Pensione e pensionamento: come stiamo messi?

Pensione e pensionamento: come stiamo messi?

Pensione e pensionamento, due degli argomenti preferiti dagli italiani: qual è la situazione attuale? Il sistema è sostenibile? 

La pensione e il pensionamento sono due temi su cui gli italiani adorano lamentarsi: “La pensione la vedremo con il binocolo!” o anche “di questo passo lavoreremo fino a 100 anni!” per esempio. Ma questi luoghi comuni hanno un fondo di verità? Il nostro sistema pensionistico è sostenibile? Vediamo cosa ci dicono i dati.

Pensione: chi la eroga e come? Cos’è il sistema pensionistico?

La pensione viene erogata dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), l’ente pubblico che gestisce la previdenza sociale e l’assistenza per i lavoratori – dipendenti e autonomi – e per i pensionati. Infatti, oltre alle pensioni, l’INPS si occupa delle indennità di disoccupazione, dell’assistenza sociale e di altre forme di sostegno al reddito. 

Il sistema pensionistico, nello specifico, nasce più di un secolo fa con lo scopo di garantire un sostegno economico ai lavoratori al momento in cui questi terminano l’attività lavorativa, per cause legate all’età o per motivi di salute. 

Il principio alla base di questo sistema è detto “principio della solidarietà intergenerazionale” e si fonda soprattutto sulla ripartizione: in parole semplici, ciò vuol dire che i contributi versati dai lavoratori di oggi servono a pagare le pensioni dei lavoratori di ieri, cioè gli attuali pensionati. Si crea, quindi, una sorta di legame finanziario che unisce le varie generazioni

E qui dovrebbe già scattare il primo campanello di allarme: dato che il sistema si regge sull’equilibrio demografico tra chi lavora – e paga i contributi – e chi è in pensione, cosa succede se i secondi eguagliano o superano i primi? Lo vedremo a breve, perché è il nucleo di questo articolo. 

I tre pilastri  

La Banca Mondiale, nei primi anni duemila, ha pubblicato un articolo dal nome “The World Bank Pension Conceptual Framework” in cui suggeriva le linee guida per la creazione di un sistema pensionistico ottimale, fondato su sei criteri e cinque pilastri

I pilastri vanno dal pilastro zero al pilastro cinque e definiscono una struttura pensionistica che combina strumenti pubblici, privati e informali per garantire sicurezza economica, sostenibilità e protezione

I criteri, detti anche di valutazione primaria, sono utilizzati per giudicare le progettazioni dei sistemi pensionistici: adeguatezza, accessibilità economica, sostenibilità, equità, prevedibilità e robustezza.

Secondo questa classificazione, il sistema italiano possiede il primo, il terzo e il quarto pilastro, mentre sono assenti il pilastro zero e il secondo.

Il primo pilastro fa riferimento alla previdenza pubblica obbligatoria, cioè al sistema pensionistico pubblico gestito dall’INPS e responsabile dell’erogazione delle pensioni. Il terzo, invece, è relativo alla previdenza complementare o integrativa, ovvero alla possibilità di un individuo di versare in un conto personale – dunque in forma privata e volontaria – dei contributi che verranno poi investiti e riscattati dopo un certo periodo. Un po’ come costruirsi la pensione da soli. Il quarto pilastro, infine, spesso non rientra nemmeno nelle classificazioni perché viene considerato “informale” e include, ad esempio, il supporto familiare, l’assistenza sanitaria e i beni individuali. 

Il pilastro zero e il secondo, che non sono presenti, corrispondono, rispettivamente, alla pensione minima – eliminata nel 1995 – e a una versione obbligatoria della previdenza complementare, che abbiamo menzionato poco fa.  

Pensione: quali sono i tipi e come vi si accede?

I tipi principali sono la pensione di vecchiaia, la pensione anticipata, la pensione di inabilità e la pensione ai superstiti. Esistono anche altre categorie di pensionamento, soprattutto anticipato, come Opzione Donna e Quota 103 che, spesso, sono soggette alla volontà politica: i governi in carica decidono di anno in anno – con la Legge di Bilancio – se riconfermare o revocare queste misure particolari.  

In ogni caso, la pensione di vecchiaia è il tipo di pensione più comune e vi si accede, attualmente, una volta raggiunti i 67 anni di età e un’anzianità contributiva di almeno 20 anni – per anzianità contributiva si intende la somma degli anni di iscrizione ad un ente previdenziale obbligatorio come l’INPS. Questo requisito, tuttavia, non è fisso ma dovrebbe variare nel tempo in modo automatico, all’aumentare della speranza di vita. Perché il condizionale “dovrebbe”? Perché i governi in carica, spesso per fini di natura elettorale, mettono in campo iniziative finalizzate al blocco del procedimento.

La pensione anticipata, come suggerisce il nome stesso, consente di accedere alla pensione prima del tempo (indipendentemente dall’età), una volta soddisfatte determinate condizioni: nel 2025, la legge prevede il pensionamento anticipato col raggiungimento di 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne.

Come abbiamo anticipato, ci sono poi le forme di pensionamento legate alle condizioni di salute, come la pensione di inabilità e l’assegno di invalidità, erogate nel caso in cui il contribuente non sia in grado di lavorare per il resto della sua vita. 

Infine, la pensione ai superstiti è diretta ai familiari di lavoratori o pensionati deceduti e prende il nome di pensione indiretta nel primo caso e di pensione di reversibilità nel secondo. 

Pensione: come si calcola? 

Domanda delle domande: nell’arco della storia della Repubblica Italiana – ma in modo particolare negli ultimi trentacinque anni – sono state varate una serie infinita di riforme con l’obiettivo di preservare la sostenibilità del sistema pensionistico. Questo perché, nel tempo, abbiamo assistito al cambiamento di alcune variabili strutturali, in primo luogo l’aumento della speranza di vita e il rallentamento della crescita economica

La prima ha implicazioni di natura temporale, nel senso che, banalmente, se le persone vivono di più, hanno bisogno della pensione per più tempo. La seconda ha ripercussioni sulla finanza pubblica: semplificando all’estremo, quando l’economia si contrae, gli stipendi seguono e, di conseguenza, le entrate contributive – cioè le tasse, che servono anche a pagare le pensioni –  si riducono. 

In ogni caso, le riforme più importanti della storia del sistema pensionistico italiano sono tre: la riforma Amato, la riforma Dini e la riforma Fornero. Queste tre meritano un breve approfondimento, dal momento che hanno condotto a cambiamenti radicali nelle modalità con cui, tuttora, viene calcolato l’importo della pensione: in una frase, le riforme di cui parleremo hanno sancito il passaggio dal sistema retributivo all’attuale sistema contributivo. Diamo al volo un po’ di contesto. 

Il sistema retributivo si basava su una media calcolata prendendo a riferimento sia gli stipendi percepiti negli ultimi anni di carriera, spesso molto più alti delle retribuzioni all’ingresso nel mondo del lavoro, sia l’anzianità contributiva. Nel concreto, più erano alti salario e anzianità nell’ultima fase della vita lavorativa, più era alta la pensione: il tasso di sostituzione, cioè il rapporto tra l’ultima busta paga e la prima pensione, era molto elevato, spesso quasi 1 a 1. Il retributivo stato abolito con la Riforma Dini nel 1 gennaio 1996. 

Il sistema contributivo, invece, si fonda esclusivamente sui contributi versati durante la carriera lavorativa, rivalutati di anno in anno in base a un tasso detto “di capitalizzazione”, stimato in base alla media quinquennale dell’andamento del PIL italiano. In pratica, è come se lo Stato “ringraziasse” i lavoratori per aver contribuito alla crescita economica del paese. Nel caso di recessione, questo tasso si azzera – non diventa mai negativo. 

Inoltre, il totale dei contributi versati – detto montante contributivo – viene ricalcolato secondo il coefficiente di trasformazione, che varia in base all’età del lavoratore al momento dell’ingresso nel mondo dei pensionati: più questa è alta, più alto sarà il coefficiente. La logica è semplice e si basa sul fatto che più un lavoratore è anziano, meno anni di vita avrà a disposizione, più l’importo mensile dovrà essere alto. Il contributivo è entrato in vigore con la Riforma Dini il 1 gennaio 1996. 

Infine c’è il sistema misto, che riguarda un numero di persone sempre minore. Questo meccanismo, infatti, vale per coloro che hanno vissuto una parte importante della propria vita lavorativa prima della Riforma Dini la quale, come abbiamo appena visto, è stata un momento spartiacque fra due sistemi radicalmente diversi

Nel dettaglio, coloro i quali, prima del 31 dicembre 1995, avevano meno di 18 anni di versamenti dei contributi, ora come ora ricevono una pensione calcolata in parte col metodo retributivo, che riflette il periodo di contribuzione pre-Riforma Dini, e in parte col metodo contributivo, per il periodo lavorativo post-Riforma Dini. 
Discorso differente per chi, invece, al 31 dicembre 1995, aveva un’anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni: in questo caso, il criterio retributivo si applicafino al 31 dicembre 2011 – prima dell’entrata in vigore della Riforma Fornero – mentre quello contributivo riguarda il periodo successivo a quella data.

Le riforme 

La riforma Amato del 1992 rappresenta la prima grande modifica al vecchio impianto: già più di trent’anni fa, il governo italiano iniziava a rendersi conto dell’insostenibilità del sistema pensionistico e, dunque, della necessità di intervenire sulle modalità di calcolo, troppo onerose per la finanza pubblica. 

Tra le principali correzioni, la riforma Amato ha innalzato l’età minima per il pensionamento, da 55 a 60 anni per le donne e da 60 a 65 per gli uomini; ha esteso la soglia minima degli anni di contribuzione previsti per accedere alla pensione di vecchiaia – diversa dalla pensione di anzianità – da 15 a 20; infine, ha aggiornato i criteri di rivalutazione automatica delle pensioni in erogazione, limitando l’aggiornamento dell’importo all’inflazione, escludendo dal calcolo la dinamica dei salari reali. Infatti, prima della riforma, all’aumento degli stipendi seguiva l’aumento delle pensioni. 

In questo momento, tuttavia, è ancora in vigore il sistema retributivo, seppur con un lieve cambiamento: la media utilizzata per il calcolo della pensione, prendeva in esame gli ultimi dieci stipendi e non più gli ultimi cinque.  

La riforma Dini del 1996 costituisce una tappa cruciale nella storia del sistema pensionistico italiano, una vera e propria rivoluzione copernicana: come abbiamo anticipato, la riforma segna il passaggio dal sistema retributivo al sistema contributivo, tuttora in vigore. 

Questo cambio di paradigma non è retroattivo, nel senso che non riguarda tutti i lavoratori in assoluto, ma solamente coloro che sarebbero stati assunti dal 1 gennaio 1996, con l’entrata in vigore della riforma. Gli altri, che già godevano del retributivo, avrebbero mantenuto lo stesso regime previdenziale fino al 2011, con l’attuazione della riforma Fornero.

La riforma Fornero, infine, è quella di cui più o meno tutti ci ricordiamo a causa delle famose lacrime di Elsa Fornero, la ministra del governo Monti che, ai tempi, la promosse all’interno della manovra “Salva Italia”. Questo provvedimento, in effetti, fu abbastanza drastico e prese piede nel contesto della crisi economica del 2011, detta anche crisi del debito sovrano europeo, in cui l’Italia si trovò a un passo dal fallimento. La priorità, in quel momento storico, era ridurre la spesa pubblica per evitare il default finanziario

Tra i cambiamenti principali introdotti vi è l’estensione del metodo contributivo per il calcolo delle pensioni. Prima di questa riforma – come abbiamo già spiegato nel dare la definizione di “sistema misto” e nel trattare la riforma Dini – era presente una differenza sostanziale nel calcolo della pensione tra chi aveva maturato meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 e chi, invece, ne aveva maturati 18 o più: i primi avrebbero goduto del retributivo per i contributi versati fino all’introduzione della riforma Dini (1 gennaio 1996) e del contributivo per quelli maturati nel periodo successivo; i secondi, dall’altro lato, avrebbero continuato a ricevere una pensione calcolata interamente col retributivo

La riforma Fornero mette tutti sullo stesso piano: con questo intervento normativo anche i secondi, per i contributi versati in seguito alla sua entrata in vigore (1 gennaio 2012), sarebbero stati sottoposti al regime contributivo

Un’altra novità risiede nell’aggiornamento graduale, ma netto, dei requisiti anagrafici, già proposta dal precedente governo Berlusconi. La modifica è motivata sia dalle necessità di rendere il sistema più sostenibile, sia da una sentenza della Corte di Giustizia Europea del 2008: l’Italia è stata condannata a causa della disparità, per i dipendenti pubblici, tra l’età di pensionamento degli uomini (65 anni) e delle donne (60 anni). Si decide, pertanto, di alzare la soglia anagrafica con l’obiettivo di arrivare a 66 anni e 7 mesi per tutti al 31 dicembre 2018. Dal 2019, sarebbe poi scattato l’incremento di 5 mesi: l’età pensionabile viene adeguata all’aspettativa di vita – stimata secondo i dati ISTAT.   

Cambiano anche i parametri per l’accesso alla pensione di anzianità, adesso rinominata in pensione anticipata, che riflette anch’essa l’aspettativa di vita: si stabilisce che, fino al 31 dicembre 2018, uomini e donne avrebbero dovuto maturare, rispettivamente, 42 anni e 10 mesi e 41 anni e 10 mesi.

