borsa, è un mercato finanziario dove si comprano e si vendono azioni, obbligazioni e altri strumenti. Se la Borsa, in passato, era un argomento riservato agli addetti ai lavori, adesso è un elemento che appartiene all’immaginario collettivo, grazie soprattutto a numerosi film cult che hanno riempito le sale dei cinema dagli anni ‘70 in poi. Ma qual è la storia della Borsa? Quali sono le sue componenti fondamentali? Chi sono gli attori che vi operano? Vediamolo insieme. 

Come e quando nasce la Borsa Valori?

Le prime evidenze scritte di operazioni di cambio, prestiti e depositi risalgono al secondo millennio a.C. e sono incise sul codice babilonese di Hammurabi. Attività simili furono comuni anche fra gli antichi greci, gli etruschi e i romani. Queste antiche operazioni finanziarie, tuttavia, non possono ancora essere definite “borsistiche”: la Borsa vera e propria nascerà in Olanda, ad Amsterdam, intorno al ‘600. 

Il Medioevo

In ogni caso, nel tardo Medioevo, il mondo della finanza iniziò ad acquisire una dimensione più strutturata, con la nascita dei primi organismi bancari: l’Italia, soprattutto dalle parti di Genova, Venezia e Siena, fu per anni il principale centro finanziario dell’Europa. 

Intorno al ‘300, sorse una nuova piazza di scambio che attirò commercianti da tutto il continente, contribuendo notevolmente allo sviluppo di un sistema finanziario ancora troppo rudimentale. Ci troviamo a Bruges, in Belgio, precisamente nel Palazzo Ter Buerse, costruito dalla famiglia aristocratica Van der Bourse: è esattamente da questo posto, in cui i commercianti si riunivano per scambiare merci e valute, che deriva il nome “Borsa”. Successivamente, sorsero altre Borse importanti ad Anversa, Lione e Francoforte e si passò gradualmente da una gestione privata a una pubblica, con regolamentazioni via via più nitide ma anche più stringenti.

L’Età Moderna

Nel ‘600 la Borsa di Amsterdam divenne la Borsa più importante del continente europeo – e, probabilmente, del mondo. In questo periodo nascono le prime società per azioni: di conseguenza, le attività di contrattazione e di scambio di titoli (tra cui i titoli di stato) e merci ricevettero un grande impulso.

Il secolo successivo fu quindi segnato da un’espansione dei traffici, ma anche da una lunga serie di bolle speculative. La più famosa fu la South Sea Bubble in Inghilterra, intorno al 1710-1720, in cui il prezzo delle azioni di una compagnia commerciale – la South Sea Company appunto – salì alle stelle per poi crollare, rovinando migliaia di investitori. Questo evento portò all’introduzione del Bubble Act (abolita circa un secolo dopo), una legge che limitò la creazione di società anonime, nel tentativo di controllare la speculazione. Contemporaneamente, a New York, i primi mercanti si incontravano sotto un albero di platano a Wall Street per negoziare titoli. 

La Rivoluzione Industriale e la Borsa moderna

In questa fase storica, la Borsa si avvia a diventare un elemento cruciale non solo per lo sviluppo delle singole imprese, ma anche per la crescita economica delle nazioni. Londra e Parigi diventano i principali mercati europei, in cui si finanzia la costruzione di fabbriche e infrastrutture, ma anche l’attività coloniale e militare. Nel 1817 nasce ufficialmente il NYSE (New York Stock Exchange), che diventerà la principale Borsa al mondo per capitalizzazione di mercato.

Il XX secolo fra successi e pesanti crisi finanziarie 

Nel 1900 la Borsa diventa il cuore pulsante del sistema capitalistico: economia e finanza  sono ormai interconnesse e inscindibili. È un periodo di alti e bassi, in cui si alternano momenti di grandissima espansione economica, tra cui i Ruggenti Anni ‘20 e il boom economico successivo alla Seconda Guerra Mondiale, e crisi finanziarie pesantissime, come la Grande Depressione del 1929 e il Lunedì Nero del 1987

Una situazione del genere rende necessaria una regolamentazione: vengono creati enti e organismi di controllo come la SEC (Security Exchange Commission) negli USA e la Consob (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa) in Italia, proprio per monitorare le operazioni finanziarie, che ormai muovono quantità di denaro decisamente importanti. Inoltre, nel 1971 nasce il Nasdaq e la Borsa inizia il passaggio da mercato fisico, fatto di urla e gesti, a elettronico, basato su computer e sistemi di calcolo. 

L’era digitale

Siamo arrivati ai giorni nostri. L’avvento di Internet ha rivoluzionato il modo di operare in Borsa: maggiore accessibilità, transazioni istantanee, spostamenti di capitale senza precedenti e nuovi mercati. Ora che conosciamo a grandi linee la storia, vediamo come funziona la Borsa oggi. 

Come funziona la Borsa?

Per capire il funzionamento della Borsa, prima di tutto è fondamentale comprendere che cos’è. La Borsa potrebbe essere definita come il motore finanziario che collega il mondo delle imprese e quello dei risparmiatori. Questo perché le prime cercano capitale per finanziare la propria crescita – costruire nuovi poli industriali, sviluppare nuovi prodotti, assumere personale – mentre i secondi, invece, cercano opportunità per accrescere il proprio capitale. Per questa ragione, si parla di mercato primario e mercato secondario

Il mercato primario è il “luogo” dove si creano le azioni: quando un’azienda si quota in Borsa per la prima volta, vende le sue azioni – di cui parleremo a breve – direttamente agli investitori che, comprandole, permettono all’azienda stessa di raccogliere i fondi per crescere. Il mercato secondario, invece, è quello di “tutti i giorni”, dove gli investitori si scambiano tra loro le azioni già circolanti (che l’azienda ha emesso per il mercato primario), al fine di trarre profitto dalla compravendita. 

Nel mondo della Borsa, però, non esistono solamente le azioni: una parte consistente dei prodotti finanziari circola, infatti, sottoforma di obbligazioni. Cerchiamo di capire bene la differenza, che è fondamentale.

Cosa sono le azioni?

Come abbiamo visto poco fa, le azioni sono “piccoli pezzetti” di azienda che gli investitori comprano nella speranza di venderle in futuro ad un prezzo più alto. Acquistando anche una singola azione, pertanto, l’investitore diventa socio dell’azienda stessa. In questo modo, l’investitore-socio ha una serie di diritti, come la partecipazione agli utili attraverso i dividendi – che non sempre sono garantiti – e alle assemblee societarie

Ma comprare azioni porta con sé anche una serie di contro, primo fra tutti il rischio. Il prezzo dell’azione della società in questione, infatti, è strettamente collegato alla sua performance: se l’azienda va bene, il prezzo sale, se l’azienda va male, il prezzo scende fino anche ad azzerarsi. Questo avviene perché il suo valore è determinato attraverso la legge della domanda e dell’offerta (ma non solo): più l’azione è richiesta, perché l’azienda ha fatto utili record o ha lanciato sul mercato un prodotto disruptive, più costerà e viceversa. La scarsità del bene circolante determina il suo prezzo. Quanto pagheresti una bottiglietta d’acqua in città? Poco, perché in ogni angolo troverai un bar o un supermercato che la vendono. Ma quanto pagheresti la stessa bottiglia in mezzo al deserto?

Cosa sono le obbligazioni?

