Cosa sono i Labubu e perché sono virali

Labubu: cosa sono e perché sono virali?

Cosa sono i Labubu? I peluche virali amati dalle star. È corretto parlare di Lipstick Effect?

Avete presente quei trend che esplodono dal nulla sui social? Ecco, i Labubu sono l’ultimo grido in fatto di “ma cosa sta succedendo?”. Questi animaletti pelosi sono comparsi all’improvviso e hanno preso la residenza permanente sulle borse delle dive più famose del pianeta, diventando i protagonisti indiscussi di TikTok e delle sfilate più cool delle Fashion Week.

Ma cosa sono esattamente questi Labubu? Come hanno fatto a raggiungere l’incredibile popolarità di cui godono oggi, trasformandosi da semplici portachiavi a status symbol ambitissimi? E, soprattutto, cosa c’entra tutto questo con la teoria economica del “lipstick effect?

La storia dei Labubu

Per capire fino in fondo chi o cosa siano i Labubu, questi pupazzetti di peluche nati originariamente come simpatici portachiavi da attaccare a zaini, borse o ovunque ci sia spazio per un tocco di stravaganza, possiamo partire da un episodio emblematico avvenuto qui da noi, in Italia. Immaginate la scena: Milano, Corso Buenos Aires, uno dei templi dello shopping. Davanti al negozio di Pop Mart – un colosso cinese nel mondo dei giocattoli da collezione – si forma, fin dalle prime luci dell’alba, una coda chilometrica, degna del lancio di un iPhone o del concerto di una rockstar. Il motivo? L’arrivo dell’ultima, attesissima collezione di Labubu. Un evento che ha scatenato la curiosità anche in chi, fino a quel momento, di questi mostriciattoli pelosi non aveva mai sentito parlare.

Ma chi ha dato vita a questi oggetti del desiderio ormai virali? Il padre dei Labubu è Kasing Lung, un artista originario di Hong Kong. Questi pupazzi non sono creature solitarie, ma fanno parte di un universo ben più ampio, popolato da una miriade di mostriciattoli noti collettivamente come “The Monsters”. Dal punto di vista artistico, ciò che rende i Labubu particolarmente interessanti è la loro capacità di fondere due stili apparentemente agli antipodi: da un lato, le influenze orientali, proprie delle radici dell’artista; dall’altro, l’immaginario delle fiabe nordiche europee, un mondo che Kasing Lung ha conosciuto da vicino avendo trascorso parte della sua infanzia in Belgio. In realtà i Labubu non sono una novità dell’ultima ora: i primi modelli, infatti, risalgono addirittura al 2015, anche se è solo nel 2019 che Pop Mart ne ha fiutato il potenziale, acquistandone i diritti e preparandoli per il grande salto verso la fama globale.

Ma perché tutti impazziscono per un Labubu?

Se la miccia della popolarità dei Labubu era stata accesa da tempo, l’esplosione vera e propria, quello tsunami di cui parlavamo prima, ha un epicentro ben preciso: il profilo social di Lisa Manoban, la carismatica rapper e cantante delle Blackpink, il gruppo femminile K-Pop più famoso e influente del pianeta (nonché una delle attrici protagoniste dell’ultima, acclamata stagione di The White Lotus). È stata lei a dare il la definitivo. Verso la fine del 2024, Lisa ha iniziato a condividere con i suoi milioni di follower la sua passione per questi animaletti, sfoggiandoli regolarmente come accessori fashion agli eventi più glamour, attaccati alle sue borse firmate. Potete immaginare l’effetto: un’onda mediatica inarrestabile, di quelle che solo i social network, con la loro potenza virale, sanno generare e amplificare.

Da quel momento in poi, è stato il delirio collettivo. Altre dive di calibro internazionale come Dua Lipa, Kim Kardashian, Selena Gomez e Rihanna hanno iniziato a “indossare” questi curiosi accessori, facendoli penzolare dalle loro it-bag. Risultato? Una caccia al Labubu senza precedenti, con un’inevitabile e vertiginosa esplosione del prezzo degli esemplari più rari e delle edizioni limitate che gli ha trasformati in veri e propri oggetti da collezione e investimento.

Il fenomeno Labubu significa recessione?

Ora passiamo alla parte meno glamour, ma decisamente più intrigante del fenomeno: la sua possibile connessione con il periodo di incertezza economica, se non di vera e propria recessione, che stiamo attraversando. Questo legame, all’apparenza bizzarro, trova una spiegazione piuttosto affascinante in un concetto economico noto come lipstick effect, o “effetto rossetto”. Niente paura, non serve una laurea in economia per capirlo! In breve, questa teoria descrive la tendenza, osservata più volte nella storia, dei consumatori a preferire l’acquisto di beni di lusso più economici e accessibili durante i periodi di crisi economica. Quando il portafoglio piange e i grandi acquisti (come una macchina nuova o una casa) diventano un miraggio, ci si consola con piccole gratificazioni, piccoli lussi che ci fanno sentire meglio senza svuotare il conto in banca.

Ma da dove salta fuori questa idea del rossetto come indicatore economico? Per capirlo, dobbiamo fare un salto indietro. Il termine “lipstick effect” è stato reso popolare da Leonard Lauder (non Alan, ma il figlio di Estée Lauder e presidente emerito di Estée Lauder Companies) durante la recessione che colpì gli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 e l’inizio della guerra in Afghanistan. Lauder notò un fatto curioso: mentre molti settori dell’economia barcollavano e la domanda per beni costosi crollava, le vendite dei suoi prodotti cosmetici, e in particolare dei rossetti, non solo tenevano botta, ma addirittura aumentavano. Strano, no? Dopotutto, un rossetto non è certo un bene di prima necessità.

In realtà, l’intuizione che i piccoli lussi potessero avere un ruolo speciale in tempi duri non era del tutto nuova. Si dice che persino Winston Churchill, durante la Seconda Guerra Mondiale, dovendo razionare una vasta gamma di prodotti, escluse categoricamente i cosmetici dalla lista. La sua motivazione? Erano considerati necessari per tenere alto il morale della popolazione, soprattutto femminile, in un periodo di enormi sacrifici e preoccupazioni. Un piccolo gesto di normalità e cura di sé in un mondo sottosopra.

Ma perché proprio i rossetti (e per estensione, altri piccoli piaceri come i Labubu oggi) diventano beni “a prova di crisi”? La chiave sta nella gratificazione psicologica che deriva dall’acquisto di qualcosa che soddisfa un piccolo desiderio, una piccola vanità, specialmente quando si è costretti a rinunciare a molto altro. In periodi di crisi, con il morale spesso a terra e le preoccupazioni per il futuro dei propri risparmi, l’acquisto di un prodotto che rimanda alla sfera estetica, al piacere personale, può contribuire a migliorare significativamente l’umore. Un rossetto di marca, un profumo, un accessorio carino e alla moda come un Labubu, per quanto non strettamente necessari, diventano una sorta di coccola accessibile, una strategia per sentirsi meglio. A volte, si rinuncia al solito prodotto economico per concedersi una versione un po’ più costosa e desiderabile di quel piccolo lusso. È il cosiddetto consumo compensativo: non posso permettermi la borsa da sogno da migliaia di euro, ma posso attaccarci un Labubu da collezione che mi dà una simile (anche se minore) scarica di dopamina. Le relazioni sociali giocano anche un ruolo: mantenere un certo standard estetico o possedere l’oggetto del momento può aiutare a preservare l’autostima e il senso di appartenenza.

E questo effetto sembra manifestarsi ancora oggi. Dati di mercato degli anni scorsi (ad esempio, quelli analizzati da società come Circana per il 2022-2023) hanno mostrato come le vendite di prodotti di bellezza abbiano continuato a crescere, con un aumento significativo anche per i cosmetici di lusso, nonostante un contesto economico globale non proprio roseo.

Ora dovrebbe essere un po’ più chiaro cosa c’entrano questi adorabili (e costosi, per i collezionisti!) pupazzetti Labubu con l’economia. Proprio come i rossetti in passato, potrebbero essere il sintomo di un “lipstick effect” 2.0, dove la ricerca di piccole gioie e status symbol accessibili diventa un modo per evadere, anche solo per un momento, dalle preoccupazioni di un mondo sempre più complesso e incerto.


Token YNG: Report 1° Trimestre 2025

Token Young (YNG): aggiornamenti e novità Q1 2025

Il Report del primo trimestre del 2025 sul token YNG. Cos’è successo? Quali sono i prossimi passi da compiere?

Questi primi mesi del 2025 si sono chiusi con risultati concreti per il nostro ecosistema e, soprattutto, con alcune novità connesse alla nostra strategia di crescita organica. Tra evoluzioni normative e nuovi servizi, stiamo gettando le basi per rendere Young Platform sempre più centrale nella vita finanziaria dei nostri utenti.

Ci sono anche alcune novità che riguardano specificamente il token Young (YNG), il cuore pulsante del nostro ecosistema. In questo senso la strategia che abbiamo intrapreso ha l’obiettivo di facilitare la sua crescita organica, mitigando il rischio di un’eccessiva pressione di vendita che potrebbe compromettere la stabilità e il valore a lungo termine del token. Tuttavia, questa parte compare nella versione esclusiva del nostro report, dato che per la prima volta sarà diviso in due:

  • Una versione pubblica, accessibile a tutti, che racconta gli obiettivi raggiunti e i nuovi servizi lanciati.
  • Una esclusiva, riservata ai membri dei Club, che entra nel dettaglio di numeri, strategie future – incluse le importanti decisioni strategiche relative alla crescita del token YNG – e aggiornamenti sulla tokenomics di Young (YNG), inclusi dati su emissioni, distribuzione e, per questa versione, informazioni aggiuntive sul listing decentralizzato.

Se stai sudando in preda ad un attacco di curiosità estrema c’è soltanto una cosa che puoi fare: iscriverti ai Club di Young Platform. Se invece ne fai già parte…cosa ci fai ancora qua? Corri a controllare la tua casella di posta: ti aspetta la versione deluxe – per dirla in termini musicali – di questo Report.

Il 2025 fino ad oggi: obiettivi raggiunti e funzionalità rilasciate

Nei primi mesi del 2025 abbiamo dedicato gran parte del nostro lavoro agli aspetti normativi e fiscali del settore crypto. Ai lavori già iniziati mesi fa per garantire la conformità al regolamento europeo Market in Crypto Asset (MiCA), si sono affiancate iniziative legate alla fiscalità, con l’obiettivo di offrire ai nostri utenti strumenti completi per affrontare la dichiarazione dei redditi in modo semplice, sicuro e conforme alle normative italiane.

Parallelamente, abbiamo continuato a lavorare sui progetti strategici previsti. L’obiettivo finale di quest’anno: diventare un hub digitale che fonde il meglio della finanza tradizionale (TradFi) e di quella decentralizzata (DeFi) resta chiaro, ma il percorso per arrivarci si arricchisce di nuove tappe anticipate.