Ora che abbiamo un quadro praticamente completo della storia del sistema pensionistico italiano, vediamo cosa ci dicono i numeri dell’INPS in merito alla sua sostenibilità.  

La pensione è un apostrofo rosa tra l’equilibrio demografico e la solidarietà intergenerazionale

L’abbiamo sottolineato all’inizio dell’articolo: i lavoratori di oggi versano i contributi all’INPS per pagare la pensione ai lavoratori di ieri i quali, ai loro tempi, pagavano le pensioni ai lavoratori dell’altro ieri. Dunque, affinché la solidarietà intergenerazionale funzioni, è necessaria una situazione demografica solida, che consenta il mantenimento di queste dinamiche. 

Abbiamo quindi analizzato il documento “Audizione dell’INPS sugli effetti della transizione demografica” di aprile 2025, in cui l’INPS descrive il contesto italiano attuale fra demografia, mercato del lavoro, assicurati INPS e spesa pensionistica. 

Qual è il quadro demografico italiano? 

La prima parte, dedicata al quadro demografico, comincia con una frase non proprio incoraggiante: “le più recenti previsioni demografiche relative al futuro del Paese, aggiornate al 2023, confermano la presenza di un quadro potenzialmente critico”. Le criticità, si legge, sarebbero frutto dell’azione di due processi che agiscono in senso opposto, ovvero la “significativa riduzione della popolazione residente” e il “marcato processo di invecchiamento”. 

Secondo l’INPS nei prossimi 40 anni la popolazione italiana è destinata a perdere circa 15 milioni di persone: da 59 milioni al gennaio 2023, a 58,6 milioni nel 2030, a 54,8 milioni nel 2050 fino ad arrivare a 46,1 milioni nel 2080 – ne avevamo già parlato in occasione del Rapporto ISTAT 2025

La causa principale di questo trend è da ricercare nel saldo naturale negativo, cioè nel fatto che, ogni anno, nascono meno persone di quante ne muoiano. Naturalmente non si tratta di un fenomeno nuovo: già nella prima metà degli anni Novanta, l’Italia è stato il primo paese al mondo in cui il numero dei residenti under 15 è sceso sotto quello degli over 65 – ricordiamo che nel 1996 entra in vigore la riforma Dini. Adesso, però, il quadro è ancora più grave, dal momento che la fascia di popolazione che ha più di 65 anni sta superando gli under 25 e, nei prossimi 15 anni, sorpasserà anche gli under 35

Il problema principale è che il saldo naturale rimarrebbe negativo sia nello scenario più favorevole che in quello mediano, cioè il più probabile: al calo del tasso di natalità, che nel 2024 si attesta a 1,18 figli per donna (il dato più basso dal 1995), si aggiunge anche la mancanza fisica di potenziali genitori. Quindi, se per assurdo in futuro dovesse verificarsi un’inversione del trend con un boom di nuove nascite, avremmo comunque un problema legato al numero ridotto di persone che possono avere figli. 

Detto in un modo più complesso, queste statistiche descrivono un orizzonte in cui il rapporto fra individui in età lavorativa (fascia d’età 15-64 anni) e non (0-14 anni e 65 anni in su) è destinato a scendere: se, ora come ora, ogni tre lavoratori esistono due soggetti non attivi, nel 2050 la relazione sarà vicina a uno a uno, con la fascia più anziana a rappresentare il 34,5% circa – e la fascia “giovane” 0-14 che costituirà più o meno l’11,2%. 

Un altro dato, più interessante ai fini dell’articolo, riguarda il cosiddetto indice di dipendenza degli anziani, vale a dire il rapporto fra la popolazione in età lavorativa e gli over 65: si prevede che il valore di questo indice passerà dal 40,8% del 2022 al 63,4% del 2050. Molto semplicemente, ciò significa che se, attualmente, in Italia ci sono 4 anziani ogni 10 lavoratori, fra 45 anni la proporzione salirà a circa 6 – precisamente 6,3 – ogni 10

Anche in questo caso, l’origine del fenomeno è attribuibile all’effetto di due dinamiche contrarie. Intervengono, infatti, sia l’invecchiamento della popolazione italiana, sia la riduzione assoluta di persone in età lavorativa, conseguentemente al calo del tasso di natalità.

Buone notizie dal mercato del lavoro, o forse no 

Dovrebbe essere chiaro ormai: più persone lavorano, più contributi vengono versati, più il sistema è sostenibile. Nell’ultimo biennio, grazie anche all’introduzione di ingenti pacchetti di aiuto come il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), l’occupazione ha raggiunto i livelli più alti dal 2004

Nel 2024, infatti, gli assicurati INPS, cioè tutti i lavoratori – dipendenti e autonomi – obbligati a versare i contributi, hanno superato i 27 milioni, con un aumento di 400.000 unità rispetto al 2023 e di 1,5 milioni rispetto al 2019. La crescita maggiore si è verificata fra gli under 35 e gli over 54, mentre si registra una contrazione del 4% nella fascia di età compresa fra queste due (35-54 anni)

È interessante entrare nel dettaglio relativamente ai dati sulla crescita occupazionale, dal momento che sussiste uno squilibrio netto relativo tra i nuovi occupati under 35 e quelli over 54. Prendendo come riferimento il 2019 (periodo pre-Covid), a fronte dell’incremento del 6% che abbiamo menzionato prima (cioè +1,5 milioni), i lavoratori fino a 34 anni sono aumentati dell’11,2%. Gli over 54 invece, che l’ISTAT suddivide fascia 55-64 e 64+, sono aumentati, rispettivamente, del 20% e del 30,6%

Spiegato coi numeri e non con le percentuali, questo significa che gli occupati under 34, che nel 2019 erano circa 6,4 milioni, oggi sono 7,1 milioni (+700.000 unità), mentre gli occupati nella fascia 55-64 e 64+, che nel 2019 erano 4,96 milioni e 1,03 milioni, oggi sono quasi 6 milioni e 1,3 milioni (+1 milione e +300.000 unità). 

Cosa possiamo dedurre? Molto semplicemente che, in Italia, è in atto una dinamica potenzialmente critica coerente coi ragionamenti precedenti sul quadro demografico: la fascia 35-54, che rappresenta il cuore produttivo del paese, si sta svuotando senza che ci sia un passaggio di testimone graduale coi giovani under 34. Al contrario, come dimostrato dai dati, si sta verificando una “rinascita” della fascia over 55, più anziana e dunque meno produttiva, ma soprattutto prossima alla pensione

Allo stato attuale delle cose, i lavoratori 55-64 e 64+ sono in maggioranza rispetto ai lavoratori under 34: 7,3 milioni contro 7,1 milioni. 

La pensione in numeri: costo e proiezioni

Una volta chiariti la struttura del sistema pensionistico italiano e il quadro demografico, è ora di passare alle domande scomode: quanti sono i pensionati? Quanto ci costano le pensioni? Quali sono le proiezioni per il futuro? E, soprattutto: tutta questa gigantesca infrastruttura è sostenibile sul lungo periodo? 

Per rispondere, abbiamo snocciolato il “XXIV Rapporto Annuale dell’INPS, pubblicato nel luglio 2025, e il “Rapporto n.26” della Ragioneria Generale dello Stato, che ha il seguente titolo: “Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario” di aprile 2025. Diamo un’occhiata. 

Quanto pesa la pensione? 

Il sistema pensionistico, nel 2024, detiene il titolo di “principale voce di spesa del welfare nazionale”. Per dare un termine di paragone, il welfare include altre importanti aree di spesa come la sanità e l’istruzione. Queste, infatti, hanno un peso in rapporto al Prodotto Interno Lordo (PIL) che si attesta, rispettivamente, intorno al 6,3% e al 4%. La spesa per le pensioni, da sola, ha raggiunto il 15,4% del PIL

In numeri, questo dato corrisponde a circa 355 miliardi di euro lordi, che è il totale erogato dall’INPS per il 2024. Nello specifico, l’Istituto Nazione della Previdenza Sociale ha versato le pensioni a circa 15,7 milioni di italiani – il 96% dei pensionati in Italia –  per una cifra lorda media di 1.884 euro al mese. Il restante 4%, equivalente a più o meno 600.000 italiani, ha invece percepito rendite da altre entità come l’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) o Fondi pensione minori. 

Infine, sempre nel 2024, l’INPS ha distribuito quasi 1,6 milioni di nuove pensioni, un dato in crescita del 4,5% rispetto all’anno scorso. Di queste, circa 862.000 (il 55%) sono di natura previdenziale – legate al termine della vita lavorativa – e 707.000 (il 45%) di tipo assistenziale, divise in prestazioni agli invalidi civili, assegni sociali. Gli importi medi mensili, nell’ordine, corrispondono a 1.302€ e 493€.

Come si finanzia il sistema? 

L’INPS, come abbiamo appena visto, ci dice che nel 2024 il costo totale per le pensioni ammonta a circa 355 miliardi di euro lordi pari al 15,4% del PIL. Ma da dove arrivano questi soldi? 

Sul Rapporto Annuale si legge chiaramente che le entrate contributive per il 2024, ovvero i contributi versati da lavoratori e aziende, corrispondono a 284 miliardi di euro. Il dato è superiore del 2,6% alle attese, che stimavano ingressi per 276 miliardi di euro, e del 5,5% all’importo registrato l’anno scorso, pari a 269 miliardi di euro

Questa espansione – chi ha letto attentamente dovrebbe aver già capito – è legata in gran parte al miglioramento del quadro occupazionale e alla crescita degli stipendi: come abbiamo spiegato finora, il numero di persone occupate è direttamente proporzionale alla quantità di contributi pagati all’INPS il quale dipende da questi per liquidare le pensioni in modo sostenibile. Cosa si intende per “sostenibile”? 

La sostenibilità di un sistema coincide con la sua capacità di mantenersi autonomamente, senza dipendere da risorse esterne. Quindi, ora come ora, l’INPS è sostenibile? No. Perché? È presto detto. 

Se, infatti, le entrate per il 2024 ammontano a 284 miliardi di euro, le uscite per le sole prestazioni pensionistiche, per lo stesso periodo, equivalgono a 320,6 miliardi di euro. Secondo quanto scritto nel Rapporto Annuale, l’INPS ci dice che questa spesa pensionistica è in linea col “trend strutturale di aumento annuale per effetto combinato della composizione demografica della popolazione e di aumento degli importi medi delle pensioni anche per l’effetto della perequazione”. 

La tendenza di cui si parla, quindi, avrebbe le sue radici sia nel consolidato ampliamento della popolazione anziana a cui, per una banale questione quantitativa, devono essere destinate sempre più pensioni, sia al rialzo degli importi medi “anche per effetto della perequazione”. 

Per “perequazione”, in due parole, si intende il meccanismo di adattamento automatico con cui le pensioni vengono rivalutate ogni anno in base all’inflazione. Un fatto curioso? In Italia, questa dinamica non è prevista per gli stipendi: se il reddito non subisce modifiche al rialzo mentre l’inflazione sale ma il fisco preleva la stessa quota, di fatto, si riduce il potere d’acquisto dei lavoratori – questo fenomeno, in gergo, è detto fiscal drag o drenaggio fiscale. 

In ogni caso, il bilancio netto tra entrate e uscite, come è facilmente intuibile, è negativo di ben 36,6 miliardi di euro. Questa cifra viene coperta attraverso i trasferimenti correnti dallo Stato, definibili come somme di denaro erogate senza obbligo di controprestazione – cioè senza che sia restituito qualcosa in cambio. I trasferimenti correnti servono a coprire, appunto, le spese correnti, legate quindi al funzionamento ordinario e alla gestione quotidiana della macchina statale. Non finanziano, invece, l’acquisto di beni durevoli o gli investimenti
Per cui, per riassumere quanto detto sopra, i contributi dei lavoratori finanziano la spesa pensionistica per l’87,5% circa, ma il break even – il punto di equilibrio fra entrate e uscite – è raggiunto solamente grazie all’importante intervento dello Stato.

La pensione nel futuro: proiezioni

Dunque, abbiamo capito che, nel 2024, la spesa pensionistica pesa sul PIL per il 15,4%. La Ragioneria dello Stato, nel suo Rapporto n.26, presenta una serie di proiezioni che descrivono l’evoluzione del quadro finanziario da qui al 2070

Nel 2040, si legge, “il rapporto tra spesa per pensioni e PIL accelera fino a raggiungere il valore del 17,1%”. In questo scenario, avremmo 9 pensioni ogni 10 lavoratori (rapporto pensioni/occupati all’88,5%) e una spesa pensionistica superiore ai 350 miliardi di euro. Il motivo di questa salita sarebbe legato principalmente “all’aumento del numero di pensioni rispetto a quello degli occupati, indotto dalla transizione demografica collegata all’ingresso in quiescenza delle generazioni del baby boom”, cioè al pensionamento dei lavoratori nati fra gli anni ‘50 e gli anni 60’, che attualmente hanno fra i 60 e i 70 anni. 

Dopo il 2040, questo rapporto dovrebbe scendere progressivamente, arrivando al 15,9% nel 2050 e al 14% nel 2070. La riduzione, spiega la Ragioneria di Stato, sarebbe legata sia all’applicazione generalizzata del sistema contributivo, essendo tuttora presente una fetta importante di pensioni calcolate col metodo retributivo, sia alla stabilizzazione prima e all’inversione di tendenza poi, della proporzione pensione/occupati. 

