Bias cognitivi in finanza: guida per investire consapevolmente

Bias cognitivi in finanza: guida per investire consapevolmente

I bias cognitivi influenzano le tue decisioni di investimento più di quanto credi. Scopri i più comuni in finanza e le strategie pratiche per riconoscerli, gestirli e scardinarli

I bias cognitivi, distorsioni mentali che influenzano il nostro pensiero e il nostro processo decisionale, collidono con i pilastri della teoria economica tradizionale. Eh già, perché a causa di questi errori di valutazione sistematici, noi investitori che popoliamo il mondo della finanza siamo tutto fuorché gli “attori razionali” che gli economisti classici si immaginavano.

I bias cognitivi – e il loro significato – sono stati per un sacco di tempo trascurati. Si preferiva trattare gli individui come dei robot, guidati semplicemente dal bilanciamento tra rischio e rendimento, tra costi e benefici. La realtà – e soprattutto i dati, che non mentono quasi mai – però, ci racconta una storia ben diversa. Cosa sono i bias cognitivi? Come li definisce la finanza comportamentale? E soprattutto, quanto spesso ci caschiamo? 

Bias cognitivi: l’origine del termine

Scommettiamo che sei convinto di essere un buon automobilista? Diciamo pure migliore del “guidatore medio” italiano. Beh, amico, non sei solo: la stragrande maggioranza dei guidatori ha la tua stessa, identica convinzione. E questo, di per sé è già un paradosso. La colpa? Dell’overconfidence bias, ma non correre, che a quello ci arriviamo tra un attimo.

Per avventurarci nel fantastico (si fa per dire) mondo dei bias cognitivi applicati alla finanza, dobbiamo prima avere le idee chiare sul significato di “bias”. È un termine inglese che abbiamo preso in prestito dal greco epikársios, che significa “obliquo”, “inclinato”. Pensa che all’inizio era associato al gioco delle bocce, per descrivere un tiro un po’ sbilenco, andato storto. Probabilmente non hai mai sentito tuo nonno urlare “Bias!” alla bocciofila e c’è un perché: dal 1500 in poi, il termine ha iniziato a prendere un significato più ampio, e oggi lo traduciamo spesso con “predisposizione al pregiudizio” o, per essere più precisi nel nostro contesto, “distorsione sistematica del giudizio”. Insomma, qualcosa che ci fa vedere le cose un po’… di traverso.

Che cosa sono davvero i Bias cognitivi?

Il significato di bias cognitivo affonda le sue radici nell’etimologia che abbiamo appena spulciato. C’è da dire, però, che questa evoluzione di epikársios ha trovato terreno fertile nel campo della psicologia, soprattutto grazie alle ricerche di due pezzi da novanta come Daniel Kahneman e Amos Tversky, premi Nobel che negli anni ‘70 hanno iniziato a scoperchiare questo vaso di Pandora.

Ma quindi, in soldoni, “bias cognitivo” cosa vuol dire? Un sinonimo potrebbe essere automatismo mentale (o scorciatoia), inteso però spesso in senso negativo. È come quando il nostro cervello, per risparmiare energia, invece di fare tutto il ragionamento per filo e per segno, prende una scorciatoia. Peccato che a volte queste scorciatoie ci portino dritti dritti in un fosso. Da questi automatismi si generano solitamente credenze, decisioni, e persino abitudini. Insomma, i bias cognitivi non sono affatto uno scherzo: possono alterare permanentemente il nostro processo di pensiero, soprattutto se non impariamo a disinnescarli. L’unico modo per farlo? Riconoscerli e, quindi, conoscerli a menadito.

Le euristiche, scorciatoie mentali a volte pericolose

Stiamo parlando dei bias cognitivi della finanza, ma di soldi e investimenti ancora poche tracce concrete, vero? Non ti preoccupare, stiamo per arrivarci. Prima, però, dobbiamo chiarire un ultimo concetto fondamentale: quello di euristica, una parola che sentirai spesso associata ai bias.

In breve, le euristiche sono proprio quelle scorciatoie mentali di cui parlavamo. Il termine deriva dal greco heurískein, che significa “scoprire” o “trovare”. Sono procedimenti mentali sbrigativi che ci permettono di giungere a conclusioni veloci, di prendere decisioni al volo. Bello, no? Quando un’idea ti “salta in testa” all’istante, senza bisogno di spremerti le meningi o avventurarti in ragionamenti lunghi e faticosi. È l’euristica che lavora per te!

Questa specie di “magia” avviene nel nostro cervello grazie a un processo chiamato sostituzione dell’attributo, che per lo più avviene senza che ce ne accorgiamo. In parole povere, il nostro cervello sostituisce un concetto complesso con uno più semplice da maneggiare e voilà: conclusione rapida, zero sforzo cognitivo (o quasi).

Questo affascinante meccanismo, in un certo senso, precede o produce i bias cognitivi. È importante sapere, però, che non tutte le euristiche vengono per nuocere: alcune sono “euristiche efficaci”, ovvero scorciatoie che funzionano e ci semplificano la vita. Il problema è quando ci affidiamo troppo a quelle “pigre” o difettose ed è lì che nascono i guai, soprattutto in finanza.

Bias cognitivi nel mondo della finanza: quando le scorciatoie diventano trappole

Ti è mai capitato di azzeccare un trade e sentirti improvvisamente il Warren Buffett della tua provincia, praticamente invincibile? O, al contrario, di registrare una perdita e, invece di fermarti a riflettere, decidere di aumentare l’esposizione per “recuperare in fretta”? Se hai annuito almeno una volta, benvenuto nel club: hai, anche tu, avuto un incontro ravvicinato con qualche bias cognitivo.

E non sentirti solo o sbagliato: questo è assolutamente normale. Secondo diverse ricerche, tali schemi di pensiero irrazionale sono estremamente comuni, tanto da influenzare le decisioni della maggior parte degli individui quando si confrontano con situazioni di incertezza come quelle, appunto, dei mercati finanziari. Kahneman stesso, nel suo libro “Pensieri Lenti e Veloci”, ci spiega come questi “errori sistematici” siano parte integrante del nostro modo di pensare.

Ha quindi un sacco di senso, almeno secondo noi, dare un’occhiata da vicino ai bias più comuni che infestano il mondo degli investimenti. L’obiettivo? Imparare a riconoscerli per cercare, se non di eliminarli del tutto (impresa quasi impossibile), almeno di scardinarli o limitarne i danni.

Il Bias di conferma

Si manifesta con la tendenza a cercare, interpretare, favorire e ricordare solo le informazioni che confermano o supportano le nostre convinzioni o i nostri valori preesistenti. È come mettere dei paraocchi selettivi.

Hai comprato azioni di “Azienda X” o quella crypto in tendenza? Col bias di conferma attivo, andrai a caccia di notizie positive su quell’asset, magari sui forum o sui social, ignorando bellamente o minimizzando quelle negative. “Ah, quel famoso analista dice che salirà? Ottimo! Quell’altro dice che è una bolla? Ma figurati, non capisce niente!”

Uno studio di Park (2010) pubblicato sul “Journal of Cognitive Neuroscience” ha usato la risonanza magnetica funzionale per dimostrare che quando il bias di conferma entra in gioco, si attivano aree cerebrali associate alla ricompensa. In pratica, il cervello ci premia con della dopamina quando troviamo tesi che confermano le nostre idee, anche se sono sbagliate!

Eccesso di fiducia (overconfidence bias)

È la tendenza, ahimè molto umana, a sovrastimare le proprie capacità, le proprie conoscenze e l’accuratezza delle proprie previsioni. 

Pensa agli imprenditori che sottostimano le difficoltà di avviare un’azienda, o ai lavoratori convinti di riuscire a rispettare scadenze palesemente impossibili. L’ottimismo è un motore fantastico, ma quando la sicurezza supera un certo limite e diventa presunzione, iniziano i dolori. Si finisce per prendere decisioni avventate, trascurare rischi reali e, di conseguenza, andare incontro a risultati che definire deludenti è un eufemismo.

Secondo una ricerca di Barber e Odean (2001), dal titolo piuttosto eloquente “Boys Will Be Boys: Gender, Overconfidence, and Common Stock Investment”, questo bias cognitivo è significativamente più comune negli investitori maschi. A quanto pare, i maschietti tendono più spesso a sovrastimare le loro capacità, il che li porta a effettuare più operazioni di trading e a ottenere rendimenti netti inferiori rispetto alle colleghe investitrici.

Bias dell’ancoraggio

L’ancoraggio descrive la nostra tendenza a fare eccessivo affidamento sulla prima informazione che riceviamo su un dato argomento, anche se non è particolarmente rilevante o accurata. Questa prima informazione diventa un'”ancora” mentale che influenza tutti i giudizi successivi. Ad esempio, quando dobbiamo fare una stima numerica, tendiamo a farci influenzare da un numero che abbiamo sentito o visto in precedenza, anche se non c’entra nulla con la stima attuale.

Uno studio di Hersh Shefrin (2000), che trovi nel suo libro “Beyond Greed and Fear” (un classico della finanza comportamentale), illustra come gli investitori si “ancorino” a livelli di prezzo storici. Magari il prezzo a cui hai comprato un’azione, o il suo massimo storico. Queste “ancore” influenzano le aspettative 

Bias del presente

Sei vittima di questa euristica, che può portare a esiti negativi, quando dai un peso sproporzionato ai benefici immediati rispetto a quelli futuri, anche se questi ultimi potrebbero essere molto più grandi. È il trionfo del “tutto e subito”.

Uno studio sul risparmio pensionistico del 2008 di Laibson, Repetto e Tobacman dimostra come questo bias cognitivo possa portare alla procrastinazione cronica per quanto riguarda le decisioni di risparmio a lungo termine. Il classico “Inizio il piano d’accumulo il mese prossimo”, che diventa “il prossimo anno”, e poi “quando i figli saranno grandi”…

Questo bias è efficacemente descritto da modelli economici come quello “beta-delta”, che, per farla semplice, ci dicono che le persone non scontano il tempo in modo uniforme. Tendiamo ad attribuire un valore decisamente maggiore alle ricompense che possiamo ghermire subito rispetto a quelle che arriveranno in futuro, anche quando il ritardo è minimo. È come se il nostro “io futuro” fosse uno sconosciuto a cui non vogliamo fare favori.

Bias della rappresentatività

Ampiamente trattato da Tversky e Kahneman (1974) nel loro fondamentale articolo “Judgment under Uncertainty: Heuristics and Biases”, questa euristica si basa sulla nostra tendenza a giudicare la probabilità di un evento o l’appartenenza a una categoria basandoci su quanto esso sia simile a un prototipo o a uno stereotipo che abbiamo ben stampato in mente. Il problema è che spesso ignoriamo e le cosiddette “probabilità di base”, cioè quanto quellevento sia effettivamente frequente nella realtà.

Un esempio classico in finanza è l’investimento in un’azienda solo perché opera in un settore “caldo” e super chiacchierato (l’intelligenza artificiale oggi, il metaverso ieri, le energie rinnovabili l’altroieri), o perché il suo nome suona simile a quello di un’azienda di successo, o perché il suo fondatore assomiglia a Steve Jobs. Si cercano somiglianze superficiali, trascurando un’analisi fondamentale seria.