I servizi fiscali di Young Platform

Sono ormai tre anni che supportiamo i nostri utenti con soluzioni dedicate alla fiscalità. Quello che era nato come un semplice Report si è evoluto in un vero e proprio ecosistema di strumenti, pensato per rendere il processo di dichiarazione rapido e senza stress. Oggi mettiamo a disposizione i seguenti documenti, tutti aggiornati per la dichiarazione dei redditi per il 2025:

  • Report fiscale di Young Platform: per chi utilizza esclusivamente il nostro exchange.
  • Report fiscale Young-Okipo: per chi opera su più exchange, anche decentralizzati, possiede degli NFT e utilizza protocolli DeFi.
  • Report delle transazioni: per archiviare in modo ordinato lo storico di movimenti, ordini e Smart Trades.
  • Ricevuta imposta di bollo: da conservare per eventuali accertamenti fiscali.
  • Commercialista crypto: per chi desidera affidarsi a un esperto per gestire direttamente la propria dichiarazione.

The Box

Tra i protagonisti del primo trimestre 2025 c’è stato senza dubbio The Box, il nostro concorso pensato per rendere il mondo della finanza più accessibile, dinamico e coinvolgente. L’iniziativa è stata un grande successo: migliaia di utenti hanno partecipato attivamente, completando missioni, scalando la classifica e contribuendo all’evoluzione dell’ecosistema Young Platform. La competizione attuale si concluderà il 31 maggio, come previsto, e poco dopo annunceremo i vincitori e l’assegnazione dei premi.

Al centro dell’iniziativa c’è la Carta Young, la nostra carta di debito fosforescente con cashback in YNG, che rappresenta un elemento chiave della nostra visione di lungo termine

Meccanismo di ribilanciamento del prezzo dei Club

Dal 4 febbraio 2025, l’accesso ai Club di Young Platform è regolato da un meccanismo di aggiustamento mensile basato sul prezzo di mercato di YNG. L’obiettivo è mantenere stabile il valore di accesso in euro, garantendo equilibrio tra accessibilità e valore del token:

  • Se il prezzo di YNG scende, il numero di token richiesti aumenta proporzionalmente.
  • Se il prezzo di YNG sale, il numero di token richiesti diminuisce, ma in modo attenuato grazie a un fattore di sconto.

Questo sistema, che prevede un aggiornamento del prezzo ricorrente ogni primo martedì del mese, evita che i Club diventino troppo esclusivi o troppo economici in caso di forti oscillazioni del prezzo.

Prezzi aggiornati per maggio 2025 (con prezzo YNG = € 0,193):

  • Bronze: 1.865 YNG
  • Silver: 6.217 YNG
  • Gold: 12.435 YNG
  • Platinum: 31.088 YNG

Nuovi Benefit dei Club

Il primo trimestre del 2025 è stato particolarmente ricco anche per i membri dei Club di Young Platform, con l’introduzione di nuovi benefit esclusivi pensati per arricchire l’esperienza degli utenti sia dal punto di vista finanziario che personale. Ecco alcune delle novità più significative:

  • BuiltDifferent: una piattaforma di fitness e nutrizione personalizzata, che ti consente di seguire allenamenti su misura, accedere a programmi nutrizionali avanzati e migliorare il tuo stile di vita ovunque ti trovi. Il tutto a condizioni molto più vantaggiose rispetto a un personal trainer tradizionale.
  • Milano Finanza: una delle fonti più autorevoli in Italia per chi investe. I membri dei Club possono ora accedere gratuitamente a contenuti premium e analisi quotidiane su mercati, macroeconomia e strategie di investimento. Uno strumento concreto per prendere decisioni più consapevoli.
  • Serenis: il centro medico online n°1 in Italia per il supporto psicologico. Grazie alla nostra collaborazione, i membri dei Club possono accedere a percorsi di counseling e supporto terapeutico a tariffe agevolate. Perché benessere finanziario ed emotivo devono sempre procedere insieme.

Questi vantaggi si sommano a una gamma già ampia di benefit disponibili per i membri dei Club: dall’educazione finanziaria ai privilegi esclusivi su servizi crypto, passando per il benessere personale e nuove opportunità di crescita.

E non finisce qui: nuove collaborazioni sono già in fase di definizione, con l’obiettivo di rendere i Club Young sempre più completi, distintivi e in linea con una visione di valore a 360 gradi.

Un esempio? L’accesso esclusivo alla sezione più analitica e ricca di dati di questo Report. Mentre fino ad oggi la trasparenza ci ha guidato nel condividere pubblicamente tutte le informazioni sul token YNG – inclusi dettagli su fornitura, acquisti, vendite ed emissioni – da questo primo trimestre del 2025 abbiamo scelto di riservare queste analisi approfondite unicamente ai membri dei nostri Club, in quanto diretti detentori di Young (YNG) e principali sostenitori del nostro ecosistema.

I nostri sostenitori più diretti meritano la massima trasparenza sulle strategie che ne guidano il futuro. Per questo, nella versione del report riservata ai membri dei Club, entreremo nel dettaglio delle misure adottate per salvaguardare il valore di YNG e promuovere una crescita organica e sostenibile. Approfondiremo i piani per la sua futura presenza sul mercato decentralizzato e illustreremo con chiarezza le ponderate ragioni che ci hanno portato a rifiutare specifiche proposte relative al token YNG da parte di alcuni Venture Capital. Si tratta di una decisione importante, presa per proteggere la nostra community da una potenziale pressione di vendita e dalla diluizione del valore del token. Questi approfondimenti strategici sono un’esclusiva per chi vive l’ecosistema Young Platform da protagonista.


Il calendario dei risultati trimestrali delle aziende quotate

Trimestrali NVIDIA e azionario: calendario e previsioni

Scopri il calendario dei dati trimestrali di NVIDIA e delle aziende più importanti dell’azionario

Il calendario dei dati trimestrali di NVIDIA e delle aziende più importanti dell’azionario è uno strumento essenziale per seguire al meglio i mercati. Ogni tre mesi, NVIDIA e tutte le aziende quotate sono tenute a pubblicare le trimestrali. Questi report contengono i risultati finanziari dell’azienda per l’ultimo trimestre, tra cui ricavi, profitti, spese, previsioni future e molto altro.

Scopri perché sono importanti, come influenzano le decisioni degli investitori e il calendario completo e aggiornato in questo articolo.

Trimestrali: perché le aziende come NVIDIA devono pubblicarle?

Prima di addentrarci nel calendario delle trimestrali di NVIDIA e delle altre aziende principali del mercato azionario, è utile capire alcune caratteristiche di questi report. Innanzitutto, va specificato che la pubblicazione di questi documenti è un obbligo normativo, volto a garantire un livello di trasparenza accettabile all’interno dei mercati. 

La pubblicazione delle trimestrali consente agli investitori di valutare l’andamento di un’azienda, comprendendo se sta crescendo, se è in grado di registrare profitti e fornendo gli elementi necessari per decidere se comprare o vendere le sue azioni.

Le trimestrali non sono solo un’indicazione della salute finanziaria di un’azienda, ma anche uno strumento per confrontarla con i suoi competitor. Per esempio, i risultati di NVIDIA possono essere utilizzati per confrontare l’azienda con altre nel settore tecnologico. Nel mese di gennaio la quotazione delle azioni di NVIDIA, che produce GPU, è calata del 27% circa a causa dell’ingresso in scena di DeepSeek e della sua innovativa versione R1. Sebbene il titolo abbia mostrato una ripresa, con una crescita di circa il 50% dai minimi di aprile, l’attenzione è ora catalizzata sui risultati trimestrali attesi per domani, mercoledì 28 maggio 2025. In che modo questo contesto e la forte concorrenza nel settore AI influenzeranno gli utili? La market cap di NVIDIA è ancora giustificata agli occhi degli analisti, che peraltro mantengono un consensus prevalentemente “Buy” o “Strong Buy”? Le risposte a queste domande, almeno in parte, possono essere trovate analizzando le trimestrali imminenti.

Come influenzano i mercati

Le trimestrali di NVIDIA, così come quelle di tante altre aziende quotate, hanno un impatto significativo sui mercati. Tuttavia, l’effetto che queste hanno non è mai scontato e richiede esperienza e una comprensione approfondita per essere interpretato correttamente. Intuitivamente, si potrebbe pensare che, quando i risultati di un’azienda sono positivi, il prezzo delle sue azioni sarà destinato a salire. In realtà, la reazione del mercato a questi dati non è così lineare.

La verità è che non esiste una formula precisa per prevedere come reagirà il mercato ai dati trimestrali. Le reazioni possono essere influenzate da molteplici fattori. Le aspettative degli investitori sono cruciali: se i risultati di un’azienda sono in linea con le previsioni degli analisti, o meglio ancora li superano, il titolo tenderà a salire. Tuttavia, se i risultati sono positivi ma non riescono a superare le aspettative, il titolo potrebbe scendere.

Un altro fattore determinante è il contesto macroeconomico. I mercati adesso si trovano in un periodo di incertezza e debolezza a causa dell’atteggiamento imprevedibile di Donald Trump sui dazi, che impedisce agli investitori di avere una visione chiara del prossimo futuro. In questa situazione altalenante, anche una trimestrale positiva potrebbe non ricevere l’attenzione che merita. Per esempio, a seguito della riunione del Federal Open Market Committee (FOMC) del 7 maggio 2025, la Federal Reserve ha deciso di mantenere i tassi di interesse invariati nel range 4.25%-4.50%, adottando un approccio “wait-and-see” e indicando che, sebbene l’economia cresca a un ritmo modesto e l’inflazione sia leggermente sopra il target del 2%, si attendono possibili tagli dei tassi nella seconda metà dell’anno, ma con un’incertezza elevata. Politiche monetarie percepite come ancora restrittive o un’inflazione persistente possono limitare l’entusiasmo per i risultati aziendali, spingendo parte del capitale verso alternative meno rischiose.

Infine non si possono citare altri aspetti che giocano un ruolo centrale. La dimensione dell’azienda, il settore in cui opera, le quote di mercato e la sua reputazione sono tutti fattori che possono influenzare come il mercato percepisce e reagisce ai suoi risultati trimestrali. 

Trimestrali NVIDIA e non solo: il calendario completo

Con i risultati del primo trimestre fiscale del 2025 che si stanno concludendo (come quelli di NVIDIA attesi per domani), l’attenzione si sposterà presto sulla prossima stagione delle trimestrali, quella relativa al secondo trimestre fiscale del 2025 (Q2), i cui risultati verranno comunicati nei mesi di luglio e agosto. Il 2025 continua a essere un anno cruciale: le politiche commerciali globali e le dinamiche macroeconomiche avranno un impatto diretto sui profitti delle Big dell’economia mondiale.