Le obbligazioni sono sostanzialmente diverse dalle azioni perchè l’investitore che le compra non diventa socio ma creditore. Cosa significa? Detto semplice, l’azienda emette obbligazioni per lo stesso motivo per cui emette le azioni, cioè per raccogliere capitale, ma con modalità diverse. Acquistare un’obbligazione, infatti, è come fare un prestito all’azienda in questione: io, investitore, presto a te, azienda, questa precisa quantità di denaro sapendo che fra X anni mi verrà restituito. Nel mentre, l’azienda paga all’investitore-creditore delle cedole, cioè degli interessi periodici, che rappresentano il profitto alla base di questa operazione.

La cedola pagata dall’azienda, che può essere intesa un po’ come il tasso di interesse, dipende dall’affidabilità dell’azienda stessa. Concretamente, ciò significa che un’azienda strutturata, in profitto, trasparente e coi bilanci in ordine pagherà meno rispetto a un’azienda più “oscura” e in difficoltà. La stessa cosa vale per i titoli di Stato, che sono obbligazioni emesse dal governo o dal Tesoro per finanziare la spesa pubblica di una Nazione: i titoli di Stato italiani, ad esempio, pagheranno tassi di interesse minori rispetto ai titoli di Stato moldavi, proprio perchè l’Italia è considerato un paese più affidabile e, conseguentemente, la componente di rischio si riduce

Rispetto alle azioni, le obbligazioni sono più sicure e garantite e, per questo motivo, presentano margini di guadagno inferiori. La regola è sempre la stessa: ad alto rischio corrisponde alto rendimento e viceversa

Cosa sono gli indici?

Paragrafo bonus, trasversale rispetto alle nozioni di azione e obbligazione. Quindi, che cos’è un indice? Nient’altro che un insieme – un paniere, per utilizzare uno dei termini più abusati nel settore – di società quotate, se parliamo di azioni, o titoli di debito, se invece si tratta di obbligazioni, raggruppate in base a specifici criteri

In che senso “in base a specifici criteri”? Nel senso che l’S&P500, ad esempio, include le 500 società a maggiore capitalizzazione quotate sul mercato americano, il NASDAQ-100 invece rappresenta le 100 maggiori società non finanziarie quotate sulla borsa del NASDAQ, mentre l’S&P Global Clean Energy Transition raggruppa 100 società attive nel settore dell’energia pulita a livello globale. Per le obbligazioni, dall’altra parte, esistono indici che dividono i titoli di Stato secondo la loro durata: tutti quelli con scadenza a 10 anni, a 30 anni eccetera, eccetera, eccetera.

Chi opera sul mercato? Gli attori principali

Una volta chiare le regole e gli strumenti del gioco, è il momento di conoscere chi partecipa. Naturalmente ci sono le società quotate, senza le quali non esisterebbe la Borsa, che, come abbiamo visto, si lanciano sui mercati finanziari al fine di raccogliere fondi. 

Gli investitori: istituzionali e retail

Ci sono poi gli investitori, che comprano azioni e obbligazioni per incrementare il proprio capitale. Gli investitori si dividono in investitori istituzionali e investitori retail. I primi sono considerati i pesi massimi del sistema finanziario, dal momento che spostano enormi quantità di denaro e sono in grado di influenzare l’andamento dei prezzi delle azioni. Tra questi attori troviamo i fondi comuni di investimento, i fondi pensione o i fondi assicurativi, che investono i soldi dei loro clienti, con l’obiettivo di restituirgli un profitto e guadagnare dalle commissioni. I secondi, invece, sono gli investitori individuali, cioè i piccoli risparmiatori, che investono il proprio capitale nella speranza di ottenere un rendimento futuro.

Se sei un investitore retail – e molto probabilmente lo sei o lo sarai –  ti consigliamo di dare un’occhiata al nostro blog, perché troverai molti articoli che ti aiuteranno a non commettere i soliti errori, come quello sull’importanza della diversificazione o quello sui bias cognitivi in finanza

Gli intermediari finanziari

É il momento di parlare di chi rende possibile investire: gli intermediari finanziari. Questi operatori sono il ponte obbligatorio tra chi emette azioni e obbligazioni e chi le compra. Per vari motivi di natura tecnica, legale e di sicurezza, non è possibile operare in Borsa senza passare attraverso queste entità, che vengono appunto chiamate intermediari. Di chi stiamo parlando? Niente meno che di banche e broker online, che offrono la possibilità ai propri clienti di comprare o vendere prodotti finanziari in cambio, ovviamente, di commissioni. 

A questo punto potresti chiederti con una punta di fastidio: “ma per quale motivo sono obbligato a passare per un intermediario finanziario per comprare o vendere le azioni della Coca Cola?” La risposta, in realtà, è abbastanza semplice: per lo stesso motivo per cui hai bisogno di prendere la patente per guidare. Non puoi semplicemente salire in macchina e premere pedali a caso. E allora potresti farci notare che, una volta presa la patente, la macchina te la guidi in autonomia. E avresti anche ragione. Ma sei in grado di costruirla?

Il punto, insomma, è uno solo: costruire quell’auto significa avere i sistemi informatici ultra-sicuri, le autorizzazioni legali, le connessioni dirette con le Borse e via dicendo. È un’attività complessa, costosissima e strettamente regolamentata. Ecco perché le autorità di vigilanza impongono che solo specifici soggetti, gli intermediari finanziari, possano farlo.

Le autorità di vigilanza

A proposito di autorità di vigilanza, parliamo proprio di loro, cioè di chi si occupa che le regole siano giuste e che, soprattutto, vengano rispettate: se investire in Borsa fosse una partita di calcio, le autorità di vigilanza sarebbero precisamente gli arbitri. Questi arbitri finanziari possono avere una dimensione nazionale, come la SEC per gli USA, la CONSOB per l’Italia e la FCA per il Regno Unito, o sovranazionale, come l’ESMA per l’Unione Europea.  Le loro funzioni ruotano principalmente intorno alla

  • protezione degli investitori/consumatori, vigilando sul comportamento degli intermediari finanziari che offrono servizi;
  • trasparenza del mercato, obbligando le aziende quotate a rendere pubbliche tutte le informazioni rilevanti come bilanci, resoconti trimestrali fino anche alle modifiche nel personale di alto livello;
  • correttezza delle negoziazioni, monitorando il mercato per individuare e sanzionare modi scorretti di operare come l’insider trading – comprare o vendere in anticipo perchè si conoscono informazioni private o protette da segreto aziendale. 

Ma non si finisce mai di imparare

In questo articolo abbiamo provato a spiegare lo scheletro della Borsa, elencando i suoi elementi fondamentali. Va detto, però, che quanto scritto sopra è forse la punta della punta dell’iceberg. Se hai letto questa mini guida perché hai appena finito di vedere The Wolf of Wall Street e speri di ritrovarti fra un anno a sorseggiare un Martini, su un lettino in un resort di lusso in mezzo all’Oceano Pacifico come un fuffaguru qualsiasi, il consiglio è di tornare coi piedi per terra e cominciare a studiare seriamente. 
Intanto, però, potresti iscriverti al nostro canale Telegram: pubblichiamo spesso contenuti del genere, guide, consigli e notizie rilevanti per non farsi cogliere di sorpresa. Alla prossima!

Guerra Russia-Ucraina: gli aggiornamenti

Guerra Russia Ucraina: aggiornamento post-vertice

Weekend intenso per Donald Trump, che in pochi giorni incontra Putin, Zelensky, i leader europei e della NATO. Cos’è successo? Le reazioni dei mercati

Un weekend decisamente caldo quello appena trascorso: uno scatenato Donald Trump ha accolto negli Stati Uniti, in quattro giorni, il Presidente russo Putin, quello ucraino Zelensky, sei leader europei tra cui Giorgia Meloni e il Segretario della NATO Mark Rutte. L’obiettivo? Trovare una soluzione che possa mettere fine alla guerra cominciata più di tre anni fa con l’invasione russa dell’Ucraina. Qui un breve recap di ciò che è successo, con un focus finale sul comportamento dei mercati. 