Pensa alla roulette: se è uscito il rosso per cinque volte di fila, molti scommetterebbero sul nero, pensando che “ora DEVE uscire”. Questo perché la sequenza R-R-R-R-R non “rappresenta” la nostra idea di casualità. Peccato che la pallina non abbia memoria e la probabilità sia sempre la stessa a ogni giro.

Effetto framing

Inifne, anche se non rientra nel calderone dei bias non possiamo non citare l’effetto framing, un fenomeno psicologico che dimostra come la nostra decisione possa cambiare radicalmente a seconda di come le informazioni vengono presentate, o “incorniciate”, appunto. La sostanza magari è la stessa, ma se cambia la cornice, cambia anche la nostra percezione (e la scelta finale).

Come ci hanno insegnato sempre Kahneman e Tversky, formulare una scelta in termini di potenziali guadagni o potenziali perdite fa tutta la differenza del mondo. Dire che un trattamento medico ha il “90% di possibilità di successo” è molto più rassicurante che dire che ha il “10% di possibilità di fallimento”, anche se stiamo dicendo la stessa identica cosa.

Dire che un fondo d’investimento attivo che ha reso il 4% quando il mercato di riferimento ha fatto il 2% può essere “incorniciato” come un successo. Ma se i costi di gestione annui sono stati del 3,5% e l’inflazione del 3%, il rendimento reale è negativo.

Come scardinare i bias cognitivi

Bene, ora che abbiamo fatto la conoscenza di questa allegra famigliola di trappole mentali, ti starai chiedendo: “quindi sono condannato a prendere decisioni finanziarie sbagliate per il resto dei miei giorni?”. La risposta è un sonoro: NO! Conoscere il nemico è il primo, fondamentale passo per combatterlo. Ecco qualche dritta pratica, niente formule magiche, ma consigli dannatamente utili:

  1. Datti delle regole chiare e seguile:
  • Fissa obiettivi finanziari limpidi: cosa vuoi dai tuoi investimenti? Una pensione tranquilla? Comprare casa? Avere obiettivi e un orizzonte temporale definiti ti aiuta a tenere la barra dritta quando il mare si fa grosso;
  • Crea un piano d’investimento scritto: non navigare a vista. Decidi prima il tuo profilo di rischio, come diversificare il portafoglio, e stabilisci regole chiare per comprare, vendere e ribilanciare. Scrivilo nero su bianco! E, soprattutto, attieniti al piano, anche quando l’istinto (o un maledetto bias!) ti urla di fare l’esatto contrario.
  • Automatizza il più possibile: i piani di accumulo sono una benedizione. Depositi e acquisti regolari e automatici ti evitano l’agonia di decidere “qual è il momento giusto per entrare” (spoiler: nessuno lo sa con certezza) e ti proteggono dalle decisioni impulsive dettate dall’emotività del momento.
  1. Lo scetticismo, in finanza, è una virtù:
  • Cerca attivamente opinioni divergenti: sei straconvinto di vole investire in un crypto specifica, per esempio SOL? Perfetto. Ora vai a cercare tutte le ragioni per cui potrebbe essere una pessima idea. Leggi analisi di chi la pensa diversamente, confrontati.
  • Redigi un “pre-mortem”: prima di prendere una decisione finanziaria importante, immagina per un attimo che sia andata male, un disastro completo. Quali potrebbero essere state le cause? Questo esercizio mentale può aiutarti a identificare rischi e falle nel tuo ragionamento che altrimenti avresti ignorato.
  1. Tieni un diario degli Investimenti:
  • Annota perché hai preso una certa decisione di investimento, cosa ti aspettavi in quel momento, e come ti sentivi (euforico? preoccupato?). Rileggere il diario a distanza di tempo è un modo potentissimo per riconoscere i tuoi schemi comportamentali e i tuoi bias “preferiti”, quelli in cui cadi più spesso.
  1. Pensa a lungo termine:
  • I mercati finanziari e crypto, nel breve periodo, sono rischiosi e volatili. Se stai lì ogni giorno a controllare i grafici e a farti venire l’ansia per ogni minima variazione, i bias avranno vita facile. Fai un bel respiro, ricorda i tuoi obiettivi di lungo periodo e non farti travolgere dal panico o dall’euforia del momento. Come dice Warren Buffett: “il mercato azionario è un meccanismo per trasferire denaro dagli impazienti ai pazienti.” 

Bias cognitivi in finanza: le domande più frequenti

Dopo tutta questa immersione nel mondo un po’ contorto dei bias, è normale avere qualche dubbio o curiosità. Proviamo ad anticiparne qualcuna, vediamo se ci azzecchiamo:

  • È possibile eliminare completamente i bias cognitivi? 

La risposta sincera è: probabilmente no, non del tutto. I bias cognitivi sono un po’ come la nostra ombra o il nostro accento regionale: fanno parte del nostro “pacchetto base” di esseri umani. L’obiettivo realistico non è eliminarli (sarebbe come cercare di non avere mai fame), ma imparare a riconoscerli, capire come ci influenzano e sviluppare strategie per gestirli e mitigarne l’impatto. È un lavoro continuo, una sorta di “manutenzione mentale” costante.

  • Quanto conta il fattore psicologico in finanza?

Tantissimoi! Puoi aver letto tutti i libri di finanza del mondo, ma se poi, al momento di cliccare “compra” o “vendi”, ti fai fregare dall’emotività e dai bias, tutta la tua sapienza analitica rischia di andare a farsi un giro. Molti esperti e investitori di successo sostengono che il successo negli investimenti dipende per una fetta enorme – forse anche il 50% o più – dalla gestione della propria psicologia. Le due cose, analisi e psicologia, devono andare a braccetto.

  • Ci sono bias più “pericolosi” di altri per chi inizia a investire?

Per chi muove i primi passi, alcuni bias possono essere particolarmente insidiosi. L’eccesso di fiducia (overconfidence) dopo i primissimi guadagni può far sentire dei fenomeni e portare a prendere rischi inutili. Anche il bias di conferma è piuttosto comune in chi ha poca esperienza sui mercati.

  • Come faccio a capire a quali bias sono più incline?

Il metodo più efficace è l’auto-osservazione onesta e costante. Un trucco utile è tenere un diario delle decisioni di investimento: annota non solo cosa compri o vendi, ma perché lo fai e come ti senti in quel momento (euforico? preoccupato? sotto pressione?). Rileggendolo a distanza di tempo, potresti notare degli schemi ricorrenti nel tuo comportamento. Hai preso decisioni impulsive durante un crollo di mercato? Hai mantenuto un titolo “per una questione di principio” anche se continuava a scendere?

  • I professionisti della finanza (trader, gestori di fondi) sono immuni?

Assolutamente no! I bias cognitivi sono “democratici”: colpiscono tutti, perché sono radicati nel modo in cui il cervello umano elabora le informazioni e prende decisioni. Anzi, a volte proprio l’eccesso di fiducia può giocare brutti scherzi a chi si sente particolarmente esperto. La vera differenza è che un buon professionista dovrebbe essere addestrato a riconoscere questi meccanismi e ad aver sviluppato strategie e processi per mitigarne l’impatto. Ma nessuno è un robot infallibile, neanche chi lavora a Wall Street!

Eccoci alla fine di queso viaggio alla scoperta dei bias cognitivi applicati al mondo della finanza. Se sei arrivato a leggere fin qui hai già fatto il primo, gigantesco e fondamentale passo: hai preso coscienza che queste “distorsioni mentali”, queste “scorciatoie ingannevoli”, esistono davvero e che influenzano anche te, come influenzano ogni singolo essere umano su questo pianeta.

Abbiamo visto che i bias non sono un’invenzione degli psicologi per vendere più libri, ma meccanismi profondamente radicati nel nostro modo di pensare, un’eredità della nostra evoluzione. Sono scorciatoie che il nostro cervello, pigro ma efficiente, usa per cercare di semplificare un mondo incredibilmente complesso e pieno di informazioni. A volte queste scorciatoie ci portano a destinazione rapidamente e senza incidenti. Altre volte, però, soprattutto quando ci sono di mezzo i nostri sudati risparmi e l’imprevedibilità dei mercati finanziari, ci fanno fare delle capocciate memorabili

La buona notizia, però, è che non siamo condannati a essere delle semplici marionette nelle mani dei nostri bias! La consapevolezza è la nostra arma più potente. Capire come funzionano questi meccanismi, imparare a riconoscere i campanelli d’allarme nel nostro comportamento e nei nostri pensieri, e adottare strategie concrete per “disinnescarli” o almeno limitarne l’impatto, può fare – e fa – tutta la differenza del mondo.Quindi, la prossima volta che senti quella vocina interiore che ti spinge a una decisione finanziaria impulsiva, che ti fa dire “Ma sì, che sarà mai, mi butto!”, fermati un attimo. Un respiro profondo. Chiediti: “Non è che qui c’è lo zampino di qualche vecchio, caro bias cognitivo che cerca di farmi lo sgambetto?”.

Bitcoin: nuovo all-time high a 111.900$

Bitcoin: nuovo massimo storico a 111.900$

Bitcoin raggiunge un nuovo massimo storico. Un’analisi tra ETF spot, fear & greed index, tassi di finanziamento sui mercati derivati e gli scenari futuri

Bentornato, Bitcoin! Dopo un’attesa che durava da gennaio, la principale criptovaluta ha finalmente infranto i suoi record precedenti, regalandoci un nuovo All-Time High (ATH). Ieri sera, Bitcoin ha toccato quota 109.400$, per poi superarsi nuovamente questa mattina, arrivando a un passo dai 112.000$. È importante sottolineare, per dovere di cronaca, che non è stato ancora raggiunto un massimo storico nei confronti dell’euro. Questo scenario è in parte dovuto all’indebolimento del dollaro USA rispetto ad altre valute globali da gennaio, mese in cui Bitcoin aveva toccato il suo ATH in euro (all’epoca, il dollaro USA ha perso circa il 10% rispetto all’Euro).

L’attuale bull market si configura come uno dei più particolari e anomali nella storia di Bitcoin. Innanzitutto, sono trascorsi circa cinque mesi tra il precedente ATH e quello attuale. Inoltre, finora non si è assistita a una altseason degna di nota, lasciando il “buon vecchio Bitcoin” come protagonista quasi indiscusso di questa fase di mercato.

A che punto siamo di questo Bull Market?

Per comprendere meglio la situazione attuale, analizziamo alcuni indicatori significativi, evidenziando le differenze rispetto ai cicli passati e perché, nonostante le anomalie, lo scenario potrebbe rivelarsi positivo.