Ecco un calendario preliminare con le date attese per le prossime trimestrali di alcune delle principali aziende quotate (le date sono indicative e potrebbero subire variazioni):

Mercoledì 28 maggio 2025

  • NVIDIA – Market Cap: 3,3 trilioni di dollari: 44,1 miliardi di dollari (contro i 43,3 previsti)
  • Salesforce – Market Cap: 264 miliardi di dollari: 9,8 miliardi di dollari (contro i 9,75 previsti)

Giovedì 29 maggio 2025

  • CostoCo – Market Cap: 449,5 miliardi di dollari

Giovedì 5 giugno 2025

  • Broadcom – Market Cap: 1,1 trilioni di dollari

Martedì 17 giugno 2025

  • Oracle – Market Cap: 459,47 miliardi di dollari

Martedì 15 luglio 2025 (o date vicine)

  • JPMorgan – Market Cap: 732,26 miliardi di dollari
  • Wells Fargo Market Cap: 240 miliardi di dollari
  • Pepsi – Market Cap: 179,16 miliardi di dollari
  • Citigroup – Market Cap: 140,14 miliardi di dollari

Mercoledì 16 luglio 2025 (o date vicine)

  • Netflix – 514,32 miliardi di dollari
  • Bank of America – 331,85 miliardi di dollari
  • Morgan Stanley – 204,57 miliardi di dollari
  • Goldman Sachs – 178,3 miliardi di dollari

Venerdì 18 luglio 2025 (o date vicine)

  • American Express – Market Cap: 205,52 miliardi di dollari
  • BlackRock – Market Cap: 150,48 miliardi di dollari

Mercoledì 23 luglio 2025 (o date vicine)

  • Apple – Market Cap: circa 3 trilioni di dollari
  • Meta Platforms, Inc. – Market Cap: 1,6 trilioni di dollari
  • IBM – Market Cap: 236,6 miliardi di dollari
  • McDonald’s – Market Cap: 223 miliardi di dollari

Giovedì 24 luglio 2025 (o date vicine)

  • Mastercard – Market Cap: 518 miliardi di dollari

Martedì 29 luglio 2025 (o date vicine)

  • Microsoft – Market Cap: 3,4 trilioni di dollari
  • Alphabet – Market Cap: 2,1 trilioni di dollari
  • Tesla – Market Cap: 1,15 trilioni di dollari
  • VISA – Market Cap: 673,5 miliardi di dollari
  • Coca-Cola – Market Cap: 306,2 miliardi di dollari

Giovedì 31 luglio 2025 (o date vicine)

Amazon – Market Cap: 2,17 trilioni di dollari

Come abbiamo potuto comprendere nelle scorse settimane, il 2025 sarà un anno cruciale per la finanza mondiale. Il nuovo approccio isolazionista degli Stati Uniti ha prodotto un cambio di paradigma nei rapporti fra stati, che si riflette in una nuova architettura globale di alleanze economiche e finanziarie: la Cina vorrà approfittarne per diventare finalmente il principale attore commerciale e l’Europa dovrà necessariamente rendersi sempre più indipendente per difendersi dalle turbolenze esterne.  Iscriviti al nostro blog per restare aggiornata/o su ciò che è davvero importante! 

Come funziona il prelievo forzoso?

Prelievo forzoso: come funziona?

I miei soldi possono davvero sparire dal conto? Tutto sul prelievo forzoso

L’idea che i propri risparmi, frutto di lavoro e sacrifici, possano svanire dal conto corrente è fonte di ansia per molti. Questo timore, a volte alimentato da informazioni imprecise, merita chiarezza. 

Sebbene esistano circostanze in cui terzi possono accedere legalmente ai fondi depositati in banca, non si tratta di un evento arbitrario o improvviso, ma di una procedura ben definita dalla legge, nota come prelievo forzoso o, più tecnicamente, pignoramento presso terzi. Capiamo meglio di cosa si tratta.

Cos’è esattamente un prelievo forzoso?

Un prelievo forzoso non è un furto né un errore della banca: è l’atto finale di un procedimento legale attraverso il quale un creditore, munito di un titolo esecutivo (un documento che accerta il suo diritto), recupera somme dovute da un debitore agendo direttamente sul suo conto corrente. La banca, in questo scenario, agisce come “terzo pignorato”, ovvero come soggetto che detiene somme del debitore e che è obbligato per legge a trasferirle al creditore su ordine dell’autorità competente.

È fondamentale sottolineare che si arriva al prelievo forzoso solo dopo che il debito è stato formalmente accertato e il debitore ha avuto diverse occasioni per regolarizzare la propria posizione.

Chi può autorizzare un prelievo forzoso e per quali debiti?

Non chiunque vanti un credito può presentarsi in banca e chiedere i soldi di un altro. L’azione richiede sempre l’intervento di un’autorità e il rispetto di precisi passaggi. I principali soggetti che possono attivare questa procedura sono:

  1. L’agenzia delle entrate-riscossione (ader): è l’ente preposto alla riscossione dei crediti dello stato e di altri enti pubblici. Parliamo di:
    • tasse non pagate (irpef, iva, imu, tari, ecc.);
    • contributi previdenziali inevasi;
    • multe stradali non saldate;
    • bollo auto scaduto e non pagato. In questi casi, il percorso tipico prevede la notifica di un avviso di accertamento, seguito dalla temuta “cartella esattoriale”. Se il debito non viene saldato o rateizzato entro i termini (solitamente 60 giorni dalla notifica della cartella), l’ader può inviare un’intimazione di pagamento e, successivamente, procedere con il pignoramento del conto.
  2. L’autorità giudiziaria (tribunale): a seguito di una causa civile, un giudice può ordinare il pignoramento del conto per soddisfare crediti di natura privata. Ad esempio:
    • assegni di mantenimento non corrisposti all’ex coniuge o ai figli;
    • canoni di locazione non pagati;
    • fatture insolute verso fornitori o professionisti;
    • risarcimenti danni stabiliti da una sentenza. Il creditore privato deve prima ottenere un “titolo esecutivo”, come una sentenza passata in giudicato, un decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo, o un assegno/cambiale protestati.

Come funziona la procedura di pignoramento del conto corrente?

Una volta ottenuto il via libera, il creditore notifica l’atto di pignoramento sia al debitore sia alla banca. Da quel momento la banca è tenuta a bloccare sul conto del debitore una somma pari all’importo del credito vantato, aumentato delle spese legali. 

Se il saldo è inferiore, viene bloccato l’intero importo disponibile. Dopodiché, entro termini stabiliti, la banca deve comunicare al creditore l’effettiva esistenza di fondi pignorabili. Se il debitore non si oppone o se l’opposizione viene respinta, il giudice (o l’ader in caso di debiti fiscali) ordina alla banca di versare le somme bloccate al creditore.

Esistono però dei limiti al pignoramento per tutelare la sussistenza del debitore:

  • Stipendi e pensioni: se accreditati sul conto, non possono essere pignorati integralmente. Per le somme già accreditate al momento del pignoramento, la parte che eccede il triplo dell’assegno sociale (un importo annuo aggiornato dall’inps, nel 2024 pari a circa 534 euro mensili) può essere pignorata. Quindi, se l’assegno sociale è 534 euro, il limite di impignorabilità sul saldo esistente è di circa 1.602 euro. Per i futuri accrediti di stipendio o pensione, il pignoramento può avvenire generalmente nella misura di un quinto, ma la frazione può variare a seconda dell’importo e di eventuali altri pignoramenti in corso.
  • Conti cointestati: si presume che le somme appartengano ai cointestatari in parti uguali. Pertanto, di norma, può essere pignorata solo la quota del debitore (solitamente il 50%).
  • Somme impignorabili: alcune somme sono per legge assolutamente impignorabili, come le pensioni di invalidità, gli assegni di accompagnamento, o le rendite da assicurazioni sulla vita (in determinate condizioni).

Cosa fare se si riceve un avviso di pignoramento del conto?

La prima regola è: non ignorare il problema, perché in questo modo la situazione peggiora drasticamente. 

Innanzitutto è bene controllare attentamente la documentazione per capire l’origine del debito, l’importo e se è effettivamente dovuto. Se il debito è legittimo, la soluzione più rapida per sbloccare il conto è pagare l’intero importo. Con l’agenzia delle entrate-riscossione è spesso possibile richiedere una rateizzazione del debito, che, una volta concessa e pagata la prima rata, può portare alla sospensione del pignoramento. Se, invece, si ritiene che il pignoramento sia ingiusto (es: debito già pagato, errore di notifica, pignoramento di somme impignorabili), è possibile presentare opposizione davanti al giudice competente. È un’azione legale complessa per cui è indispensabile l’assistenza di un avvocato.

Prevenzione: come evitare brutte sorprese

La migliore strategia è la prevenzione:

  • Tenere sotto controllo le proprie scadenze fiscali e i pagamenti.
  • Non ignorare mai avvisi di accertamento, cartelle esattoriali o comunicazioni legali (soprattutto le raccomandate).
  • In caso di difficoltà economiche temporanee, cercare un dialogo con i creditori o con l’ader per trovare soluzioni sostenibili (es. piani di rateizzazione) prima che la situazione degeneri.

Il prelievo forzoso dal conto corrente è una misura seria, l’ultima spiaggia per i creditori per recuperare quanto loro dovuto. Sebbene l’idea possa spaventare, è importante ricordare che si tratta di una procedura legale. Conoscere le regole, i propri diritti e i limiti imposti dalla legge al pignoramento è il primo passo per affrontare la situazione con maggiore consapevolezza. La gestione responsabile delle proprie finanze e l’azione tempestiva in caso di difficoltà restano le armi più efficaci per evitare che i propri soldi “spariscano” davvero dal conto.

Bias cognitivi in finanza: guida per investire consapevolmente

Bias cognitivi in finanza: guida per investire consapevolmente

I bias cognitivi influenzano le tue decisioni di investimento più di quanto credi. Scopri i più comuni in finanza e le strategie pratiche per riconoscerli, gestirli e scardinarli

I bias cognitivi, distorsioni mentali che influenzano il nostro pensiero e il nostro processo decisionale, collidono con i pilastri della teoria economica tradizionale. Eh già, perché a causa di questi errori di valutazione sistematici, noi investitori che popoliamo il mondo della finanza siamo tutto fuorché gli “attori razionali” che gli economisti classici si immaginavano.

I bias cognitivi – e il loro significato – sono stati per un sacco di tempo trascurati. Si preferiva trattare gli individui come dei robot, guidati semplicemente dal bilanciamento tra rischio e rendimento, tra costi e benefici. La realtà – e soprattutto i dati, che non mentono quasi mai – però, ci racconta una storia ben diversa. Cosa sono i bias cognitivi? Come li definisce la finanza comportamentale? E soprattutto, quanto spesso ci caschiamo? 