Trump e Putin: meeting in Alaska a Ferragosto 

Il 15 agosto, in una base americana nei pressi di Anchorage, in Alaska, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e quello della Federazione russa Vladimir Putin hanno avuto un faccia a faccia per discutere della guerra russo-ucraina. Le scene che hanno preceduto il meeting sono state oggetto di grande dibattito, a causa di una quasi inaspettata cordialità di Trump nei confronti di Putin: tappeti rossi, calorose strette di mano, pacche sulla spalla e amichevoli sorrisoni. 

Ma è un dettaglio particolare a incuriosire i media di tutto il mondo: il Presidente USA, in modo volontario e non previsto, ha offerto un passaggio all’omonimo russo sull’epica e indistruttibile limousine presidenziale – chiamata appunto “The Beast” – al riparo da occhi e orecchie indiscreti. Cosa si siano detti in quei dieci minuti di macchina, nessuno potrà mai saperlo. I due, però, sono stati visti ridere serenamente, come amici di vecchia data.

In ogni caso, dalla “conferenza stampa” successiva all’incontro non è trapelato nulla di significativo. Le virgolette non sono casuali: i due non hanno risposto a praticamente nessuna domanda, ma si sono limitati a fare le solite, vaghe dichiarazioni. 

Ha iniziato Putin, lodando l’atmosfera “di rispetto reciproco” e raccontando come, in realtà, l’Alaska fosse in passato una regione russa. È poi passato al tema centrale del summit, cioè la guerra che sta conducendo contro l’Ucraina. Ancora una volta, lo Zar ha rimarcato la necessità di “eliminare le cause profonde” del conflitto come requisito imprescindibile per parlare di pace: riconoscimento della sovranità russa sulle regioni attualmente contese, smilitarizzazione e neutralità di Kyiv, assenza di coinvolgimento militare straniero e nuove elezioni ucraine.

Arriva, quindi, il momento di The Donald. Come riportano numerosi analisti, il POTUS, che ci ha abituato a lunghe dichiarazioni, è stato stranamente di poche parole: “ci sono stati moltissimi punti su cui siamo stati d’accordo”, “grandi progressi“, “incontro estremamente produttivo“.  Insomma, qualche minuto di fumo con poco arrosto, per poi ammettere che nessun accordo era stato raggiunto ma che, comunque, “abbiamo una grandissima possibilità di arrivarci“. 

Trump, Zelensky, Europa e NATO a Washington D.C.

Tra domenica e lunedì, Donald Trump ha discusso della situazione attuale e futura col Presidente ucraino Zelensky, per poi allargare l’invito a sei leader europei – il francese Macron, il tedesco Mertz, l’italiana Meloni, il britannico Starmer, il finlandese Stubb e la Presidente della Commissione U.E. von der Leyen – e al Segretario generale della NATO Rutte

Il tema centrale del summit è stato chiaramente la sicurezza e l’integrità territoriale dell’Ucraina. Infatti, tanto il Presidente Zelensky quanto i rappresentanti europei e della NATO, da mesi stanno esercitando forti pressioni sul Presidente Trump al fine di ottenere le cosiddette garanzie: la pace fra le due parti deve essere raggiunta senza compromettere la sovranità dell’Ucraina e, in prospettiva futura, deve servire a dissuadere la Russia dal ripetere simili invasioni militari. Come? Permettendo a Kyiv di dotarsi di un esercito competitivo, al passo coi tempi e fortemente specializzato, che funga da deterrente. Il problema è che Putin, come abbiamo visto, non ne vuole sapere e chiede tutt’altro.  

What’s next?  

Difficile a dirsi, data la natura criptica di Vladimir Putin e l’atteggiamento incostante di Donald Trump. Tuttavia, nella giornata del 19 agosto, lo stesso Trump ha dichiarato che il Presidente russo avrebbe accettato di partecipare a un faccia a faccia con Volodymyr Zelensky, a cui dovrebbe seguire un trilaterale USA-Russia-Ucraina

Come si legge da un suo post sul social Truth, “al termine degli incontri, ho chiamato il presidente Putin e ho iniziato a organizzare un incontro, in una sede da definire, tra il presidente Putin e il presidente Zelensky. Dopo che questo incontro avrà luogo, avremo un trilaterale, che comprenderà i due presidenti e me stesso”. La notizia sarebbe stata confermata anche dal Primo Ministro britannico Starmer e dal Cancelliere tedesco Mertz.

Come hanno reagito i mercati? 

Per quanto riguarda i mercati finanziari tradizionali, la risposta è stata tutto sommato positiva. I tre principali indici americani – Nasdaq, Dow Jones, S&P500 – hanno accolto con entusiasmo la notizia dell’incontro Trump-Putin in Alaska, salvo poi perdere un po’ di terreno: molto probabilmente, gli investitori si aspettavano risultati più concreti e informazioni meno vaghe dal summit di Anchorage. Stesso discorso per i tre principali indici europei – Parigi, Francoforte e Londra – che, con diverse intensità, stanno mettendo a segno buone performance dalla prima settimana di agosto.   

Situazione diversa lato crypto. Bitcoin, fra il 13 e il 14 agosto, ha toccato un nuovo All Time High superando quota 124.000$, per poi ritracciare e tornare sui 115.600$ dopo aver fallito, per la seconda volta, l’attacco alla resistenza compresa nel range fra i 121.000$ e i 123.000$.  

Anche Ethereum ha tentato l’assalto all’ATH, arrivando a meno di 100$ dal record toccato nel 2021. Attualmente, si aggira intorno ai 4.300$: potrebbe essere molto probabile un secondo attacco ai massimi, dal momento che – facciamo tutti gli scongiuri del caso – la resistenza situata a quota 4.100$ sembra essersi trasformata in supporto

Per quanto riguarda la Total Market Cap, dal momento dell’annuncio – giovedì 7 agosto – siamo passati dai 3,7 trilioni di dollari agli attuali 3,85 con un aumento del 3,8% circa (più o meno 150 miliardi di dollari). Infine, Bitcoin continua a perdere terreno nei confronti delle altcoin: negli ultimi 12 giorni, la dominance di BTC è calata di più di 3 punti percentuali, arrivando al 59,7% – al momento in cui scriviamo. 

Non solo geopolitica

Occorre anche specificare un dato molto importante: il 12 e il 14 agosto, il BLS (Bureau of Labour Statistics) ha pubblicato i dati relativi all’inflazione negli Stati Uniti, comunicando il CPI e il PPI, ovvero il Consumer Price Index e il Producer Price Index. Il primo valore riflette i prezzi all’acquisto, dalla prospettiva dei consumatori, mentre il secondo mostra le variazioni dei prezzi di vendita, dunque dalla prospettiva dei produttori.

Il PPI è importante perché è considerato un indicatore anticipatore dell’inflazione: se chi produce vende a prezzi più alti, chi acquista compra a prezzi più alti, il potere d’acquisto cala e l’inflazione cresce. Questo mese, il PPI è aumentato dello 0.9% rispetto a luglio, contro le previsioni che stimavano “solo” un +0,2%. Queste rilevazioni hanno sicuramente influenzato il comportamento degli investitori, dal momento che un’inflazione più alta riduce le probabilità di tagli ai tassi futuri da parte della FED.

Si intravede uno spiraglio di luce?