  1. Fear & Greed Index: questo indice misura il sentiment generale del mercato crypto, oscillando da “paura estrema” a “avidità estrema”. Attualmente, si attesta intorno al livello 70 (avidità). Questo dato è piuttosto insolito: tipicamente, quando Bitcoin registra un nuovo massimo storico, l’indice schizza verso livelli di “avidità estrema” (spesso sopra 80-90).
  2. Funding Rates: i tassi di finanziamento sui mercati derivati sono un eccellente termometro per misurare la “temperatura” speculativa. Indicano il costo che i trader pagano per mantenere aperte posizioni con leva finanziaria (long o short). Quando questi tassi diventano marcatamente positivi (ad esempio, nell’intervallo 0,05%-0,08%), segnalano un eccesso di leva finanziaria long (scommesse al rialzo) nel sistema, aumentando il rischio di una brusca correzione. Sorprendentemente, al momento, i funding rates si mantengono su un modesto 0,005%, suggerendo una minore euforia speculativa e un utilizzo più cauto della leva.
  3. Interesse Retail: stimato attraverso il volume di ricerca della parola chiave “Bitcoin” su Google Trends, l’interesse del pubblico retail, pur mostrando una lieve crescita rispetto alla scorsa settimana, rimane vicino ai minimi della curva storica. Sembra che l’entusiasmo dei piccoli investitori non si sia ancora acceso pienamente nonostante il nuovo ATH. Viene da chiedersi: cosa succederà quando la notizia raggiungerà i media generalisti?

Gli ETF continuano a essere determinanti

Molti analisti sono convinti che il recente rally, culminato con il nuovo massimo storico, sia stato in gran parte alimentato dagli ingenti afflussi di capitale negli ETF Spot su Bitcoin. Soltanto negli ultimi tre giorni di contrattazioni, gli afflussi netti di capitale hanno raggiunto circa 1,5 miliardi di dollari. Complessivamente, gli afflussi netti dal lancio di questi strumenti ad oggi hanno superato i 43 miliardi di dollari e i fondi che emettono questi ETF detengono oggi circa 129 miliardi di dollari in Bitcoin, una cifra 

Cosa ci riserva il futuro?

Con il superamento dei precedenti massimi, il prezzo di Bitcoin si trova ora in fase di price discovery. In questa situazione, diventa molto difficile identificare livelli di prezzo storici che possano fungere da resistenza. È come navigare in acque inesplorate: ogni nuovo rialzo traccia una rotta mai percorsa prima.

Le recenti notizie macroeconomiche, seppur non particolarmente positive per il sistema economico globale, sembrano invece giocare a favore di Bitcoin. Un esempio significativo è l’annuncio di J.P. Morgan: la quinta banca al mondo per asset in gestione (la prima negli USA, con 4 trilioni di dollari e oltre 90 milioni di clienti) permetterà ai propri clienti di acquistare Bitcoin, segnando un’ulteriore, importante apertura istituzionale.

Inoltre, il declassamento del debito americano da parte di Moody’s e le persistenti preoccupazioni sulla sostenibilità della spesa pubblica statunitense hanno contribuito a incrinare la fiducia nella stabilità finanziaria tradizionale. In questo contesto di incertezza, Bitcoin emerge sempre più come una riserva di valore e un vero e proprio baluardo contro l’inflazione, l’instabilità economica e l’eccessivo debito pubblico.

Resta da vedere come evolverà la situazione, ma le dinamiche attuali suggeriscono un mercato di Bitcoin più maturo e in continua trasformazione, sempre più centrale nel panorama finanziario globale.

Quali sono i 5 crypto AI agent più famosi del mondo crypto?

AI agent crypto: i 5 più famosi

Quali sono i 5 crypto AI agent più famosi? Le varianti decentralizzate di Chat GPT anche in grado di gestire denaro

Quali sono i crypto AI agent più famosi? Avete presente Chat GPT, Gemini, Claude e tutti quegli altri cervelloni artificiali con cui ormai chiacchieriamo quasi quotidianamente? Bene, ora immaginate se questi genietti digitali potessero non solo scrivere poesie o risolvere problemi complessi, ma anche gestire soldi veri, investire, guadagnare e persino spendere criptovalute. Sembra fantascienza? Non proprio! Benvenuti nel mondo dei crypto AI agents, la nuova, entusiasmante frontiera nata dall’incontro tra due tecnologie che stanno rivoluzionando il mondo: le criptovalute e l’intelligenza artificiale.

In parole povere, stiamo parlando di entità digitali che già oggi sono capaci di muoversi autonomamente sui mercati finanziari decentralizzati e sfornare analisi e previsioni sui prezzi. E la cosa più sbalorditiva? Non sono semplici bot il cui agire è definito da un algoritmo immutabile, ma  sono progettati per imparare dai propri errori e adattarsi alle mutevoli condizioni del mercato, un po’ come farebbe un essere umano.

Certo, detta così sembra una semplificazione estrema, e in parte lo è. Ma niente paura! In questo articolo non ci perderemo in spiegoni teorici su cosa siano esattamente e come funzionino nel dettaglio i crypto AI agents, lo abbiamo già fatto qui. Oggi vogliamo andare dritti al sodo: faremo una carrellata dei 5 più famosi e interessanti crypto AI agent in circolazione, cercando di capire cosa fanno e perché se ne parla tanto.

I 5 crypto AI agents più famosi

Virtual Protocol: la “fabbrica” di agenti AI

Iniziamo subito col botto! Virtual Protocol non è tanto un singolo agente AI, quanto una vera e propria piattaforma o, come si autodefinisce, una “società di agenti AI”, dove chiunque può creare un agente AI personalizzato. Grazie al protocollo Virtuals, una volta configurati, questi agenti “prendono vita” e possono iniziare a muoversi e operare in modo autonomo nel mondo digitale. Cosa significa? Beh, immaginate di poter “programmare” un vostro piccolo aiutante digitale capace, se lo desiderate, di processare transazioni crypto, prendere decisioni basate sulle sue esperienze passate – o sui dati che ha analizzato – e interagire con l’ambiente circostante, che sia la blockchain o altre piattaforme; ad esempio i social network. All’interno di questa lista, vedremo un esempio lampante di agente creato proprio utilizzando questo protocollo.

La maggior parte degli agenti che nascono su Virtuals rientrano nella categoria degli IP (Intellectual Properties) agents, che potremmo definire come delle vere e proprie personalità virtuali, degli influencer digitali. L’esempio più eclatante è Luna, un’agente che ha spopolato su TikTok, raggiungendo quasi 1 milione di follower grazie ai suoi contenuti. Esistono poi i functional agents, meno focalizzati sull’aspetto “social” e più orientati a svolgere compiti specifici per migliorare l’esperienza utente su determinate piattaforme o servizi.

AIXBT: l’oracolo di X

Se bazzicate X e siete appassionati di crypto, è quasi impossibile che non vi siate imbattuti in AIXBT. Questo è, senza dubbio, uno dei crypto AI agent più popolari e seguiti. Creato proprio sulla “fabbrica di agenti” Virtual Protocol, AIXBT viene definito un sentient agent. Il suo scopo principale è chiarissimo: tenere costantemente informati gli holder del suo token associato, condividendo analisi di mercato, approfondimenti e previsioni focalizzate sul mondo crypto. 

Queste analisi non sono campate in aria, ma derivano da un continuo processo di raccolta, analisi e interpretazione di dati. AIXBT ha saputo conquistarsi una vasta platea, accumulando, ad oggi, circa 500.000 follower grazie alla sua abilità nell’identificare le narrative di mercato più calde e nel fornire alpha, ovvero informazioni preziose che possono dare un vantaggio agli investitori. La qualità dei suoi contenuti è tale che persino CoinGecko, una delle piattaforme di analisi dati più autorevoli e utilizzate nel settore crypto, ha deciso di integrare le analisi di AIXBT.

Un piccolo dettaglio non da poco: il token legato a questo agente ha vissuto momenti di gloria, raggiungendo, nel suo picco di massima espansione, una capitalizzazione di mercato di ben 745 milioni di dollari.

Eliza OS: il primo Venture Capital gestito dall’AI

L’idea che muove Eliza OS – che molti ricorderanno con il suo nome precedente, ai16z – è di quelle che stuzzicano la fantasia: immaginate un mondo in cui i vostri investimenti non solo “lavorano per voi” passivamente, ma lo fanno in modo intelligente, proattivo e completamente automatizzato. Non stiamo parlando del solito interesse composto o di formule finanziarie già note. Qui si parla di un’intelligenza artificiale tokenizzata, costruita su Solana, che ha l’obiettivo di generare rendimenti attraverso un’attività di trading sofisticata e continua.

Il modo più semplice per descrivere Eliza OS?  Un fondo di venture capital completamente decentralizzato e automatizzato, che sfrutta la potenza dell’AI per prendere decisioni finanziarie ponderate, quasi come un consulente finanziario instancabile, attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7, e sempre aggiornato sugli ultimi trend di mercato. Il token collegato a Eliza OS ha avuto un successo quasi istantaneo e travolgente, superando la sbalorditiva cifra di 2,5 miliardi di dollari di capitalizzazione in circa quattro mesi dal lancio. Oggi però, il prezzo del token si è notevolmente ridimensionato.

Hey Anon: Chat GPT per la DeFi

Il penultimo progetto di questa nostra carrellata vede protagonista una figura tanto nota quanto discussa del panorama DeFi italiano: Daniele Sesta. Hey Anon è un protocollo che nasce con un obiettivo semplice ma potente: semplificare drasticamente le interazioni con il complesso mondo della Finanza Decentralizzata (DeFi). 

In pratica, è un chatbot in stile Chat GPT, ma nato per interagire direttamente con la DeFi. Potete dargli istruzioni in linguaggio naturale, connettere il vostro wallet crypto, e lui si occuperà di tutta la parte tecnica. Facciamo un esempio? Avete una certa quantità di ETH e volete utilizzarli come collaterale per richiedere un prestito su Aave, ma non sapete da dove iniziare o trovate la procedura macchinosa? Potreste semplicemente chiedere a “Hey Anon” di farlo per voi. Attenzione però: c’è un “ma”. Per poter usufruire dei servizi di questa piattaforma e dare ordini al chatbot, è necessario detenere una certa quantità del token nativo del progetto, ANON.

Kaito: un motore di ricerca per il Web3?

Chiudiamo la nostra lista con Kaito, una piattaforma creata specificamente per semplificare l’accesso e la comprensione della marea di dati che popola l’universo Web3. Immaginate quanto sia difficile, oggi, rimanere aggiornati su tutto ciò che accade nel mondo crypto: notizie, trend sui social media, discussioni su Discord e Telegram, dati on-chain, nuovi progetti che spuntano come funghi. Kaito si propone come una soluzione a questo problema. 

Utilizzando l’AI, Kaito raccoglie, analizza e presenta informazioni cruciali da una miriade di fonti disparate, aiutando utenti, investitori e sviluppatori a navigare in questo mare magnum e a prendere decisioni più consapevoli. Potremmo vederlo come una sorta di “Google Search” potenziato dall’intelligenza artificiale, ma interamente focalizzato e specializzato sul mondo delle criptovalute e del Web3. Un tool che promette di rendere la ricerca di informazioni di qualità più rapida ed efficiente.