Bias cognitivi: l’origine del termine

Scommettiamo che sei convinto di essere un buon automobilista? Diciamo pure migliore del “guidatore medio” italiano. Beh, amico, non sei solo: la stragrande maggioranza dei guidatori ha la tua stessa, identica convinzione. E questo, di per sé è già un paradosso. La colpa? Dell’overconfidence bias, ma non correre, che a quello ci arriviamo tra un attimo.

Per avventurarci nel fantastico (si fa per dire) mondo dei bias cognitivi applicati alla finanza, dobbiamo prima avere le idee chiare sul significato di “bias”. È un termine inglese che abbiamo preso in prestito dal greco epikársios, che significa “obliquo”, “inclinato”. Pensa che all’inizio era associato al gioco delle bocce, per descrivere un tiro un po’ sbilenco, andato storto. Probabilmente non hai mai sentito tuo nonno urlare “Bias!” alla bocciofila e c’è un perché: dal 1500 in poi, il termine ha iniziato a prendere un significato più ampio, e oggi lo traduciamo spesso con “predisposizione al pregiudizio” o, per essere più precisi nel nostro contesto, “distorsione sistematica del giudizio”. Insomma, qualcosa che ci fa vedere le cose un po’… di traverso.

Che cosa sono davvero i Bias cognitivi?

Il significato di bias cognitivo affonda le sue radici nell’etimologia che abbiamo appena spulciato. C’è da dire, però, che questa evoluzione di epikársios ha trovato terreno fertile nel campo della psicologia, soprattutto grazie alle ricerche di due pezzi da novanta come Daniel Kahneman e Amos Tversky, premi Nobel che negli anni ‘70 hanno iniziato a scoperchiare questo vaso di Pandora.

Ma quindi, in soldoni, “bias cognitivo” cosa vuol dire? Un sinonimo potrebbe essere automatismo mentale (o scorciatoia), inteso però spesso in senso negativo. È come quando il nostro cervello, per risparmiare energia, invece di fare tutto il ragionamento per filo e per segno, prende una scorciatoia. Peccato che a volte queste scorciatoie ci portino dritti dritti in un fosso. Da questi automatismi si generano solitamente credenze, decisioni, e persino abitudini. Insomma, i bias cognitivi non sono affatto uno scherzo: possono alterare permanentemente il nostro processo di pensiero, soprattutto se non impariamo a disinnescarli. L’unico modo per farlo? Riconoscerli e, quindi, conoscerli a menadito.

Le euristiche, scorciatoie mentali a volte pericolose

Stiamo parlando dei bias cognitivi della finanza, ma di soldi e investimenti ancora poche tracce concrete, vero? Non ti preoccupare, stiamo per arrivarci. Prima, però, dobbiamo chiarire un ultimo concetto fondamentale: quello di euristica, una parola che sentirai spesso associata ai bias.

In breve, le euristiche sono proprio quelle scorciatoie mentali di cui parlavamo. Il termine deriva dal greco heurískein, che significa “scoprire” o “trovare”. Sono procedimenti mentali sbrigativi che ci permettono di giungere a conclusioni veloci, di prendere decisioni al volo. Bello, no? Quando un’idea ti “salta in testa” all’istante, senza bisogno di spremerti le meningi o avventurarti in ragionamenti lunghi e faticosi. È l’euristica che lavora per te!

Questa specie di “magia” avviene nel nostro cervello grazie a un processo chiamato sostituzione dell’attributo, che per lo più avviene senza che ce ne accorgiamo. In parole povere, il nostro cervello sostituisce un concetto complesso con uno più semplice da maneggiare e voilà: conclusione rapida, zero sforzo cognitivo (o quasi).

Questo affascinante meccanismo, in un certo senso, precede o produce i bias cognitivi. È importante sapere, però, che non tutte le euristiche vengono per nuocere: alcune sono “euristiche efficaci”, ovvero scorciatoie che funzionano e ci semplificano la vita. Il problema è quando ci affidiamo troppo a quelle “pigre” o difettose ed è lì che nascono i guai, soprattutto in finanza.

Bias cognitivi nel mondo della finanza: quando le scorciatoie diventano trappole

Ti è mai capitato di azzeccare un trade e sentirti improvvisamente il Warren Buffett della tua provincia, praticamente invincibile? O, al contrario, di registrare una perdita e, invece di fermarti a riflettere, decidere di aumentare l’esposizione per “recuperare in fretta”? Se hai annuito almeno una volta, benvenuto nel club: hai, anche tu, avuto un incontro ravvicinato con qualche bias cognitivo.

E non sentirti solo o sbagliato: questo è assolutamente normale. Secondo diverse ricerche, tali schemi di pensiero irrazionale sono estremamente comuni, tanto da influenzare le decisioni della maggior parte degli individui quando si confrontano con situazioni di incertezza come quelle, appunto, dei mercati finanziari. Kahneman stesso, nel suo libro “Pensieri Lenti e Veloci”, ci spiega come questi “errori sistematici” siano parte integrante del nostro modo di pensare.

Ha quindi un sacco di senso, almeno secondo noi, dare un’occhiata da vicino ai bias più comuni che infestano il mondo degli investimenti. L’obiettivo? Imparare a riconoscerli per cercare, se non di eliminarli del tutto (impresa quasi impossibile), almeno di scardinarli o limitarne i danni.

Il Bias di conferma

Si manifesta con la tendenza a cercare, interpretare, favorire e ricordare solo le informazioni che confermano o supportano le nostre convinzioni o i nostri valori preesistenti. È come mettere dei paraocchi selettivi.

Hai comprato azioni di “Azienda X” o quella crypto in tendenza? Col bias di conferma attivo, andrai a caccia di notizie positive su quell’asset, magari sui forum o sui social, ignorando bellamente o minimizzando quelle negative. “Ah, quel famoso analista dice che salirà? Ottimo! Quell’altro dice che è una bolla? Ma figurati, non capisce niente!”

Uno studio di Park (2010) pubblicato sul “Journal of Cognitive Neuroscience” ha usato la risonanza magnetica funzionale per dimostrare che quando il bias di conferma entra in gioco, si attivano aree cerebrali associate alla ricompensa. In pratica, il cervello ci premia con della dopamina quando troviamo tesi che confermano le nostre idee, anche se sono sbagliate!

Eccesso di fiducia (overconfidence bias)

È la tendenza, ahimè molto umana, a sovrastimare le proprie capacità, le proprie conoscenze e l’accuratezza delle proprie previsioni. 

Pensa agli imprenditori che sottostimano le difficoltà di avviare un’azienda, o ai lavoratori convinti di riuscire a rispettare scadenze palesemente impossibili. L’ottimismo è un motore fantastico, ma quando la sicurezza supera un certo limite e diventa presunzione, iniziano i dolori. Si finisce per prendere decisioni avventate, trascurare rischi reali e, di conseguenza, andare incontro a risultati che definire deludenti è un eufemismo.

Secondo una ricerca di Barber e Odean (2001), dal titolo piuttosto eloquente “Boys Will Be Boys: Gender, Overconfidence, and Common Stock Investment”, questo bias cognitivo è significativamente più comune negli investitori maschi. A quanto pare, i maschietti tendono più spesso a sovrastimare le loro capacità, il che li porta a effettuare più operazioni di trading e a ottenere rendimenti netti inferiori rispetto alle colleghe investitrici.

Bias dell’ancoraggio

L’ancoraggio descrive la nostra tendenza a fare eccessivo affidamento sulla prima informazione che riceviamo su un dato argomento, anche se non è particolarmente rilevante o accurata. Questa prima informazione diventa un'”ancora” mentale che influenza tutti i giudizi successivi. Ad esempio, quando dobbiamo fare una stima numerica, tendiamo a farci influenzare da un numero che abbiamo sentito o visto in precedenza, anche se non c’entra nulla con la stima attuale.

Uno studio di Hersh Shefrin (2000), che trovi nel suo libro “Beyond Greed and Fear” (un classico della finanza comportamentale), illustra come gli investitori si “ancorino” a livelli di prezzo storici. Magari il prezzo a cui hai comprato un’azione, o il suo massimo storico. Queste “ancore” influenzano le aspettative 

Bias del presente

Sei vittima di questa euristica, che può portare a esiti negativi, quando dai un peso sproporzionato ai benefici immediati rispetto a quelli futuri, anche se questi ultimi potrebbero essere molto più grandi. È il trionfo del “tutto e subito”.

Uno studio sul risparmio pensionistico del 2008 di Laibson, Repetto e Tobacman dimostra come questo bias cognitivo possa portare alla procrastinazione cronica per quanto riguarda le decisioni di risparmio a lungo termine. Il classico “Inizio il piano d’accumulo il mese prossimo”, che diventa “il prossimo anno”, e poi “quando i figli saranno grandi”…

Questo bias è efficacemente descritto da modelli economici come quello “beta-delta”, che, per farla semplice, ci dicono che le persone non scontano il tempo in modo uniforme. Tendiamo ad attribuire un valore decisamente maggiore alle ricompense che possiamo ghermire subito rispetto a quelle che arriveranno in futuro, anche quando il ritardo è minimo. È come se il nostro “io futuro” fosse uno sconosciuto a cui non vogliamo fare favori.

Bias della rappresentatività

Ampiamente trattato da Tversky e Kahneman (1974) nel loro fondamentale articolo “Judgment under Uncertainty: Heuristics and Biases”, questa euristica si basa sulla nostra tendenza a giudicare la probabilità di un evento o l’appartenenza a una categoria basandoci su quanto esso sia simile a un prototipo o a uno stereotipo che abbiamo ben stampato in mente. Il problema è che spesso ignoriamo e le cosiddette “probabilità di base”, cioè quanto quellevento sia effettivamente frequente nella realtà.

Un esempio classico in finanza è l’investimento in un’azienda solo perché opera in un settore “caldo” e super chiacchierato (l’intelligenza artificiale oggi, il metaverso ieri, le energie rinnovabili l’altroieri), o perché il suo nome suona simile a quello di un’azienda di successo, o perché il suo fondatore assomiglia a Steve Jobs. Si cercano somiglianze superficiali, trascurando un’analisi fondamentale seria.

Pensa alla roulette: se è uscito il rosso per cinque volte di fila, molti scommetterebbero sul nero, pensando che “ora DEVE uscire”. Questo perché la sequenza R-R-R-R-R non “rappresenta” la nostra idea di casualità. Peccato che la pallina non abbia memoria e la probabilità sia sempre la stessa a ogni giro.

Effetto framing

Inifne, anche se non rientra nel calderone dei bias non possiamo non citare l’effetto framing, un fenomeno psicologico che dimostra come la nostra decisione possa cambiare radicalmente a seconda di come le informazioni vengono presentate, o “incorniciate”, appunto. La sostanza magari è la stessa, ma se cambia la cornice, cambia anche la nostra percezione (e la scelta finale).