Tutto ciò a causa, principalmente, dell’uscita delle generazioni del baby boom e dell’adeguamento automatico dei criteri minimi di pensionamento in funzione della speranza di vita

La sostenibilità dipende dai meccanismi endogeni di adeguamento

I Direttori centrali dell’INPS, nell’audizione di aprile 2025 in Commissione parlamentare, hanno dichiarato che “è possibile concludere che il sistema pensionistico va comunque monitorato nei prossimi trent’anni”.

La sostenibilità a lungo termine della macchina pubblica delle pensioni, come sottolineato nel Rapporto n.26, cammina sul filo del rasoio poiché si basa quasi esclusivamente sui “meccanismi endogeni di adeguamento”, introdotti con le riforme passate. 

Tra i meccanismi principali, figurano la revisione periodica dei coefficienti di trasformazione – definiti nel paragrafo sul sistema contributivo – in base al cambiamento del quadro demografico ed economico, l’uso sistematico del calcolo basato sul metodo contributivo e, soprattutto, l’aggiornamento automatico dei requisiti di pensionamento all’aumento della speranza di vita. 

La rimozione permanente di questi meccanismi endogeni di adeguamento, ribadisce a gran voce la Ragioneria di Stato, “comporterebbe un incremento del rapporto debito/PIL di circa 20 punti percentuali al 2045 e di circa 60 punti percentuali al 2070”. 

Detto in un altro modo, questo vuol dire che, qualora queste tutele venissero eliminate, le conseguenze finanziarie sarebbero devastanti: il debito pubblico aumenterebbe del 20% in relazione al PIL nel 2045 e del 60% nel 2070. Anche la sola soppressione dell’adeguamento dei limiti di età basato sulla speranza di vita, provocherebbe un incremento del 15% sul rapporto debito/PIL al 2045 e del 30% al 2070
A proposito, nel 2027 dovrebbe scattare proprio l’innalzamento automatico di tre mesi dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva necessarie per accedere alla pensione: il governo Meloni, tramite il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, ha promesso di bloccarne l’aggiornamento automatico.

Conosciamo il problema: quali potrebbero essere le soluzioni?

Abbiamo visto i numeri: il sistema pensionistico nazionale si trova oggi ad affrontare sfide strutturali profonde che ne minacciano la sostenibilità nel medio/lungo periodo.

L’invecchiamento della popolazione, la contrazione del rapporto tra lavoratori attivi e pensionati e l’instabilità economico-politica rendono sempre più incerta la capacità del sistema pubblico di garantire prestazioni adeguate alle future generazioni.

Alla luce di questi dati e a questo crescente clima di sfiducia verso gli enti preposti alla gestione del sistema pensionistico, un numero sempre maggiore di persone ha iniziato a chiedersi quali potrebbero essere le soluzioni alternative al sistema pensionistico italiano. 

Sebbene la domanda offra un ampio ventaglio di possibili risposte, il punto di partenza resta indiscutibilmente uno: la consapevolezza e la pianificazione finanziaria attiva da parte di ogni singolo individuo.

In un contesto storico in cui lo Stato fatica sempre più ad assolvere al proprio ruolo di tutela previdenziale, diventa inevitabile che sia il singolo a farsi carico in prima persona della costruzione del proprio futuro finanziario. Vediamo dunque quali azioni concrete potremmo intraprendere per cercare di garantirci un futuro finanziario più stabile e sereno.

La teoria del ciclo di vita del risparmio di Modigliani

Dopo aver compreso come l’attuale contesto economico e demografico imponga ai cittadini di iniziare fin da subito a costruire un fondo di previdenza individuale, indipendente dal sistema pensionistico pubblico, il passo successivo consiste nel capire come distribuire le risorse nel tempo per raggiungere questo obiettivo.

A fornire una risposta pratica ed efficace è la “teoria del ciclo di vita del risparmio”, elaborata dall’economista e premio Nobel Franco Modigliani.

Secondo questa teoria, gli individui dovrebbero pianificare consumo e risparmio lungo tutto l’arco della vita, con l’obiettivo di mantenere un tenore di vita stabile, indipendentemente dalle variazioni del reddito.

Per raggiungere questo obiettivo, la teoria individua due fasi principali nella gestione delle risorse:

  • Fase di accumulo: durante gli anni lavorativi, quando il reddito è generalmente più elevato, le persone dovrebbero risparmiare e accumulare capitale. Questo processo consente di costruire un patrimonio che sarà essenziale per sostenere il tenore di vita nella vecchiaia.
  • Fase di decumulo: coincide con il ritiro dal lavoro, periodo in cui il reddito da pensione sostituisce solo in parte quello da lavoro. In questa fase, l’individuo attinge ai risparmi accumulati, utilizzandoli in modo strategico per mantenere costante il livello dei consumi e garantire stabilità economica, in linea con l’obiettivo della teoria.

Seguendo tali indicazioni, l’individuo potrebbe così facilmente creare una strategia finanziaria sostenibile e autonoma, che riduce la dipendenza dal sistema previdenziale pubblico e permette di affrontare le diverse fasi della vita di una persona con maggiore sicurezza economica e stabilità.

La gestione del patrimonio risparmiato

Ora che abbiamo compreso l’importanza del risparmio come risposta alla possibile insufficienza — parziale o totale — del sistema pensionistico pubblico, e abbiamo visto come costruire un fondo di previdenza individuale, non ci rimane solo che capire come gestire al meglio questo patrimonio per garantire sicurezza e stabilità a tale patrimonio nel lungo periodo.

A questo punto, è naturale che qualcuno si chieda: “Se ho già creato un fondo di riserva, non basta semplicemente lasciarlo fermo finché non mi servirà in futuro?

Purtroppo la risposta è no, o quantomeno non del tutto. Lasciare il denaro inattivo non rappresenta infatti la soluzione più efficiente. Scopriamo insieme perché.

Il nostro nemico n 1: l’inflazione.

Nonostante il valore nominale del denaro accantonato rimanga indiscutibilmente invariato nel tempo, il suo valore reale tende a ridursi progressivamente a causa dell’inflazione. Quest’ultima agisce come una sorta di tassa “invisibile”, erodendo anno dopo anno il potere d’acquisto dei nostri risparmi.In condizioni economiche stabili le banche centrali si sono date l’obiettivo di mantenere tale valore intorno al 2%, ma in particolari fasi di mercato tale numero può crescere ben oltre — come accaduto in Italia tra il 2022 e il 2023, quando ha superato il 10%.

Un’inflazione al 10% riduce il potere d’acquisto del denaro di pari misura nell’arco di un anno. Questo significa che, per acquistare gli stessi beni che oggi costano 1.000 euro, l’anno prossimo ne serviranno 1.100

Di conseguenza, il fenomeno erode progressivamente il valore reale del capitale: ciò che oggi è sufficiente a coprire determinate spese, in futuro non lo sarà più.

Per questo motivo è fondamentale proteggere i propri risparmi dall’inflazione, adottando strategie di investimento che possano contribuire a preservare il valore reale nel tempo.

Gli investimenti come strumento di protezione

Per difendere i risparmi dall’erosione del potere d’acquisto, gli investimenti rappresentano uno degli strumenti storicamente più efficaci. Agendo come un vero e proprio “scudo” contro l’inflazione, nel lungo termine potrebbero consentire al capitale di preservare il proprio valore reale e, in certi casi, anche di accrescerlo.

Le forme di investimento possono assumere una moltitudine di forme molto diverse tra loro, ma le principali si riconducono a strumenti finanziari come azioni, obbligazioni, immobili, fondi indicizzati o beni fisici come materie prime, opere d’arte e collezionabili. 

La scelta di tali strumenti dipende da vari fattori, tra cui l’orizzonte temporale, il profilo di rischio e gli obiettivi finanziari di ciascun individuo.

Per semplificare questo processo, negli ultimi decenni si sono diffusi sempre di più i fondi pensionistici individuali preimpostati, progettati per facilitare la pianificazione del risparmio a lungo termine. 

Questi strumenti offrono un mix di soluzioni finanziarie per costruire un portafoglio diversificato, e tra tutti il più famoso rimane senza dubbio il 401(k) statunitense

I piani pensionistici: 401(k) statunitense

Introdotto negli Stati Uniti nel 1978, il 401(k) è un piano pensionistico a contribuzione definita offerto dal datore di lavoro ai propri dipendenti. In pratica, il lavoratore può destinare una parte del proprio stipendio lordo a questo fondo, che viene poi investito in strumenti finanziari come fondi comuni di investimento, ETF, obbligazioni o azioni, a seconda delle preferenze individuali o delle opzioni messe a disposizione dal datore di lavoro.

Nel corso degli anni, il 401(k) è diventato un pilastro del sistema pensionistico americano, promuovendo una cultura di responsabilità individuale e di pianificazione finanziaria a lungo termine, dimostrandosi per molti risparmiatori uno strumento efficace nel favorire la costruzione di una sicurezza economica personale indipendente dal sistema pensionistico nazionale.Visti i risultati positivi degli ultimi anni e il crescente dubbio da parte dei cittadini americani sulla sostenibilità del sistema pensionistico — proprio come accade in Italia — sempre più persone hanno deciso di destinare una parte del proprio stipendio a fondi pensione privati, come il 401(k), arrivando così circa a 10 miliardi di fondi gestiti.

Alla luce di questi dati risulta interessante osservare come, negli ultimi mesi , questo piano pensionistico abbia introdotto , tramite un emendamento firmato dal presidente degli Stati Uniti in carica Donald Trump, la possibilità di aggiungere una nuova asset class a quelle storicamente presenti all’interno del fondo: le criptovalute, e più in particolare Bitcoin. 

Bitcoin: un nuovo possibile alleato per proteggersi dal problema pensionistico

Grazie alla sua offerta limitata a 21 milioni di unità, alla facilità di trasferimento e all’accessibilità globale, Bitcoin viene considerato da alcuni operatori come un asset estremamente interessante in ottica previdenziale.

Oltre a queste caratteristiche uniche, Bitcoin offre un ulteriore punto di potenziale  rilevanza nella costruzione di un piano pensionistico: la diversificazione

Grazie alla sua natura di asset che può risultare decorrelato dai mercati finanziari tradizionali, Bitcoin — come ha già dimostrato in passato — potrebbe, in alcune fasi di mercato, fungere da salvagente in caso di forti scossoni del mercato. In questo modo, agirebbe da possibile contrappeso equilibratore all’interno del portafoglio d’investimento.

Integrando gli strumenti tradizionali con questa nuova classe di investimento digitale, alcuni investitori valutano l’ipotesi di perseguire una maggiore sicurezza finanziaria nel tempo, combinando stabilità e innovazione all’interno dello stesso portafoglio.

In un mondo in rapida trasformazione, anche il concetto di previdenza sociale deve evolversi e Bitcoin potrebbe rappresentare, per alcuni soggetti, uno degli strumenti più promettenti per affrontare questa evoluzione.

Le informazioni sopra riportate hanno finalità esclusivamente informative e divulgative. Non costituiscono in alcun modo consulenza finanziaria, sollecitazione all’investimento o raccomandazione personalizzata ai sensi della normativa vigente. Prima di assumere qualsiasi decisione d’investimento o allocazione patrimoniale, è raccomandabile rivolgersi a un consulente abilitato.

Profit and Loss: come monitorare la performance del tuo portafoglio crypto su Young Platform

profit and loss

Gestione della performance con il nuovo metodo di calcolo P&L

Young Platform ha aggiornato la funzionalità P&L (Profit & Loss) per offrire una visione più chiara e dettagliata della performance del portafoglio di criptovalute. A partire da giugno 2025, il sistema adotta un nuovo metodo di calcolo, che coinvolge grafici interattivi, statistiche dettagliate e una gestione diversa delle informazioni.

Questo aggiornamento non introduce una nuova funzionalità, ma migliora il metodo di analisi dei dati già esistenti, facilitando il monitoraggio di:

  • Rendimento complessivo del portafoglio
  • Profitto o perdita di ogni singola criptovaluta
  • Valore attuale dei vari portafogli (Principale, Salvadanaio, Staking, Smart Trade)
  • Performance realizzata e potenziale nel tempo

Per consultare i dati aggiornati, basta accedere alla sezione “Profit and Loss” all’interno dell’app o della versione web.

Metodo P&L e report fiscale

Il nuovo metodo di calcolo viene ora impiegato anche per la generazione del report fiscale disponibile in piattaforma. Questa integrazione garantisce che i dati visualizzati nella sezione P&L siano perfettamente allineati con quelli utilizzati per la dichiarazione dei redditi.

I principali vantaggi per l’utente:

  • Coerenza tra l’analisi operativa e i dati fiscali
  • Calcolo dei profitti realizzati conforme alle normative vigenti
  • Report fiscale facilmente esportabile e leggibile dal proprio commercialista

Questa sinergia tra monitoraggio delle performance e adempimenti fiscali rende la gestione delle criptovalute più semplice anche dal punto di vista normativo.

Come funziona il calcolo del P&L

La piattaforma distingue tra profitto/perdita realizzato e profitto/perdita potenziale.

Profitto (o perdita) realizzato

Rappresenta il guadagno o la perdita effettiva derivante da operazioni concluse: vendite, prelievi o conversioni in euro o stablecoin.

Per saperne di più su stablecoin e fisco: Crypto-asset: dalla MiCAR al fisco italiano

Calcolo:
Prezzo di vendita/prelievo/conversione – Prezzo medio d’acquisto
Le commissioni sono incluse e considerate come perdita.