Per concludere, Donald Trump riuscirà a far sedere Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky allo stesso tavolo? Siamo sempre più vicini alla pace o è solamente un’illusione? Che ruolo avrà l’Europa in tutto ciò?


Iscriviti al nostro canale Telegram o direttamente a Young Platform cliccando qua sotto per non rischiare di perderti le informazioni che contano!

Segui tutte le pagine social ufficiali di Young

Tutti i Social Ufficiali di Young Platform

La coesa community di Young Platform si muove sui social. Dove trovarci e perché farlo.

La community di Young Platform vive e cresce ogni giorno sui social. È qui che condividiamo notizie, curiosità, approfondimenti e contenuti educativi, ma anche dove dibattiamo sul futuro del nostro ecosistema e ascoltiamo le tue idee.

I nostri canali ufficiali sono spazi aperti, pensati per il dialogo e lo scambio reciproco. Ognuno ha le sue peculiarità, così puoi scegliere dove seguirci in base a ciò che cerchi: aggiornamenti, formazione, interazione o intrattenimento.

Ecco tutti i nostri canali e perché vale la pena seguirli 💚

Seguici nella nostra avventura quotidiana!

Discord: Il cuore pulsante del nostro ecosistema, dove lo scambio di opinioni, riflessioni e idee non si ferma mai. Nonché il primo luogo utile per chiedere supporto tecnico e condividere feedback con il team.

Instagram: imperdibili curiosità, notizie e approfondimenti.

Telegram: il canale che stavi cercando per restare sempre aggiornato sulle ultime novità riguardanti il mondo crypto, la finanza e la situazione macroeconomica globale.

Linkedin: notizie, contenuti dedicati alle imprese, comunicati stampa, collaborazioni e eventi dal vivo con i personaggi più influenti del nostro settore.

X (ex Twitter): il re dei social per quanto riguarda il mondo delle criptovalute, non ha caso soprannominato “Crypto Twitter”. Thread, approfondimenti e tanti meme.

Youtube: video di approfondimento sul settore crypto e le storie più incredibili del mondo della finanza.

Spotify: la casa di Layer 3, il nostro podcast trisettimanale su finanza, macroeconomia e criptovalute!

TikTok: tutti i nostri contenuti video “short”, approfondimenti, notizie spiegate e divertenti meme.

Il team non ti chiederà mai i tuoi dati personali, e-mail o password per accedere al tuo account. Diffida di chi lo fa per non compromettere la sicurezza delle tue criptovalute.

Ethereum compie dieci anni: buon compleanno!

Ethereum compie dieci anni: buon compleanno!

Ethereum è vicino al decimo compleanno! Ci pensi? Dieci anni dal lancio ufficiale della blockchain e del token ETH. Vediamo insieme i momenti chiave!

Il prossimo 30 luglio ricorreranno dieci anni esatti dal lancio ufficiale della blockchain di Ethereum e del suo token nativo ETH. Dieci anni di innovazione e sviluppo che hanno reso l’ecosistema un gigante da più di mille miliardi di dollari. La strada, però, è ancora lunga. In questo articolo, che vuole essere un tributo alla sua storia, ripercorreremo le 10 tappe più significative del percorso di Ethereum e della figura che più lo rappresenta, Vitalik Buterin.  

Vitalik Buterin ed Ethereum: un destino già segnato?

La passione per la crittografia non è così comune come quella per il calcio o per la musica rock. A maggior ragione nel 2013, quando l’argomento non era così popolare e gli strumenti non così diffusi.

L’ambiente, però, può condizionare notevolmente la personalità, le passioni e le esperienze di un individuo, specialmente se poi quest’ultimo è la persona giusta al momento giusto. Questo è il caso di Vitalik Buterin, un ragazzo nato a Kolomna, in Russia, nel 1994 ed emigrato in Canada con la sua famiglia solo qualche anno dopo. 

Perché Vitalik potrebbe rientrare in questa statistica? Perché il padre, Dmitry Buterin, è un ingegnere informatico che ha fondato (e venduto) tre aziende multimilionarie e che – legittimamente – si definisce un “serial tech entrepreneur”. La passione di Dmitry per la tecnologia e la Computer Science lo ha portato, nel 2011, a scoprire Bitcoin e a condividere questa “scoperta” col figlio Vitalik, ai tempi 16enne. 

Bene, come anticipato, Vitalik era la persona giusta al momento giusto: in terza elementare viene inserito in una classe speciale di bambini plusdotati (in inglese gifted) dove sviluppa la sua passione per la matematica e la programmazione. In quinta elementare ha già il titolo di “math genius”. A 16 anni è in grado di comprendere perfettamente la natura e il potenziale di Bitcoin tanto da fondare, a 17 anni, una rivista dedicata: Bitcoin Magazine, attiva ancora oggi.

A 19 anni, nel 2014, Vitalik Buterin pubblica il whitepaper di Ethereum     

Ethereum: A Next-Generation Smart Contract and Decentralized Application Platform”. Così inizia il whitepaper che Vitalik, nel 2014, rende pubblico alla Bitcoin Conference di Miami.

Ma da cosa nasce la necessità di creare Ethereum? 

Da un assunto che, col senno di poi, può sembrare molto semplice. Vitalik da una parte riconosce il valore di Bitcoin come valuta digitale peer-to-peer e come blockchain basata sul meccanismo di consenso Proof-of-Work. Dall’altra, però, è consapevole dei suoi limiti e del bisogno di ampliarne le funzioni.  

“Ciò che Ethereum intende offrire”, si legge nel whitepaper, “è una blockchain dotata di un linguaggio di programmazione integrato e Turing-completo, che può essere utilizzato per creare “contratti” in grado di codificare funzioni di transizione di stato arbitrarie. Questo consente agli utenti di realizzare qualsiasi sistema […] semplicemente scrivendone la logica in poche righe di codice”. In pochissime e semplici parole, l’idea era quella di sviluppare un mega computer globale e decentralizzato

L’interesse fra gli addetti ai lavori, che hai tempi erano ancora considerati come parte di una nicchia, è incredibile: la Thiel Fellowship, associazione creata da uno dei king della Silicon Valley nonché fondatore di PayPal e Palantir Peter Thiel, gli offre una borsa di studio da 100.000$ per portare avanti il progetto. È l’inizio di una storia epica. 

Profit or no-profit, questo è (primo) il dilemma

Siamo sempre nel 2014, le cose si fanno via via più serie. Vitalik e gli altri sette co-founder si riuniscono a Zug, in Svizzera, il 7 giugno per compiere un’importante passo: trasformare Ethereum in un’azienda for-profit e iniziare a guadagnarci sopra.

Come riferirà in un’intervista Joe Lubin, uno dei co-founder, “Io, con diverse persone del team, credevo che fosse necessario attirare le aziende, che servisse un riscontro economico e commerciale per riuscire a costruire cose migliori”. 

Ma Vitalik, il primus inter pares fra i co-founder, la mente dietro tutto quanto, non è d’accordo. Così esce in balcone, si ferma a riflettere e poi rientra. La decisione è presa: Ethereum deve essere una fondazione no-profit. Subito dopo, caccia Amir Chetrit e Charles Hoskinson – che poi fonderà Cardano – dal progetto. Nasce la Ethereum Foundation.  

La ICO e il lancio ufficiale

Verdetto emesso, riunione chiusa, è ora di iniziare a costruire qualcosa di significativo. Il primo step è ovviamente raccogliere quanto più capitale possibile. Il 22 luglio 2024 comincia la ICO di Ethereum che termina il 2 settembre dello stesso anno: in 42 giorni, la Ethereum Foundation riesce ad attrarre finanziamenti per circa 18 milioni di dollari in BTC, scambiando agli investitori 2.000 Ether per 1 Bitcoin (1 ETH = 0,31$). 