Come ci hanno insegnato sempre Kahneman e Tversky, formulare una scelta in termini di potenziali guadagni o potenziali perdite fa tutta la differenza del mondo. Dire che un trattamento medico ha il “90% di possibilità di successo” è molto più rassicurante che dire che ha il “10% di possibilità di fallimento”, anche se stiamo dicendo la stessa identica cosa.

Dire che un fondo d’investimento attivo che ha reso il 4% quando il mercato di riferimento ha fatto il 2% può essere “incorniciato” come un successo. Ma se i costi di gestione annui sono stati del 3,5% e l’inflazione del 3%, il rendimento reale è negativo.

Come scardinare i bias cognitivi

Bene, ora che abbiamo fatto la conoscenza di questa allegra famigliola di trappole mentali, ti starai chiedendo: “quindi sono condannato a prendere decisioni finanziarie sbagliate per il resto dei miei giorni?”. La risposta è un sonoro: NO! Conoscere il nemico è il primo, fondamentale passo per combatterlo. Ecco qualche dritta pratica, niente formule magiche, ma consigli dannatamente utili:

  1. Datti delle regole chiare e seguile:
  • Fissa obiettivi finanziari limpidi: cosa vuoi dai tuoi investimenti? Una pensione tranquilla? Comprare casa? Avere obiettivi e un orizzonte temporale definiti ti aiuta a tenere la barra dritta quando il mare si fa grosso;
  • Crea un piano d’investimento scritto: non navigare a vista. Decidi prima il tuo profilo di rischio, come diversificare il portafoglio, e stabilisci regole chiare per comprare, vendere e ribilanciare. Scrivilo nero su bianco! E, soprattutto, attieniti al piano, anche quando l’istinto (o un maledetto bias!) ti urla di fare l’esatto contrario.
  • Automatizza il più possibile: i piani di accumulo sono una benedizione. Depositi e acquisti regolari e automatici ti evitano l’agonia di decidere “qual è il momento giusto per entrare” (spoiler: nessuno lo sa con certezza) e ti proteggono dalle decisioni impulsive dettate dall’emotività del momento.
  1. Lo scetticismo, in finanza, è una virtù:
  • Cerca attivamente opinioni divergenti: sei straconvinto di vole investire in un crypto specifica, per esempio SOL? Perfetto. Ora vai a cercare tutte le ragioni per cui potrebbe essere una pessima idea. Leggi analisi di chi la pensa diversamente, confrontati.
  • Redigi un “pre-mortem”: prima di prendere una decisione finanziaria importante, immagina per un attimo che sia andata male, un disastro completo. Quali potrebbero essere state le cause? Questo esercizio mentale può aiutarti a identificare rischi e falle nel tuo ragionamento che altrimenti avresti ignorato.
  1. Tieni un diario degli Investimenti:
  • Annota perché hai preso una certa decisione di investimento, cosa ti aspettavi in quel momento, e come ti sentivi (euforico? preoccupato?). Rileggere il diario a distanza di tempo è un modo potentissimo per riconoscere i tuoi schemi comportamentali e i tuoi bias “preferiti”, quelli in cui cadi più spesso.
  1. Pensa a lungo termine:
  • I mercati finanziari e crypto, nel breve periodo, sono rischiosi e volatili. Se stai lì ogni giorno a controllare i grafici e a farti venire l’ansia per ogni minima variazione, i bias avranno vita facile. Fai un bel respiro, ricorda i tuoi obiettivi di lungo periodo e non farti travolgere dal panico o dall’euforia del momento. Come dice Warren Buffett: “il mercato azionario è un meccanismo per trasferire denaro dagli impazienti ai pazienti.” 

Bias cognitivi in finanza: le domande più frequenti

Dopo tutta questa immersione nel mondo un po’ contorto dei bias, è normale avere qualche dubbio o curiosità. Proviamo ad anticiparne qualcuna, vediamo se ci azzecchiamo:

  • È possibile eliminare completamente i bias cognitivi? 

La risposta sincera è: probabilmente no, non del tutto. I bias cognitivi sono un po’ come la nostra ombra o il nostro accento regionale: fanno parte del nostro “pacchetto base” di esseri umani. L’obiettivo realistico non è eliminarli (sarebbe come cercare di non avere mai fame), ma imparare a riconoscerli, capire come ci influenzano e sviluppare strategie per gestirli e mitigarne l’impatto. È un lavoro continuo, una sorta di “manutenzione mentale” costante.

  • Quanto conta il fattore psicologico in finanza?

Tantissimoi! Puoi aver letto tutti i libri di finanza del mondo, ma se poi, al momento di cliccare “compra” o “vendi”, ti fai fregare dall’emotività e dai bias, tutta la tua sapienza analitica rischia di andare a farsi un giro. Molti esperti e investitori di successo sostengono che il successo negli investimenti dipende per una fetta enorme – forse anche il 50% o più – dalla gestione della propria psicologia. Le due cose, analisi e psicologia, devono andare a braccetto.

  • Ci sono bias più “pericolosi” di altri per chi inizia a investire?

Per chi muove i primi passi, alcuni bias possono essere particolarmente insidiosi. L’eccesso di fiducia (overconfidence) dopo i primissimi guadagni può far sentire dei fenomeni e portare a prendere rischi inutili. Anche il bias di conferma è piuttosto comune in chi ha poca esperienza sui mercati.

  • Come faccio a capire a quali bias sono più incline?

Il metodo più efficace è l’auto-osservazione onesta e costante. Un trucco utile è tenere un diario delle decisioni di investimento: annota non solo cosa compri o vendi, ma perché lo fai e come ti senti in quel momento (euforico? preoccupato? sotto pressione?). Rileggendolo a distanza di tempo, potresti notare degli schemi ricorrenti nel tuo comportamento. Hai preso decisioni impulsive durante un crollo di mercato? Hai mantenuto un titolo “per una questione di principio” anche se continuava a scendere?

  • I professionisti della finanza (trader, gestori di fondi) sono immuni?

Assolutamente no! I bias cognitivi sono “democratici”: colpiscono tutti, perché sono radicati nel modo in cui il cervello umano elabora le informazioni e prende decisioni. Anzi, a volte proprio l’eccesso di fiducia può giocare brutti scherzi a chi si sente particolarmente esperto. La vera differenza è che un buon professionista dovrebbe essere addestrato a riconoscere questi meccanismi e ad aver sviluppato strategie e processi per mitigarne l’impatto. Ma nessuno è un robot infallibile, neanche chi lavora a Wall Street!

Eccoci alla fine di queso viaggio alla scoperta dei bias cognitivi applicati al mondo della finanza. Se sei arrivato a leggere fin qui hai già fatto il primo, gigantesco e fondamentale passo: hai preso coscienza che queste “distorsioni mentali”, queste “scorciatoie ingannevoli”, esistono davvero e che influenzano anche te, come influenzano ogni singolo essere umano su questo pianeta.

Abbiamo visto che i bias non sono un’invenzione degli psicologi per vendere più libri, ma meccanismi profondamente radicati nel nostro modo di pensare, un’eredità della nostra evoluzione. Sono scorciatoie che il nostro cervello, pigro ma efficiente, usa per cercare di semplificare un mondo incredibilmente complesso e pieno di informazioni. A volte queste scorciatoie ci portano a destinazione rapidamente e senza incidenti. Altre volte, però, soprattutto quando ci sono di mezzo i nostri sudati risparmi e l’imprevedibilità dei mercati finanziari, ci fanno fare delle capocciate memorabili

La buona notizia, però, è che non siamo condannati a essere delle semplici marionette nelle mani dei nostri bias! La consapevolezza è la nostra arma più potente. Capire come funzionano questi meccanismi, imparare a riconoscere i campanelli d’allarme nel nostro comportamento e nei nostri pensieri, e adottare strategie concrete per “disinnescarli” o almeno limitarne l’impatto, può fare – e fa – tutta la differenza del mondo.Quindi, la prossima volta che senti quella vocina interiore che ti spinge a una decisione finanziaria impulsiva, che ti fa dire “Ma sì, che sarà mai, mi butto!”, fermati un attimo. Un respiro profondo. Chiediti: “Non è che qui c’è lo zampino di qualche vecchio, caro bias cognitivo che cerca di farmi lo sgambetto?”.

Bitcoin: nuovo all-time high a 111.900$

Bitcoin: nuovo massimo storico a 111.900$

Bitcoin raggiunge un nuovo massimo storico. Un’analisi tra ETF spot, fear & greed index, tassi di finanziamento sui mercati derivati e gli scenari futuri

Bentornato, Bitcoin! Dopo un’attesa che durava da gennaio, la principale criptovaluta ha finalmente infranto i suoi record precedenti, regalandoci un nuovo All-Time High (ATH). Ieri sera, Bitcoin ha toccato quota 109.400$, per poi superarsi nuovamente questa mattina, arrivando a un passo dai 112.000$. È importante sottolineare, per dovere di cronaca, che non è stato ancora raggiunto un massimo storico nei confronti dell’euro. Questo scenario è in parte dovuto all’indebolimento del dollaro USA rispetto ad altre valute globali da gennaio, mese in cui Bitcoin aveva toccato il suo ATH in euro (all’epoca, il dollaro USA ha perso circa il 10% rispetto all’Euro).

L’attuale bull market si configura come uno dei più particolari e anomali nella storia di Bitcoin. Innanzitutto, sono trascorsi circa cinque mesi tra il precedente ATH e quello attuale. Inoltre, finora non si è assistita a una altseason degna di nota, lasciando il “buon vecchio Bitcoin” come protagonista quasi indiscusso di questa fase di mercato.

A che punto siamo di questo Bull Market?

Per comprendere meglio la situazione attuale, analizziamo alcuni indicatori significativi, evidenziando le differenze rispetto ai cicli passati e perché, nonostante le anomalie, lo scenario potrebbe rivelarsi positivo.

  1. Fear & Greed Index: questo indice misura il sentiment generale del mercato crypto, oscillando da “paura estrema” a “avidità estrema”. Attualmente, si attesta intorno al livello 70 (avidità). Questo dato è piuttosto insolito: tipicamente, quando Bitcoin registra un nuovo massimo storico, l’indice schizza verso livelli di “avidità estrema” (spesso sopra 80-90).
  2. Funding Rates: i tassi di finanziamento sui mercati derivati sono un eccellente termometro per misurare la “temperatura” speculativa. Indicano il costo che i trader pagano per mantenere aperte posizioni con leva finanziaria (long o short). Quando questi tassi diventano marcatamente positivi (ad esempio, nell’intervallo 0,05%-0,08%), segnalano un eccesso di leva finanziaria long (scommesse al rialzo) nel sistema, aumentando il rischio di una brusca correzione. Sorprendentemente, al momento, i funding rates si mantengono su un modesto 0,005%, suggerendo una minore euforia speculativa e un utilizzo più cauto della leva.
  3. Interesse Retail: stimato attraverso il volume di ricerca della parola chiave “Bitcoin” su Google Trends, l’interesse del pubblico retail, pur mostrando una lieve crescita rispetto alla scorsa settimana, rimane vicino ai minimi della curva storica. Sembra che l’entusiasmo dei piccoli investitori non si sia ancora acceso pienamente nonostante il nuovo ATH. Viene da chiedersi: cosa succederà quando la notizia raggiungerà i media generalisti?