Nota:

  • Le conversioni tra criptovalute (es. BTC > ETH) non generano profitto realizzato, ma trasferiscono il valore come plusvalenza potenziale.
  • Le conversioni verso stablecoin (es. BTC > USDC) sono invece considerate profitto realizzato, analogamente alla conversione in euro.

Esempio:

  • Acquisto: 0.5 BTC a €15.000 (€30.000/BTC)
  • Vendita: 0.5 BTC a €17.500 (€35.000/BTC)
  • Profitto realizzato: €2.500

Profitto (o perdita) potenziale

È una stima della variazione del valore delle criptovalute ancora detenute.

Calcolo:
Valore attuale – Prezzo medio d’acquisto

Nota:

  • Si applica solo alle crypto non ancora vendute, prelevate o convertite in euro/stablecoin. Le conversioni tra crypto mantengono il profitto come plusvalenza potenziale.

Esempio:

  • Acquisto: 0.5 BTC a €15.000
  • Valore attuale: €17.500
  • Profitto potenziale: €2.500

Prezzo medio d’acquisto: definizione e utilizzo

Il prezzo medio d’acquisto rappresenta il costo medio unitario di una criptovaluta nel tempo.

Caratteristiche:

  • Si aggiorna solo in caso di acquisto
  • Non cambia in caso di vendita, prelievo o conversione
  • È utilizzato nel calcolo di profitti sia realizzati che potenziali
  • In caso di spostamento tra portafogli (es. da Salvadanaio a Staking), il prezzo medio si trasferisce insieme all’asset

Come leggere i dati nella sezione Analytics

La sezione Analytics è stata potenziata per offrire una visione dettagliata e accessibile della composizione e dell’andamento del portafoglio. Include:

Rendimento totale

Il rendimento totale rappresenta la somma complessiva dei profitti e delle perdite del portafoglio, espressa sia in termini percentuali che monetari. Considera tutte le variazioni di valore, includendo guadagni e perdite sia realizzati che potenziali. I valori sono aggiornati ogni ora e già calcolati al netto delle commissioni.

Questo indicatore offre una visione chiara e immediata della crescita o diminuzione complessiva del portafoglio, rendendolo un riferimento essenziale per valutare la performance generale.

Suddivisione per funzionalità

Questa sezione mostra come il capitale è distribuito tra le diverse strategie offerte da Young Platform: Portafoglio Principale, Salvadanaio, Staking e Smart Trade. Per ciascuna, viene indicato il profitto potenziale complessivo, permettendo di identificare con un colpo d’occhio quali strategie stanno generando i risultati migliori.

Analisi dei volumi

Permette di monitorare in dettaglio l’attività del portafoglio: depositi, prelievi e ordini (acquisto, vendita, scambio). È possibile selezionare il periodo e filtrare per tipologia di transazione, ottenendo un grafico dettagliato delle operazioni. Questo consente un controllo completo sulle attività e supporta scelte strategiche più consapevoli.

Locazione delle criptovalute

Attraverso un grafico a torta, questa sezione mostra la distribuzione percentuale delle criptovalute presenti nel portafoglio. Ogni segmento rappresenta una specifica crypto, facilitando l’analisi visiva del peso di ciascun asset e permettendo di valutare se riequilibrare le proprie posizioni.

Transazioni

Questa sezione elenca in modo dettagliato tutte le operazioni effettuate, con indicazione del tipo di transazione e dei relativi volumi. È utile anche per valutare se conviene passare a un livello superiore di verifica o aderire a un Club con vantaggi sulle commissioni, in base alla propria attività.

Distribuzione del saldo

Il grafico mostra come il capitale è allocato tra le diverse strategie di investimento disponibili sulla piattaforma. Ogni segmento rappresenta una strategia, evidenziandone la proporzione rispetto al totale. Utile per valutare la diversificazione, il rischio e il peso delle singole strategie sul rendimento complessivo.

Allocazione per tipologia di asset

Offre una visione chiara della composizione del portafoglio tra euro, criptovalute e stablecoin. Questo aiuta a valutare il livello di esposizione al rischio (volatilità crypto) rispetto alla parte stabile del portafoglio e a pianificare eventuali aggiustamenti.

Per saperne di più:

L’aggiornamento del metodo P&L su Young Platform rappresenta un passo importante verso una gestione più consapevole degli investimenti in criptovalute. Non solo migliora la comprensione delle performance in tempo reale, ma si integra perfettamente anche nella reportistica fiscale, semplificando le attività legate alla dichiarazione dei redditi.Che tu sia un investitore esperto o alle prime armi, hai ora a disposizione uno strumento unico per monitorare, valutare e documentare le tue attività cripto in modo professionale e affidabile.

Licenziamento per giusta causa: cosa fare?

licenziamento per giusta causa

Licenziamento per giusta causa: scopri cosa significa, le differenze con il giustificato motivo, se hai diritto alla NASpI e come difenderti

Capita a volte di sentire parlare di licenziamento per giusta causa, e subito scatta un campanello d’allarme. È una situazione delicata, spesso carica di ansia e dubbi, sia per il lavoratore che si trova coinvolto, sia per il datore di lavoro che deve gestirla. Ma cosa comporta esattamente un licenziamento per giusta causa? Quali sono le differenze, ad esempio, con un licenziamento per giustificato motivo oggettivo? E, domanda cruciale, se vengo licenziato per giusta causa ho diritto alla disoccupazione (NASpI)

Niente paura! In questa guida cercheremo di fare chiarezza su tutti questi aspetti, inclusa l’importanza della lettera di licenziamento, senza usare un linguaggio troppo tecnico, ma andando dritti al punto.

Cos’è il licenziamento per giusta causa?

Partiamo dalle fondamenta: il licenziamento per giusta causa rappresenta la forma più severa di interruzione del rapporto di lavoro. Si verifica quando il lavoratore commette una mancanza talmente grave da ledere il rapporto di fiducia con il datore di lavoro, al punto da non consentire la prosecuzione, nemmeno temporanea, del contratto. Stiamo parlando di episodi come il furto in azienda, l’aggressione fisica o verbale, la grave e ripetuta insubordinazione, la prolungata assenza ingiustificata o la violazione del patto di non concorrenza.

La sua caratteristica distintiva? L’assenza di preavviso. Data la serietà della violazione, il rapporto di lavoro si interrompe con effetto immediato.

Differenza tra licenziamento per giusta causa e giustificato motivo

È facile confondersi, ma è fondamentale distinguere il licenziamento per giusta causa dal licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Quest’ultimo non dipende da una colpa o mancanza del lavoratore, ma da ragioni inerenti all’attività produttiva dell’azienda, all’organizzazione del lavoro o al suo regolare funzionamento. Classici esempi sono una crisi aziendale che comporta una riorganizzazione con tagli di personale, o la soppressione di una specifica posizione lavorativa perché non più necessaria. A differenza della giusta causa, nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo è previsto il periodo di preavviso (o la relativa indennità sostitutiva).

La lettera di licenziamento e la NASpI

Indipendentemente dal motivo (giusta causa o giustificato motivo), il licenziamento deve essere sempre comunicato per iscritto. La lettera di licenziamento è un documento cruciale. Al suo interno devono essere specificati in modo chiaro, preciso e dettagliato i motivi che hanno portato alla decisione datoriale. Motivazioni generiche o fumose non sono ammesse, perché il lavoratore deve essere messo nelle condizioni di comprendere appieno le contestazioni e, qualora lo ritenga opportuno, di preparare una sua difesa.

Ma arriviamo a una delle domande più frequenti e sentite: se subisco un licenziamento per giusta causa, ho diritto alla NASpI (l’indennità di disoccupazione)? La risposta, in linea generale, è sì. Anche in caso di licenziamento per giusta causa, la NASpI può essere riconosciuta. L’INPS, infatti, considera lo stato di disoccupazione come involontario anche quando il licenziamento è disciplinare. Naturalmente, per accedere all’indennità di disoccupazione è necessario soddisfare i requisiti contributivi e lavorativi minimi previsti dalla legge. Il fatto di essere stati licenziati per giusta causa, però, di per sé non preclude l’accesso a questo sostegno al reddito. È sempre consigliabile verificare la propria posizione specifica con un patronato o direttamente con l’INPS.

Come difendersi da un licenziamento ritenuto ingiusto?

Se ritieni che il licenziamento per giusta causa che hai ricevuto sia ingiusto, perché le motivazioni non sono veritiere, sono sproporzionate rispetto al fatto contestato, o perché la procedura non è stata seguita correttamente, hai il diritto di impugnarlo. È fondamentale agire tempestivamente: i termini per l’impugnazione sono stringenti (solitamente 60 giorni dalla ricezione della comunicazione di licenziamento). In queste circostanze, il consiglio è di rivolgersi immediatamente a un sindacato o a un avvocato specializzato in diritto del lavoro per ricevere l’assistenza necessaria.

Affrontare un licenziamento per giusta causa è indubbiamente un’esperienza difficile. Tuttavia, essere informati sui propri diritti, sulle procedure e sulle tutele esistenti, come il diritto alla NASpI anche in queste situazioni o come interpretare correttamente una lettera di licenziamento, è il primo e più importante passo per gestire la situazione con maggiore consapevolezza e serenità possibile.

Investimenti: 5 falsi miti da sfatare

Investimenti: 5 falsi miti

Sai che non è vero che per investire bisogna, per forza, seguire con costanza i mercati? Scopri i 5 falsi miti più diffusi sugli investimenti

Quali sono i falsi miti per gli investitori attivi sui mercati? Il pane integrale ha meno calorie di quello normale, i carboidrati la sera fanno ingrassare e i cani vedono il mondo in bianco e nero. Un classico. I falsi miti costellano la nostra quotidianità fino a quando, all’improvviso e a volte per caso (o leggendo un articolo come questo), li scardiniamo. Ma quando si parla di soldi i falsi miti diventano quasi leggende metropolitane. Quali sono però i più comuni nel dorato mondo degli investimenti?

Scoprili in questo articolo: dall’orizzonte temporale che i giovani investitori credono di avere, fino al paradosso dell’investitore iper-informato che finisce per farsi del male da solo.

Il PAC è il modo migliore di investire

Cooosa? Siamo partiti subito con una cannonata, eh? Ma davvero questo è un mito? Fermo, non scappare, che ora ti spiego. Il PAC (Piano di Accumulo Capitale, per gli amici) è indubbiamente un ottimo metodo per mettere fieno in cascina, soprattutto se non hai a disposizione ingenti quantità di denaro liquido o se l’idea di versare “tutto subito” ti fa venire l’orticaria. Inoltre, mettere da parte regolarmente una sommetta, oltre a mitigare il rischio di entrare nel mercato nel momento sbagliato, è un modo super efficace per darsi una disciplina da monaco tibetano, specie con i versamenti automatici. E poi, diciamocelo, riduce l’impatto emotivo del vedere i mercati fare le montagne russe.

Però, e c’è sempre un però, non è matematicamente il modo più efficiente per investire. Dal punto di vista statistico, il PIC (l’investimento in un’unica, coraggiosa soluzione) tende ad offrire rendimenti superiori. Perché? Semplice: tutto il capitale si mette subito al lavoro e sfrutta appieno la magia dell’interesse composto fin dal primo giorno. Inoltre, dato che i mercati, nel lungo periodo, tendono a salire, le probabilità di acquistare un asset a un prezzo più basso oggi sono generalmente maggiori rispetto a domani o dopodomani. 

Infine, consideriamo che l’efficacia del PAC nel mediare il prezzo d’acquisto durante le fasi ribassiste, quella che tanto ci piace raccontarci, è in realtà piuttosto limitata, soprattutto se il portafoglio è ancora nelle sue, diciamo, “fasi di crescita”. In altre parole, i primi versamenti di un PAC hanno più chance di fare la differenza sul prezzo medio, ma questa capacità si annacqua man mano che il gruzzoletto cresce.

Detto questo, sia chiaro: il PAC rimane un ottimo modo per investire e, contemporaneamente, risparmiare. Anzi, per tantissimi investitori, probabilmente la stragrande maggioranza, è la soluzione migliore. Non sarà il più efficiente in termini assoluti, ma a volte la pace dei sensi vale più di qualche zero virgola di rendimento.

Più rischio significa più rendimento

Questa sembra una bestemmia finanziaria, un affronto al sacro Graal del “no pain, no gain”. Come può il bilanciamento tra rischio e rendimento essere un mito?

Per spiegarlo dobbiamo sfiorare il concetto fisico/statistico di ergodicità. In breve, un sistema si dice ergodico se, nel lungo periodo, la media temporale di un singolo percorso equivale alla media su tutti i possibili percorsi. Se non ci avete capito nulla, siete in buona compagnia.

Ok, proviamo con un esempio più terra terra. Mettiamo caso che il tuo motociclista preferito sia un fenomeno, il più talentuoso del campionato. Quando finisce una gara, è quasi sempre sul podio. Allo stesso tempo, però, guida come un pazzo scatenato: frena all’ultimo nanosecondo, impenna in curva ma purtroppo spesso cade e si infortuna. Per semplificare, diciamo che ha il 20% di probabilità di vincere ogni gara, ma anche un bel 20% di farsi male seriamente e saltare il resto del campionato. Quali sono le sue probabilità di vittoria in un campionato di 10 gare?