E questo è solo un assaggio! Il panorama dei crypto AI agent è in fermento e ogni giorno spuntano nuove idee e progetti. Siamo ancora agli inizi, è vero, e come per tutte le tecnologie emergenti ci sono sfide, rischi e tanta sperimentazione. Ma una cosa è certa: la fusione tra intelligenza artificiale e blockchain ha il potenziale per sbloccare scenari che fino a ieri sembravano relegati ai romanzi di fantascienza.


Moody’s declassa le Treasury americane: fuga dal dollaro in arrivo?

Moody’s declassa le Treasury

Moody’s ha appena declassato le treasury americane. Quale sarà l’impatto dell’accaduto? Bitcoin può essere una soluzione?

L’era in cui gli Stati Uniti sembravano possedere una sorta di carta di credito globale illimitata potrebbe davvero essere al capolinea. La notizia è di quelle che scuotono l’economia mondiale: Moody’s ha messo sotto osservazione il debito sovrano americano, declassando di fatto il suo outlook. Non è “solo” una formalità tecnica; è un faro potente acceso su una verità scomoda: i titoli di stato USA, per anni il simbolo della sicurezza finanziaria, non sono più considerati completamente privi di rischio

E questo potrebbe significare che il tempo in cui l’America poteva stampare moneta a piacimento, con il mondo pronto ad assorbirla senza troppe conseguenze, sta per finire. Viene da chiedersi: come si colloca Bitcoin in questo scenario potenzialmente rivoluzionario?

Moody’s declassa le Treasury USA

Sentire che il debito americano non è più intoccabile fa un certo effetto. Dopotutto, per decenni è stata la roccia su cui si è appoggiato l’intero sistema finanziario globale. Ma ecco che le agenzie di rating – questi enigmatici arbitri del credito sovrano come Moody’s, S&P e Fitch – tornano protagoniste, capaci come sono di aprire o chiudere le porte dei mercati a intere nazioni con un semplice cambio di “pagella”.

Dopo questa premessa, che oscilla tra il catastrofico e l’ottimista (soprattutto per chi, come forse anche voi, vede in Bitcoin un’alternativa), cerchiamo di capire cosa è successo davvero. Sostanzialmente, è cambiata una “lettera”, o meglio, la prospettiva su quella lettera. Un avvenimento all’apparenza irrilevante, ma che potrebbe aprire le porte a un cambiamento radicale della finanza come la conosciamo. Moody’s, con il suo recente cambio di outlook (pur mantenendo per ora il rating Aaa), segue le orme di Standard & Poor’s (che declassò da AAA ad AA+ nel 2011) e Fitch (declassamento simile nel 2023), segnalando che la fiducia nel “porto sicuro” per eccellenza non è più incondizionata.

Quali sono i motivi del declassamento?

Le domande sorgono spontanee: perché questo cambio di rotta? Quali saranno le ripercussioni sul dollaro e sui principali indici azionari?

La motivazione principale di questo declassamento “annunciato” la conoscete probabilmente già, se seguite con un minimo di attenzione le dinamiche economiche – e il nostro blog. Il primo, ovvio, colpevole è il debito pubblico USA, la cui crescita può essere definita senza mezzi termini “fuori controllo”. Parliamo di un deficit federale che si avvicina ai 2.000 miliardi di dollari all’anno, circa il 6% del PIL – cifre mai viste, nemmeno durante le crisi più acute degli anni ’70. E questo senza contare il fardello crescente degli interessi su tale debito.

A ciò si aggiunge quella che Moody’s definisce una palese “incapacità politica di invertire la rotta”, ovvero una paralisi decisionale che impedisce di attuare riforme fiscali sostenibili. In breve: “la traiettoria fiscale statunitense è compromessa”. Il vero problema è che la situazione che abbiamo appena descritto sembra destinata a peggiorare. Secondo le stesse proiezioni di Moody’s (e di altri enti come il CBO), il deficit potrebbe schizzare al 9% del PIL entro il 2035, e questo nello scenario più ottimista, senza considerare shock esterni come pandemie, guerre o recessioni. Queste cifre proietterebbero il debito pubblico complessivo verso un terrificante 180% del PIL.

Gli USA non sono più intoccabili?

Il CBO (Congressional Budget Office), per sottolineare la gravità, ha addirittura tracciato un parallelo con il disastroso mini-budget proposto da Liz Truss nel Regno Unito nel 2022, che gettò nel panico i mercati finanziari.

Nel frattempo, come logica conseguenza, i rendimenti dei titoli di stato americani crescono: quello del trentennale ha già toccato o superato il 5%, e il decennale si attesta su livelli simili (es. 4,517% o più). Il motivo è semplice: più uno strumento finanziario è percepito come rischioso, più alto deve essere il suo rendimento per attrarre investitori. Questo, però, significa anche che gli USA dovranno sborsare più soldi per pagare gli interessi ai propri creditori, alimentando un circolo vizioso del debito. E attenzione, perché i rendimenti potrebbero salire ancora: il mercato obbligazionario è spesso più reattivo di quello azionario, e i famosi “bond vigilantes” (grandi investitori che “puniscono” i governi con politiche fiscali allegre vendendone i titoli) agiscono in fretta.

Il CBO stima che entro il 2030, ben il 22% di tutto il gettito fiscale USA (i soldi incassati con le tasse) sarà divorato dal solo pagamento degli interessi sul debito.

La domanda sorge quindi spontanea: l’eccezionalismo del debito USA è al capolinea? Anche gli Stati Uniti dovranno affrontare lo stesso scrutinio e gli stessi problemi di bilancio che noi italiani conosciamo fin troppo bene? La famosa “spending review” busserà anche alle porte di Washington? Bisogna ammettere che il dollaro USA non è una valuta qualsiasi: è la valuta di riserva mondiale, il linguaggio universale della finanza globale, la moneta che le banche centrali di tutto il mondo accumulano. Ma il giochino per cui gli USA stampano denaro senza limiti, sicuri che gli altri Paesi glielo comprino (un concetto legato al Dilemma di Triffin), potrebbe davvero finire.

Come se non bastasse, indiscrezioni recenti suggeriscono che nelle ultime settimane la FED potrebbe aver acquistato ben 43,6 miliardi di dollari di Treasury USA, di cui 8,8 miliardi di titoli di stato con scadenza a 30 anni l’8 maggio. Ciò che preoccupa maggiormente gli analisti non è tanto l’acquisto in sé, quanto il fatto che sarebbe avvenuto in sordina, non supportato da alcun annuncio ufficiale. Un’operazione del genere, se confermata, potrebbe segnalare l’inizio di una nuova fase in cui la banca centrale americana tenta di controllare i rendimenti dei bond (una sorta di yield curve control mascherato) per evitare un cosiddetto “bear steepener” – ovvero una situazione in cui la differenza di rendimento tra obbligazioni a breve e lunga durata diventa eccessivamente marcata. Evitare tale scenario è cruciale: un’eccessiva divergenza nei rendimenti potrebbe infatti costringere la FED ad alzare ulteriormente i tassi di interesse, aggravando il costo del debito e intensificando il circolo vizioso di cui abbiamo parlato.

Bitcoin può essere la soluzione?

E qui arriviamo al nocciolo della questione per molti osservatori attenti. In uno scenario dove la fiducia nella principale valuta di riserva mondiale e nei suoi titoli di stato inizia a incrinarsi, dove il debito sembra una voragine senza fondo e la capacità di ripagarlo senza svalutare la moneta è messa in dubbio, quale ruolo può giocare Bitcoin

In questo senso risuonano quanto mai attuali le dichiarazioni che Larry Fink, il CEO di BlackRock ha inserito nella sua lettera annuale agli shareholders del più grande fondo di investimento al mondo. In quel documento Fink dichiara che “Bitcoin ha le carte in regola per rimpiazzare il dollaro americano, proprio a causa dell’irreversibile situazione legata al debito statunitense.”

Insomma, per chi sostiene Bitcoin, la risposta è quasi ovvia. Di fronte a debiti sovrani fuori controllo e a valute fiat a rischio inflazione per “monetizzare” quei debiti, Bitcoin si propone come:

  1. Una riserva di valore alternativa, un “oro digitale” con un’offerta limitata e prevedibile (massimo 21 milioni di unità), non manipolabile da decisioni politiche o da banche centrali;
  2. Un asset intrinsecamente scarso;
  3. Un sistema di pagamento globale, decentralizzato e resistente alla censura.

Certo, Bitcoin ha la sua volatilità e le sue sfide, ma in un contesto di crescente preoccupazione per la stabilità del sistema finanziario tradizionale, la sua narrativa come potenziale scudo o diversificatore di valore acquista sempre più forza.Il cambio di outlook di Moody’s non è la fine del mondo, ma è un segnale potente. E mentre i pilastri della finanza tradizionale mostrano qualche crepa, un’alternativa digitale, un tempo considerata di nicchia, si fa sempre più strada. Staremo a vedere cosa emergerà dal discorso della FED, ma una cosa è chiara: le fondamenta stanno tremando e il dibattito su cosa verrà dopo è più vivo che mai.


Risiko bancario: che cos’è e perché si innesca?

Risiko bancario: che cos’è e come si innesca?

Scopri cos’è il risiko bancario, un’attività giustificata dagli extra-profitti delle banche

Che cos’è il risiko bancario? No, non è l’ultima espansione del vostro gioco da tavolo preferito, anche se le dinamiche di conquista e strategia che lo regolano ci assomigliano parecchio. Questo termine, mutuato con arguzia dal celebre gioco da tavolo, descrive la recente e vivace tendenza degli istituti di credito, specialmente quelli con qualche “carrarmatino” in più, a lanciarsi in operazioni di fusione, acquisizione (M&A) e accorpamento. Un po’ come quando, nel gioco, hai accumulato abbastanza armate da guardare con interesse i territori del vicino.

La prima misura macroeconomica che possiamo associare al risiko bancario è la modifica dei tassi di interesse, un argomento molto frequente nei nostri articoli per via della sua influenza sui mercati, anche su quello crypto. L’innalzamento del costo del denaro, deciso dalle banche centrali per domare l’inflazione (mentre noi comuni mortali vedevamo lievitare le rate dei mutui), ha fatto la gioia dei bilanci bancari. Questi extraprofitti verranno reinvestiti per crescere ed espandersi. Preparate i pop-corn perché la stagione 2025-2026 del risiko bancario, si preannuncia scoppiettante.

Lo stato di salute delle banche italiane

Prima di approfondire il tema principale, è utile una breve analisi dello stato di salute degli istituti di credito, per comprendere il contesto in cui si sviluppa il fenomeno del risiko. Negli ultimi anni, le banche hanno beneficiato significativamente delle decisioni delle banche centrali sui tassi di interesse.

Durante il 2023, le maggiori banche italiane quotate in borsa hanno registrato utili netti aggregati per 21,9 miliardi di euro, cifra che è ulteriormente salita a 31,4 miliardi nel 2024. A livello europeo, i profitti dei venti istituti più importanti hanno raggiunto circa 100 miliardi di euro.