Gli ETF continuano a essere determinanti

Molti analisti sono convinti che il recente rally, culminato con il nuovo massimo storico, sia stato in gran parte alimentato dagli ingenti afflussi di capitale negli ETF Spot su Bitcoin. Soltanto negli ultimi tre giorni di contrattazioni, gli afflussi netti di capitale hanno raggiunto circa 1,5 miliardi di dollari. Complessivamente, gli afflussi netti dal lancio di questi strumenti ad oggi hanno superato i 43 miliardi di dollari e i fondi che emettono questi ETF detengono oggi circa 129 miliardi di dollari in Bitcoin, una cifra 

Cosa ci riserva il futuro?

Con il superamento dei precedenti massimi, il prezzo di Bitcoin si trova ora in fase di price discovery. In questa situazione, diventa molto difficile identificare livelli di prezzo storici che possano fungere da resistenza. È come navigare in acque inesplorate: ogni nuovo rialzo traccia una rotta mai percorsa prima.

Le recenti notizie macroeconomiche, seppur non particolarmente positive per il sistema economico globale, sembrano invece giocare a favore di Bitcoin. Un esempio significativo è l’annuncio di J.P. Morgan: la quinta banca al mondo per asset in gestione (la prima negli USA, con 4 trilioni di dollari e oltre 90 milioni di clienti) permetterà ai propri clienti di acquistare Bitcoin, segnando un’ulteriore, importante apertura istituzionale.

Inoltre, il declassamento del debito americano da parte di Moody’s e le persistenti preoccupazioni sulla sostenibilità della spesa pubblica statunitense hanno contribuito a incrinare la fiducia nella stabilità finanziaria tradizionale. In questo contesto di incertezza, Bitcoin emerge sempre più come una riserva di valore e un vero e proprio baluardo contro l’inflazione, l’instabilità economica e l’eccessivo debito pubblico.

Resta da vedere come evolverà la situazione, ma le dinamiche attuali suggeriscono un mercato di Bitcoin più maturo e in continua trasformazione, sempre più centrale nel panorama finanziario globale.

Quali sono i 5 crypto AI agent più famosi del mondo crypto?

AI agent crypto: i 5 più famosi

Quali sono i 5 crypto AI agent più famosi? Le varianti decentralizzate di Chat GPT anche in grado di gestire denaro

Quali sono i crypto AI agent più famosi? Avete presente Chat GPT, Gemini, Claude e tutti quegli altri cervelloni artificiali con cui ormai chiacchieriamo quasi quotidianamente? Bene, ora immaginate se questi genietti digitali potessero non solo scrivere poesie o risolvere problemi complessi, ma anche gestire soldi veri, investire, guadagnare e persino spendere criptovalute. Sembra fantascienza? Non proprio! Benvenuti nel mondo dei crypto AI agents, la nuova, entusiasmante frontiera nata dall’incontro tra due tecnologie che stanno rivoluzionando il mondo: le criptovalute e l’intelligenza artificiale.

In parole povere, stiamo parlando di entità digitali che già oggi sono capaci di muoversi autonomamente sui mercati finanziari decentralizzati e sfornare analisi e previsioni sui prezzi. E la cosa più sbalorditiva? Non sono semplici bot il cui agire è definito da un algoritmo immutabile, ma  sono progettati per imparare dai propri errori e adattarsi alle mutevoli condizioni del mercato, un po’ come farebbe un essere umano.

Certo, detta così sembra una semplificazione estrema, e in parte lo è. Ma niente paura! In questo articolo non ci perderemo in spiegoni teorici su cosa siano esattamente e come funzionino nel dettaglio i crypto AI agents, lo abbiamo già fatto qui. Oggi vogliamo andare dritti al sodo: faremo una carrellata dei 5 più famosi e interessanti crypto AI agent in circolazione, cercando di capire cosa fanno e perché se ne parla tanto.

I 5 crypto AI agents più famosi

Virtual Protocol: la “fabbrica” di agenti AI

Iniziamo subito col botto! Virtual Protocol non è tanto un singolo agente AI, quanto una vera e propria piattaforma o, come si autodefinisce, una “società di agenti AI”, dove chiunque può creare un agente AI personalizzato. Grazie al protocollo Virtuals, una volta configurati, questi agenti “prendono vita” e possono iniziare a muoversi e operare in modo autonomo nel mondo digitale. Cosa significa? Beh, immaginate di poter “programmare” un vostro piccolo aiutante digitale capace, se lo desiderate, di processare transazioni crypto, prendere decisioni basate sulle sue esperienze passate – o sui dati che ha analizzato – e interagire con l’ambiente circostante, che sia la blockchain o altre piattaforme; ad esempio i social network. All’interno di questa lista, vedremo un esempio lampante di agente creato proprio utilizzando questo protocollo.

La maggior parte degli agenti che nascono su Virtuals rientrano nella categoria degli IP (Intellectual Properties) agents, che potremmo definire come delle vere e proprie personalità virtuali, degli influencer digitali. L’esempio più eclatante è Luna, un’agente che ha spopolato su TikTok, raggiungendo quasi 1 milione di follower grazie ai suoi contenuti. Esistono poi i functional agents, meno focalizzati sull’aspetto “social” e più orientati a svolgere compiti specifici per migliorare l’esperienza utente su determinate piattaforme o servizi.

AIXBT: l’oracolo di X

Se bazzicate X e siete appassionati di crypto, è quasi impossibile che non vi siate imbattuti in AIXBT. Questo è, senza dubbio, uno dei crypto AI agent più popolari e seguiti. Creato proprio sulla “fabbrica di agenti” Virtual Protocol, AIXBT viene definito un sentient agent. Il suo scopo principale è chiarissimo: tenere costantemente informati gli holder del suo token associato, condividendo analisi di mercato, approfondimenti e previsioni focalizzate sul mondo crypto. 

Queste analisi non sono campate in aria, ma derivano da un continuo processo di raccolta, analisi e interpretazione di dati. AIXBT ha saputo conquistarsi una vasta platea, accumulando, ad oggi, circa 500.000 follower grazie alla sua abilità nell’identificare le narrative di mercato più calde e nel fornire alpha, ovvero informazioni preziose che possono dare un vantaggio agli investitori. La qualità dei suoi contenuti è tale che persino CoinGecko, una delle piattaforme di analisi dati più autorevoli e utilizzate nel settore crypto, ha deciso di integrare le analisi di AIXBT.

Un piccolo dettaglio non da poco: il token legato a questo agente ha vissuto momenti di gloria, raggiungendo, nel suo picco di massima espansione, una capitalizzazione di mercato di ben 745 milioni di dollari.

Eliza OS: il primo Venture Capital gestito dall’AI

L’idea che muove Eliza OS – che molti ricorderanno con il suo nome precedente, ai16z – è di quelle che stuzzicano la fantasia: immaginate un mondo in cui i vostri investimenti non solo “lavorano per voi” passivamente, ma lo fanno in modo intelligente, proattivo e completamente automatizzato. Non stiamo parlando del solito interesse composto o di formule finanziarie già note. Qui si parla di un’intelligenza artificiale tokenizzata, costruita su Solana, che ha l’obiettivo di generare rendimenti attraverso un’attività di trading sofisticata e continua.

Il modo più semplice per descrivere Eliza OS?  Un fondo di venture capital completamente decentralizzato e automatizzato, che sfrutta la potenza dell’AI per prendere decisioni finanziarie ponderate, quasi come un consulente finanziario instancabile, attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7, e sempre aggiornato sugli ultimi trend di mercato. Il token collegato a Eliza OS ha avuto un successo quasi istantaneo e travolgente, superando la sbalorditiva cifra di 2,5 miliardi di dollari di capitalizzazione in circa quattro mesi dal lancio. Oggi però, il prezzo del token si è notevolmente ridimensionato.

Hey Anon: Chat GPT per la DeFi

Il penultimo progetto di questa nostra carrellata vede protagonista una figura tanto nota quanto discussa del panorama DeFi italiano: Daniele Sesta. Hey Anon è un protocollo che nasce con un obiettivo semplice ma potente: semplificare drasticamente le interazioni con il complesso mondo della Finanza Decentralizzata (DeFi). 

In pratica, è un chatbot in stile Chat GPT, ma nato per interagire direttamente con la DeFi. Potete dargli istruzioni in linguaggio naturale, connettere il vostro wallet crypto, e lui si occuperà di tutta la parte tecnica. Facciamo un esempio? Avete una certa quantità di ETH e volete utilizzarli come collaterale per richiedere un prestito su Aave, ma non sapete da dove iniziare o trovate la procedura macchinosa? Potreste semplicemente chiedere a “Hey Anon” di farlo per voi. Attenzione però: c’è un “ma”. Per poter usufruire dei servizi di questa piattaforma e dare ordini al chatbot, è necessario detenere una certa quantità del token nativo del progetto, ANON.

Kaito: un motore di ricerca per il Web3?

Chiudiamo la nostra lista con Kaito, una piattaforma creata specificamente per semplificare l’accesso e la comprensione della marea di dati che popola l’universo Web3. Immaginate quanto sia difficile, oggi, rimanere aggiornati su tutto ciò che accade nel mondo crypto: notizie, trend sui social media, discussioni su Discord e Telegram, dati on-chain, nuovi progetti che spuntano come funghi. Kaito si propone come una soluzione a questo problema. 

Utilizzando l’AI, Kaito raccoglie, analizza e presenta informazioni cruciali da una miriade di fonti disparate, aiutando utenti, investitori e sviluppatori a navigare in questo mare magnum e a prendere decisioni più consapevoli. Potremmo vederlo come una sorta di “Google Search” potenziato dall’intelligenza artificiale, ma interamente focalizzato e specializzato sul mondo delle criptovalute e del Web3. Un tool che promette di rendere la ricerca di informazioni di qualità più rapida ed efficiente.


E questo è solo un assaggio! Il panorama dei crypto AI agent è in fermento e ogni giorno spuntano nuove idee e progetti. Siamo ancora agli inizi, è vero, e come per tutte le tecnologie emergenti ci sono sfide, rischi e tanta sperimentazione. Ma una cosa è certa: la fusione tra intelligenza artificiale e blockchain ha il potenziale per sbloccare scenari che fino a ieri sembravano relegati ai romanzi di fantascienza.


Moody’s declassa le Treasury americane: fuga dal dollaro in arrivo?