L’intuito ci suggerirebbe che, con il 20% a gara, su 10 gare potrebbe portarne a casa circa 2. Logico, no? No. Il rischio elevato di farsi la bua complica tutto. Se il nostro eroe spericolato si infortuna seriamente (20% di probabilità ad ogni singola gara, ricordiamolo), addio sogni di gloria. La sua partecipazione al resto del campionato sarebbe compromessa, azzerando le chance di vittoria finale. Il nostro campione potrebbe vincere due gare e poi passare il resto della stagione a guardare gli altri dal divano con una gamba ingessata.

Qui entra in gioco la non ergodicità: la sua bravura è legata a doppio filo con la sua propensione al rischio che può portarlo alla “rovina” (sportiva, in questo caso). Negli investimenti, un rischio elevato, anche se associato a rendimenti potenzialmente stellari, può portare alla “rovina” dell’investitore, rendendo le medie storiche inutili. In contesti non ergodici, la priorità assoluta diventa la sopravvivenza, non la massimizzazione del rendimento. Per scongiurare questi rischi da brivido, la parola magica è diversificare, per ridurre la probabilità di quelle perdite da cui non ci si riprende più.

Per investire bisogna essere informati

Forse anche questo vi stupirà, ma a volte più un investitore è beatamente ignorante (nel senso che ignora, sia chiaro) ciò che accade sui mercati, più è efficace. Sì, avete letto bene. Questo perché chi è sommerso da informazioni, grafici, opinioni e tweet allarmistici è molto più propenso a prendere decisioni troppo frequenti e impulsive.

Inoltre, chi si sente un piccolo Warren Buffett, super informato e sempre sul pezzo, può cadere nella tentazione di sperimentare, utilizzare strumenti finanziari che sembrano usciti da un film di fantascienza, acquistare asset “esotici” o costruire strategie talmente complesse da far impallidire un ingegnere della NASA. Il risultato? Spesso, più rischi e meno controllo. L’investitore super-informato a volte finisce per assomigliare a quel cuoco che, a furia di aggiungere spezie “particolari”, rovina un piatto semplicemente buono.

I giovani hanno un lungo orizzonte temporale

Più che un falso mito, qui siamo di fronte a una fallacia logica bella e buona, un classico errore di prospettiva. Spesso si pensa che i giovani abbiano davanti praterie di decenni per investire. Vent’anni, venticinque, trenta… un’eternità! Questo accade perché ragioniamo come se stessimo giocando a un videogioco, con l’obiettivo di massimizzare il punteggio finale (l’accumulo di capitale per la pensione).

La realtà, però, è ben diversa e, se sei giovane e ci rifletti un attimo, te ne accorgi subito: è altamente probabile che i soldi che hai in mente di investire ti serviranno ben prima della tua dorata pensione, che tra l’altro non sappiamo se riceverai, “vero INPS?” L’anticipo per la casa, il matrimonio, un master costoso, quel viaggio che sogni da una vita… Insomma, prima o poi quei soldi vorrai (o dovrai) usarli.

Per questo motivo, l’idea di mettere tutto sull’azionario perché “tanto c’è tempo” è un po’ come preparare una maratona mangiando solo dolci. È saggio affiancare al mercato azionario – che spesso ha bisogno di tempo per dare frutti – altri tipi di asset con un diverso profilo di rischio/rendimento. Qualche esempio? Obbligazioni o ETF obbligazionari, ma anche criptovalute o materie prime.

L’ETF globale è il santo graal che replica fedelmente l’economia mondiale

Ed eccoci al dogma dei dogmi per l’investitore da forum, il cavallo di battaglia di molti: il mitologico “VWCE & Chill” (o un suo equivalente globale). Una filosofia di vita, quasi una religione, con tanto di scomuniche per chi osa deviare dalla retta via dell’indice globale. Molti investitori approcciano il mondo della finanza con questo atteggiamento quasi fideistico, ignorando la reale natura delle proprie scelte.

La prima cosa da capire è che la borsa non rappresenta fedelmente l’economia mondiale nella sua interezza, ma solo un sottoinsieme, per quanto grande, di aziende che scelgono (e possono) quotarsi. Negli Stati Uniti, la cultura finanziaria e la propensione al mercato azionario sono talmente radicate che un numero enorme di grandi aziende è quotato. In Europa, invece, e in altre parti del mondo, molte imprese di successo restano felicemente private (non si quotano in borsa), preferendo altre forme di finanziamento. Di conseguenza, un ETF azionario globale, per quanto diversificato, si perde per strada pezzi importanti dell’economia reale.

Come non includere in questo discorso il mondo crypto? In particolare Bitcoin che negli ultimi anni, grazie alla sua crescita in un certo senso prevedibile per via della ciclicità dei suoi movimenti, ha fatto la fortuna di tantissimi investitori. Oggi è uno degli asset più popolari al mondo, grazie anche agli ETF emessi dai grandi fondi di investimento americani che lo sostengono. Un oro digitale, un bene rifugio cruciale per l’era moderna. L’offerta matematicamente finita e la natura decentralizzata di Bitcoin lo pongono come un baluardo contro le politiche monetarie sregolate e i “pasticci” delle banche centrali. Di fronte al dilagante debito pubblico statunitense e alle continue turbolenze che minano la fiducia nelle valute tradizionali, Bitcoin si propone non come semplice alternativa, ma come soluzione di resilienza e riserva di valore strategica. Diventa così un tassello fondamentale per una diversificazione patrimoniale consapevole, volta a proteggersi da un sistema finanziario tradizionale con crescenti e manifeste fragilità.

La sua pur innegabile volatilità è un tratto tipico di un’asset class rivoluzionaria in fase di adozione globale. Ignorare Bitcoin oggi, nel grande risiko finanziario, equivarrebbe a ripetere l’errore di chi, ai suoi tempi, sottovalutò la portata di internet.

Diversificazione: cos’é e perché é importante

Diversificazione: cos’è e perché è importante

La diversificazione è una delle nozioni fondamentali dell’arte dell’investire, anche se in troppi la snobbano. Ma cos’è? E perché è così importante? 

La diversificazione è un principio fondamentale che dovrebbe guidare la strategia di investimento di chiunque voglia addentrarsi nel mondo crypto. È un concetto proprio della finanza tradizionale, ma che ha accompagnato l’umanità durante tutto il processo di civilizzazione. In questo articolo, cercheremo di rispondere a due domande tanto semplici quanto complete: che cos’è la diversificazione? E perché è tanto importante?

Diversificazione: che cos’è e cosa significa?

La diversificazione, in finanza, è definita come una strategia o principio fondamentale per minimizzare il rischio: concretamente, significa distribuire le risorse finanziarie su una gamma eterogenea di asset, invece di concentrare il capitale su un singolo investimento. L’esempio principe, il classico intramontabile, utilizzato da chi vuole spiegare in modo semplice questo concetto, è quello delle uova nel paniere. Più precisamente, la frase “non mettere tutte le uova nel paniere!”, accompagnata da un indice che oscilla avanti e indietro, solenne come un oracolo. 

Scherzi a parte, il paragone è calzante, diversificare significa proprio evitare di mettere tutte le uova all’interno dello stesso paniere. Il motivo è semplice: se tutte le uova sono in un unico paniere e questo, per disgrazia, dovesse scivolarti dalle mani, ti ritroveresti con una frittata immangiabile. In altre parole, avresti perso tutto. Ma se lo stesso numero di uova fosse stato sapientemente distribuito su più panieri, avresti perso il contenuto di uno di questi, preservando il resto. Allo stesso modo, come si può capire con semplice intuito, spalmare gli investimenti su più asset diversi fra loro riduce di molto il rischio di perdere tutto in una sola botta. E il portafoglio ringrazia.

Se ci pensi, come abbiamo anticipato nell’introduzione, questa regola ha attraversato i secoli insieme all’umanità, fin dai tempi dei primi insediamenti. Già nel Neolitico, le comunità allevavano contemporaneamente più tipi di bestiame – tra cui mucche, pecore e capre – in modo da avere a disposizione diverse qualità di risorse alimentari e materiali, ma anche per evitare che, per esempio, un’unica malattia fosse in grado di sterminare tutti gli animali. Anche durante il Medioevo, gli agricoltori avevano compreso l’importanza di coltivare più tipi di cereali con la rotazione triennale. I vantaggi erano evidenti: miglioramento della fertilità del suolo, aumento della produzione complessiva e riduzione del rischio di carestie, dal momento che le perdite causate da un raccolto andato male si recuperavano grazie agli altri. 

Tra le altre cose, la diversificazione determina anche la nostra dieta alimentare. È chiaro che sarebbe stupendo mangiare tutti i giorni pizza, ma è fondamentale alternare con cibi più sani e noiosi per evitare di scavarsi la fossa da soli. Insomma, se la diversificazione guida ogni aspetto della vita umana, perché non dovrebbe fare lo stesso con i nostri investimenti?

Diversificazione: perché è importante?  

La diversificazione, come precedentemente illustrato, è un criterio imprescindibile in ottica conservativa, vale a dire di riduzione del rischio. Allora qui uno potrebbe giustamente obiettare: “a me non interessa nulla del rischio, voglio puntare tutti i soldi su quella meme coin e diventare milionario in tre giorni”. Lecito, tuttavia questo non è investire ma scommettere, e le probabilità di vincere quando si gioca d’azzardo sono estremamente basse. Tornando agli investimenti, diversificare conviene anche dal punto di vista dei profitti, poiché ti permette di non farti scappare l’asset, o gli asset, del decennio. 

Facciamo un esempio concreto prendendo il megatrend di internet dei primi anni 2000, appena dopo lo scoppio della bolla delle dot-com. In quel momento, il caso d’uso principale di internet era la funzione di ricerca e Google era il Re assoluto e incontrastato. Avresti potuto pensare, legittimamente, che l’azienda californiana era il vero e unico cavallo su cui puntare, poiché dominava su una concorrenza quasi inesistente. Oggi, quella scelta ti avrebbe senz’altro dato ragione, dal momento che la quotazione di Google è cresciuta più del 6.000%, tuttavia ti saresti mangiato le mani. Perché? Perché intendendo internet come uno strumento progettato esclusivamente per la ricerca online, avresti perso altre aziende come Netflix e Amazon, che hanno messo a segno performance superiori ritagliandosi la loro personale fetta di mercato. 

Diversificare nel mondo crypto

La diversificazione nel mondo delle criptovalute segue le dinamiche dell’esempio appena descritto: dipende da come intendi la blockchain e i suoi casi d’uso. Bitcoin è, senza ombra di dubbio, l’attore dominante in questo mondo, dal momento che da solo rappresenta più del 64% del mercato. Tuttavia, la sua utilità è “limitata”” – per ora – ai pagamenti e al fatto di essere riserva di valore, anche se la BTCFi potrebbe promettere bene. Dunque, se ritieni che la blockchain non andrà oltre Bitcoin, allora ha senso investirci tutto quanto, a tuo rischio e pericolo. 

É innegabile, però, che la blockchain si stia inserendo, neanche così lentamente, in altri settori strategici e il futuro potrebbe riservare sorprese in questo senso. Il punto fondamentale è fare un passo indietro e osservare la situazione nel suo complesso: non focalizzarsi sul presente per non farsi ingannare da euristiche e bias cognitivi ma, come direbbe il filosofo Baruch Spinoza, considerare le cose sub specie aeternitatis – sotto l’aspetto dell’eternità – in senso assoluto e universale. Per diversificazione si intende proprio questo, cioè evitare di esporsi troppo su una singola crypto sia per ridurre i rischi, sia per non perdere gigantesche opportunità tipo Ethereum, che dall’1 gennaio 2020 all’1 gennaio 2025 ha messo a segno un +1.880%. 

Chiaramente, per poter investire con consapevolezza, è necessario aggiornarsi ed essere sempre sul pezzo su ciò che accade in questo mondo in costante evoluzione. Il consiglio – per niente di parte – è di iscriverti ai nostri canali Telegram e Whatsapp o direttamente qui sotto, in modo da avere tutti i giorni le notizie rilevanti già pronte e impacchettate!

Finanziamento auto: come funziona? La guida

Finanziamento auto: come funziona? La guida

Il finanziamento auto è una forma di indebitamento comune che consente di comprare una macchina a rate. Ma attenzione ai costi nascosti. Qui la guida

Il finanziamento auto è una soluzione molto utilizzata perché permette l’acquisto di una macchina nel caso in cui l’acquirente non disponesse immediatamente del capitale totale necessario: nel 2023, in Italia, questa formula ha riguardato la vendita dell’80% delle auto. Tuttavia si tratta di un prestito che, come vedremo, viene concesso da banche o altri attori finanziari e, per questo motivo, è importante avere chiaro il quadro. Qui la guida

Finanziamento auto: che cos’è?

Il finanziamento auto, come abbiamo anticipato, è un contratto attraverso cui una figura creditrice, che può essere una banca o un’istituzione finanziaria in generale, anticipa i soldi necessari all’acquisto della macchina in cambio dell’impegno – firmato e controfirmato – alla restituzione di questa somma, nel tempo. Naturalmente, chi concede il finanziamento fa questo “favore” non perché è gentile e neanche perché ha a cuore la mobilità del cittadino, ma perché guadagna, e anche abbastanza, con le rate mensili maggiorate dagli interessi. In parole semplici, il finanziamento non è altro che un prestito che andrà ripagato con gli interessi, entro un tempo prestabilito. Nello specifico, esistono tre forme di finanziamento – anche se sarebbe più corretto dire “due e mezzo”. Vediamole.