Il 30 luglio 2015, diciotto mesi dopo l’annuncio, la blockchain di Ethereum e il suo token nativo Ether vengono ufficialmente lanciati con la fase Frontier. In quel giorno, Ethereum, da che era un progetto su un documento di 36 pagine, diventa a tutti gli effetti una rete operativa e accessibile agli sviluppatori. Il grande pubblico avrebbe dovuto aspettare circa 9 mesi per la fase Homestead, che avrebbe introdotto un’interfaccia grafica più user-friendly.

L’hack di The DAO…

L’hack di The DAO è una storia talmente incredibile che meriterebbe un contenuto dedicato – magari in futuro. In ogni caso, siamo a maggio 2016, Ethereum non ha neanche un anno di vita ma nell’aria si sente già il profumo di innovazione e rivoluzione: Slock.it, un’azienda pioniera dell’esplorazione della blockchain, lancia The DAO su Ethereum con l’obiettivo di raccogliere fondi da investire in start up innovative

Per dirla brevissima – se vuoi approfondire ti rimandiamo all’articolo sulle organizzazioni autonome decentralizzate (DAO) – The DAO è stata la prima organizzazione della storia totalmente decentralizzata, non gerarchica e disponibile su scala globale. Il funzionamento era abbastanza semplice: investendo ETH in Slock.it, si riceveva in cambio l’equivalente in TheDAO, il token che serviva per operare. 

L’aspetto rivoluzionario risiede nel fatto che, possedendo TheDAO, per la prima volta i membri avevano diritto di voto sulla strada che The DAO avrebbe dovuto intraprendere: alla proposta “volete investire un numero X di ETH in questa start up con la promessa di ricevere X+10 ETH fra 6 mesi?”, gli holder di TheDAO potevano dire la loro. Adesso ci sembra scontato, soprattutto dall’esplosione della DeFi, ma nel 2016 è veramente un qualcosa nuovo, al punto che la ICO di TheDAO riesce a raccogliere in quattro settimane circa 150 milioni di dollari – 12 milioni di ETH. Ma era tutto troppo bello per essere… duraturo. 

Arriviamo al 17 giugno 2016. Un giorno apparentemente normale, è passato un mese dal lancio di The DAO, ma improvvisamente qualcuno si accorge di qualcosa: gli Ether bloccati nello smart contract iniziano a sparire o, per meglio dire, ad essere trasferiti ad un ritmo di 100 ETH al secondo. C’è un attacco hacker in corso. Nel panico generale, però, un gruppo di eroi decide di prendere la situazione in mano: si tratta del Robin Hood Group (RGH) capitanato da Griff Green, community manager di Slock.it. Perché Robin Hood Group? Perché la loro strategia di contrattacco è tanto semplice quanto efficace: togliere gli ETH da The DAO prima che lo faccia l’hacker cattivo. 

Inizia una furiosa battaglia fra il bene e il male fatta di tecnicismi e mosse che, come suggerito sopra, magari tratteremo un’altra volta. Ciò che conta, è che alla fine dello scontro il Robin Hood Group riesce a mettere in salvo il 70% degli ETH disponibili, mentre l’hacker se ne torna a casa con un 30%, equivalente a circa 2 milioni di Ether. Il prezzo del token, a causa di quanto accaduto, perde più della metà del valore, passando da 20$ a 9$.

…E il (secondo) dilemma: to Fork or not to Fork?

Alla fine della guerra fra “bene” e “male”, la community di Ethereum si trova di fronte a un secondo dilemma amletico: procedere col Fork o preservare l’immutabilità della chain?

Ma perchè questa domanda esistenziale? Per un cavillo interno alla DAO: gli ETH prelevati – nel caso dell’hacker, rubati – non erano immediatamente utilizzabili, ma dovevano rimanere bloccati per 28 giorni in un contract secondario.

Quindi, sulla base di ciò, l’hard fork – cioè la creazione di una nuova chain – avrebbe reso possibile “riscrivere le regole del gioco” e recuperare i fondi rubati. Come? Semplicemente inserendo una regola specifica: gli ETH bloccati sul contract secondario sarebbero stati reindirizzati a un wallet sicuro invece di essere trasferiti al wallet dell’hacker. 

Qui il dilemma etico: da una parte, il Fork avrebbe consentito il recupero dei fondi rubati, dall’altra, avrebbe compromesso quello che forse è il principio cardine su cui si fonda la blockchain, cioè l’immutabilità della chain. I sostenitori del “Not to Fork” sottolineavano proprio questo aspetto: “se cambiamo le regole del gioco, quindi se violiamo il principio di immutabilità adesso, chi ci garantisce che non succederà in futuro?

Alla fine, la community vota in maggioranza per il Fork: a partire dal blocco 1.920.000, la blockchain di Ethereum si sarebbe scissa in due: quella che oggi conosciamo col nome di Ethereum (ETH) ed Ethereum Classic (ETC).  

I CryptoKitties mandano in delirio la community ed Ethereum si congestiona 

Menzione d’obbligo per i CryptoKitties, la prima collezione NFT di sempre mai rilasciata sul mercato. Per dare un contesto, siamo nell’ottobre del 2017 e a Waterloo, in Canada, ha luogo l’ETHWaterloo, definito come il “World’s Largest Ethereum Hackathon”.

L’hackathon, qualora non lo sapessi, è un evento in cui vari sviluppatori si riuniscono per competere – ma anche collaborare – al fine di trovare soluzioni a problemi specifici o creare nuovi progetti. È una crasi fra le parole “hack” e “marathon”, proprio perché i partecipanti lavorano e programmano per un periodo di tempo compreso fra le 24 e le 48 ore. Al termine, si decretano i vincitori che, solitamente, ricevono premi in denaro.

Durante l’ETHWaterloo, il team dietro CryptoKitties, Axiom Zen, testa ufficialmente il programma di fronte a centinaia di sviluppatori e addetti ai lavori: si tratta di un gioco su blockchain in stile Tamagochi, in cui l’utente compra questi gatti-NFT e, fondamentalmente, li alleva, ci interagisce e li scambia. Ogni CryptoKittie possiede delle caratteristiche uniche che danno più o meno valore all’asset stesso: insomma, l’NFT per eccellenza da cui poi ha preso spunto la wave che ha avuto il picco di popolarità nel 2021-2022 – tra Bored Apes e CryptoPunks – feel old yet?  

Delirio totale. I presenti non hanno mai visto una cosa simile: il gioco funziona su blockchain e, come se non bastasse, l’interfaccia è estremamente user-friendly. Nell’aria la FOMO si può toccare con mano. 

Un mese dopo, i CryptoKitties vengono ufficialmente lanciati su Ethereum: una settimana dopo sono stati spesi circa 4,5 milioni di dollari su questi NFT, con un incremento sei volte maggiore delle transazioni in pending. Due settimane dopo il gioco supera i 150mila utenti registrati, con più di 260mila CriptoGatti “adottati” e un giro di soldi pari a 15 milioni di dollari. A un mese dal lancio, le transazioni legate alla compravendita di CryptoKitties rappresentano il 13% di tutte le transazioni su Ethereum. Qui, però, cominciano i problemi. 

Con tutta questa attività, il network di Ethereum comincia a rallentare fino a congestionarsi: le transazioni sono aumentate a dismisura e, con esse, le gas fees. La viralità dei CryptoKitties, infatti, ha fatto emergere un problema fondamentale costitutivo della blockchain: la scalabilità. Grazie a questo episodio, gli sviluppatori sono riusciti a comprendere quanto fosse necessario attivarsi per evitare situazioni del genere in futuro.  