Il principale motore di questa crescita è stato l’incremento dei tassi di interesse operato dalla Banca Centrale Europea per contrastare l’inflazione (da luglio 2022 a ottobre 2023, i tassi di riferimento sono passati dallo 0% al 4,5%). Ciò ha provocato un aumento del margine netto di interesse, ovvero la differenza tra gli interessi attivi riscossi sui prestiti e gli interessi passivi corrisposti sulla raccolta. Semplificando, si può dire che le banche hanno adeguato più rapidamente i tassi attivi sui finanziamenti concessi ai clienti rispetto alla remunerazione offerta sui depositi.

Tuttavia, i risultati positivi non derivano soltanto da questa dinamica. Si è registrata anche una crescita delle commissioni nette, prevalentemente dalla gestione patrimoniale. Queste componenti hanno contribuito alla situazione attuale, in cui le banche, grazie ai consistenti profitti accumulati (assimilabili, nella metafora del Risiko, a territori conquistati o carte bonus), dispongono di significativa liquidità (o “armate”). Il passo successivo, in entrambi gli scenari, è l’investimento di queste risorse per l’espansione.

Il risiko bancario

La metafora del risiko bancario è particolarmente calzante poiché, in questo periodo, il settore è sempre più simile ad una arena competitiva. Tuttavia, a differenza del gioco da tavolo, la spinta al consolidamento tra banche è alimentata da una serie di motivazioni strategiche fondamentali per la loro crescita e stabilità. Ecco le principali:

  1. Ricerca di economie di scala: l’obiettivo primario è unificare le strutture operative, ottimizzare i costi attraverso la razionalizzazione dei processi interni e l’integrazione delle piattaforme tecnologiche.
  2. Diversificazione geografica e di prodotto: espandere la presenza territoriale e ampliare la gamma di servizi offerti permette alle banche di ridurre i rischi legati alla concentrazione su specifici mercati o segmenti di clientela, e al contempo di aumentare le opportunità di cross-selling e, di conseguenza, i ricavi.
  3. Aumento della competitività: banche di maggiori dimensioni dispongono generalmente di un maggior potere negoziale e di una capacità superiore di investire in nuove tecnologie, nello sviluppo delle risorse umane e in iniziative di marketing, rafforzando così la loro posizione sul mercato.
  4. Risposta strategica alle sfide del settore: le operazioni di M&A sono viste come una risposta all’accelerazione della digitalizzazione, alla necessità di conformarsi a una regolamentazione sempre più stringente (ad esempio in materia di requisiti patrimoniali e di liquidità) e all’urgenza di affrontare tematiche trasversali come la sostenibilità ambientale e sociale.
  5. Pressione degli azionisti: un fattore rilevante è la costante pressione esercitata dagli azionisti per massimizzare il valore delle azioni e dei dividendi, e per attrarre nuovi investitori.

Il risiko bancario: i casi più emblematici

Il panorama italiano ha già assistito a casi emblematici di M&A che hanno ridisegnato la mappa del credito. L’operazione Intesa Sanpaolo / UBI Banca, finalizzata nel 2021, è considerata un punto di svolta che ha effettivamente dato il via alla più recente ondata di “risiko bancario”. Questa fusione ha consolidato la leadership di Intesa Sanpaolo e ha agito da catalizzatore per ulteriori aggregazioni.

Un altro esempio significativo è stata l’acquisizione del Credito Valtellinese (CreVal) da parte di Crédit Agricole Italia (2020-2021), che testimonia l’interesse di gruppi esteri a rafforzare la propria presenza in aree strategiche del paese. Anche BPER Banca si è dimostrata un attore attivo, con l’acquisizione di Banca Carige (2022) e le ricorrenti discussioni su una potenziale integrazione con la Banca Popolare di Sondrio.

Sullo sfondo, rimangono le ipotesi che coinvolgono i principali player: si è molto discusso di un interesse di UniCredit per incrementare la sua quota nella tedesca Commerzbank, così come di passate interlocuzioni per un’aggregazione tra la stessa UniCredit e Banco BPM. Quest’ultima è attualmente impegnata nel tentativo di concludere l’offerta pubblica d’acquisto su Anima SGR, che è contemporaneamente oggetto di interesse da parte di Unicredit con un’offerta superiore ai 10 miliardi di euro. Nel frattempo, Unipol, dopo l’esclusione dall’ultima vendita di quote pubbliche di Monte dei Paschi di Siena, sembra mirare a favorire un’integrazione tra Bper e Popolare di Sondrio, di cui detiene una quota rilevante.

Banca Monte dei Paschi di Siena (MPS) continua a essere un elemento centrale nelle dinamiche di M&A, con il governo italiano alla ricerca di soluzioni di mercato per la sua definitiva stabilizzazione e privatizzazione; in questo contesto, si è nuovamente ipotizzato un possibile coinvolgimento di UniCredit.

Quali saranno i prossimi sviluppi?

Quali saranno gli esiti di questa fase del risiko bancario? È complesso fornire una risposta univoca, anche perché, non verrà incoronato un vincitore assoluto e definitivo. Il risiko bancario – e questa è una notevole differenza rispetto alle dinamiche del gioco da tavolo – è un processo continuo, che si adatta alle mutevoli stagioni dell’economia e della finanza.

Il periodo attuale è certamente cruciale. Con i tassi d’interesse in discesa, i margini di guadagno eccezionali registrati dalle banche negli ultimi anni potrebbero subire una normalizzazione. Questo scenario, naturalmente, spinge gli istituti di credito a rimescolare le carte e a studiare nuove strategie per mantenere la redditività e rafforzare la propria posizione competitiva.

Vedremo quindi, con ogni probabilità, ulteriori operazioni di consolidamento. I grandi gruppi bancari potrebbero puntare a irrobustirsi ulteriormente per competere efficacemente su scala globale, mentre gli altri istituti lavoreranno per non restare indietro, magari attraverso alleanze strategiche o fusioni mirate a creare campioni nazionali o specializzati.

E per i clienti e il sistema economico nel suo complesso? Le argomentazioni a favore di queste operazioni evidenziano spesso i benefici attesi in termini di maggiore stabilità, efficienza e capacità di investimento. Sarà importante osservare se a queste grandi manovre corrisponderanno poi benefici tangibili in termini di effettiva concorrenza, qualità dei servizi offerti e supporto all’economia reale. La partita del risiko bancario, insomma, è ancora in pieno svolgimento e le sue prossime mosse continueranno a disegnare il futuro del settore creditizio.

Cos’è la BCE e di cosa si occupa?

Cos’è la BCE: significato, sede, presidente e importanza della Banca Centrale Europea?

Che cos’è la BCE? Di cosa si occupa e qual è la sua struttura?

Che cos’è la BCE e qual è il suo significato? La sigla sta per “Banca Centrale Europea”, ovvero la principale istituzione monetaria dell’Eurozona fondata nel 1998 per garantire la stabilità dei prezzi e una crescita economica sostenibile. La sua sede si trova a Francoforte, e in questo periodo è stata ancor più al centro dell’attenzione per via della decisione comunicata dalla presidente di aumentare nuovamente i tassi di interesse, una politica monetaria utile a contrastare l’inflazione. Scopri che cos’è la BCE e tutti gli aspetti che la riguardano, dal presidente dell’Istituto ai suoi compiti e alla sua struttura.

Che cos’è la BCE?

La BCE è la Banca Centrale dell’Unione Monetaria Europea (UME) composta da tutti gli Stati che hanno adottato l’euro come valuta comune. Ma quali sono i compiti della Banca Centrale Europea? Questa istituzione innanzitutto è responsabile della gestione delle politiche monetarie dell’area, al fine di mantenere i prezzi stabili, promuovere la crescita economica e l’occupazione. La BCE si occupa di emettere e gestire la circolazione dell’euro, la valuta comune dell’UME. Quindi se ti chiedevi “chi stampa gli euro per l’Italia e gli altri paesi dell’unione Europea?” Ora hai la risposta. Ecco dunque cos’è la BCE.

Essa ha anche il compito di controllare le banche dell’eurozona, attraverso il meccanismo di supervisione unico (SSM), un sistema di sorveglianza creato per garantire la stabilità del sistema bancario europeo, prevenire le bolle speculative e ridurre il rischio di crisi finanziarie. Per questo motivo è importante che sia imparziale, indipendente e autonoma; la Banca Centrale Europea deve favorire l’interesse generale e non quello di una particolare nazione o gruppo di interesse. 

Infine la BCE si occupa di rappresentare l’Eurozona in diverse sedi internazionali, come i summit del G20 o nelle riunioni del Fondo Monetario Internazionale e collabora con le banche centrali dei paesi del mondo per promuovere la stabilità finanziaria a livello globale.

Le politiche monetarie della BCE

Quando si risponde alla domanda “che cos’è la BCE”, è necessario citare anche gli strumenti che questa istituzione utilizza per adempiere ai suoi compiti riguardanti le politiche monetarie. Quelle più popolari e conosciute riguardano l’innalzamento o l’abbassamento dei tassi di interesse che hanno delle conseguenze sulle banche e i cittadini dell’Eurozona

La BCE però utilizza anche altri strumenti per influenzare l’offerta di denaro, ad esempio le operazioni di mercato aperto. Queste sono prevalentemente l’acquisto e la vendita di titoli di stato dei paesi europei, attraverso i quali la Banca Centrale Europea regola la quantità di moneta in circolazione. Una di queste è, ad esempio, il quantitative easing. Un tipo di politica monetaria che prevede l’acquisto di titoli di Stato che la BCE ha attuato in più occasioni negli ultimi anni.

La struttura della BCE

Ora che sai cos’è la BCE, vediamo come è composta. La Banca Centrale Europea è formata da tre organi principali: il Consiglio dei governatori, il Comitato esecutivo e il Consiglio generale.

  • Il Consiglio direttivo è formato dai presidenti delle banche centrali nazionali dei paesi della zona euro, nel caso dell’Italia Fabio Panetta, e dai membri del Comitato esecutivo. Esso è responsabile di stabilire la politica monetaria della zona euro e di decidere sui tassi di interesse e sulle operazioni di mercato aperto;
  • Il Comitato esecutivo è composto dal presidente e dal vicepresidente della BCE, attualmente Christine Lagarde e Luis de Guindos e da altri quattro membri nominati dal Consiglio europeo, con il consenso del Parlamento europeo. Il Comitato esecutivo è responsabile dell’attuazione delle politiche monetarie della BCE;
  • Il Consiglio generale riunisce i presidenti e i vicepresidenti delle banche centrali nazionali dell’Eurozona, inclusi quelli dei paesi che non hanno ancora adottato l’euro. Esso è responsabile di assistere il Consiglio direttivo e il Comitato esecutivo nella gestione della BCE e di svolgere altre funzioni consultive e di coordinamento.

Il consiglio direttivo della Banca Centrale Europea in genere si riunisce otto volte all’anno: qui puoi consultare il Calendario completo degli appuntamenti per il 2025.