Finanziamento o prestito personale

La forma “classica”, diciamo. Questa soluzione di finanziamento prevede che il richiedente, cioè l’individuo che ha bisogno del prestito, si rivolga personalmente a una banca o a una società di credito esterna per fare la richiesta di danari. A questo punto, l’ente che ha a disposizione la grana farà tutti i controlli necessari per accertare che il soggetto richiedente in questione sia in grado di ripagare la somma, con gli interessi: immobili di proprietà, figli a carico, contratto a tempo determinato o indeterminato e via dicendo. In caso di esito positivo, si procede con l’erogazione del prestito. Ora, il nostro futuro automobilista ha a disposizione il cash per comprare la macchina dei suoi sogni e si reca col sorriso in concessionaria: firma due carte, paga e diventa subito proprietario dell’automobile (e di 36 comode rate). 

Finanziamento o prestito finalizzato

Questo secondo tipo di finanziamento differisce dal primo perché, come dice il nome, è finalizzato all’acquisto di un bene preciso, in questo caso dell’auto. Mentre nel primo caso la banca o l’istituto di credito dice semplicemente “io ti presto i soldi, tu fai quello che ti pare basta che me li ridai”, ora c’è il vincolo all’acquisto dell’automobile. Un’altra differenza importante sta nel fatto che è la concessionaria a fare da intermediario fra chi chiede e chi presta i soldi: anzi, molto spesso può capitare che la società finanziaria sia collegata direttamente alla casa automobilistica produttrice della macchina che si intende acquistare – ad esempio Stellantis Financial Services. Rispetto alla prima formula, i vantaggi di richiedere un finanziamento auto finalizzato risiedono principalmente nella competitività delle offerte, che possono includere promozioni iniziali come il famoso “tasso zero” e le “mini rate iniziali”.

Leasing 

Il leasing è il motivo per cui nel primo paragrafo abbiamo precisato “due e mezzo”: se nei precedenti due casi si parla di finanziamento vero e proprio, ora è più corretto parlare di affitto con possibilità di acquisto. Col leasing non c’è un attore terzo che anticipa i soldi, ma solamente una concessionaria, un cliente e un contratto in cui è indicato il canone mensile da pagare per poter utilizzare la macchina. Tale contratto ha una durata definita oltre la quale, se il cliente è d’accordo, è possibile comprare definitivamente la vettura saldando la celebre quanto temuta maxi-rata finale. Altrimenti, il cliente ha la facoltà di iniziare un altro leasing, magari con un’altra auto, o terminare il rapporto.

Quanto costa e quali sono i requisiti per ottenerlo

Il finanziamento auto costa, nessuno ti regala i soldi. Ti sarà capitato di vedere una pubblicità di una macchina recentemente, magari un fuoristrada: strade bellissime nella natura incontaminata, potenza del motore, vetri oscurati e sensazione di libertà. Poi la réclame arriva al termine e l’annunciatore inizia a parlare straveloce: “TanquattropuntonovantapercentoTaegseiottantunooffertavalidaconfinanziamentopressofinanziariasalvoapprovazione…” eccetera, eccetera, eccetera. Bene, ora cerchiamo di capire cosa sono questi TAN e TAEG che sentiamo in tv da quando abbiamo la facoltà di comprendere il linguaggio umano. 

TAN E TAEG: i tassi di interesse

Il TAN e il TAEG, questi strani acronimi, non sono altro che i tassi di interesse applicati alla somma richiesta: è il guadagno che la banca, l’istituto di credito o la finanziaria legata alla casa automobilistica, incassano per averti prestato i soldi. Il TAN, ovvero il Tasso Annuo Nominale, rappresenta l’interesse puro applicato alla cifra erogata. In che senso “puro”? Nel senso che è la percentuale base al netto dei costi di gestione o legati alle pratiche burocratiche. Il TAEG, cioè il Tasso Annuo Effettivo Globale, come dice il nome è proprio il TAN sommato ai costi extra non indicati nel TAN stesso. Dunque il TAN ti permette di capire l’interesse netto che andrai a pagare con le rate, mentre il TAEG ti fornisce il quadro completo del costo reale del finanziamento auto. 

Sulla base di ciò, una persona potrebbe chiedersi: “se il TAEG è più completo del TAN, perchè vengono indicati entrambi? Per ingannare il cliente?” No, o meglio, non proprio. È chiaro che, di per sé, mostrare il tasso di interesse puro – più basso rispetto al TAEG – fa un effetto migliore al momento della vendita, tuttavia ci sono delle ragioni ben precise che giustificano questa procedura. In primo luogo, il TAEG non indica il tasso di interesse ma la percentuale finale totale, il che rende più complessa la distinzione tra costo del finanziamento e spese extra. In secondo luogo, avendo più chiaro il tasso di interesse netto, il cliente è in grado di confrontare meglio le varie offerte a prescindere dai costi accessori. Infine – a causa di quanto menzionato sopra – c’è l’obbligo normativo di imporre l’indicazione di entrambi gli indici. 

I requisiti per ottenere un finanziamento

Il finanziamento auto viene concesso solamente nel caso in cui il richiedente soddisfi dei requisiti fondamentali dato che chi presta i soldi, da parte sua, vuole assicurarsi che li riavrà indietro. Tra queste condizioni, naturalmente, la maggiore età e la residenza in Italia sono imprescindibili per poter avviare la pratica. Seguono quelle relative al reddito e alla storia creditizia: occorre dimostrare di avere delle entrate fisse, attraverso buste paga o dichiarazione dei redditi, e soprattutto di essere un debitore affidabile. Quest’ultimo punto è fondamentale, dal momento che segnalazioni negative da parte di banche dati come il CRIF (Centrale Rischi Finanziari) potrebbero compromettere totalmente l’operazione finanziaria. In merito a questi ultimi punti, cerchiamo di rispondere a due domande che potresti esserti posto: 

  • Posso ottenere un finanziamento auto senza busta paga? È molto molto difficile. Come abbiamo appena precisato, chi concede il prestito vuole avere la certezza che i suoi soldi non vengano persi nell’etere. Presteresti mai dei soldi – tanti soldi – a uno sconosciuto incontrato per strada? 
  • Cosa succede se non riesco a pagare le rate del prestito auto? Potresti andare incontro a conseguenze non proprio leggere. Il primo step, solitamente, è l’applicazione dei cosiddetti interessi di mora, cioè di tassi extra rispetto al TAN, calcolati su base giornaliera o mensile, che il creditore impone come risarcimento. Il secondo, spesso in concomitanza col primo, è la segnalazione presso enti come il CRIF, che sporcherebbe in modo significativo la tua fedina penale di debitore. Infine, se, nonostante le sollecitazioni, le rate sono ancora scoperte, l’istituzione creditizia del caso può procedere al recupero dei crediti attraverso strumenti come il prelievo forzoso e il pignoramento dei beni. 

Insomma, aprire un finanziamento auto, così come aprire un mutuo, è una decisione che va presa con estrema cura perché cambierà la tua vita: è fondamentale fare un’analisi costi/benefici completa e precisa, per evitare di ritrovarti al verde da un mese all’altro. Per questo, iscriviti ai nostri canali Telegram e Whatsapp o direttamente al sito di Young Platform cliccando qui sotto, potrebbe esserti utile per il futuro.

Pensione anticipata: cos’è la regola del 4%?

Pensione anticipata: cos’è la regola del 4%?

La pensione anticipata è un desiderio di molti: la regola del 4% può esserci d’aiuto anche se presenta delle criticità. Vediamo di cosa si tratta

La pensione anticipata è un sogno per moltissime persone impegnate nel mondo del lavoro, dato che ti consente di godere del patrimonio accumulato avendo a disposizione l’energia necessaria per farlo. Spesso invece, con la soglia di età pensionabile che si alza quasi di anno in anno, questo momento arriva in una fase della vita prossima alla vecchiaia. La regola del 4% è un modo che potrebbe fornire strumenti utili alla realizzazione di questo desiderio. Qui vedremo insieme di cosa si tratta, i pro e i contro. 

Pensione anticipata e la regola del 4%: le origini 

Dove nasce la regola del 4%? Ovviamente negli Stati Uniti, un Paese in cui il proverbio latino homo faber fortunae suae – l’uomo è artefice del proprio destino – guida il comportamento dei cittadini, abituati a contare sulle proprie forze e a non fare eccessivo affidamento nello stato. Dal punto di vista della finanza personale, questa mentalità fa sì che gli americani siano super familiarizzati col mondo degli investimenti sin da giovani, proprio perché convinti che il futuro dipenda quasi esclusivamente dalle loro azioni. Nascono così le varie teorie legate al mondo del risparmio e del retirement (pensione), come la sfida delle 52 settimane o come quella di cui parleremo oggi, la regola del 4%

L’inventore di questo principio è William Bengen, un ingegnere aerospaziale nato nel 1947 a Brooklyn, New York, che nel 1993 ottiene un master in pianificazione finanziaria. Un anno dopo, sul Journal of Financial Planning, pubblica un articolo dal titolo “Calcolare i tassi di prelievo utilizzando i dati storici”: Bengen aveva analizzato anni e anni di dati relativi al mercato americano e aveva scoperto che era possibile vivere coi propri risparmi per 30 anni. Come? Prelevando ogni anno il 4% del proprio portafoglio di investimenti e adeguando, dal secondo anno in poi, questa percentuale al tasso di inflazione corrente.

Anche qui, occorre precisare che il sistema pensionistico americano è molto diverso dai sistemi europei e si basa su tre pilastri: la previdenza sociale, i fondi pensione privati e gli investimenti personali, come l’IRA (Individual Retirement Account) o il 401k. Il punto fondamentale, che ci aiuta a comprendere la strategia di Bengen, è che la regola del 4% si fonda sul fatto che la pensione è “dinamica” e non statica. Ciò significa che, quando risparmiano per il futuro, gli americani investono i loro soldi in Borsa: azioni, obbligazioni, ETF e fondi comuni di investimento. Quindi la pensione, nel tempo, tende a crescere e il 4% rappresenterebbe la quantità di denaro sufficiente a vivere in tranquillità per circa 30 anni – la percentuale è calcolata per difetto, in ottica conservativa.

Ma facciamo un esempio concreto.

Come funziona la regola del 4%?

Innanzitutto, occorre fare un calcolo della media delle spese sostenute annualmente per poi dividere questa cifra per la percentuale che si intende prelevare (il 4%, cioè 0,04 nel nostro caso). Dunque, immaginando 15.000€ annuali di spesa (1250€ al mese per 12 mesi), e dividendo questa cifra per il 4% (15.000€ diviso 0,04), dovresti avere a disposizione un capitale di 375.000€. Questi soldi, seguendo la prospettiva di Bengen, sono investiti in Borsa e, conseguentemente, sono soggetti a un rendimento annuo 

Perfetto, smetti di lavorare e ti godi il tempo libero. Il primo anno prelevi il 4% e dal secondo in poi il 4% aggiustato all’inflazione: si parte da 15.000€ per poi moltiplicare questa cifra per 1,02 (ipotizzando l’inflazione al 2%) e ritirare 15.300€ e così via. In tutto ciò, il capitale investito genera un profitto che, in media, è sufficiente a compensare i prelievi, permettendo al portafoglio di sopravvivere anche durante gli anni di crisi in cui il mercato non performa come ci aspetteremmo. Però ci sono dei però.

La pensione anticipata di Bengen non coglie alcune criticità

In primo luogo, è una regola totalmente teorica che non riflette la vita quotidiana delle persone. Va bene calcolare la spesa media annua, ma se volessi farti un viaggio a El Salvador? O se dovessi far fronte a spese impreviste, come la riparazione della macchina? Dovresti certamente rivalutare la cifra che intendi prelevare per sopperire a queste spese impreviste, a meno che tu non abbia già pronto un fondo di emergenza apposito. 

In secondo luogo, ignora completamente l’impatto di costi e commissioni a cui andresti incontro nella gestione del capitale investito: il TER (Total Expense Ratio) include tutte le spese operative di un fondo – come i fondi comuni o ETF che abbiamo menzionato prima – e può incidere significativamente sul rendimento netto del tuo investimento. Senza citare le parcelle dei consulenti finanziari, qualora ne volessi usare uno. Giusto per fare un esempio, un rendimento lordo del 7% potrebbe trasformarsi in un 5.5% netto dopo aver sottratto questi costi. Ogni euro speso in commissioni è un euro che non lavora per il tuo futuro. 

Per concludere, se volessi farti un viaggio a El Salvador e vedere come si vive in un Paese che ha adottato Bitcoin come valuta legale, fatti un giro nei nostri Club che abbiamo degli sconti con WeRoad. In alternativa, iscriviti a Young Platform e resta aggiornata/o su guide e notizie rilevanti!

I servizi fiscali di Young Platform: una soluzione completa per la dichiarazione delle criptovalute e il pagamento delle imposte

Report Fiscale dichiarazione crypto

Tutto ciò che devi sapere per calcolare, documentare e dichiarare le tue attività crypto senza errori.

Per semplificare il processo di dichiarazione e garantire la piena conformità alle normative italiane, Young Platform offre strumenti avanzati che permettono di calcolare, documentare e dichiarare le proprie attività crypto in modo semplice e accurato.

In questo articolo vedremo quali report acquistare, a cosa servono, quanto costano e come utilizzarli.