DeFi Summer: quando la DeFi è diventata la… DeFi

Facciamo un salto di tre anni, dal 2017 al 2020. Non che in quel periodo non sia successo niente, anzi: escono degli aggiornamenti di sistema, tra cui Byzantium e Constantinople, che migliorano notevolmente le performance e, in generale, la rete. Nel 2020, però, succede qualcosa di straordinario che passerà alla storia come la DeFi Summer

Una breve premessa. La DeFi su Ethereum già esisteva e girava principalmente intorno a tre elementi: gli NFT, i protocolli di lend and borrow e gli exchange decentralizzati (DEX). Del primo dei tre abbiamo già parlato abbondantemente coi CryptoKitties.

Per quanto riguarda il lend and borrow, impossibile non menzionare MakerDAO, un protocollo attivo già dal 2017 attraverso cui gli utenti potevano prendere in prestito varie crypto o guadagnare interessi depositandole. Infine, uno fra i primi DEX lanciati sulla DeFi di Ethereum era EtherDelta, che però ha avuto un tragico epilogo: hack subito nel 2017 e founder condannato per gestione di exchange non autorizzato nel 2018 – in quello stesso anno verrà lanciato Uniswap. 

Torniamo al 2020. Fino a quel momento, come abbiamo visto, la DeFi era già realtà e faceva anche numeri interessanti: il TVL (Total Value Locked) su Ethereum oscillava fra i 400 e i 700 milioni di dollari. Verso febbraio 2020, però qualcosa inizia a muoversi. I protocolli già operativi, come Uniswap, Compound e Synthetix, iniziano a migliorare nettamente, arriva anche Yearn.finance e sempre più persone si avvicinano a questo mondo, desiderose di mettere a rendita le proprie crypto.

Il 15 febbraio 2020 il TVL supera il miliardo di dollari. Ma poi arriva il COVID. Il cigno nero genera il panico totale e, di conseguenza, il crash della DeFi. In un mese, il TVL si dimezza, arrivando a toccare quota 400 milioni di dollari. 

Col COVID, però, si sono verificate anche due cose particolari: il lockdown e gli aiuti di stato – leggi liquidità – per sopravvivere all’emergenza. Questo significa che, improvvisamente, un grandissimo numero di persone si è ritrovato ad avere un’enorme quantità di tempo libero e un bel po’ di soldi in tasca da spendere. La DeFi, così come il mercato crypto e quello finanziario, recupera immediatamente e parte verso la Luna: signore e signori, via alla DeFi Summer!

A metà maggio, il TVL torna ai livelli del febbraio 2020. A metà giugno, supera il miliardo di dollari. A metà luglio, sfonda il tetto dei 2 miliardi. Ormai l’afflusso di denaro nella DeFi sembra inarrestabile. Il 14 agosto, il TVL su Ethereum raggiunge i 4,5 miliardi. Il giorno dopo, il 15 agosto, siamo a 5,5 miliardi! Un miliardo in un giorno! Tra settembre e ottobre 2020 c’è una leggera flessione, naturale, ma a novembre 2020 i miliardi diventano 11. È solo la prima parte di un viaggio che culminerà un anno dopo, nel novembre 2021, con un TVL pari a 107 miliardi di dollari

The Merge: il 15 settembre 2022 cambia il meccanismo di consenso

Il Merge – letteralmente “fusione” – è un evento di enorme rilevanza per la storia di Ethereum e della blockchain in generale: si tratta, appunto, della fusione di due chain parallele – la mainnet, cioè quella principale, e la Beacon, quella di test – finalizzata al passaggio dal Proof-of-Work (PoW) a Proof-of-Stake (PoS). Parliamo quindi di un cambiamento radicale del meccanismo di consenso e, di conseguenza, della natura stessa del protocollo. 

L’idea non era una cosa dell’ultimo momento, dato che Vitalik aveva già proposto la transizione a PoS nel 2016. Tuttavia, avviene solamente 6 anni dopo, a seguito di ben due anni di esperimenti sulla Beacon chain, la test-net parallela.

L’esigenza di un meccanismo PoS era fondamentalmente legato a due ragioni: ridurre l’impatto ambientale, anche per una questione di regolamentazione e potenziali seccature, e aumentare la scalabilità, che la forma PoW limitava a 15 transazioni al secondo. Il 15 settembre 2022, finalmente, si entra in una nuova era: in corrispondenza del blocco 15.537.393, Ethereum diventa ufficialmente una chain basata su consenso Proof-of-Stake

Il Merge ha avuto un impatto considerevole sul consumo energetico, drasticamente ridotto del 99,9%; sulla scalabilità, con implementazione di soluzioni Layer-2 e aumento potenziale a 100.000 transazioni al secondo; sulla natura del token ETH, adesso più soggetto a deflazione (gli ETH delle gas fee ora vengono bruciati e non dati ai miner), e sulla sua valutazione, per via di tutto ciò che abbiamo detto finora. 

BlackRock ha deciso: Ethereum è la chain giusta

Nel marzo 2024 BlackRock, uno dei fondi di investimento più grandi al mondo, lancia il suo primo fondo tokenizzato e sceglie proprio Ethereum. Si tratta di un evento importantissimo per la storia della blockchain: i grandi player istituzionali hanno capito che il futuro della finanza passa anche da lì. Il fondo ha un nome particolare: BlackRock USD Institutional Digital Liquidity Fund, o BUIDL. Un meme che diventa realtà – un po’ come il Department Of Government Efficiecy, o DOGE, di Elon Musk.

Il fondo, fermo a quota 500 milioni per mesi, ha visto una crescita incredibile a partire da marzo 2025: in due mesi, il TVL si è sestuplicato, arrivando a toccare quota 3 miliardi di dollari. Al momento in cui scriviamo, BUIDL si aggira sui 2,39 miliardi, di cui 2,16 bloccati su Ethereum (più del 90%), 68,5 milioni sulla rete di Polygon e 53,9 milioni su Aptos

La SEC approva gli ETF Spot su Ethereum

Dopo l’approvazione degli ETF Spot su Bitcoin, è il turno di quelli su Ethereum: il 23 maggio 2024 la SEC (Securities and Exchange Commission) dà il via libera a nove ETF tematici su ETH, che vengono lanciati ufficialmente sul mercato due mesi dopo, il 23 luglio. Tra gli emittenti troviamo ovviamente BlackRock, Van Eck, Digital Currency Group (Grayscale), FMR LLC (Fidelity) e Invesco

Si tratta di un passo importantissimo che testimonia l’interesse istituzionale per ETH come asset e che, di conseguenza, legittima ancora di più l’universo che ruota intorno alla blockchain e alle criptovalute. Al momento in cui scriviamo, gli ETF Spot su Ethereum hanno raccolto un totale di 16,7 miliardi di dollari in AUM (Asset Under Management). Per dare un metro di paragone, gli ETF Spot su Bitcoin si attestano intorno ai 151 miliardi di dollari – quasi dieci volte tanto. 

Il nostro modo di festeggiare i dieci anni di Ethereum

Noi di Young Platform abbiamo particolarmente a cuore Ethereum, dato che il nostro token YOUNG (YNG) è costruito proprio su Ethereum secondo lo standard ERC-20. Inoltre, nel caso non ti fosse arrivata la notizia, dal 17 luglio YNG è ufficialmente disponibile su Uniswap e tracciabile su Coinmarketcap e Dexscreener.