Sapere cos’è la BCE e conoscerne il funzionamento è molto importante. Le decisioni che questa istituzione prende, in particolare scegliendo quale politica monetaria attuare, influenzano l’economia europea, i mercati finanziari ma anche la quotidianità di tutti i cittadini dell’Eurozona.

Come creare immagini con l’intelligenza artificiale

Creare immagini con l'intelligenza artificiale

Come creare immagini con l’intelligenza artificiale, a che punto siamo? Scopri tutti i passaggi in questa guida completa

Se hai visto anche tu le immagini create dall’intelligenza artificiale – e se non le hai viste chi chiediamo dove vivi – il tuo crevello si sara avventurato in un ragionamento tipo questo. C’era un tempo, non così lontano, in cui per creare un’immagine servivano matite, pennelli, macchine fotografiche o, per i più moderni, tavolette grafiche e ore di certosina pazienza. Poi, quasi dal nulla è esplosa l’intelligenza artificiale generativa. Improvvisamente, i nostri feed social, le presentazioni aziendali e persino le chat di gruppo si sono riempite di immagini sognanti, iperrealistiche e bizzarre, tutte partorite da un algoritmo. “Vuoi un gatto astronauta in stile Van Gogh che mangia un gelato su Marte? Dammi due minuti.”

Questa nuova frontiera della creatività digitale ha scatenato un misto tra meraviglia e apprensione. Da un lato, la promessa di democratizzare l’arte, di dare a chiunque il potere di visualizzare l’impossibile; dall’altro, il timore di un futuro dove gli artisti veri, quelli in carne e ossa, finiscono per chiedere l’elemosina ai robot. Ma prima di farci prendere dal panico o dall’euforia, cerchiamo di capire come fa l’intelligenza artificiale a creare immagini.

Creare immagini con l’intelligenza artificiale: cosa c’è dietro questa magia?

Dietro l’apparente stregoneria di un’immagine che nasce da una semplice frase, c’è un concentrato di tecnologia che fino a pochi anni fa era roba da film di fantascienza. Parliamo di machine learning e reti neurali, ovvero software che cercano di imitare il funzionamento del cervello umano. Questi sistemi vengono “addestrati” su database sterminati contenenti miliardi di immagini esistenti, ciascuna accompagnata da una descrizione testuale.

I modelli più in voga oggi, come quelli basati sulle architetture “Diffusion” (tipo Stable Diffusion, DALL-E 3, Midjourney), imparano ad associare le parole ai concetti visivi. In pratica, partono da un “rumore” digitale, una specie di nebbia indistinta, e, guidati dal nostro input testuale (il famoso “prompt”), iniziano a “scolpire” questo rumore, un passettino alla volta, fino a far emergere l’immagine richiesta. Immaginate uno scultore che da un blocco di marmo informe tira fuori una statua, solo che il marmo è digitale e lo scalpello è un algoritmo che ha visto più opere d’arte di qualsiasi critico vivente. Il risultato? A volte un capolavoro, altre volte qualcosa che sembra uscito da un incubo di Dalì dopo una cena pesante.

Come generare immagini con l’AI: istruzioni per l’uso

Se pensate che basti scrivere “gatto” per fare creare all’intelligenza artificiale l’immagine di un felino che fa le fusa dallo schermo, rimarrete delusi. L’arte di dialogare con queste IA, nota con il termine anglofono un po’ pretenzioso di prompt engineering, è una disciplina sottile, a metà tra la poesia e la programmazione.

Bisogna essere specifici, quasi pedanti. Volete un “cane”? Bene, ma di che razza? Cosa sta facendo? Dove si trova? Con che luce? In che stile pittorico? “Un golden retriever cucciolo che dorme beatamente su una poltrona di velluto rosso, illuminato da una luce calda pomeridiana, stile dipinto a olio rinascimentale”. Ecco, così iniziamo a ragionare. 

Poi ci sono i negative prompts, ovvero le istruzioni su cosa NON fare: “niente doppie code, per favore”, “evita quell’effetto plasticoso”, “ti scongiuro, non più di cinque dita per mano!”. Il processo è iterativo: si genera, si osserva il risultato, si affina il prompt, si rigenera, e così via, in un loop che può portare all’immagine perfetta o a decidere che, forse, era meglio un disegno fatto a mano. All’inizio, è facile ottenere abomini digitali: quel “gatto su una bicicletta” potrebbe trasformarsi in un groviglio lovecraftiano di pelliccia e metallo a pedali. Ma con un po’ di pratica (e molta pazienza), si può iniziare a domare la bestia algoritmica e iniziare a creare immagini con l’intelligenza artificiale (AI) di qualità.

 Luci e ombre: i pro e i contro delle immagini generate dall’AI

Come ogni tecnologia che si rispetti, anche l’AI generativa di immagini porta con sé un bel bagaglio di opportunità e qualche scheletro nell’armadio. Ecco un breve riassunto di quelli che, almeno secondo noi, sono i pro e i contro di questa svolta tecnologica.

I pro:

  • Democratizzazione della creatività: chiunque, anche chi disegna come un bambino di tre anni, può dare forma visiva alle proprie idee. Serve un logo al volo? Un’illustrazione per un post? Un’ispirazione per un tatuaggio? Chiedi e (forse) ti sarà dato;
  • Velocità ed efficienza: per designer, creativi e marketer, è uno strumento pazzesco per il brainstorming, per creare moodboard, concept art, prototipi rapidi. Ore di lavoro condensate in pochi minuti;
  • Nuovi orizzonti estetici: l’IA può mescolare stili, inventare prospettive, creare immagini che un umano potrebbe non concepire, aprendo a forme d’arte inedite;
  • Divertimento puro: ammettiamolo, richiedere all’IA di disegnare robe assurde è spesso spassoso;

I contro:

  • L’incubo delle sei dita (e altre amenità): la famigerata “uncanny valley” è sempre in agguato. Mani con troppe o troppo poche dita, volti che si sciolgono come cera, prospettive da mal di mare, oggetti che sfidano le leggi della fisica. A volte, i risultati sono talmente surreali da diventare essi stessi una forma d’arte involontaria.
  • La fiera del generico: con la facilità d’uso, il rischio è una marea montante di immagini esteticamente piacevoli ma prive di anima, tutte un po’ uguali, un po’ “effetto Midjourney”. Il mondo è ora invaso da gattini cyberpunk con un numero variabile (ma quasi mai corretto) di zampe.
  • La crisi dell’originalità: se tutti usano gli stessi strumenti e magari anche prompt simili, non rischiamo un appiattimento stilistico?
  • Ma è arte questa?: il dibattito è aperto e infuocato. Se l’opera la “fa” una macchina, è ancora arte? Chi è l’artista? Colui che scrive il prompt, o l’algoritmo? Mio cugino, che fino a ieri faceva solo meme di dubbia qualità, ora si definisce “un prompt artist internazionale”, con tanto di portfolio su LinkedIn.

E dal punto di vista filosofico?

E qui la faccenda si fa seria, perché le implicazioni vanno ben oltre il numero di dita. Il primo problema, già da tempo centrale all’interno del dibattito sull’intelligenza artificiale, non solo quando viene utilizzata per creare immagini è connesso al Copyright e alla domanda: di chi è l’immagine generata? Dell’utente che ha scritto il prompt? Della società che ha creato l’IA? O è un’opera derivata dalle miriadi di immagini usate per l’addestramento, molte delle quali magari protette da copyright? Al momento, è un Far West legale. E che dire del prompting “nello stile di [artista famoso vivente]”? È omaggio o furto?

C’è poi il tema connesso al lavoro. L’intelligenza artificiale distruggerà il mercato di illustratori, fotografi, grafici o lo renderà soltanto più produttivo. A noi piace essere ottimisti è immaginare un mondo dove l’IA è un potentissimo “assistente creativo”, che libera gli esseri umani dalle task superficiali e ci permette di concentrarci sui compiti di maggior valore.

Chiudiamo con i due principali dilemmi etici. Il primo è spaventoso e riguarda la facilità con cui si possono creare immagini con l’intelligenza false ma realistiche. Foto di eventi mai accaduti, volti di persone appiccicati su corpi di altre. Le implicazioni per quanto riguarda il tema della disinformazione, della manipolazione dell’opinione pubblica e della fiducia nelle fonti sono enormi. Distinguere il vero dal verosimile diventerà sempre più un’impresa.

Infine va ribadito che le IA sono addestrate su dati creati dagli esseri umani. Se questi dati contengono pregiudizi (di genere, etnici, culturali), l’IA li imparerà e li replicherà, magari creando immagini stereotipate o escludendo determinate rappresentazioni. L’algoritmo, insomma, può essere razzista o sessista tanto quanto le società che lo hanno nutrito.

Insomma, la possibilità creare immagini con l’intelligenza artificiale è sicuramente rivoluzionaria, tanto quanto l’invenzione della fotografia o del fotoritocco digitale. Come ci stiamo accorgendo sempre di più l’AI è uno strumento incredibilmente potente, capace di democratizzare la creatività, di accelerare i processi produttivi, ma anche di sollevare interrogativi profondi sulla natura dell’arte, sul lavoro e sulla verità stessa. Come ogni strumento, il suo impatto – benefico o malefico – dipenderà da come sceglieremo di usarlo, di regolarlo e di integrarlo nelle nostre vite. Non è né un demone da esorcizzare né una bacchetta magica che risolverà ogni problema. È, più prosaicamente, un nuovo, potentissimo set di pastelli digitali a disposizione dell’umanità. Preparatevi a un futuro dove, per capire se la foto delle vacanze del vostro amico è reale o “promptata”, servirà un occhio allenato, un secondo caffè e, forse, una laurea honoris causa in filosofia della percezione. Il bello (e il brutto) è appena cominciato.

Gli oggetti di uso comune più costosi al mondo

Quali sono le cose più costose al mondo?

Qual è la macchina più costosa al mondo? E l’orologio o la carta Pokémon più rara? Scopri gli oggetti più cari in assoluto e cosa li rende unici

Ci sono oggetti così rari, esclusivi e fuori scala da sembrare parte di un universo parallelo. E invece esistono davvero. In questo articolo esploreremo gli oggetti più costosi del mondo: auto, orologi, scarpe, carte da gioco e persino profumi da milioni di euro.

Preparati a scoprire quanto può costare il lusso estremo e ha chiederti, tra te e te, “ma come è possibile?!”

La macchina più costosa al mondo

Tra le auto più costose del mondo attualmente in produzione la protagonista è senza dubbio la Rolls-Royce Boat Tail, una macchina brevettata da BMW (che controlla il marchio Rolls-Royce), nonché una fuoriserie di cui sono previsti solo 3 esemplari.

La sua progettazione è frutto del lavoro della divisione Rolls-Royce dedicata alla realizzazione di serie speciali e su misura ed è ispirata agli yacht degli anni ’20 e ’30. Condivide parte del telaio e un motore 6.7 V12 con la Phantom VIII, ma ha una carrozzeria cabriolet e ben 1813 componenti unici rispetto al modello più classico.