  • Report fiscale di Young Platform: per chi utilizza solo il nostro exchange.
  • Report fiscale Young-Okipo: per chi utilizza diversi exchange, DEX, NFT e protocolli DeFi.
  • Report delle transazioni: per archiviare lo storico movimenti, ordini e Smart Trades (e da caricare su Okipo per chi sceglie questa opzione).
  • Ricevuta imposta di bollo: da scaricare e conservare per eventuali accertamenti del fisco.
  • Commercialista crypto: per chi ha qualche dubbio o ha bisogno di delegare completamente la sua dichiarazione a un esperto.

Documentazione fiscale di Young Platform

In base alla tua operatività, puoi scegliere tra due tipologie di Report Fiscale:

  1. Report Fiscale Young Platform → ideale per chi opera esclusivamente su Young Platform Base e Pro.
  2. Report Fiscale Young-Okipo → pensato per chi utilizza più exchange, wallet esterni, piattaforme DeFi o possiede NFT.

Entrambi i report sono accessibili direttamente dalla sezione “Tasse & Report” disponibile su desktop.

Scopri i servizi sul tuo account

Report Fiscale Young Platform: per chi utilizza solo Young Platform

Se hai comprato, venduto o detenuto criptovalute solo su Young Platform (Base o Pro), questo report fiscale ti permette di ottenere facilmente tutti i dati necessari per la dichiarazione dei redditi.

Cosa contiene il report?

Calcolo automatico delle plusvalenze e minusvalenze
Il report analizza tutte le operazioni effettuate e calcola il guadagno o la perdita netta, fornendo direttamente i valori da inserire nella dichiarazione dei redditi.

Quadri precompilati per la dichiarazione
Il report fornisce i moduli fiscali già organizzati con i tuoi dati, semplificando la compilazione della dichiarazione dei redditi.

  • Quadro RW → lo trovi nel Modello Redditi persone fisiche. Serve per dichiarare il possesso di criptovalute ed è necessario per il calcolo dell’imposta di bollo.
  • Quadro RT → Serve per dichiarare le plusvalenze e le minusvalenze, ottenendo così il calcolo dell’imposta dovuta.
  • Quadro W → Equivalente al Quadro RW ma specifico per i lavoratori dipendenti e pensionati che utilizzano il 730. Indica il possesso di criptovalute e consente il calcolo dell’imposta di bollo.
  • Quadro T → Equivalente al Quadro RT per chi utilizza il 730. Permette di dichiarare guadagni o perdite sulle criptovalute e calcolare l’imposta sulle plusvalenze.

Gli sconti dedicati ai Club Young Platform 

I membri dei Club godono di sconti fissi sull’acquisto del Report Fiscale di Young Platform. 

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I vantaggi del Report Fiscale di Young Platform

Il Report Fiscale di Young Platform è pensato per rendere la dichiarazione delle criptovalute semplice, chiara e conveniente. A differenza di altri servizi, offre condizioni vantaggiose che aiutano gli utenti a risparmiare sui costi.

Pagamento unico per tutti gli anni fiscali 

Molti servizi simili richiedono il pagamento di un report separato per ogni anno da dichiarare. Con Young Platform, invece, paghi una sola volta e il report copre automaticamente tutti gli anni fiscali di operatività.  

Esempio: se hai iniziato a investire su Young Platform nel 2019, il report includerà tutti i tuoi dati dal 2019 a oggi, senza costi aggiuntivi.

Prezzo basato sulla tua reale attività 

Il costo del report dipende dal numero di transazioni effettuate e non è fisso. Questo significa che chi ha fatto poche operazioni paga meno rispetto a chi ha un’attività più intensa. Il piano base parte da 19,99€.

A differenza di altri servizi che applicano un costo uguale per tutti, Young Platform adotta un sistema più equo, evitando tariffe alte per chi ha effettuato poche operazioni.

Prezzo ancora più vantaggioso per chi ha già acquistato il report in passato 

Se hai già comprato il Report Fiscale di Young Platform negli anni passati, non dovrai pagare di nuovo per le transazioni già dichiarate. Il prezzo verrà calcolato solo sulle nuove operazioni del 2024, garantendoti un risparmio concreto.

Questa soluzione permette agli utenti di rimanere in regola con il Fisco senza costi inutili, con un servizio trasparente e conveniente.

Acquista il Report Fiscale di Young Platform

Report Fiscale Young-Okipo: per chi possiede più wallet o utilizza diversi exchange

Se hai operato su più piattaforme di trading, utilizzi wallet esterni, investi in NFT o partecipi ad attività DeFi come staking e yield farming, dichiarare le tue criptovalute può diventare complicato.

Il Report Fiscale Young-Okipo è stato creato per semplificare questo processo: raccoglie automaticamente tutte le operazioni effettuate su qualsiasi exchange o wallet in un unico documento fiscale pronto per la dichiarazione. Basta importare il file csv delle transazioni.

In questo modo, puoi gestire facilmente la tua fiscalità crypto, senza dover ricostruire manualmente ogni transazione.

Cosa include il Report Young-Okipo?

Collegamento diretto con altri exchange e wallet
Questo report consente di importare le transazioni da qualsiasi piattaforma, comprese Binance, Coinbase, Kraken, Metamask, Ledger e molte altre. In questo modo, puoi ottenere una panoramica completa della tua attività in un solo documento.

Supporto per DeFi, NFT e altre attività crypto
Se hai operato in staking, yield farming, lending o trading su DEX, il Report Young-Okipo è in grado di calcolare le plusvalenze e minusvalenze anche su queste operazioni.

Storico dal 2016 ad oggi
Questo strumento ti permette di importare e regolarizzare le transazioni passate, creando un report retroattivo che copre tutti gli anni fiscali di cui hai bisogno.

Importazione automatizzata
Non è necessario inserire manualmente i dati delle operazioni. Il sistema consente di caricare file CSV o collegare gli account per generare un report unificato e pronto per la dichiarazione fiscale.

Quadri precompilati per la dichiarazione
Il report include i fac-simile dei Quadri RW, RT, W e T, che servono per la compilazione della dichiarazione dei redditi:

  • Quadro RW e Qadro W → Per dichiarare il possesso di criptovalute.
  • Quadro RT e Quadro T → Per riportare le plusvalenze generate nel periodo fiscale.
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Per usufuire di questi sconti e prezzi è necessario acquistare il Report Young-Okipo direttamente da Young Platform nella sezione “Tasse & Report” e non sul sito di Okipo.

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Quali sono i vantaggi del Report Young-Okipo?

Un unico report per tutti gli anni fiscali

A differenza di altri servizi che fanno pagare separatamente ogni anno, con il Report Young-Okipo paghi una sola volta per regolarizzare tutte le transazioni dal 2016 ad oggi.

Semplicità d’uso

Il sistema automatizzato permette di importare i dati da diversi exchange e wallet senza inserimenti manuali, risparmiando tempo ed evitando errori.

Assistenza dedicata

Gli utenti Young Platform hanno accesso a un servizio clienti prioritario per supporto e chiarimenti sulla dichiarazione fiscale.

Questa soluzione è pensata per chi ha un’attività crypto distribuita su più piattaforme e vuole ottenere un unico documento fiscale per semplificare la dichiarazione dei redditi, riducendo al minimo il rischio di errori o omissioni.

Report delle Transazioni di Young Platform

Il Report delle Transazioni di Young Platform è uno strumento utile e gratuito per monitorare e documentare tutte le operazioni effettuate sulla piattaforma. Si tratta di un documento che riporta in modo dettagliato ogni movimento di criptovalute e valute fiat, inclusi acquisti, vendite, depositi e prelievi.

A cosa serve il Report delle Transazioni?

Questo report non è un documento fiscale, ma un estratto conto completo della tua attività su Young Platform.
Se utilizzi il report Young-Okipo, assicurati di scaricare tutti i report delle transazioni dal tuo account e caricarli su Okipo per una corretta elaborazione fiscale.

Inoltre, è utile per:

  • Tracciabilità e archiviazione delle operazioni
    Il report consente di avere una panoramica chiara e dettagliata di tutte le transazioni effettuate, facilitando il controllo del proprio storico di investimenti.
  • Supporto alla dichiarazione fiscale
    Sebbene non sostituisca il Report Fiscale, il Report delle Transazioni è un documento essenziale per chi vuole verificare i movimenti. Inoltre, in caso di dichiarazione autonoma senza un report fiscale precompilato, può servire come base per il calcolo delle plusvalenze e minusvalenze.
  • Utilità in caso di controlli fiscali
    Se l’Agenzia delle Entrate dovesse effettuare verifiche sulle operazioni di un contribuente, il Report delle Transazioni può essere utilizzato per dimostrare l’origine dei fondi e la tipologia di operazioni eseguite.
  • Integrazione con altri strumenti di gestione finanziaria
    Chi utilizza software di contabilità o strumenti di analisi finanziaria per monitorare il proprio portafoglio può importare i dati del report per avere un quadro più dettagliato della propria situazione patrimoniale.

Cosa contiene il Report delle Transazioni?

Il documento include informazioni dettagliate su:

  • lo storico movimenti, che contiene la cronologia di tutte le transazioni effettuate su Young Platform
  • lo storico ordini, che contiene la cronologia di tutti gli ordini di acquisto, vendita e conversione effettuati su Young Platform
  • storico transazioni Smart Trade, che permette di scaricare tutte le transazioni automaticamente eseguite dalle strategie Smart Trades. 

I documenti sono scaricabili singolarmente.

Come ottenere i documenti fiscali su Young Platform

Per scaricare i report fiscali e le transazioni, basta accedere alla propria area personale su Young Platform, disponibile via web.

  • Per acquistare e scaricare il Report Fiscale (Young Platform o Young-Okipo), vai nella sezione “Tasse & Report”, seleziona il report desiderato e completa l’acquisto. Dopo il pagamento, il documento sarà disponibile per il download in formato PDF e inviato via email. Potrai utilizzarlo per compilare la dichiarazione o consegnarlo al tuo commercialista.
  • Per scaricare il Report delle Transazioni, accedi sempre alla sezione “Tasse & Report” e seleziona l’opzione per generarlo gratuitamente. Questo documento fornisce un registro completo di tutte le operazioni effettuate su Young Platform, utile per la gestione della fiscalità e il monitoraggio delle attività crypto.

Grazie a questa procedura semplice e veloce, puoi ottenere tutti i dati necessari senza doverli raccogliere manualmente.

Pagamento automatico dell’Imposta di Bollo su Young Platform

L’imposta di bollo sulle criptovalute è un obbligo fiscale per chi possiede asset digitali. Gli utenti di Young Platform Base e Pro non devono preoccuparsi di calcolarla o versarla manualmente, perché l’exchange si occupa automaticamente del pagamento, prelevando l’importo dovuto direttamente dal saldo disponibile.

Come funziona il calcolo dell’imposta di bollo?

  • Aliquota: l’imposta di bollo è pari al 2 per mille (0,2%) del valore totale del portafoglio.
  • Data di riferimento: l’importo viene calcolato sul valore complessivo delle criptovalute detenute su Young Platform al 31 dicembre dell’anno fiscale.
  • Determinazione del valore: il valore del portafoglio viene stabilito sulla base dei prezzi degli asset al 31 dicembre.

Come verificare il pagamento?

Dopo che Young Platform ha effettuato il pagamento dell’imposta di bollo per conto dell’utente, la ricevuta è disponibile per il download direttamente nella sezione “Tasse & Report” della piattaforma. È importante scaricare questa ricevuta e conservarla per eventuali accertamenti così da dimostrare che l’imposta è stata versata.

Scarica la ricevuta

Cosa fare se utilizzi più exchange?

Se hai criptovalute su altre piattaforme, è fondamentale verificare se l’imposta di bollo è già stata pagata per te. Alcuni exchange, come Young Platform, versano automaticamente l’imposta in tua vece perché hanno sede legale in Italia, mentre altri richiedono che sia tu a provvedere al pagamento autonomamente.

Per evitare di pagare due volte l’imposta sullo stesso importo o, al contrario, di omettere il versamento, segui questi passaggi:

  1. Controlla la sezione fiscale dei tuoi exchange per verificare se hanno già versato l’imposta.
  2. Scarica le ricevute di pagamento da ogni piattaforma.
  3. Somma i valori per assicurarti di aver pagato l’importo corretto in base al totale delle criptovalute detenute su tutti i tuoi account.
  4. Se un exchange non ha versato l’imposta per te, dovrai dichiararla autonomamente nel Quadro RW o W e procedere al pagamento tramite F24.

Young Platform semplifica questo processo per chi detiene criptovalute sulla sua piattaforma, eliminando la necessità di calcoli manuali e riducendo il rischio di errori nella dichiarazione fiscale.

Consulenza fiscale personalizzata per la Dichiarazione dei redditi da criptovalute

La consulenza fiscale personalizzata di Young Platform è pensata per supportare chi deve dichiarare criptovalute in modo corretto, anche in situazioni complesse come operazioni su più piattaforme, attività in DeFi o regolarizzazioni di anni passati. Il servizio, gestito da commercialisti esperti in crypto, guida l’utente nella compilazione dei quadri RW, RT, W e T, nel ravvedimento operoso e nell’ottimizzazione fiscale tramite la compensazione di minusvalenze. Dopo una prima analisi della situazione, viene proposta la strategia fiscale più adatta e, se necessario, un preventivo personalizzato in base alla complessità. Sono disponibili due formule: Consulenza Fiscale (singolo appuntamento) e Pacchetto Completo (servizio all inclusive). Tutti i dettagli sono spiegati nell’articolo dedicato, dove puoi approfondire ogni aspetto del servizio.