Per questi motivi, solo per oggi sulla nostra app sarà disponibile una missione a tema Ethereum che ti permetterà di guadagnare delle gemme, cuore pulsante del nostro concorso a premi The Unbox. Nel link trovi tutte le informazioni necessarie per provare a vincere ricompense incredibili: se al nono posto si vincono le Airpods Max, riesci a immaginare cosa abbiamo pensato per il primo posto? Se non l’avessi ancora fatto, ti consigliamo di dare un’occhiata – e partecipare!

Ricordati di iscriverti al nostro canale Telegram e a Young Platform cliccando qui sotto!

+40% in cinque giorni: parliamo di Ethena (ENA)

+50% in quattro giorni: parliamo di Ethena (ENA)

ENA, il token di governance emesso da Ethena, negli ultimi giorni ha fatto un +40%, passando da un valore di 0,45$ agli attuali 0,63$. Cos’è successo? 

Ethena e il suo token hanno decisamente attirato la nostra (e non solo) attenzione: dal 24 al 29 luglio ENA ha messo a segno un +40%. In questo articolo capiremo insieme le cause dietro questa esplosione, in modo semplice e veloce. Possiamo iniziare!

Ethena, un po’ di contesto: di cosa stiamo parlando? 

Per dirlo con le loro parole, Ethena è un protocollo su Ethereum che emette un dollaro sintetico, l’USDe, e un asset di risparmio globale in dollari, chiamato sUSDe, offrendo così soluzioni monetarie crypto-native. Ok, tanta carne al fuoco: cosa significa nel concreto tutto ciò? Vediamolo pezzo per pezzo. 

USDe

Partiamo con USDe, uno dei due prodotti principali di Ethena. Detto facile, USDe è una stablecoin ancorata al dollaro, totalmente crypto-nativa e fully-backed. Quest’ultima caratteristica, traducibile come “completamente garantita”, fa riferimento al fatto che per ogni USDe circolante esiste un valore equivalente in altri asset sottostanti: Bitcoin, Ethereum, Solana, USDT e USDC.

Il peg, cioè l’ancoraggio al prezzo del dollaro, è mantenuto grazie al delta hedging, in italiano “copertura delta”, un meccanismo dal nome complesso che in realtà è molto semplice. Immagina di essere il signor (o la signora) Ethena e possedere 1.000 USDe, che naturalmente valgono 1.000$ (1 USDe = 1$). Questi 1.000 USDe devi “coprirli”, cioè devi fornire degli asset equivalenti per valore che giustifichino il prezzo di USDe: un mix di Bitcoin, Ethereum e Solana

Domanda: cosa succederebbe se i tre asset – BTC, ETH e SOL – salissero o scendessero? Risposta: cambierebbe il valore di USDe o, in parole più difficili, il delta sarebbe positivo. Ethena, invece, vuole mantenere il delta neutro. In che modo? Aprendo delle posizioni short per ciascun asset, per lo stesso valore, non appena acquisisce questi stessi asset – come quando qualcuno deposita ETH per coniare USDe. 

Così, se il valore degli asset sale, il guadagno viene compensato dalla perdita sulle posizioni short. Viceversa, se il valore scende, la perdita sugli asset viene bilanciata dal guadagno sulle posizioni short. Il delta ora è neutro e USDe mantiene il suo valore, indipendentemente dalle fluttuazioni del mercato.  

Esempio coi numeri, per capirci: 

  • Depositi 1 ETH e ricevi 3.800 USDe (che valgono 3.800$) → delta positivo
  • Ethena mantiene il tuo 1 ETH come garanzia e, contemporaneamente, apre una posizione short su 1 ETH nel mercato dei futures, per un valore di $3.800delta negativo
  • Risultato Finale: stabilità a $3.800 perchè se ETH sale a $4.000 il tuo ETH guadagna $200, ma la posizione short di Ethena perde $200 (totale: $3.800). Se invece ETH scende a $3.600, il tuo ETH perde $200, ma la posizione short di Ethena guadagna $200 (totale: $3.800) → delta neutro.

USDtb 

Anche USDtb è una stablecoin ancorata al dollaro statunitense e basata su blockchain. La differenza fondamentale con USDe riguarda la collateralizzazione. USDtb è chiaramente fully backed proprio come USDe, ma in modo diverso: la copertura non è garantita né da dollari né da criptovalute, ma dai fondi del Tesoro USA tokenizzati. Il collaterale specifico scelto, per ora, è il fondo BUIDL di BlackRock integrato con una riserva di stablecoin – USDC e USDT – necessaria a garantire liquidità immediata per le operazioni come la conversione di USDtb in dollari USA o in altre stablecoin. 

Ora capiremo perché USDtb è la causa del pump di ENA di questi giorni.

Perchè ENA ha fatto il +40% in quattro giorni?

Innanzitutto, cos’è ENA? Molto semplicemente, ENA è il token di governance di Ethena. Gli holder di ENA, infatti, hanno diritto di voto su alcune questioni fondamentali, come le proposal relative alla tokenomics e l’elezione dei membri della Commissione del Rischio (Risk Committee), un board di sei entità, elette dagli holder di ENA due volte all’anno, che si occupa di monitorare e gestire le componenti di rischio, con un focus sulla collateralizzazione di USDe. ENA, infine, può anche essere messo in staking in cambio di sENA per generare rendimenti.  

Teoricamente, il token di governance non dovrebbe essere soggetto a variazioni di prezzo importanti, proprio perché la sua utilità è legata esclusivamente alle attività di gestione e governo del protocollo. In pratica, però, questa tipologia di token – proprio come nel caso di ENA – può mettere a segno percentuali a due cifre, verso l’alto o verso il basso. Perchè?

In primo luogo, perché avere il diritto di voto sulle proposte centrali che definiranno il futuro del progetto può essere un incentivo rilevante a detenerlo, soprattutto se si ritiene che il progetto stesso sia destinato ad occupare una posizione importante nel panorama.   

In secondo luogo perché, in modo molto “emotivo”, il token di governance beneficia del prestigio riflesso della società che rappresenta. Per dirla malissimo, ma in modo che renda l’idea, i governance token sono percepiti dagli investitori come le azioni di una società quotata in borsa: “la società sta andando bene? Penso che in futuro varrà di più? Allora compro il token di governance”. Ecco perché ENA in questi quattro giorni ha fatto un +40%. Ma ora la domanda è: perché c’è tutto questo hype su Ethena?

Ethena Labs x Anchorage Digital: una partnership storica

Giovedì 24 luglio Anchorage Digital, una piattaforma – definita anche crypto-banca – valutata circa 3 miliardi, che si occupa prevalentemente di custodia, trading istituzionale e staking di criptovalute, ha annunciato al mondo la collaborazione con Ethena.  

Volendo essere più precisi, ha comunicato il lancio del suo nuovo servizio per l’emissione di stablecoin: Ethena è il primo partner scelto per questa nuova funzionalità. Ciò che è veramente rilevante è che, attraverso Anchorage Digital, Ethena potrà finalmente emettere USDtb negli Stati Uniti e sarà la prima stablecoin totalmente conforme al GENIUS Act, una legge federale che definisce un quadro normativo completo per le stablecoin ancorate al dollaro. Questo passo, definito da molti “spartiacque”, apre la strada all’utilizzo delle stablecoin – per ora solo di USDtb – a livello istituzionale, nel framework legale istituito dal GENIUS Act. 