Presentata nel 2021, questa vettura include elementi insoliti per un automobile: una tenda parasole automatica, tavolini da cocktail, stoviglie Christofle, due frigoriferi contenenti alcune bottiglie di champagne Armand de Brignac. Tutto bellissimo, ma il prezzo? Oltre 28 milioni di dollari.

Se invece vi state chiedendo qual è la macchina più costosa mai venduta, la risposta è: la Mercedes-Benz 300 SLR Uhlenhaut Coupé, acquistata tramite un’asta che ha avuto luogo nel 2022, per 143 milioni di dollari

L’orologio più costoso al mondo

L’orologio più prezioso al mondo è il Graff Diamonds Hallucination, valutato 55 milioni di dollari. Il suo valore risiede prevalentemente nei diamanti colorati incastonati all’interno del bracciale di platino. Ci sono diamanti gialli, rosa, blu, verdi e arancioni, tagliati in forme diverse, per esempio a cuore, marquise, smeraldo e rotondo.

Il quadrante? Minuscolo, al quarzo, incorniciato da diamanti rosa. Un orologio che assomiglia più ad una scultura.

Le scarpe più costose al mondo

Il prezzo delle The Moon Star Shoes, firmate dal designer italiano Antonio Vietri, si aggira intorno ai 20 milioni di dollari. Sono sandali realizzati in oro e diamanti, e contengono un frammento di meteorite trovato in Argentina nel 1546.

Il tacco è un omaggio al Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo. L’unione tra design, scultura e astronomia le rende una delle calzature più folli mai create.

La carta Pokémon più costosa al mondo

È considerata il “Santo Graal” del collezionismo Pokémon. La Pikachu Illustrator del 1998 è la carta Pokémon più costosa al mondo, venduta per oltre 6 milioni di dollari. Ne esistono meno di 20, distribuite come premio di un concorso artistico.

Il vino più costoso del mondo

Il primato va al Screaming Eagle Cabernet Sauvignon 1992, venduto per 500.000 dollari. È un vino californiano, prodotto in pochissime bottiglie e molto amato dai collezionisti americani.

Altre etichette leggendarie includono Château Margaux 1787 e Romanée-Conti, ma la rarità e il contesto dell’asta hanno fatto lievitare il prezzo dello Screaming Eagle.

Il caffé più costoso al mondo

Il Black Ivory Coffee è il caffè più costoso al mondo, venduto a oltre 2.000 euro al chilo. Viene prodotto in Thailandia, dove i chicchi vengono ingeriti dagli elefanti e poi recuperati, puliti e tostati.

Questo metodo fermenta il caffè in modo naturale, rendendolo meno acido e più morbido. È servito solo in alcuni hotel di lusso nel Sud-Est asiatico.

Il profumo più costoso al mondo

Il titolo spetta a Shumukh, profumo creato a Dubai con un valore di 1,29 milioni di dollari. Il flacone è alto 2 metri, decorato con oro, diamanti, perle e vetro di Murano. È un’opera d’arte tanto quanto una fragranza.

Questi oggetti non sono solo costosi: rappresentano un mix di rarità, design estremo e valore simbolico. Dalle carte da gioco alle automobili, il loro prezzo è giustificato da ciò che evocano: unicità, desiderio e status.

Le probabilità di avere successo con le scommesse sportive

Scommesse sportive: le probabilità di avere successo

Tutto sulle scommesse sportive: uno degli hobby più popolari nel nostro paese. Qual è il loro valore atteso?

Le emozioni che la Champions League, la Serie A, la Premier League, i Mondiali e gli Europei di calcio sanno regalare sono uniche, un collante sociale e culturale per milioni di italiani. Per molti tifosi, l’abitudine domenicale di “piazzare qualche euro” sulla propria squadra del cuore, o su un risultato particolarmente atteso, è diventata quasi un rito, un modo per sentirsi ancora più coinvolti nell’evento sportivo. Questa pratica, alimentata dalla passione e dal desiderio di aggiungere un brivido in più alla partita, è una sorta di estensione naturale del tifo.

Tuttavia, proprio questa commistione tra fede calcistica e gestione delle proprie finanze personali solleva un interrogativo cruciale, un dubbio che si insinua nella mente di ogni tifoso che gioca qualche “bolla” ogni tanto: questo “gioco”, per quanto piacevoli, le scommesse sportive possono essere sostenibili o addirittura vantaggiose dal punto di vista economico nel lungo periodo? Mescolare tifo e denaro è davvero un’abitudine innocua o, come suggerisce il buon senso, un “gioco pericoloso”?

Il mercato italiano delle scommesse sportive

In Italia, dire che il mercato delle scommesse sportive è grande sarebbe un eufemismo. È un vero e proprio colosso, specialmente quando si parla del nostro amato pallone. Gli ultimi dati disponibili (per il 2022 e il 2023, visto che le statistiche viaggiano più lente di un contropiede di Mertesacker ai tempi d’oro) ci raccontano di una crescita che definire esponenziale è quasi riduttivo, soprattutto per la comodità dell’online. Chi non ha mai sognato di trasformare la propria “competenza” da divano in moneta sonante?

Come per i Gratta e Vinci, dove la frase “ma sì, proviamo, non si sa mai” è un mantra nazionale, anche per le scommesse sportive vale l’assunto che quasi tutti, almeno una volta, ci hanno provato. Nel 2022, la raccolta ha superato i 73 miliardi di euro, saliti a ben 82 miliardi nel 2023. Cifre da capogiro, alimentate dal fascino discreto del click online, che permette anche al più timido degli aspiranti “guru” di piazzare la sua giocata senza dover affrontare lo sguardo sornione del ricevitore.

Scommesse calcistiche: come funzionano le quote?

Entriamo ora nel tempio della conoscenza, o almeno, cerchiamo di capire come funziona quel numerino magico che decide le sorti di uno scommettitore: la quota. Nel mondo delle scommesse, la quota è l’inverso della probabilità percepita dal bookmaker che un evento si verifichi, moltiplicata per il nostro sudato importo scommesso per calcolare la potenziale vincita. Più un evento è probabile (Real Madrid in casa contro la Primavera del Pizzighettone), più la quota sarà bassa, rasentando quel teorico “1” che nessuno si filerebbe, perché rischiare per riavere indietro solo la posta non ha alcun senso.

In un mondo ideale, un universo parallelo dove i bookmaker sono enti di beneficenza e non aziende con bilanci da far quadrare, le quote sarebbero “eque”. Un 50% di probabilità? Quota 2.00, semplice e pulito. Ma qui, ahinoi, casca l’asino. I bookmaker, infatti, devono pur campare e, possibilmente, prosperare. Per farlo, inseriscono nelle quote un margine, l’elegante “aggio” o “allibramento”. È come se a ogni puntata, una piccola (ma costante) fetta della torta fosse già destinata a loro, prima ancora che l’arbitro fischi l’inizio.

Se la probabilità implicita calcolata sommando l’inverso di tutte le quote su un evento supera il 100%, quella percentuale extra è il loro guadagno garantito, spalmato su tutte le puntate. Questo significa che, anche se siete convinti di aver scovato la “quota d’oro”, state comunque giocando a un tavolo dove il banco ha un vantaggio matematico.

Un gioco a somma negativa?

Al di là della magia delle quote, c’è una cruda realtà finanziaria: le scommesse sportive, per loro natura,sono un gioco a somma negativa. Immaginate un grande calderone dove tutti gli scommettitori, dal “professionista” con tre monitor accesi al novellino che gioca due euro sul marcatore, versano le loro puntate. Da questo calderone, il bookmaker preleva la sua parte (l’aggio di cui sopra, il suo o compenso per il disturbo di offrirci l’illusione della ricchezza), lo Stato la sua (le tasse), e ciò che resta viene distribuito ai fortunati (e spesso inconsapevoli) vincitori. È matematica elementare: il totale restituito è sempre inferiore al totale giocato.

Certo, la Dea Bendata a volte ci vede benissimo e può regalare la gioia di andare “in cassa” con una somma inaspettata. Quella volta che avete preso il pareggio al 93esimo con gol del portiere, ve la ricorderete per anni. Ma la legge dei grandi numeri è una vecchia signora inflessibile: più giocate, più i vostri risultati tenderanno a convergere verso quel valore atteso negativo. Le storie di vincite mirabolanti, quelle da “cambio vita”, sono l’equivalente calcistico del “tiro della domenica” da centrocampo: bellissime da vedere, ma accadono una volta ogni morte di Papa (per collegarci con l’attualità). Per ogni eroe da copertina, ci sono migliaia di onesti lavoratori del clic che, settimana dopo settimana, contribuiscono al fatturato degli operatori, sperando nel colpo che li trasformi da “scommettitori della domenica” a “esperti di settore”

I bias delle scommesse sportive: perché continuiamo a cascarci?

Se la matematica è così chiaramente avversa, perché le sale scommesse (virtuali e non) pullulano di aspiranti veggenti? Qui entra in gioco la finanza comportamentale, che ci spiega come il nostro cervello, soprattutto quando c’è di mezzo il tifo, prenda delle cantonate memorabili.

  • Eccesso di confidenza (overconfidence bias): il “Mister” che è in noi. Dopo due pronostici azzeccati di fila, ci sentiamo pronti per dare lezioni a Guardiola. Sovrastimiamo la nostra abilità di leggere le partite, ignorando che un rimpallo sfortunato può mandare all’aria l’analisi più “scientifica”.
  • Bias di conferma (confirmation bias): cerchiamo solo le notizie che confermano la nostra “geniale” intuizione. La squadra del cuore gioca? L’attaccante ha un leggero raffreddore? “Ma no, è solo pretattica, vedrai che segna una tripletta!”. Le statistiche avverse? “Sono solo numeri, il calcio è un’altra cosa”.
  • Illusione del controllo: passare ore a studiare formazioni, stati di forma, precedenti, condizioni meteo e l’oroscopo dell’allenatore ci dà l’illusione di poter controllare l’esito. Peccato che il risultato finale dipenda da ventidue persone che rincorrono un pallone, e da una miriade di variabili imponderabili.
  • Avversione miope alla perdita e la sindrome del “recupero”: dopo una serie di scommesse andate male, scatta il meccanismo del “ora mi rifaccio!”. Si aumenta la posta, si cercano quote più rischiose, magari puntando sull’ignoto campionato uzbeko. È un attimo arrivare al punto che quello che mangerai a cena dipenderà dal risultato della partita tra l’undicesima e la dodicesima classificata del terzo campionato olandese. Il risultato? Spesso un buco ancora più grande nel portafoglio.
  • Disponibilità euristica (la memoria selettiva): ricordiamo con un sorriso ebete quella volta che siamo andati “in cassa” con 300 euro due anni fa, ma abbiamo convenientemente sviluppato un’amnesia selettiva per tutte le “piccole” giocate da 5, 10, 20 euro perse nel frattempo. È come l’amico che racconta solo delle sue conquiste amorose, mai dei “due di picche”.
  • Scommettere col cuore: la trappola più dolce. Puntare sulla propria squadra “perché ci credo”, anche quando affronta il Barcellona di Messi, Iniesta e Xavi. La fede calcistica è un sentimento genuino, ma trasformare il conto in banca in un’estensione della sciarpa da stadio raramente porta a risultati finanziari esaltanti.