Imposta patrimoniale sulle criptovalute 2025: imposta di bollo e IVACA

Imposta di bollo sulle criptovalute 2024

Anche per il 2025 è previsto l’obbligo di pagamento dell’imposta patrimoniale sulle criptovalute, a carico di chi detiene crypto-asset, indipendentemente dal fatto che abbia realizzato guadagni.

In questo articolo spieghiamo che cos’è, come funziona, quando si paga e soprattutto qual è la differenza tra IVACA e imposta di bollo, due concetti spesso confusi ma con importanti differenze pratiche.

Le informazioni contenute in questo articolo hanno finalità puramente divulgative e mirano ad aiutare l’investitore a comprendere il funzionamento della tassazione patrimoniale sulle criptovalute.

IVACA: l’imposta patrimoniale vera e propria

Fino al 2023, le criptovalute detenute su exchange esteri erano soggette alla IVAFE (Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie detenute all’Estero).

Con l’introduzione del Decreto Legge 73/2023, la IVAFE non si applica più alle cripto-attività. Al suo posto è stata istituita l’IVACAImposta sul Valore delle Cripto-Attività, che si applica a tutte le criptovalute, indipendentemente dal fatto che siano custodite in Italia o all’estero.

Come funziona l’IVACA

  • Aliquota: 0,2% annuo
  • Base imponibile: il valore di mercato dei crypto-asset detenuti al 31 dicembre. Se non esiste un prezzo di mercato affidabile (es. token illiquidi, NFT non quotati), si utilizza un valore nominale attribuito, coerente e documentabile

Cosa si intende per valore nominale? 

Il valore nominale è un valore stimato, attribuito convenzionalmente al crypto-asset, in assenza di una quotazione ufficiale. Deve essere coerente, ragionevole e documentabile, per poter giustificare il calcolo dell’imposta in caso di verifica da parte dell’Agenzia delle Entrate.

L’IVACA:

  • Si applica al solo possesso di crypto-asset, anche se non sono stati movimentati
  • Si paga attraverso la dichiarazione dei redditi, mediante la compilazione del Quadro RW o W
  • È una vera e propria imposta patrimoniale, come l’IVIE per gli immobili esteri

Imposta di bollo: patrimoniale “assimilata 

Non esiste un’imposta di bollo autonoma per le criptovalute. Tuttavia, per chi detiene crypto-asset su exchange o piattaforme con sede in Italia, viene applicata una tassazione automatica assimilabile all’imposta di bollo.

  • Aliquota: 0,2% annuo
  • Applicazione: automatica, da parte dell’intermediario (es. Young Platform)
  • Base imponibile: valore degli asset detenuti al 31 dicembre (o, in ogni caso, in proporzione ai giorni di detenzione)
  • Non si versa in dichiarazione, ma viene trattenuta direttamente dalla piattaforma
imposta di bollo e IVACA criptovalute 2025

In pratica: quando si applica l’una o l’altra?

  • Detieni criptovalute su piattaforme italiane
    → L’imposta viene trattenuta automaticamente. Devi solo scaricare la ricevuta di pagamento dall’exchange e conservarla per eventuali controlli del fisco. Durante la dichiarazione dei redditi, devi fare una “X” nella casella 16 “solo monitoraggio” per comunicare all’Agenzia delle Entrate che è già stata pagata.
  • Detieni criptovalute su exchange esteri o wallet non custodial
    → Dovrai calcolare e versare tu l’IVACA, inserendola nel Quadro RW della dichiarazione dei redditi.
  • Hai crypto su piattaforme italiane e estere
    → Dovrai conservare le ricevute dell’imposta trattenuta automaticamente dalle piattaforme italiane. Per le criptovalute detenute su exchange esteri o wallet privati, dovrai dichiararle nel Quadro RW e versare l’IVACA corrispondente.

Qual è la scadenza per dichiarare e pagare l’imposta? 

La scadenza per il pagamento dell’IVACA (o per allegare la ricevuta dell’imposta di bollo) coincide con quella della dichiarazione dei redditi: 30 giugno dell’anno successivo a quello di riferimento.

Per l’anno fiscale 2024, il pagamento o l’inserimento in dichiarazione dovrà essere fatto entro il 30 giugno 2025.

Il mancato adempimento comporta sanzioni e interessi.

Su Young Platform, l’imposta di bollo viene calcolata e prelevata automaticamente ogni anno, senza che l’utente debba fare nulla. A partire dalla prima settimana di febbraio, l’importo viene prelevato dal Portafoglio Euro, se ci sono fondi disponibili. Se il saldo è insufficiente, l’addebito avverrà alla prima operazione utile successiva.

  • Vai in “Tasse & Report” → “Imposta di bollo” per vedere l’importo pagato.
  • I dettagli della transazione (ID, data, importo, stato) sono disponibili in “Portafoglio Euro” → “Cronologia”.

Come si calcola la base imponibile

Esempio – Imposta di bollo su portafoglio crypto

Al 31 dicembre 2024, l’utente detiene i seguenti asset su Young Platform:

imposta di bollo portafoglio 2025

Calcolo imposta di bollo (0,2%)

  • Formula: valore totale del portafoglio × 0,2%
  • 14.700 € × 0,2% = 29,40 €

L’imposta di bollo da pagare sarà quindi pari a 29,40 €, che verrà trattenuta automaticamente da Young Platform, in quanto piattaforma italiana.

Cosa deve fare l’utente?

Nulla. L’imposta è già versata dall’exchange. L’utente dovrà solo scaricare la ricevuta del pagamento e conservarla in caso di controlli fiscali o per allegarla alla dichiarazione, se richiesto.

E se avessi lo stesso portafoglio su un exchange estero?

Nel caso in cui questi stessi asset fossero detenuti su un exchange estero o un wallet non custodial, l’imposta da versare sarebbe comunque di 29,40 €, ma non verrebbe trattenuta automaticamente.

In quel caso l’utente dovrebbe:

  • Inserire il valore del portafoglio nel Quadro RW del Modello Redditi o nel Quadro W del modello 730
  • Versare autonomamente l’imposta IVACA tramite Modello F24 entro il 30 giugno 2025

In sintesi: stesso importo, ma modalità diverse di adempimento fiscale.

Commercialista esperto di criptovalute: accedi ai servizi di consulenza di Young Platform

Commercialista criptovalute

Gestisci al meglio la fiscalità crypto con il supporto di commercialisti specializzati. Scopri come ottimizzare la dichiarazione e ridurre i rischi fiscali.

Investire in criptovalute può essere redditizio e stimolante, ma la gestione fiscale rappresenta spesso un ostacolo complesso. La normativa in materia di crypto asset cambia praticamente ogni anno ed è purtroppo facile commettere errori nella dichiarazione dei redditi,  portando a sanzioni significative.

La soluzione: un commercialista crypto

Per questo motivo, abbiamo creato un portale di consulenza fiscale dedicato, che ti mette in contatto diretto con commercialisti esperti del settore. Grazie al loro supporto, potrai gestire in modo corretto e strategico la tua posizione fiscale, evitando rischi e ottimizzando il pagamento delle imposte.

I principali vantaggi del servizio sono:

  • Dichiarazione corretta degli asset digitali, con l’assistenza di un esperto.
  • Ottimizzazione fiscale, per ridurre il carico tributario nei limiti della legge.
  • Regolarizzazione di errori passati, tramite il Ravvedimento Operoso.
  • Consulenza su operazioni specifiche, come cash out, trasferimenti all’estero e gestione di fondi bloccati.

Il supporto di un commercialista con un documento fiscale come il Report Fiscale di Young Platform sono la soluzione alla tua dichiarazione dei redditi. È disponibile in due versioni:

  • Young Platform (da app e web): ideale per chi utilizza solo l’exchange PRO e Base.
  • Young-Okipo (solo da web): perfetto per chi opera con più wallet o exchange.

Richiedi un appuntamento dal tuo account

Prenota il tuo appuntamento con il commercialista

L’accesso al servizio è semplice e immediato. È sufficiente:

  1. Accedere alla sezione “Tasse & Report” della piattaforma
  2. Cliccare sul banner dedicato alla consulenza fiscale
  3. Compilare un rapido questionario
  4. Scegliere un orario disponibile per l’appuntamento con il team di Young Platform.

Il primo incontro conoscitivo è gratuito e parlerai con i tecnici del team Young Platform per capire meglio le tue esigenze. 

Vogliamo infatti valutare insieme se sia davvero necessario attivare una consulenza fiscale professionale, che rappresenta comunque una spesa. In molti casi possiamo già aiutarti noi a chiarire dubbi e rispondere alle domande più comuni. Se invece la situazione lo richiede, ti supporteremo anche nel passaggio successivo, mettendoti in contatto con il nostro commercialista qualificato.

La scadenza per il pagamento delle imposte è fissato al 30 giugno 2025. Nei mesi precedenti questa data la richiesta di consulenze aumenta sensibilmente. Prenotare in anticipo consente di ricevere l’assistenza necessaria senza il rischio di ritardi o sovraccarichi.

Perché scegliere la consulenza fiscale di Young Platform?

Commercialisti esperti in criptovalute

I professionisti disponibili tramite il nostro servizio sono specializzati nel settore crypto e costantemente aggiornati sulle normative fiscali più recenti. Questo consente di ricevere un supporto mirato e affidabile, riducendo al minimo il rischio di errori o omissioni nella dichiarazione.

Integrazione con i Report Fiscali di Young Platform

Uno dei principali vantaggi è l’integrazione con i report fiscali della piattaforma. Questi documenti forniscono un quadro chiaro e dettagliato di tutte le transazioni effettuate, facilitando la compilazione della dichiarazione dei redditi.

Acquistare il Report Fiscale consente di ottenere un riepilogo preciso della propria attività crypto, riducendo il rischio di errori e facilitando il lavoro del commercialista.

Supporto personalizzato in base alle esigenze individuali

Ogni investitore ha una situazione fiscale unica. Per questo motivo, il nostro servizio di consulenza offre un supporto su misura, adattandosi alle necessità specifiche di ciascun utente.

I principali servizi offerti includono:

  • Analisi della situazione fiscale individuale, per sviluppare le strategie dichiarative più efficaci.
  • Calcolo delle imposte su plusvalenze e minusvalenze, per una gestione fiscale ottimale.
  • Compilazione dei quadri RW e RT, necessari per la dichiarazione degli asset digitali.
  • Gestione di fondi bloccati o allocati su piattaforme problematiche, con assistenza nella dichiarazione.
  • Consulenza su strategie per ottimizzare i cash out, evitando impatti fiscali imprevisti.
  • Supporto per trasferimenti di criptovalute da e per l’estero, con analisi degli obblighi fiscali connessi.
  • Guida alla conservazione della documentazione fiscale, per garantire una gestione corretta e conforme.
  • Preparazione alla difesa in caso di accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate.
  • Assistenza per il ravvedimento operoso, per correggere eventuali errori dichiarativi di anni precedenti.
  • Consulenza su attività imprenditoriali legate alle crypto, come accettazione di pagamenti digitali, fiscalità internazionale, eredità e donazioni.
  • Supporto dedicato a chi ha vissuto situazioni complesse, come vittime di frodi o utenti che hanno perso fondi a causa del fallimento di exchange o piattaforme non più operative

Due formule di servizio: scegli quella più adatta a te

Offriamo due livelli di supporto, pensati per adattarsi al meglio alle tue esigenze:

  • Consulenza Fiscale
    Un incontro singolo con un esperto fiscale per ricevere chiarimenti su dubbi specifici, ottenere indicazioni su come procedere con la dichiarazione e valutare la tua situazione fiscale complessiva.
  • Pacchetto Completo
    Un servizio più approfondito, pensato per chi ha una situazione più articolata o preferisce delegare completamente la gestione della parte fiscale. Include l’analisi dei movimenti, il calcolo delle imposte, la compilazione della dichiarazione e la consegna dei documenti pronti per l’invio.

Queste informazioni sono riprese anche nelle mail che riceverai automaticamente al momento della prenotazione della chiamata, così avrai tutto chiaro fin da subito.

Ravvedimento Operoso e gestione di errori fiscali

Se negli anni precedenti hai commesso errori nella dichiarazione delle criptovalute o hai dimenticato di farla, il ravvedimento operoso rappresenta la soluzione per regolarizzare la tua posizione fiscale riducendo le sanzioni.

Grazie alla consulenza dei nostri esperti, potrai:

  • Analizzare la tua situazione fiscale e individuare eventuali irregolarità.
  • Ricevere un piano dettagliato su come correggere errori passati.
  • Minimizzare i costi delle sanzioni grazie all’intervento tempestivo.
  • Evitare il rischio di accertamenti futuri e contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Correggere eventuali inesattezze prima di ricevere una comunicazione ufficiale dall’Agenzia delle Entrate è fondamentale per evitare problemi e costi aggiuntivi.

Gestisci le tue criptovalute con sicurezza e tranquillità

Affidarsi a un commercialista esperto consente di eliminare ogni incertezza sulla fiscalità crypto, evitando errori e garantendo la conformità con la normativa vigente.

Grazie alla nostra consulenza specializzata, potrai concentrarti esclusivamente sulla crescita del tuo portafoglio, senza preoccupazioni legate alla dichiarazione dei redditi.