Arthur Hayes ci ha visto lungo

Il giorno stesso dell’annuncio, Arthur Hayes, co-founder di BitMEX e figura di rilievo all’interno dell’universo crypto, ha acquistato circa 2,16 milioni di ENA per un valore di più di un milione di dollari. Subito dopo, il token ha registrato un +8% – probabilmente anche a causa dell’effetto a catena sulla community. Al momento in cui scriviamo, ENA è su del 40% rispetto a quel giovedì 24 luglio. Giusto per non aumentare il carico di FOMO, lo stesso Hayes ha previsto che ENA potrebbe raggiungere e superare la soglia di 1$ nel breve periodo. Vedremo. 

E tu invece? Cosa ne pensi a riguardo? Hai già comprato ENA perché pensi sia l’inizio di una nuova fase? Oppure è solamente un momento di hype ingiustificato?  
Nel dubbio, iscriviti al nostro canale Telegram perchè la situazione è troppo interessante per non essere motivata. In alternativa, anche se una cosa non esclude l’altra, ENA è listata sull’exchange di Young Platform: registrati qui sotto!

Meme Stock Mania: ritorno di fiamma?

Meme Stock Mania: ritorno di fiamma?

La Meme Stock Mania sta tornando? Stiamo per rivivere l’incredibile trend del 2021? Analizzando alcune chart, sembrerebbe di sì: diamo un’occhiata!

La Meme Stock Mania è stato un fenomeno pazzesco esploso nei primi mesi del 2021, quando milioni di investitori retail si sono coordinati attraverso Reddit e X e hanno comprato in massa azioni come GameStop e AMC: lo straordinario e improvviso acquisto collettivo ha portato i titoli a guadagnare percentuali a tre cifre in pochissimo tempo, generando perdite enormi agli hedge fund che, invece, avevano aperto posizioni short. Oggi, a distanza di anni, alcune chart sembrano confermare un revival del trend. Vediamo insieme cosa sta succedendo. 

Cos’è una meme stock? E cos’è successo nel 2021? 

Prima di partire in quarta e capire cosa sta succedendo, è necessario dare rapidamente un po’ di contesto. Innanzitutto, che cos’è una meme stock? Una meme stock è una società quotata in borsa che diventa virale a causa dell’elevato interesse social – il sentiment – su di essa. Tale popolarità spinge i membri delle varie community – anche milioni di utenti – ad acquistare le sue azioni per partecipare al meme, senza analisi e valutazioni di alcun tipo. 

Ma c’è anche qualcosa di più profondo dietro questo comportamento: a differenza dei trend popolari di TikTok, come i balletti in spiaggia e i vari “ciao sono Vitalik e questo è il mio primo drink”, la viralità che una meme stock guadagna può essere supportata da motivazioni quasi ideologiche. Utilizziamo l’esempio del 2021 per spiegare questa sfumatura. 

Il destino sembrava segnato

Ti sei mai chiesto perché proprio GameStop? Cioè perché, fra migliaia di società quotate, il subreddit r/wallstreetbets abbia scelto proprio la celebre catena di negozi di videogiochi? Perché prima dell’e-commerce, GameStop era il paradiso del gamer, un posto magico dove potevi comprare il nuovo GTA o la nuova Playstation. 

GameStop, per i nati negli anni ‘80 e ‘90, è un simbolo dell’infanzia e dell’adolescenza, un luogo che porta con sé i ricordi felici del periodo più bello. 

Tuttavia, con l’avvento di internet, dello streaming e dello shopping online, sono cambiate le abitudini di consumo e i rivenditori fisici di prodotti connessi al gaming – ma non solo – sono entrati in una fase di irreversibile declino. Arriviamo a gennaio del 2021, quando i grandi fondi di investimento erano fortemente short sulle azioni di GameStop (GME), proprio perché fiutavano il collasso della società. Il crollo era questione di settimane e gli hedge fund continuavano a guadagnarci sopra. Il destino sembrava segnato

Gennaio 2021: “I like the stock”

Ma qualcosa di assurdo stava per accadere. La community di r/wallstreetbets si accorge di tutto ciò e capisce che, forse, il finale era ancora da scrivere. Era il momento di dare una lezione agli squali di Wall Street: GameStop diventa l’emblema della ribellione

In massa, migliaia di retailer iniziano a comprare azioni GME, aprono posizioni long folli, continuano ad acquistare anche quando sono in perdita. Si supportano a vicenda al suono di “HODL”, “Diamond Hands”, “I like the stock”. I migliaia diventano centinaia di migliaia, poi milioni. GME diventa virale.  

Il titolo è oggetto di una pressione al rialzo clamorosa, gli hedge fund sono costretti a chiudere le loro posizioni short con perdite di miliardi di dollari. Nel mese di gennaio, GME guadagna qualcosa come il 2.500% e le azioni passano da 4,5$ a 120$ in meno di due settimane – stiamo parlando di finanza tradizionale, non di criptovalute. Davide ha vinto contro Golia.

Qual è la situazione attuale? 

Sembra che gli investitori retail stiano tornando a coalizzarsi intorno ad alcune società con caratteristiche particolari, come nel 2021: si tratta infatti di aziende in perdita, pesantemente shortate dagli hedge fund e che negli ultimi giorni hanno visto una crescita percentuale del titolo superiori anche al 500%. Questa volta, però, non c’è di mezzo GameStop ma Opendoor Technologies, Kohl’s e Krispy Kreme. Entriamo nel dettaglio.

Opendoor Technologies (OPEN)

Le azioni di questa società, che opera nel settore immobiliare online, dal dicembre 2023 ai primi di luglio 2025 sono arrivate a perdere quasi il 90% del proprio valore, passando da circa 5$ a 0,51$. Dal 15 luglio, però, si nota uno spike nei volumi: qualcuno sta acquistando tanto. Un paio di giorni dopo arriva lo short squeeze. Il 21 luglio OPEN torna a quota 5$. In una settimana ha guadagnato il 547%. Al momento in cui scriviamo, a seguito di – prevedibili – take profit, il valore dell’azione si aggira intorno ai 2,5$

Kohl’s (KSS)

Pattern simile per quanto riguarda Kolh’s, nota catena americana di grandi magazzini: dopo aver perso l’80% del valore da dicembre 2023 ad aprile 2025, scendendo da 29,4$ a 5,6$, KSS recupera un po’ di terreno tornando a quota 9,8$. Poi il classico short squeeze con un +126% in 24 ore. Il 22 luglio un’azione KSS valeva 22$ – oggi 13,6$.  

Krispy Kreme (DNUT)

Anche qui, stesse dinamiche per le azioni di Krispy Kreme, franchise di produttori di ciambelle. Dopo più di un anno di cali in cui il prezzo del titolo scende dell’85%, da 17$ a 2,3$, a luglio DNUT ha messo a segno un +114%: solo tra il 21 e il 23 luglio, la quotazione è salita dell’85% a 5,7$, in seguito al solito short squeeze. Adesso siamo sui 4,3$.

Se torna la Meme Stock Mania ne vedremo delle belle

È molto poco probabile che si ripeterà una Meme Stock Mania paragonabile al 2021, dal momento che quella volta si percepiva un coinvolgimento veramente ideologico e identitario del “noi contro loro”, del Davide contro Golia, dei “Retards” e delle “Apes” – i folli investitori retail – contro i grandi fondi di investimento come Melvin Capital e simili. 

Tuttavia, come abbiamo appena visto, qualcosa si sta effettivamente muovendo: i piccoli trader si stanno organizzando per agire in modo coordinato, convinti che l’unione faccia la forza. Cosa ci riserverà il futuro? Non lo sappiamo, ma nel dubbio prepariamo i pop corn.

Per restare sul pezzo e non perderti notizie rilevanti, iscriviti al nostro canale Telegram o anche a Young Platform qui sotto!