Moody’s declassa le Treasury

Moody’s ha appena declassato le treasury americane. Quale sarà l’impatto dell’accaduto? Bitcoin può essere una soluzione?

L’era in cui gli Stati Uniti sembravano possedere una sorta di carta di credito globale illimitata potrebbe davvero essere al capolinea. La notizia è di quelle che scuotono l’economia mondiale: Moody’s ha messo sotto osservazione il debito sovrano americano, declassando di fatto il suo outlook. Non è “solo” una formalità tecnica; è un faro potente acceso su una verità scomoda: i titoli di stato USA, per anni il simbolo della sicurezza finanziaria, non sono più considerati completamente privi di rischio

E questo potrebbe significare che il tempo in cui l’America poteva stampare moneta a piacimento, con il mondo pronto ad assorbirla senza troppe conseguenze, sta per finire. Viene da chiedersi: come si colloca Bitcoin in questo scenario potenzialmente rivoluzionario?

Moody’s declassa le Treasury USA

Sentire che il debito americano non è più intoccabile fa un certo effetto. Dopotutto, per decenni è stata la roccia su cui si è appoggiato l’intero sistema finanziario globale. Ma ecco che le agenzie di rating – questi enigmatici arbitri del credito sovrano come Moody’s, S&P e Fitch – tornano protagoniste, capaci come sono di aprire o chiudere le porte dei mercati a intere nazioni con un semplice cambio di “pagella”.

Dopo questa premessa, che oscilla tra il catastrofico e l’ottimista (soprattutto per chi, come forse anche voi, vede in Bitcoin un’alternativa), cerchiamo di capire cosa è successo davvero. Sostanzialmente, è cambiata una “lettera”, o meglio, la prospettiva su quella lettera. Un avvenimento all’apparenza irrilevante, ma che potrebbe aprire le porte a un cambiamento radicale della finanza come la conosciamo. Moody’s, con il suo recente cambio di outlook (pur mantenendo per ora il rating Aaa), segue le orme di Standard & Poor’s (che declassò da AAA ad AA+ nel 2011) e Fitch (declassamento simile nel 2023), segnalando che la fiducia nel “porto sicuro” per eccellenza non è più incondizionata.

Quali sono i motivi del declassamento?

Le domande sorgono spontanee: perché questo cambio di rotta? Quali saranno le ripercussioni sul dollaro e sui principali indici azionari?

La motivazione principale di questo declassamento “annunciato” la conoscete probabilmente già, se seguite con un minimo di attenzione le dinamiche economiche – e il nostro blog. Il primo, ovvio, colpevole è il debito pubblico USA, la cui crescita può essere definita senza mezzi termini “fuori controllo”. Parliamo di un deficit federale che si avvicina ai 2.000 miliardi di dollari all’anno, circa il 6% del PIL – cifre mai viste, nemmeno durante le crisi più acute degli anni ’70. E questo senza contare il fardello crescente degli interessi su tale debito.

A ciò si aggiunge quella che Moody’s definisce una palese “incapacità politica di invertire la rotta”, ovvero una paralisi decisionale che impedisce di attuare riforme fiscali sostenibili. In breve: “la traiettoria fiscale statunitense è compromessa”. Il vero problema è che la situazione che abbiamo appena descritto sembra destinata a peggiorare. Secondo le stesse proiezioni di Moody’s (e di altri enti come il CBO), il deficit potrebbe schizzare al 9% del PIL entro il 2035, e questo nello scenario più ottimista, senza considerare shock esterni come pandemie, guerre o recessioni. Queste cifre proietterebbero il debito pubblico complessivo verso un terrificante 180% del PIL.

Gli USA non sono più intoccabili?

Il CBO (Congressional Budget Office), per sottolineare la gravità, ha addirittura tracciato un parallelo con il disastroso mini-budget proposto da Liz Truss nel Regno Unito nel 2022, che gettò nel panico i mercati finanziari.

Nel frattempo, come logica conseguenza, i rendimenti dei titoli di stato americani crescono: quello del trentennale ha già toccato o superato il 5%, e il decennale si attesta su livelli simili (es. 4,517% o più). Il motivo è semplice: più uno strumento finanziario è percepito come rischioso, più alto deve essere il suo rendimento per attrarre investitori. Questo, però, significa anche che gli USA dovranno sborsare più soldi per pagare gli interessi ai propri creditori, alimentando un circolo vizioso del debito. E attenzione, perché i rendimenti potrebbero salire ancora: il mercato obbligazionario è spesso più reattivo di quello azionario, e i famosi “bond vigilantes” (grandi investitori che “puniscono” i governi con politiche fiscali allegre vendendone i titoli) agiscono in fretta.

Il CBO stima che entro il 2030, ben il 22% di tutto il gettito fiscale USA (i soldi incassati con le tasse) sarà divorato dal solo pagamento degli interessi sul debito.

La domanda sorge quindi spontanea: l’eccezionalismo del debito USA è al capolinea? Anche gli Stati Uniti dovranno affrontare lo stesso scrutinio e gli stessi problemi di bilancio che noi italiani conosciamo fin troppo bene? La famosa “spending review” busserà anche alle porte di Washington? Bisogna ammettere che il dollaro USA non è una valuta qualsiasi: è la valuta di riserva mondiale, il linguaggio universale della finanza globale, la moneta che le banche centrali di tutto il mondo accumulano. Ma il giochino per cui gli USA stampano denaro senza limiti, sicuri che gli altri Paesi glielo comprino (un concetto legato al Dilemma di Triffin), potrebbe davvero finire.

Come se non bastasse, indiscrezioni recenti suggeriscono che nelle ultime settimane la FED potrebbe aver acquistato ben 43,6 miliardi di dollari di Treasury USA, di cui 8,8 miliardi di titoli di stato con scadenza a 30 anni l’8 maggio. Ciò che preoccupa maggiormente gli analisti non è tanto l’acquisto in sé, quanto il fatto che sarebbe avvenuto in sordina, non supportato da alcun annuncio ufficiale. Un’operazione del genere, se confermata, potrebbe segnalare l’inizio di una nuova fase in cui la banca centrale americana tenta di controllare i rendimenti dei bond (una sorta di yield curve control mascherato) per evitare un cosiddetto “bear steepener” – ovvero una situazione in cui la differenza di rendimento tra obbligazioni a breve e lunga durata diventa eccessivamente marcata. Evitare tale scenario è cruciale: un’eccessiva divergenza nei rendimenti potrebbe infatti costringere la FED ad alzare ulteriormente i tassi di interesse, aggravando il costo del debito e intensificando il circolo vizioso di cui abbiamo parlato.

Bitcoin può essere la soluzione?

E qui arriviamo al nocciolo della questione per molti osservatori attenti. In uno scenario dove la fiducia nella principale valuta di riserva mondiale e nei suoi titoli di stato inizia a incrinarsi, dove il debito sembra una voragine senza fondo e la capacità di ripagarlo senza svalutare la moneta è messa in dubbio, quale ruolo può giocare Bitcoin

In questo senso risuonano quanto mai attuali le dichiarazioni che Larry Fink, il CEO di BlackRock ha inserito nella sua lettera annuale agli shareholders del più grande fondo di investimento al mondo. In quel documento Fink dichiara che “Bitcoin ha le carte in regola per rimpiazzare il dollaro americano, proprio a causa dell’irreversibile situazione legata al debito statunitense.”

Insomma, per chi sostiene Bitcoin, la risposta è quasi ovvia. Di fronte a debiti sovrani fuori controllo e a valute fiat a rischio inflazione per “monetizzare” quei debiti, Bitcoin si propone come:

  1. Una riserva di valore alternativa, un “oro digitale” con un’offerta limitata e prevedibile (massimo 21 milioni di unità), non manipolabile da decisioni politiche o da banche centrali;
  2. Un asset intrinsecamente scarso;
  3. Un sistema di pagamento globale, decentralizzato e resistente alla censura.

Certo, Bitcoin ha la sua volatilità e le sue sfide, ma in un contesto di crescente preoccupazione per la stabilità del sistema finanziario tradizionale, la sua narrativa come potenziale scudo o diversificatore di valore acquista sempre più forza.Il cambio di outlook di Moody’s non è la fine del mondo, ma è un segnale potente. E mentre i pilastri della finanza tradizionale mostrano qualche crepa, un’alternativa digitale, un tempo considerata di nicchia, si fa sempre più strada. Staremo a vedere cosa emergerà dal discorso della FED, ma una cosa è chiara: le fondamenta stanno tremando e il dibattito su cosa verrà dopo è più vivo che mai.


Risiko bancario: che cos’è e perché si innesca?

Risiko bancario: che cos’è e come si innesca?

Scopri cos’è il risiko bancario, un’attività giustificata dagli extra-profitti delle banche

Che cos’è il risiko bancario? No, non è l’ultima espansione del vostro gioco da tavolo preferito, anche se le dinamiche di conquista e strategia che lo regolano ci assomigliano parecchio. Questo termine, mutuato con arguzia dal celebre gioco da tavolo, descrive la recente e vivace tendenza degli istituti di credito, specialmente quelli con qualche “carrarmatino” in più, a lanciarsi in operazioni di fusione, acquisizione (M&A) e accorpamento. Un po’ come quando, nel gioco, hai accumulato abbastanza armate da guardare con interesse i territori del vicino.

La prima misura macroeconomica che possiamo associare al risiko bancario è la modifica dei tassi di interesse, un argomento molto frequente nei nostri articoli per via della sua influenza sui mercati, anche su quello crypto. L’innalzamento del costo del denaro, deciso dalle banche centrali per domare l’inflazione (mentre noi comuni mortali vedevamo lievitare le rate dei mutui), ha fatto la gioia dei bilanci bancari. Questi extraprofitti verranno reinvestiti per crescere ed espandersi. Preparate i pop-corn perché la stagione 2025-2026 del risiko bancario, si preannuncia scoppiettante.

Lo stato di salute delle banche italiane

Prima di approfondire il tema principale, è utile una breve analisi dello stato di salute degli istituti di credito, per comprendere il contesto in cui si sviluppa il fenomeno del risiko. Negli ultimi anni, le banche hanno beneficiato significativamente delle decisioni delle banche centrali sui tassi di interesse.

Durante il 2023, le maggiori banche italiane quotate in borsa hanno registrato utili netti aggregati per 21,9 miliardi di euro, cifra che è ulteriormente salita a 31,4 miliardi nel 2024. A livello europeo, i profitti dei venti istituti più importanti hanno raggiunto circa 100 miliardi di euro.

Il principale motore di questa crescita è stato l’incremento dei tassi di interesse operato dalla Banca Centrale Europea per contrastare l’inflazione (da luglio 2022 a ottobre 2023, i tassi di riferimento sono passati dallo 0% al 4,5%). Ciò ha provocato un aumento del margine netto di interesse, ovvero la differenza tra gli interessi attivi riscossi sui prestiti e gli interessi passivi corrisposti sulla raccolta. Semplificando, si può dire che le banche hanno adeguato più rapidamente i tassi attivi sui finanziamenti concessi ai clienti rispetto alla remunerazione offerta sui depositi.