Questi meccanismi, uniti a un marketing che ci bombarda di vincitori sorridenti, creano un cocktail micidiale che rende difficile resistere al canto delle sirene della schedina.

L’alternativa intelligente: e se invece di “puntare”, “costruissimo”?

Se finora il quadro sembra a tinte fosche per il nostro eroe scommettitore, è perché abbiamo analizzato un gioco dove, per definizione, la maggioranza è destinata a cedere risorse a una minoranza (incluso il banco). Ma cosa succederebbe se, invece di cercare il colpo di fortuna, cercassimo di costruire valore nel tempo?

Quando si investe – in azioni, obbligazioni o criptovalute – si sta, in sostanza, partecipando all’economia reale.

Certo, il mondo degli investimenti non è il paese dei balocchi: ci sono rischi, volatilità, e i rendimenti passati non sono garanzia di quelli futuri (ripetetelo come un mantra). Ma la differenza fondamentale con la scommessa sta nel rendimento atteso. Mentre nelle scommesse è strutturalmente negativo, nei mercati finanziari, nel lungo periodo, la tendenza storica è stata quella di una crescita legata allo sviluppo economico globale. Si tratta di mettere il proprio denaro “al lavoro” in attività produttive, non di lanciarlo in un’arena dove l’esito è un terno al lotto truccato a favore del banco.

Inoltre, l’investimento gode di un alleato potentissimo, sconosciuto al mondo delle scommesse: l’interesse composto. Quei rendimenti, se reinvestiti, generano a loro volta altri rendimenti, in un effetto valanga che, nel tempo, può fare miracoli. È la differenza tra sperare in un lampo di genio estemporaneo e costruire, mattone dopo mattone, un edificio solido.

Da una schedina ad un piano d’accumulo è un attimo

Torniamo al nostro tifoso. La passione è sacra, il brivido della partita insostituibile. Ma se l’obiettivo è migliorare la propria situazione finanziaria, forse è il caso di riconsiderare dove finiscono quei “pochi euro” della domenica. La “vera vittoria” non è indovinare l’under 2.5 di una partita del campionato bielorusso, ma raggiungere una serenità finanziaria che permetta di vivere meglio, realizzare progetti, e magari, perché no, godersi lo stadio senza l’ansia della “bolla” che deve entrare per forza. Questo si ottiene con:

  1. Consapevolezza: capire che scommettere è un costo per un intrattenimento, non una strategia finanziaria.
  2. Pianificazione: avere chiari i propri obiettivi di vita e come il denaro può aiutare a raggiungerli.
  3. Disciplina: mettere da parte con costanza, anche piccole somme. Quante schedine “andate male” possono magicamente trasformarsi in un piccolo – a volte anche grande – piano di accumulo?
  4. Pazienza: l’erba del vicino – che ha appena vinto la schedina – sembra sempre più verde, ma la crescita finanziaria solida è una maratona, non uno sprint.

Immaginate se solo una parte di quei 82 miliardi di euro giocati in un anno in Italia venisse indirizzata verso forme di risparmio e investimento produttivo. Forse avremmo meno storie da bar su “quella volta che quasi…”, ma certamente più famiglie con un futuro finanziario più sereno.

La fede calcistica è una cosa meravigliosa. Le emozioni che ci regala sono impagabili. Le scommesse sportive invece, con il loro fascino da “scorciatoia per la felicità”, sono un labirinto dove è facile perdersi. L’alternativa c’è, ed è meno adrenalinica ma decisamente più costruttiva. L’investimento, inteso come partecipazione consapevole all’economia, offre una prospettiva di crescita nel lungo periodo. Non promette miracoli, ma si basa su fondamenta più solide della speranza che il centravanti avversario inciampi sul dischetto al 90esimo.

La scelta finale spetta sempre al singolo tifoso. Continuare a “piazzare qualche euro” sperando nella botta di fortuna, o iniziare a costruire, con pazienza e intelligenza, un percorso verso una maggiore libertà finanziaria? Se vuoi optare sulla seconda fai “un salto” su Young Platform. Oggi il più grande exchange al 100% italiano, domani l’unica piattaforma finanziaria di cui avrai bisogno.

Ethereum: + 22% in meno di 24 ore, cosa sta succedendo?

Il valore di Ethereum

Il valore di Ethereum e Bitcoin è in crescita. Tutto quello che devi sapere tra la “distensione” geopolitica e gli importanti dati on-chain

Si sa, l’incertezza non piace ai mercati e, se li seguite assiduamente, ve ne sarete accorti: da febbraio a metà aprile di quest’anno, molti asset sembravano destinati a un lungo letargo. È, però, forse il momento di tornare ottimisti, perché da qualche settimana, e in particolare negli ultimi giorni, qualcosa sembra essere cambiato. Oggi ci concentriamo sul mercato crypto, cercando di comprendere cosa stia alimentando l’ultimo rally – soprattutto per quanto riguarda il valore di Ethereum – che per alcuni ha un intenso profumo di bull market.

Bitcoin, da inizio aprile, ha registrato un incremento di circa il 40%, mentre Ethereum ha stupito con un +71% nello stesso periodo, di cui un notevole +35% solo da questo lunedì. Anche diverse altcoin sembrano pronte a tornare sulla cresta dell’onda: SUI, per esempio, ha messo a segno un impressionante +132% dal suo minimo del 7 aprile, TAO un +163% e Solana un +76%. Potremmo continuare con l’elenco, ma è più utile, a nostro avviso, concentrarci sulle cause di questo recente pump e sulle possibili conseguenze. Questo articolo cercherà di rispondere a due domande chiave: il bull market è davvero ripartito? Perché sta accadendo proprio ora?

Rally crypto tra geopolitica e adozione istituzionale

Non solo il valore di Ethereum e delle principali crypto è esploso a rialzo. Anche i mercati tradizionali hanno mostrato segnali di vitalità. Prendendo come riferimento il punto di minimo generale del 7 aprile, l’S&P 500 ha registrato un +17% e il NASDAQ un +22%. Cosa è cambiato, dunque, dal punto di vista geopolitico ed economico che permesso questo recupero?

Un primo fattore di rilievo riguarda le tensioni commerciali, in particolare tra Stati Uniti e Cina. Dopo settimane caratterizzate da un’escalation di dazi che faceva temere il peggio, si intravede uno spiraglio. Questo fine settimana è previsto un incontro cruciale a Ginevra tra Scott Bessent, il Segretario del Tesoro americano, e il vicepremier cinese He Lifeng. L’obiettivo degli USA sarebbe quello di ridurre i dazi sotto la soglia del 60%, con l’auspicio di una mossa analoga da parte di Pechino. Si parla di possibili implementazioni di tali tagli già dalla prossima settimana, in caso di progressi significativi. A rafforzare questo cauto ottimismo ci ha pensato il presidente USA, Donald Trump, che ha dichiarato giovedì che le tariffe “scenderanno”, e che si aspetta “un buon weekend con la Cina”. Anche il segretario al commercio, Howard Lutnick, ha ribadito che l’obiettivo è una de-escalation, intento che sembrerebbe condiviso dalla delegazione cinese.

Sempre sul fronte dei dazi, un altro segnale distensivo arriva dall’annuncio di un accordo commerciale tra Regno Unito e Stati Uniti. Sebbene i dettagli siano ancora in fase di definizione, questo patto dovrebbe portare alla rimozione della tariffa del 25% su acciaio e alluminio importati dal Regno Unito, imposta da Trump il 12 marzo su tutte le importazioni estere di questi metalli. Parallelamente, gli Stati Uniti aumenteranno le esportazioni di carne bovina ed etanolo verso il Regno Unito, con procedure doganali accelerate. Questo accordo è significativo non tanto per i volumi di scambio (il Regno Unito rappresenta circa il 3% del commercio USA), quanto per il messaggio che invia: la volontà di trovare intese può stemperare le tensioni e creare un precedente positivo, magari anche per i più complessi rapporti con la Cina.

Infine, notizie incoraggianti per il settore crypto arrivano direttamente dagli Stati Uniti. Lo stato del New Hampshire ha approvato una legge che gli permetterà di investire in criptovalute. Parallelamente, in Arizona, una nuova normativa consente allo stato di prendere possesso (e conservare) i Bitcoin “abbandonati” sugli exchange. L’aspetto più interessante è la decisione dello stato di non liquidare questi asset, ma di detenerli in un fondo specifico. Come ha commentato un veterano del settore: “Puoi acquistare Bitcoin mentre i governi comprano, o dopo che hanno comprato, ma l’opzione ‘prima’ sta scomparendo.” Un monito che sottolinea come l’adozione istituzionale sia rapida e inevitabile.

Compra Bitcoin!

Cosa sta succedendo on-chain? Il valore di Ethereum crescerà ancora?

Un primo dato significativo riguarda i volumi delle stablecoin, che ad aprile hanno toccato la cifra di 1,82 miliardi di dollari. Questo è un segnale di liquidità e interesse per il settore in generale; una ripartenza del mercato potrebbe vedere questa ingente somma di denaro confluire rapidamente verso Bitcoin, Ethereum e le principali altcoin.

Ethereum, in particolare, sta vivendo una settimana gloriosa, soprattutto dopo le sofferenze degli ultimi semi. Pectra, l’ultimo aggiornamento della rete, promette di facilitarne un mainstream della sua rete. Inoltre, la recente presentazione della “vision” futura, che include sviluppi legati all’intelligenza artificiale e ai social network decentralizzati, ha riacceso l’entusiasmo della community. Questo rinnovato interesse per la blockchain – e anche la crescita del valore di Ethereum – è confermato dall’aumento del costo delle gas fees (il GWEI), un indicatore chiave dell’attività sulla sua rete: dopo mesi di stabilità intorno a 0,34 GWEI, nelle ultime ore si sono registrate oscillazioni tra un minimo di 0,84 e un massimo di 21 GWEI.

Un altro trend che continua a consolidarsi è l’accumulo di Bitcoin da parte di aziende. Non si tratta solo di realtà del settore crypto, ma anche di società tradizionali il cui core business è lontano dalla finanza. Tra queste, MicroStrategy continua a incrementare la sua riserva (ora a 500.000 BTC), seguita da Tesla (11.500 BTC). Ma anche aziende più piccole e di settori diversi, come Semler Scientific (tecnologie mediche, con 3.600 BTC), KULR Technology (batterie al litio, 716 BTC) e Rumble (cloud e video streaming, 188 BTC), stanno decidendo di allocare parte della loro tesoreria in Bitcoin. Insomma, il recente slancio dei mercati crypto, sostenuto da una schiarita sul fronte delle tensioni commerciali globali e da una solida attività on-chain, ha riacceso l’entusiasmo. Sebbene sia presto per dichiarare con certezza l’inizio di un nuovo ciclo rialzista di lungo periodo, i segnali positivi sono innegabili. Il principale, come probabilmente avrai intuito, riguarda la crescita del valore di Ethereum e Bitcoin.