Tuttavia, i risultati positivi non derivano soltanto da questa dinamica. Si è registrata anche una crescita delle commissioni nette, prevalentemente dalla gestione patrimoniale. Queste componenti hanno contribuito alla situazione attuale, in cui le banche, grazie ai consistenti profitti accumulati (assimilabili, nella metafora del Risiko, a territori conquistati o carte bonus), dispongono di significativa liquidità (o “armate”). Il passo successivo, in entrambi gli scenari, è l’investimento di queste risorse per l’espansione.

Il risiko bancario

La metafora del risiko bancario è particolarmente calzante poiché, in questo periodo, il settore è sempre più simile ad una arena competitiva. Tuttavia, a differenza del gioco da tavolo, la spinta al consolidamento tra banche è alimentata da una serie di motivazioni strategiche fondamentali per la loro crescita e stabilità. Ecco le principali:

  1. Ricerca di economie di scala: l’obiettivo primario è unificare le strutture operative, ottimizzare i costi attraverso la razionalizzazione dei processi interni e l’integrazione delle piattaforme tecnologiche.
  2. Diversificazione geografica e di prodotto: espandere la presenza territoriale e ampliare la gamma di servizi offerti permette alle banche di ridurre i rischi legati alla concentrazione su specifici mercati o segmenti di clientela, e al contempo di aumentare le opportunità di cross-selling e, di conseguenza, i ricavi.
  3. Aumento della competitività: banche di maggiori dimensioni dispongono generalmente di un maggior potere negoziale e di una capacità superiore di investire in nuove tecnologie, nello sviluppo delle risorse umane e in iniziative di marketing, rafforzando così la loro posizione sul mercato.
  4. Risposta strategica alle sfide del settore: le operazioni di M&A sono viste come una risposta all’accelerazione della digitalizzazione, alla necessità di conformarsi a una regolamentazione sempre più stringente (ad esempio in materia di requisiti patrimoniali e di liquidità) e all’urgenza di affrontare tematiche trasversali come la sostenibilità ambientale e sociale.
  5. Pressione degli azionisti: un fattore rilevante è la costante pressione esercitata dagli azionisti per massimizzare il valore delle azioni e dei dividendi, e per attrarre nuovi investitori.

Il risiko bancario: i casi più emblematici

Il panorama italiano ha già assistito a casi emblematici di M&A che hanno ridisegnato la mappa del credito. L’operazione Intesa Sanpaolo / UBI Banca, finalizzata nel 2021, è considerata un punto di svolta che ha effettivamente dato il via alla più recente ondata di “risiko bancario”. Questa fusione ha consolidato la leadership di Intesa Sanpaolo e ha agito da catalizzatore per ulteriori aggregazioni.

Un altro esempio significativo è stata l’acquisizione del Credito Valtellinese (CreVal) da parte di Crédit Agricole Italia (2020-2021), che testimonia l’interesse di gruppi esteri a rafforzare la propria presenza in aree strategiche del paese. Anche BPER Banca si è dimostrata un attore attivo, con l’acquisizione di Banca Carige (2022) e le ricorrenti discussioni su una potenziale integrazione con la Banca Popolare di Sondrio.

Sullo sfondo, rimangono le ipotesi che coinvolgono i principali player: si è molto discusso di un interesse di UniCredit per incrementare la sua quota nella tedesca Commerzbank, così come di passate interlocuzioni per un’aggregazione tra la stessa UniCredit e Banco BPM. Quest’ultima è attualmente impegnata nel tentativo di concludere l’offerta pubblica d’acquisto su Anima SGR, che è contemporaneamente oggetto di interesse da parte di Unicredit con un’offerta superiore ai 10 miliardi di euro. Nel frattempo, Unipol, dopo l’esclusione dall’ultima vendita di quote pubbliche di Monte dei Paschi di Siena, sembra mirare a favorire un’integrazione tra Bper e Popolare di Sondrio, di cui detiene una quota rilevante.

Banca Monte dei Paschi di Siena (MPS) continua a essere un elemento centrale nelle dinamiche di M&A, con il governo italiano alla ricerca di soluzioni di mercato per la sua definitiva stabilizzazione e privatizzazione; in questo contesto, si è nuovamente ipotizzato un possibile coinvolgimento di UniCredit.

Quali saranno i prossimi sviluppi?

Quali saranno gli esiti di questa fase del risiko bancario? È complesso fornire una risposta univoca, anche perché, non verrà incoronato un vincitore assoluto e definitivo. Il risiko bancario – e questa è una notevole differenza rispetto alle dinamiche del gioco da tavolo – è un processo continuo, che si adatta alle mutevoli stagioni dell’economia e della finanza.

Il periodo attuale è certamente cruciale. Con i tassi d’interesse in discesa, i margini di guadagno eccezionali registrati dalle banche negli ultimi anni potrebbero subire una normalizzazione. Questo scenario, naturalmente, spinge gli istituti di credito a rimescolare le carte e a studiare nuove strategie per mantenere la redditività e rafforzare la propria posizione competitiva.

Vedremo quindi, con ogni probabilità, ulteriori operazioni di consolidamento. I grandi gruppi bancari potrebbero puntare a irrobustirsi ulteriormente per competere efficacemente su scala globale, mentre gli altri istituti lavoreranno per non restare indietro, magari attraverso alleanze strategiche o fusioni mirate a creare campioni nazionali o specializzati.

E per i clienti e il sistema economico nel suo complesso? Le argomentazioni a favore di queste operazioni evidenziano spesso i benefici attesi in termini di maggiore stabilità, efficienza e capacità di investimento. Sarà importante osservare se a queste grandi manovre corrisponderanno poi benefici tangibili in termini di effettiva concorrenza, qualità dei servizi offerti e supporto all’economia reale. La partita del risiko bancario, insomma, è ancora in pieno svolgimento e le sue prossime mosse continueranno a disegnare il futuro del settore creditizio.

Cos’è la BCE e di cosa si occupa?

Cos’è la BCE: significato, sede, presidente e importanza della Banca Centrale Europea?

Che cos’è la BCE? Di cosa si occupa e qual è la sua struttura?

Che cos’è la BCE e qual è il suo significato? La sigla sta per “Banca Centrale Europea”, ovvero la principale istituzione monetaria dell’Eurozona fondata nel 1998 per garantire la stabilità dei prezzi e una crescita economica sostenibile. La sua sede si trova a Francoforte, e in questo periodo è stata ancor più al centro dell’attenzione per via della decisione comunicata dalla presidente di aumentare nuovamente i tassi di interesse, una politica monetaria utile a contrastare l’inflazione. Scopri che cos’è la BCE e tutti gli aspetti che la riguardano, dal presidente dell’Istituto ai suoi compiti e alla sua struttura.

Che cos’è la BCE?

La BCE è la Banca Centrale dell’Unione Monetaria Europea (UME) composta da tutti gli Stati che hanno adottato l’euro come valuta comune. Ma quali sono i compiti della Banca Centrale Europea? Questa istituzione innanzitutto è responsabile della gestione delle politiche monetarie dell’area, al fine di mantenere i prezzi stabili, promuovere la crescita economica e l’occupazione. La BCE si occupa di emettere e gestire la circolazione dell’euro, la valuta comune dell’UME. Quindi se ti chiedevi “chi stampa gli euro per l’Italia e gli altri paesi dell’unione Europea?” Ora hai la risposta. Ecco dunque cos’è la BCE.

Essa ha anche il compito di controllare le banche dell’eurozona, attraverso il meccanismo di supervisione unico (SSM), un sistema di sorveglianza creato per garantire la stabilità del sistema bancario europeo, prevenire le bolle speculative e ridurre il rischio di crisi finanziarie. Per questo motivo è importante che sia imparziale, indipendente e autonoma; la Banca Centrale Europea deve favorire l’interesse generale e non quello di una particolare nazione o gruppo di interesse. 

Infine la BCE si occupa di rappresentare l’Eurozona in diverse sedi internazionali, come i summit del G20 o nelle riunioni del Fondo Monetario Internazionale e collabora con le banche centrali dei paesi del mondo per promuovere la stabilità finanziaria a livello globale.

Le politiche monetarie della BCE

Quando si risponde alla domanda “che cos’è la BCE”, è necessario citare anche gli strumenti che questa istituzione utilizza per adempiere ai suoi compiti riguardanti le politiche monetarie. Quelle più popolari e conosciute riguardano l’innalzamento o l’abbassamento dei tassi di interesse che hanno delle conseguenze sulle banche e i cittadini dell’Eurozona

La BCE però utilizza anche altri strumenti per influenzare l’offerta di denaro, ad esempio le operazioni di mercato aperto. Queste sono prevalentemente l’acquisto e la vendita di titoli di stato dei paesi europei, attraverso i quali la Banca Centrale Europea regola la quantità di moneta in circolazione. Una di queste è, ad esempio, il quantitative easing. Un tipo di politica monetaria che prevede l’acquisto di titoli di Stato che la BCE ha attuato in più occasioni negli ultimi anni.

La struttura della BCE

Ora che sai cos’è la BCE, vediamo come è composta. La Banca Centrale Europea è formata da tre organi principali: il Consiglio dei governatori, il Comitato esecutivo e il Consiglio generale.

  • Il Consiglio direttivo è formato dai presidenti delle banche centrali nazionali dei paesi della zona euro, nel caso dell’Italia Fabio Panetta, e dai membri del Comitato esecutivo. Esso è responsabile di stabilire la politica monetaria della zona euro e di decidere sui tassi di interesse e sulle operazioni di mercato aperto;
  • Il Comitato esecutivo è composto dal presidente e dal vicepresidente della BCE, attualmente Christine Lagarde e Luis de Guindos e da altri quattro membri nominati dal Consiglio europeo, con il consenso del Parlamento europeo. Il Comitato esecutivo è responsabile dell’attuazione delle politiche monetarie della BCE;
  • Il Consiglio generale riunisce i presidenti e i vicepresidenti delle banche centrali nazionali dell’Eurozona, inclusi quelli dei paesi che non hanno ancora adottato l’euro. Esso è responsabile di assistere il Consiglio direttivo e il Comitato esecutivo nella gestione della BCE e di svolgere altre funzioni consultive e di coordinamento.

Il consiglio direttivo della Banca Centrale Europea in genere si riunisce otto volte all’anno: qui puoi consultare il Calendario completo degli appuntamenti per il 2025.

Sapere cos’è la BCE e conoscerne il funzionamento è molto importante. Le decisioni che questa istituzione prende, in particolare scegliendo quale politica monetaria attuare, influenzano l’economia europea, i mercati finanziari ma anche la quotidianità di tutti i cittadini dell’Eurozona.